Sedurre
o governare?
di
Giovanni Bianchi
Sedurre?
Sedurre
è diventata una funzione da tempo interna e centrale al politico. Non è una
novità. Delle capacità seduttive del generale De Gaulle si occuparono
politologi non frivoli. Del carisma del generale si giovò la Resistenza
francese e l'intera Repubblica dopo la crisi d'Algeria. Charles De Gaulle,
uscito dal suo sdegnoso riserbo, chiuse la vicenda algerina in senso contrario
rispetto alle aspettative di Salan e Massu, fece scrivere a Debré una nuova
costituzione in una settimana e rimise la Francia e i francesi sul binario repubblicano.
L'operazione fu indubbiamente consentita dal suo fascino seduttivo. E tuttavia
seduzione e governo non coincidono. Giolitti, nella famosa lettera alla figlia,
non solo non cercava di sedurre la Bella Italia, ma si spingeva a dire che il
suo Paese aveva la gobba, e che lui a Palazzo Chigi si era dovuto industriare a
confezionare un abito da gobbo…
Se
ho evocato questa strana coppia del politico odierno è perché le esigenze mediatiche
della leadership hanno di molto aumentato il tasso di seduzione necessario per
governare. Con tutta una serie di insidie, di problemi e perfino di aporie. Altro
infatti è sedurre e altro governare. Cosicché dai tempi del Generale molti
hanno cercato di imitarlo senza averne la statura. Vale ancora la pena di
osservare che la seduzione si giova di blandizie, di bugie, di sogni a occhi
aperti raccontati agli spettatori.
Bonus o riforme?
Uscendo
rapidamente di metafora si può per esempio dire che il seduttore politico
odierno (le cose viaggiano così in Lombardia da qualche decennio) preferisce
elargire bonus piuttosto che impegnarsi in riforme di struttura, in particolare
per quel che riguarda il welfare e la sanità.
Il
guaio palese è che il bonus crea affezione e tifo, mentre le riforme del
welfare creano, in tempi un poco più lunghi, cittadinanza. Lo stesso vale circa
il discorso sulle tasse e in generale sui temi che alludono alle riforme che
interessano la gente, a partire dal fisco. Ho richiamato elementi che stanno
sotto gli occhi di tutti perché il discorso sugli annunci si è fatto ancora una
volta insistente, dal momento che tutti i leaders e i partiti appaiono più
interessati a inseguire il consenso che a riformare il Paese. Insomma, non si mira
a raddrizzare la gobba italica, ma dire che non c'è, che si può nascondere con
un atto di felice sartoria o con un intervento chirurgico di tipo estetico, più
acrobatico che possibile.
E
gli italiani, o gli italici, come
scrive Piero Bassetti? Si tratta di
vedere fino a quando staranno al gioco, perché la fine della credulità e del
gioco segnerà, difficile dire quando, la fine delle arti seduttive. O almeno la
fine di queste arti seduttive.
Confusione elettorale
E
infatti grande sotto il cielo è la confusione non soltanto elettorale.
La
Lega cresce, ma ancora ancorata alla divisione sinistra/destra. Il Movimento 5
Stelle è riuscito a far passare l'idea che loro non sono né a destra né a sinistra, ma sono da qualche
altra parte. Di volta in volta si tratterà di stabilire quale. Nel frattempo,
nelle ultime tornate elettorali, il PD ha palesatto scarsa capacità di
mobilitare il proprio elettorato. Dopo il grande risultato conseguito con un
pieno di voti imprevisto alle europee giocate tutte su temi casalinghi, una
scarsa capacità di sfondare a destra lo ha invece penalizzato nelle ultime
elezioni regionali. Detto alle spicce, il PD si conferma comunque partito di
centrosinistra.
Contemporaneamente
si sta riorganizzando il centrodestra, che tenta disperatamente di diversificare
la propria offerta politica. Tutto ciò ripropone il problema degli appelli e della
capacità di far sognare -qui la seduzione- il proprio elettorato potenziale.
Renzi
annuncia una "rivoluzione copernicana" del fisco nella direzione
auspicata dalla maggioranza degli italiani, ma abbonda di etichette più che di
contenuti, e imbocca una strada troppe volte indicata e incominciata dai suoi
predecessori di diverso orientamento.
Problema.
Intorno a che cosa si unisce un partito? Basta la leadership? Basta la
leadership mediatica? Non è forse vero che alla fine anche la leadership deve
dare un'idea e un orizzonte, e non degli spot?
