GLI SCIACALLI E I PROFITTATORI
di Giorgio Riolo
Alcune considerazioni necessarie dopo i
tragici eventi di Parigi
Una lucida risposta a quanti parlano di
scontro di civiltà
Giorgio Riolo |
È il momento della retorica ributtante, del fiume di parole, del
circo mediatico scatenato e senza freni, dei manipolatori di professione. I
dominanti imperiali sono all'opera. Stregoni, non più apprendisti da molto
tempo ormai, suscitatori, creatori e finanziatori di mostri, che qualche volta
si rivoltano e non sono più controllabili a piacimento, per scatenare guerre
“umanitarie”, “per la democrazia”, “per portare la libertà”. In Afghanistan, in
Iraq, in Siria, in Libia, ovunque. Dominanti assassini per il controllo del
petrolio, del gas, delle materie prime, per il controllo geopolitico di aree
strategiche del pianeta.
Il quadretto di capi di stato,
ipocriti, cinici e manipolatori, è la rappresentazione viva di quello che oggi
è in atto. I mandanti del massacro sociale nei paesi europei, e occidentali in
generale, e dei massacri reali in altre aree del mondo, che sfilavano a Parigi,
davanti alla folla immensa di persone mosse dall'emozione, da sentimenti e da
pensieri, giusti e umani, di fraternità, di solidarietà, di pace. Alcune
considerazioni si impongono.
In primo luogo, quella che Judith
Butler, la filosofa femminista statunitense di origini ebraiche, benemerita
attivista, non solo per i diritti delle donne, ma anche per i diritti sociali e
per i diritti dei palestinesi, ha acutamente definito “indignazione ineguale”.
Peculiare di noi occidentali, a fronte delle anonime, silenziose morti e stragi
di bambini, vecchi, donne in Afghanistan, in Iraq, in Siria, a Gaza e nelle
altre periferie del mondo. Nessuna retorica, nessun scatenamento dell'ignobile
giornalismo servile, nessun richiamo ai pretesi valori universali.
In secondo luogo, i cosiddetti
valori universali dell'autoproclamata civiltà occidentale sono spesso il
retroterra su cui poggia il fondamentalismo occidentale, a cui si
contrappongono, ma in realtà si specchiano, in “solidarietà antitetico-polare”,
direbbe Lukács,
altri fondamentalismi, negatori di libertà, opprimenti, odiosi, assassini. La
imperfetta secolarizzazione, il progressismo e il laicismo branditi come armi,
come scimitarre, la dissacrazione e la continua irrisione, tipiche del
postmodernismo, anche e soprattutto “di sinistra”, delle religioni, comportano
problemi gravi per il futuro della civiltà umana planetaria.
In gioco non sono solo gli
aspetti ignobili e opprimenti la dignità umana che le religioni positive,
storiche, in prima fila quelle della filiazione giudaico-cristiana, cattolica
in specie, e della filiazione islamica, portano in grembo. Religioni positive e
storiche che, occorre ricordarlo sempre, dialetticamente hanno espresso anche,
in robuste correnti teologiche e sociali, movimenti di emancipazione, di
liberazione. Le teologie della liberazione, in ambito cristiano, ma anche
islamico, lo testimoniano.
Un conto era la sacrosanta
battaglia illuministica settecentesca contro l'oscurantismo, la barbarie
dell'Inquisizione, del gesuitismo, del Papato, delle orribili gerarchie
ecclesiastiche, un conto è il voler estendere a tutto il mondo, a tutte le
culture umane questo corredo di pensiero, nato in un preciso hic et nunc. Foriero
di una rivoluzione politica, quella francese, che poi doveva alimentare la rivoluzione
sociale ottocentesca e novecentesca di cui noi rivendichiamo la filiazione. Un
conto è oggi. Dove abbiamo chiaro come la religione, re-ligio, è un
aspetto fondamentale della dimensione comunitaria presso le varie,
diversissime, culture umane. Come essa rappresenti e alimenti il legame
comunitario, condivisibile o meno, degli esseri umani tra loro e tra l'umanità
e la natura, il creato ecc. Nessuna irrisione potrà cancellare questo. Nessun
sarcasmo potrà occultare tutto ciò.
Il laicismo volgare non potrà mai
cancellare questo, nella testa e nei cuori di molti esseri umani. È sempre la
prospettiva che cambia tutto. Vista con gli occhi e con la sensibilità delle
vittime delle periferie del mondo, delle vittime del colonialismo,
dell'imperialismo, degli orrori occidentali, in primo luogo l'olocausto negro e
l'olocausto indio, le cose cambiano. È per questo che giustamente molti, in
Occidente, ma soprattutto nelle periferie del mondo, “non si sentono Charlie”. Je
ne suis pas Charlie. Fermo restando il sacrosanto diritto alla libertà di
stampa, del pensiero, il diritto alla vita di tutti, dei suoi redattori e delle
altre vittime dei fatti di Parigi in primo luogo.
Giustamente in queste periferie,
anche parigine, molti sottolineano la ignobile farsa di chi pretende che un
mussulmano debba giustificarsi, debba dire “je suis Charlie”. È
l'equivalente di chi pretendesse che noi milanesi, italiani, occidentali
dovessimo dire, a ogni pie' sospinto, nel passato e oggi, che noi non
c'entriamo niente con Bush, con Abu Ghraib, con Guantanamo, con Netanyahu, con
l'apartheid sudafricano, con il colonialismo, con l'Inquisizione, con la tratta
degli schiavi, con i tanti olocausti della storia e via elencando. L'ipocrisia
è sempre all'opera. “È mussulmano, ma è bravo”, come un tempo ci sentivamo dire
“è meridionale, ma è bravo”.
Un Pasolini redivivo ci
ricorderebbe che ci sono più cose in cielo e in terra di quanto la nostra
sicumera occidentale e consumistica predica, impone, esige. L'immane
omologazione in atto vede invece un mondo strutturalmente, ferocemente,
pervicacemente, totalmente, manicheisticamente, ineguale, disomogeneo, diviso,
fratto, spaccato.
La violenza dei dominanti ha
spesso questo carattere impersonale, tecnico, come ridurre in un falò, in
cenere, esseri umani, con un comando a distanza, con un aereo, un drone, con
una decisione presa mentre si sorseggia un tè, si ascolta musica classica o si discorre amabilmente tra “signori per
bene”. La turlupinatura e l'ipocrisia profonda, insite in tutto ciò, non deve
farci dimenticare gli interessi di questi dominanti. In un tornante storico nel
quale l'accumulazione del capitale, la produzione per la produzione, la rapina
delle risorse e la distruzione ambientale, la politica di potenza per il
controllo geostrategico mostrano ormai alla civiltà umana il loro vero volto. E
mostrano ormai la data di scadenza a cui è giunta la civiltà umana, la vita nel
pianeta.
Lo scontro di civiltà e il
teatrino messo in atto a Parigi costituiscono una potente diversione ad uso dei
dominanti, dei moderni colonizzatori. È subito scattato il richiamo, a destra e
a sinistra, al paradigma securitario, “meno libertà e più sicurezza”, la
rivendicazione di più spese militari, più forze di polizia, più controllo delle
frontiere ecc. Arruolarci in questa potente diversione è la nostra più grave
sconfitta. Il risultato è quello atteso, sempre dai dominanti. Meno democrazia,
meno giustizia sociale, meno emancipazione, meno illuminismo, meno cultura.