Tra due fondamentalismi
Dinamiche
capitalistiche, poteri occidentali e terrorismo islamico
di Adam Vaccaro
Un’analisi rigorosa nei suoi molteplici
risvolti e che apre ad altre possibili visioni.
Una critica radicale al superficialismo e
alle acquisite sicumere oggi trionfanti.
Una riflessione che obbliga a rimuovere la
nostra pigrizia mentale e a porsi qualche dubbio.
L’ultima
vicenda terroristica francese spinge a riflettere sugli attuali rapporti tra
popoli, religioni e ideologie (sotto le quali, dovrebbe essere inutile
ricordarlo, ci sono interessi economici contrapposti dello scacchiere
mondiale), e a fare i conti con le proprie convinzioni, per rafforzarle o per
interrogarsi su di esse, e magari rettificarle.
Credo sia utile un atteggiamento aperto, rispetto alle
varie sfaccettature della situazione. Tra le quali c’è la necessità di darsi e
dare dei limiti all’idea di libertà, in genere o praticata nel mondo
occidentale. Spesso proclamata con sensi, accezioni e falsità ideologiche che
fanno da corona alla sarabanda commerciale e propagandistica dei poteri in
atto. Che rivendicano l’orgoglio di offrire il mondo migliore possibile in
condizioni di massima libertà per tutti.
È un crinale di ragioni pro e contro che vorrei
percorrere, per cui da un lato è ovvio riconoscere le libertà di espressione e
di movimento consentite dalle democrazie occidentali. Dall’altro, è altrettanto
impossibile non vederne i correlativi contorni di falsificazione di una realtà,
in cui la misura della libertà (e dell’entità di ogni diritto, compresa la
giustizia) si concretizza a fisarmonica, in rapporto al potere economico di chi
la esercita.
È una verità (e realtà) misurata sulla propria pelle dai
ceti popolari più poveri e deboli, nei confronti dei quali, può apparire laicamente
blasfemo dire che sia le organizzazioni criminali sia l’organizzazione statale
che dovrebbe combatterle, creano contesti favorevoli a corrompere in modi
diversi. E la corruzione comincia da una libertà (male) intesa che spinge a
perdere il senso del limite nella gestione dei desideri, siano essi rivolti a
cose, oggetti, persone, tanto più se riguardano campi quali il sesso, i giochi
o le droghe. La libertà senza i limiti, non tanto declinati da leggi, quanto da
una comunità che li fa ed esprime, corrisponde al contesto attuale, in cui il
senso etico è diventato ingenuo, noioso e indefinibile per soggetti che si
sentono soli e non più parte di una polis, al massimo parte di una lobby o di
un gruppo di interesse.
La libertà in tale contesto di società fatta da una somma
di individui (come diceva una campionessa di tale visione, quale la Thatcher)
che non diventano comunità, acquisisce connotati di lotta di tutti contro
tutti, di licenza, di furbizia e ricerca di scorciatoie, fino a varie forme di
prevaricazioni violente. La libertà tende così a farsi ancella di un piano
inclinato di barbarie, che offre soluzioni, illusioni e convenienze, in cui il
latrocinio e la corruzione non sono più l’eccezione ma la regola, perché le
regole auspicabili sono saltate, o solo declamate da coloro che dovrebbero
esserne i difensori e che invece si rivelano i principali responsabili di tale
deriva.
Entro quest’ultima vengono esaltati valori quali la
velocità, il dominio del mercato, il tutto subito e il qui e ora, e la riduzione
di ogni cosa a merce. E i portavoce sono gli stessi che negli ultimi decenni
hanno indotto un travaso colossale di ricchezza dai più poveri, sempre più
poveri, ai più ricchi, sempre più ricchi. Una gestione criminale delle
dinamiche socioeconomiche aggravata dalla camicia di forza imposta in Europa
dall’Euro, che sta distruggendo il senso del futuro, in primo luogo per giovani
generazioni, che si misurano in un contesto di declamazioni di libertà col
senso, per i più, di offrire al minor prezzo la propria opera.