Il programma
Siamo
alle solite: senza un pensiero capace di programma e di orizzonte, c'è qualcosa
che drammaticamente e malinconicamente assomiglia troppo al tifo sportivo. Michele
Salvati evocava al convegno di val Tartano un programma di governo per il PD.
Non posso che concordare: questa è l'idea di fondo e fondante di Luigi Sturzo.
L'idea di programma, anzi il programma in sé caratterizza il Partito Popolare. Solo
che dopo l'esaltazione del programma, Luigi Sturzo fa un'esortazione molto
precisa: "Programmi, non persone". Valeva solo per la sua stagione
politica? Un brillante dirigente del partito democratico lombardo ha osservato
con molta franchezza nella sua analisi che "Renzi ha preso a sberle troppo
persone".
Si
tratta evidentemente di un benefico errore. Ma credo che il mio punto di vista
sia diametralmente opposto allo spirito dell'osservazione dell’onesto dirigente
lombardo. Perché? Perché ho sempre considerato e valutato i comportamenti del
giovane leader democratico seguendo i canoni tradizionali del pensiero politico
e non quelli dell'età evolutiva di Piaget. La giovane età non tragga in inganno.
Napoleone Bonaparte aveva solo 27 anni quando intraprese la Campagna d'Italia.
Quindi anche per Renzi, che è politico non solo di successo, più Machiavelli e
meno Piaget. E infatti cosa diceva l'autore del Principe? Che gli avversari e le posizioni contrarie si spengono: "tale che la più sicura via è spegnerle". Verbo forte,
deciso, violento, mortuario, col sentore di pugnali e di veleni che accompagna
il governo nella stagione di Machiavelli. E siccome debbo smentire che un
sortilegio notturno mi abbia trasformato improvvisamente in Jack lo squartatore
o in un Renato Curcio di ritorno, mi sento obbligato a chiarire che il verbo spegnere in questo caso indica un'azione
risolutiva: quella che spetta cioè al vero decisionista. L'icona c'è, vincente
e precisa. In un pomeriggio Renzi porta il PD nella famiglia socialista
europea. Bindi e Fioroni non emettono un lamento. Renzi dunque come Alessandro
Magno ha tagliato il nodo gordiano? Non esageriamo e cerchiamo di essere in
circostanziati. Matteo Renzi ha vista politicamente acutissima e si era da
tempo accorto che il nodo, lasciamo perdere il gordiano, non c'era proprio più.
L'azione è stata netta, rapida, risolutiva. Qui il corrusco verbo di
Machiavelli, spegnere, s'è mostrato e
ha funzionato.
Il
dubbio allora è semmai un altro. Perché questo inseguimento costante, e non
poco fastidioso, alle posizioni di Bindi, Bersani, Cuperlo, Speranza? Perché
non li invita mai a togliere finalmente il disturbo, anziché minacciarlo
continuamente, ed anzi afferma che non è nelle sue intenzioni metterli fuori
dal partito? Credo che questa volta lo "stai sereno" di Matteo sia
assolutamente sincero e motivato. Finché le scelte e le convinzioni del leader
dei rottamatori e della velocità hanno come termine di confronto quelle degli
avversari richiamati, il profilo renziano non solo risulta vincente, ma
accattivante e in qualche caso perfino "gigantesco". E invece tolti
di mezzo Bersani e la Rosy, il capo carismatico del PD apparirebbe
probabilmente assai meno convincente e politicamente aitante. Il sano
relativismo della politica risulta comunque un fattore ineliminabile di
comparazione e di forza. Renzi ovviamente lo sa. Per questo si tiene stretti
avversari, concorrenti e denigratori.
