“Serve una profonda
riconversione del sistema energetico e industriale italiano, se vogliamo
raggiungere gli obiettivi firmati con l’Accordo di Parigi sul Clima, a partire
dalle imprese direttamente controllate dal Governo. Per questo a controllata dallo Stato è, infatti, sempre
più impegnata nel rilancio di estrazioni petrolifere e ampliamento dei
giacimenti di idrocarburi in tutto il Mondo, a fronte di investimenti minimi
nelle fonti rinnovabili. Scelte in evidente conflitto con gli impegni presi
dall’Italia per combattere i cambiamenti climatici. Dal Governo ci aspettiamo
un impegno concreto per aiutare il nostro Paese e il suo sistema di imprese ad
accelerare nella direzione dell’innovazione e del cambiamento”.
È
l’appello che Legambiente, Greenpeace e Wwf lanciano al Ministro dello Sviluppo
Economico Luigi Di Maio affinché si definisca all’interno del Piano Nazionale
energia e clima - che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea entro la
fine di dicembre -gli indirizzi strategici per l’azienda, perché possa passare
dall’essere un ostacolo sulla strada degli impegni sul Clima a diventare una
leva e uno strumento virtuoso nella complessa sfida climatica.
Nella
lettera inviata oggi al vicepresidente del Consiglio - a firma di Stefano
Ciafani (presidente di Legambiente), Giuseppe Onufrio(Direttore Esecutivo
Greenpeace Italia) e Donatella Bianchi (presidente Wwf Italia) - si sottolinea
che gli investimenti dell’azienda “riguardano direttamente le scelte
politico-istituzionali sul piano interno e internazionale del nostro Paese,
perché possono contribuire ad accelerare la transizione attraverso investimenti
in innovazione e ricerca oppure ritardarla ulteriormente”.
Un
impegno da parte del Governo anche alla luce della discussione in corso a
Katowice (in Polonia) dove si sta svolgendo la Conferenza sul Clima, un
appuntamento di grande importanza per il futuro dell’Accordo di Parigi. Il
recente rapporto IPCC ha infatti fornito solide prove sulla necessità e
l’urgenza di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1.5°C
per poter vincere la sfida climatica e contenere in maniera significativa i
danni climatici non solo per i paesi più poveri e vulnerabili, ma anche per
l’Europa.
“Il
successo della COP24 dipenderà dall’Europa, ma anche dagli impegni degli dagli
Stati - scrivono le tre associazioni. - In questo scenario diventa determinante
che le scelte portate avanti dai Governi e dalle imprese controllate siano coerenti
con questa direzione strategica”. A oggi, invece, le attività di Eni sono
arrivate ad interessare 71 Paesi, movimentando nel 2017 migliaia di
barili/giorno di idrocarburi (gas e petrolio) con esplorazioni che stanno
andando a interessare sempre più aree del mondo, tra l’altro assai delicate da
un punto di vista ambientale: dal circolo polare artico ai tanti pozzi già
produttivi o di cui è prevista l’entrata
in produzione in varie aree nel Mediterraneo, passando per il Golfo del Messico
e l’Oceano Indiano, il Mar Caspio e quello di Barents, la foresta amazzonica e
le coste africane.
È
preoccupante inoltre che pure i minimi investimenti nelle fonti rinnovabili
portati avanti da Eni, sottolineano ancora Greenpeace, Legambiente e Wwf,
“coinvolgono anche l’uso di materie prime come l’olio di palma, che deriva da
attività spesso connesse alla deforestazione e che contribuiscono in maniera
rilevante alle emissioni di gas serra”. Così come “non è più possibile
accettare acriticamente le ripetute dichiarazioni sulla ‘sostenibilità
climatica’ del gas naturale, sui cui tanto Eni afferma di puntare. Numerosi
rapporti confermano infatti che il computo complessivo delle emissioni di gas
clima-alteranti connesse alle produzioni di gas naturale sono, e sono state, ampiamente
sottostimate. Se l’utilizzo del gas è un elemento degli scenari di transizione
energetica, la scala del proposto sviluppo di una ulteriore dipendenza dal gas
naturale della nostra economia è contraria a ogni ipotesi ragionevole di tutela
del clima e di indipendenza energetica”.