Uno dei libri che negli ultimi anni ha preso in esame
queste tendenze della fase storicosociale attuale, già prima dell’emergere
della crisi in atto, è intitolato L’epoca
delle passioni tristi, di due psichiatri francesi (M. Benasayag e G. Schmit).
In esso, si rileva come l’orizzonte temporale e sociale di questi ultimi
decenni da futuro-promessa si è trasformato sempre più in futuro-minaccia.
Sembra una banalità scontata ed evidente, eppure è uno
dei mutamenti epocali, di cui la nostra cultura pare non abbia colto
minimamente il segno e la gravità: ogni “visione ottimistica è crollata. Dio è
davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la
promessa. Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici,
comparsa di nuove malattie, esplosione di violenza, forme di intolleranza,
radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare
il futuro dall’estrema positività della tradizione giudaico-cristiana
all’estrema negatività”, chiosava a commento del libro Umberto Galimberti (La
Repubblica del 7/8/04). Aggiungo che la visione ottimistica è nucleo generante
del pensiero illuministico e della Rivoluzione francese, atto di nascita del
Moderno e delle idee laiche di libertà e uguaglianza, rivendicate da un
capitalismo vittorioso su una società fondata su poteri religiosi e temporali
emanati direttamente dal vero e unico Dio. Un capitalismo, quindi, allora
rivoluzionario contro il fondamentalismo preesistente.
L’attuale contesto storicoculturale, dai caratteri al
tempo stesso tragici e grotteschi della fase globalizzata dell’estremo sviluppo
capitalistico, è dominata invece da un potere e un pensiero unico – fondati
sull’utile economico – rispetto al quale ogni ipotesi elaborata dal pensiero occidentale,
religioso o laico che sia, appare collassata e incapace di costruire
alternative. La stessa scienza produce continue e contraddittorie
proliferazioni teoriche, di cui resta il trionfo tecnologico, crono
contemporaneo che mangia se stesso e noi in una incessante e (spesso) insensata
frenesia innovatrice, per la quale ”la sola cosa sacra è la merce”.
Perché soffermarsi su tali aspetti del mondo occidentale,
mentre veniamo messi di fronte ad attacchi terroristici che si richiamano a un
fondamentalismo religioso musulmano, irriducibilmente contrapposto al
fondamentalismo economicistico e materialistico delle idolatrie occidentali?
Ho premesso all’inizio una ricerca di riflessioni aperte
rispetto a tali polarità che appaiono inconciliabili, e che è obiettivamente
difficile negare. Eppure la complessità dei problemi che abbiamo davanti ci
sfida a cercare possibilità positive, che sono di difesa della vita nella morsa
barbarica che non vede altro che soluzioni di guerra. Ma tale ricerca impone
una prima domanda: che spazio praticabile ha un pensiero critico e laico che
non condivida alcunché delle logiche contro l’umanità connesse ai due
fondamentalismi? Barbarie prodotte da un lato dalle leggi economiche del
capitalismo finanziario e globalizzato, dall’altro da fanatismi pseudoreligiosi
armati?
Non si tratta di concettualizzare un atteggiamento politically correct o buonista, ma di
fare – pur nei limiti imposti dal contesto – pratiche di relazioni gioiose,
quali quelle richiamate da Spinoza, opposte a quelle dell’utilitarismo e del
successo, acuendo la capacità critica sui due fronti, perché le derive dell’uno
non sono ininfluenti o prive di responsabilità nei confronti di quelle
dell’altro.
Gli spazi ideali e vitali entro cui agire sono
indubbiamente ristretti e le chiusure contro cui dobbiamo misuraci sono enormi.
Il capitalismo trionfante degli ultimi decenni ha affermato la propria
ideologia, anche grazie all’assenza o all’inefficacia di una opposizione di
idee e di pratica da parte delle nomenclature dei partiti storici della
sinistra. Che, anzi, escluse alcune inconsistenti frange, sono state assorbite
dalle logiche dominanti, fino a incarnare ruoli di avanguardie del pensiero
unico neoliberista. Pensiero che, senza una visione alternativa, è stato declinato
solo in modi diversi da destra e sinistra, che – al di là di dispute parolaie –
hanno ricercato continui accordi trasversali, col berlusconismo prima di altri.