Capacità di visione
Renzi
insomma non deve abbassare la narrazione, ma dimostrare che la capacità di
visione e di decisione non è troppo lontana dal suo mito mediatico. Di questo
ha bisogno il Paese molto più del partito. È lo scarto troppo evidente tra il
mito di Renzi (non c'è politica senza mito) e il decisionismo reale di Renzi che è troppo grande. La
vicenda europea del confronto tra la Germania di Merkel e Schӓuble e la Grecia di Tsipras ha detto
questo. E devo dire che il giudizio assolutorio di alcuni commentatori (Stefano
Folli) non mi ha convinto. Non credo sia stata furbizia strategica la cautela e
tantomeno la latitanza del nostro Premier. Chi ha visto che l'acqua può essere
bassa può incamminarsi la prossima volta nel mare italiano, senza bisogno del
costume da bagno, semplicemente risvoltando i pantaloni o la gonna. Altri
interrogativi ovviamente si affollano, in particolare quelli che si interrogano
sul passaggio da una democrazia consociativa a una democrazia dei leaders. Dal
partito ideologico al partito programma? Non bisogna fare le cose troppo
complicate. Diciamo il luogo, la natura, la sostanza del problema: Renzi ha
saputo sedurre il Paese, ma adesso c'è bisogno di convincerlo di una missione e
della capacità di farcela con il governo. Sullo sfondo evidentemente la sfida
europea, che ci riguarda molto da vicino. Sedurre va bene, ma governare necesse est. Una necessità che con un
altro verbo era dichiarata da quella Hansa
Alemanna che pare viaggiare nell'inconscio e nello sfondo delle proposte
europee della strana coppia di Berlino. Le cose vanno migliorando per la
congiuntura globale ed europea anche nel nostro Paese. Viaggia positivamente la
svalutazione introdotta. Il debito è molto grande, ma i tassi molto bassi. Ci
stiamo anche avvantaggiando di un prezzo dell'energia a sua volta basso. Ma un
interrogativo da tempo mi rode: la squadra di governo è in grado di affrontare
la sfida? È in grado di farlo se l'Europa non è una soluzione, ma è diventata
il problema? So benissimo, e mi fa piacere, che in termini di voti assoluti il
PD è il più grosso partito in Europa. Ma si tratta anche di fare i conti con
forze produttive sottoutilizzate. E poi: quali le competenze nella squadra di
governo? Qualcuna c'è e non si può non vederla, ma la squadra è in troppi
settori decisamente oratoriana, e non in nome della cultura cattolica del Paese
o del leader. Le stesse ingegnerie che si affannano intorno al partito non paiono
in grado di convincere. E allora? Andiamo ancora una volta per rimpasti? Nulla
deve essere tralasciato...
Oltre la noia quotidiana
Ma
siccome questa politica alla fine annoia non soltanto me con la sua
quotidianità, voglio concludere con un riferimento al giubileo indetto da papa
Francesco. L'uomo più impolitico che fa più politica nella nostra lunga
penisola e nel mondo globale malamente globalizzato. Tutti sappiamo che, quasi
ad aggredire alle fondamenta l'avidità che domina il mondo, papa Francesco ha
intitolato il giubileo imprevisto alla misericordia. Il cardinale Martini amava
ripetere che "la Bibbia non dà mai una definizione di misericordia".
Forse per questo il Papa in carica ha moltiplicato le prove e gli esperimenti.
A partire dal primo viaggio a Lampedusa.
Ha
detto che la Chiesa non è un ospedale da campo e che è inutile fare diagnosi a
chi sta morendo: più saggio provvedere a nutrirlo in fretta. La misericordia
appare semanticamente e biblicamente legata a un moto delle viscere, non al
calcolo delle statistiche. È un legame che genera popolo: non solo con un
contratto, ma con qualcosa di antropologicamente viscerale.
Implica
una visione universale. Non solo un legame, ma il rispetto radicale di tutti.
(Quel rispetto da cui è attraversata tutta l'enciclica ecologica.) Come si lega
tutto ciò con il programmato giubileo? Si tratterà di trovare dispositivi
concreti. Anzitutto per ridare speranza a ogni generazione. Ricordava il solito
Martini: "Il nostro è un Dio che non può sopportare che quanti ha amato e
liberato siano ancor oppressi".
Già
nella Evangelii gaudium il criterio
di giudizio sono i poveri. Un forte pensiero sociale attraversa tutto il
magistero di papa Bergoglio. Un atto d'accusa contro il paganesimo
individualista. Un invito a costruire legami solidali all'interno della
"società liquida".
A
essere operatori di pace in un mondo in cui si sta combattendo la terza guerra
mondiale "a pezzi". L'insistenza nel ripetere che "l'economia
uccide". Ovviamente non si tratta di un invito a ritornare a baratto. Un
invito piuttosto alla ecologia integrale.
A riflettere sull'importanza dei processi partecipativi e a provare a metterli
in atto. E, ribadito che Dio non è cattolico, si tratta di pensarlo come agente
in tutti gli uomini. A tutto ciò allude e può alludere il giubileo della
misericordia. Oltre un'Expo che altrimenti rischia di essere bella ma vuota. E
soprattutto senza dimenticare che l'ecologia integrale è legata al bene comune.
Ma allora, fino a quando dovremo leggere il Papa per dare qualche contenuto ai
troppi discorsi politici che ci affliggono a reti unificate?