Tutto questo ha accentuato in Italia quelle tendenze corruttive sopra
ricordate. Ma in tutto l’Occidente ha imperato l’esplosione del capitalismo
selvaggio, rispetto ai ceti più poveri all’interno, e nei confronti di popoli e
aree di quello che era il Terzo Mondo. Aree ricche di petrolio e materie prime,
rapinate con ogni sorta di violenze, spesso contrabbandate da “guerre
umanitarie”, “difesa della democrazia” ecc.
Pratiche consuete di menzogna, vestita di propaganda
ideologica, verso l’interno e l’esterno.
Anche la cronaca dell’attentato parigino offre spunti per
molti interrogativi cui per ora non ci sono risposte adeguate (tra le quali:
chirurgica ferocia e imprecisione operativa fino a sbagliare il numero civico,
attenzione al recupero di una scarpa e dimenticanza di un documento di
identità, numero dei terroristi, impossibilità da parte di decine di migliaia
di militari a catturarli vivi, utili al fine di avere informazioni). Buchi neri
logici e dubbi che esperti e persone normali, raziocinanti e meno soggiogate
dal can can dei media, non possono non porsi.
Troppe le esperienze nazionali e internazionali di
occultamento della verità da parte dei poteri costituiti, per non farlo. Dalle
stragi italiane della strategia della tensione (da Piazza Fontana in poi), alle
vicende americane (dagli assassinii dei Kennedy al Watergate, dalle Torri Gemelle
e alle ultime guerre in M.O.) tutto sempre pieno di incongruenze, bugie e
segreti di stato. Poche volte smascherati completamente. Anche in quest’ultimo
atto terroristico, forse sapremo qualcosa di più in futuro o forse mai, ma
prendere per oro colato quello che appare o viene legittimato dai poteri in
atto è, come minimo, poco assennato. Naturalmente chi dubita o pone
interrogativi è subito accusato di essere malato di complottismo da parte dei
referenti delle verità ufficiali.
Ma questa prudenza è sicuramente rafforzata dalle grida
che offendono con volgarità e danno del coglione a chi la pensa diversamente da
parte di portavoce ossequienti, destri e sinistri (da Annunziata a Ferrara, a
più sgangherati giovani imitatori). Grida categoriche: siamo in guerra, siamo
in guerra, lo volete capire o no?
Noi, senza alcuna pretesa, abbiamo imparato a chiederci,
davanti a fatti gravi come questi, a chi giova? Per carità, questi avvisi non
cancellano il fatto che siano stati creati uno stato e una organizzazione come
l’Isis. Ma, in primo luogo, chi e come l’ha creata questa entità criminale nel
giro di pochi mesi? Da chi vengono i finanziamenti e le armi che utilizzano?
Sappiamo che come minimo si tratta di Paesi amici dell’Occidente, come quelli
sauditi, utili per il petrolio e che dunque non vengono toccati. Ma è una
novità che mostri come Bin Laden e correlative organizzazioni fossero in
rapporti di amicizia coi Bush, padre e figlio?
In parallelo a questi rilievi e quesiti, si può
aggiungere qualche altro tassello. È utile ricordare che – pur vivendo sempre
in una società capitalistica – 5-6 decenni fa funzionari del capitale come
Valletta (presidente dell’allora Fiat) era compensato con una retribuzione tra
le 10 e le 40 volte quella di un operaio o impiegato medio. Oggi posizioni
analoghe (come quelle di un Marchionne) sono compensate con un rapporto da uno
a 400/1000. È un mutamento di proporzioni che ha riguardato le retribuzioni di
tutto l’esercito di vertici dirigenziali, privati e pubblici.
E va sottolineato che, in particolare i politici italiani
hanno esaltato il moto di appropriazione forsennata, favorendo privilegi e
compensi per sé e stuolo di addetti collaterali (vedi le retribuzioni dei
dipendenti del parlamento, anche di minimo livello). Indubbiamente, la crescita
dei redditi di politici, amministratori e detentori del capitale è stata negli
ultimi decenni inarrestabile, e ci sta riportando indietro a livelli di
distribuzione della ricchezza medioevali, che ci eravamo illusi che il
capitalismo potesse lasciare alle spalle, dopo i miti di “società affluente”,
“società dei consumi”, “Stato sociale” ecc.
Il ceto politico italiano (tranne qualche purtroppo
irrilevante eccezione) ha dimostrato di essere nel suo insieme miserabile e
interessato all’arricchimento personale, favorendo una struttura statale tra le
più esose, inefficienti, parassitarie e corrotte a livello mondiale. A
cominciare dal costo del Quirinale che è pari a multipli del costo della
monarchia inglese e della presidenza degli Stati Uniti. Sono dati ignobili di
un parassitismo medioevale. E questo mentre Napolitano (erede del PCI)
continuava a invitarci a fare sacrifici. Ma, al di là delle forme specifiche
della metastasi italiana, in tutti i Paesi capitalisticamente più avanzati ha
vinto completamente negli ultimi tre decenni il neoliberismo, con effetti più o
meno accentuati di un gigantesco passo indietro nella distribuzione della
ricchezza. Da cosa è giustificato e cosa c’entra con le escrescenze
terroristiche colorate di fondamentalismo islamico? Per tentare di dare
risposte minimamente fondate, conviene fare un breve riepilogo dei punti – non
solo di quelli finora toccati – che caratterizzano la fase attuale:
- Dopo il crollo del capitalismo di stato sovietico, il
mondo non è più diviso in tre macroaree ma in due, anche se entrambe variamente
sviluppate: Paesi più avanzati al Nord e Paesi arretrati o in via di sviluppo
al Sud;
- I moti e le forme del capitalismo dei Paesi più
avanzati hanno accentuato velocità di innovazione tecnologica, finanziarizzazione
dell’economia, concentrazione della ricchezza in pochissime mani, riduzioni
delle funzioni politiche a mere esecutrici di decisioni prese da poteri
economicofinanziari invisibili dai più, democrazia quindi sempre più formale e
senza alcuna rappresentanza sostanziale degli interessi della classe
lavoratrice;
- Tali moti endogeni sono stati ancora più acuiti dallo
sviluppo enorme di alcune aree – orientali e sudamericane, Cina e India in
particolare – fondato su livelli di sfruttamento e di accumulazione primitiva
del capitale;
- Queste economie concorrenti hanno sospinto logiche di
arroccamento nei vertici del capitale dei paesi più sviluppati, con effetti
socioeconomici e politici, che in Europa sono state imposte tramite l’Euro e
che stiamo subendo;
- L’obiettivo generale è di preservare una oligarchia di
privilegi ottocenteschi se non feudali, quale fedele struttura esecutiva delle
direttive dei poteri dominanti, riducendo drasticamente stato sociale, ceti
medi e costo del lavoro, rispetto a quello dei Paesi in via di sviluppo. Su
questo, in Italia, si è arrivati persino all’utilizzo cinico dei sentimenti
umanitari di accoglienza di immigrati, con una gestione che ha prodotto nuove
forme di schiavitù, guerre tra poveri, fino a corollari di collusioni e
corruzioni tra criminalità e ceto politico;
- Anche rispetto a tali derive la sinistra storica si è
semplicemente omologata alla destra peggiore, perdendo ogni capacità di offrire
una speranza, un futuro-promessa e una resistenza all’arretramento sociale di
milioni di persone in un orizzonte di crescente barbarie, quale annunciato da
un fantasma che si aggirava per l’Europa più di 150 anni fa;
- L’affermazione del fondamentalismo del pensiero unico
neoliberista (noi siamo il massimo e il meglio) produce chiusura e
atteggiamenti negativi all’interno e all’esterno – sia negli strati sociali
poveri dei Pesi più avanzati, sia nelle immense masse disperate dei Paesi
arretrati. E questo anche senza considerare le azioni predatorie di risorse, le
guerre fatte direttamente o favorite, armando dittatori e organizzazioni
criminali, usando pesi e misure diverse a seconda delle convenienze ecc.
Avviandoci, non tanto a una conclusione (impossibile), ma
un provvisorio punto da cui pensare un possibile altro “che fare” tra due
alternative ugualmente inaccettabili, come l’orrore e la follia di azioni
terroristiche, e la declamazione e dichiarazione di uno stato di guerra, che
non può fornire alcuna soluzione allo stato di cose in cui viviamo.
Tali declamazioni servono ai poteri occidentali per
concentrare l’attenzione su un nemico esterno e far dimenticare l’altra forma
di terrorismo e massacro sociale che le loro politiche stanno mettendo in atto
contro la vita di milioni di persone. La parata tra il patetico e il grottesco
dei capi di stato e di governo dell’11 gennaio scorso, a braccetto a Parigi, ha
manifestato questo senso ideologico.
Dietro di loro c’era il vuoto, ma l’ideologia serve a
questo, a dare senso (falso) alla mancanza di senso. Che non può non sollecitare
repulsione, se si pensa alle azioni criminali messe in atto da gran parte di
essi, con scelte politiche verso l’interno e azioni militari verso l’esterno.
Pensiamo solo a Netanyahu, artefice di massacri senza fine di Palestinesi,
ignorati da sempre da questi campioni di civiltà e democrazia, che se conviene
legittimano come paladini di libertà anche figure come queste.
Ritorna perciò la domanda: di quale libertà si parla? Se
di quella di espressione è fuori luogo rivendicarla, ma anche questa non può
non avere limiti, fermo restando che il loro superamento non legittima violenze
e uccisioni. Tuttavia a me interessa in primo luogo la libertà negata a
milioni, miliardi di persone prive del necessario. Il metro deve fare
riferimento a esse, dopo di che anche la libertà dei Chalie Hebdo deve trovare
e avere qui la sua misura.
Rivendico l’orgoglio di essere agnostico e laico, ma chi
offendesse la mia identità culturale interromperebbe con me qualsiasi dialogo.
E allora, da parte mia, pur trovando mille ragioni di critica in chi crede in
questo o quel Dio, non verrà mai offeso, perché sono interessato come essere
umano a mantenere una prospettiva di dialogo. Tale limite ha a che fare col
senso del sacro, che appartiene a credenti e non credenti, ed è questo il
terreno comune – che non è quindi astratto e idealistico buonismo – che può
consentire una forma di dialogo. Senza il quale le alternative sono
l’isolamento, la violenza e la guerra, che sono sempre un disastro umano.
Tornando al metro suddetto, la libertà declamata senza
una distribuzione più giusta e umana delle ricchezze sociali, non è solo
menzogna intollerabile, diventa promessa di guerre e tempeste sociali. E senza
forze politiche, qui e ora in Occidente, capaci di colmare il vuoto di
rappresentanza delle classi lavoratrici creato dalla dissoluzione dei partiti
di sinistra, il futuro apparirà sempre più uno zero o minaccioso. E questo non
solo ai lavoratori dei Paese più sviluppati.
Anche le masse più diseredate, colpite da guerre e
carestie (di cui l’Occidente è sempre corresponsabile) che a rischio di vita
fuggono verso i Paesi più sviluppati, non possono vedere in questi ultimi una
prospettiva laicamente intesa di riscatto umano. Agli essere umani che vivono
di lavoro non basta una sopravvivenza più o meno accettabile, cercano una
visione alternativa rispetto al loro essere e sentirsi merce, una visione che
il fallimento dei partiti storici di sinistra – salvo la rinascita di nuove
forze e forme dalle loro ceneri – non ha saputo più dare.
Qualche osservatore ha rilevato, e concordo, che sulla
follia criminale del fondamentalismo islamico influiscono sia le dinamiche e la
mancanza di prospettive umane del capitalismo globalizzato, sia le incapacità
delle forze politiche di sinistra di costruire e offrire alternative.
Se l’acqua non è messa in grado di avere sbocchi
positivi, cerca altre soluzioni che spesso provocano disastri. Gran parte
dell’umanità attuale è posta in condizioni di disperazione e di chiusura dalle
tendenze voraci e dalle guerre mosse contro di essa dal capitalismo. Permanendo
queste, senza forze endogene e capacità storiche in grado di contrastarle e
imporre ad esse cambiamenti – non possiamo pensare che tutto proceda
tranquillamente entro i deliri di onnipotenza di chi si sente padrone del mondo
e, come un apprendista stregone, pretende una crescita infinita di questo stato
di cose.