di Maria Carla Baroni
Maria Carla Baroni |
Il dibattito sul Sì o sul No al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo sta
riguardando soprattutto questioni giuridico-istituzionali lontane mille miglia
dalla quotidianità della maggior parte della popolazione, la cui vita è
determinata da quella costituzione materiale che dovrebbe essere figlia di una
Carta Costituzionale considerata tra le più avanzate al mondo. Da questo punto
di vista è essenziale il fatto che la
Carta non si limita a fondamentali dichiarazioni di principio,
ma afferma tassativamente che “è compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese” (art. 3)
e, similmente, all’art. 51, che “…la Repubblica promuove con
appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” nell’accesso
agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Nonostante ciò, i diritti
affermati sono ben lontani dall’essere realizzati. L’art. 4 sancisce il diritto al lavoro per tutti i cittadini, ma
disoccupazione, inoccupazione e precarietà sono altissime (specie tra donne e
giovani) e continuano ad aumentare, a causa non solo della crisi strutturale
mondiale, ma anche della mancanza -in Italia- di politiche di riconversione
ecologica delle attività produttive e della distruzione dei diritti sindacali e
sociali; l’art.37 stabilisce che la
donna lavoratrice -a parità di lavoro- ha la stessa retribuzione che spetta al
lavoratore e invece vi è un divario che oscilla tra il 20 e il 30%; secondo l’art. 32 “ la Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”,
mentre il modo di produrre e distribuire le merci e il tipo di mobilità
prevalente producono malattia, invalidità e morte e i tagli alla sanità
pubblica, insieme all’impoverimento generalizzato, costringono milioni di
persone a smettere di curarsi; in base all’art.9
la Repubblica
“tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico”, ma territorio e paesaggio
vengono stuprati dalle cosiddette “grandi opere”, inutili e portatrici di
debito pubblico, mentre molta parte dell’immenso patrimonio storico-artistico è
abbandonato al degrado e si interviene su beni eccelsi come il Colosseo e
Pompei solo dopo innumerevoli crolli; secondo l’art.11 “L’Italia ripudia la guerra” e invece i nostri militari sono
dislocati in tre continenti e ogni giorno vengono spese decine di milioni di
euro per armamenti e per mantenere 130 basi N.A.T.O. e 80.000 militari
statunitensi; per l’art. 33 i
privati hanno diritto di istituire scuole senza oneri per lo Stato, ma le scuole
private, per la quasi totalità cattoliche, sono di fatto ampiamente finanziate.
A fronte di questo scenario la
Costituzione andrebbe in primo luogo rispettata e attuata,
tenendo presente che la sua elaborazione fu dovuta a tutte le forze politiche
del dopoguerra, anche assai diverse tra loro, con gli inevitabili compromessi,
e che comunque i Padri e le Madri costituenti vollero – riuscendoci - una
Costituzione per un Paese grande e civile.
Vignettisti per il No |
Comunque anche una Costituzione,
come ogni frutto dell’attività umana, può essere cambiata: la questione è come. Oltre al fatto gravissimo di
triplicare il numero di firme necessarie per presentare proposte di legge di
iniziativa popolare senza nessuna garanzia di essere prese in considerazione
dal Parlamento, tra i vari aspetti della cosiddetta “riforma” Renzi/Boschi mi
preme segnalarne uno solo, che a me pare il più criticabile, e cioè un Senato
di nominati/e, composto da sindaci/che e da consiglieri/e regionali. Si tratta
in primo luogo dell’ennesimo gravissimo attacco al diritto del popolo a
esprimere direttamente tutti/e i
propri e le proprie rappresentanti, che ripropone quanto era stato stabilito
per i Consigli provinciali e per i Consigli metropolitani, derivanti da
elezioni di secondo livello. Questo aspetto prefigurerebbe poi che sindaci/che
e consiglieri/e regionali, per far fronte al doppio incarico, continuerebbero a
correre su e giù a e da Roma alle loro sedi -dalla Valle d’Aosta alla Sicilia-,
senza riuscire a svolgere seriamente né un incarico né l’altro.
A parte i costi di questi
continui viaggi, sempre a carico del funzionamento del Senato, è questo il modo
di migliorare la produttività di chi svolge incarichi pubblici e di
riavvicinare a istituzioni - che dovrebbero essere rappresentative - una
popolazione che se ne allontana sempre più? Oppure la produttività deve valere
solo per operai e operaie? Oppure ciò che si vuole è proprio aumentare la
disaffezione alla cosa pubblica per non disturbare il “manovratore” unico?
Si dice inoltre che la ”riforma”
Renzi/Boschi interviene solo sulla seconda parte della Costituzione. Non è
vero. Interviene nella sostanza anche sulla prima. Sarà infatti impossibile
attuare gli avanzatissimi principi contenuti nella prima parte della
Costituzione se saranno ulteriormente ridotte le attuali -già scarse-
possibilità di proposta e di azione della cittadinanza attiva e se saranno
diminuiti i poteri del Parlamento a vantaggio dell’esecutivo e soprattutto del
presidente del Consiglio. La cosiddetta “riforma” Renzi/Boschi è stata pensata,
inoltre, in abbinamento alla normativa elettorale dell’“Italicum”, secondo cui
il partito che uscisse dal ballottaggio con il maggior numero di voti -anche
solo con un 20-25% di voti- otterrebbe la maggioranza assoluta alla Camera; se
poi si tiene conto di un’astensione non lontana dal 50%, un Parlamento a poteri
fortemente ridotti si troverebbe a essere -oltre a tutto- ostaggio di un
partito che potrebbe essere votato da poco più del 10% degli e delle aventi
diritto al voto.
Sarà del pari impossibile attuare
concretamente i principi fondamentali se dovessero passare la contraddittorietà
e la voluta confusione caratterizzanti la ridefinizione, contenuta nel proposto
art. 117, delle materie affidate all’attività legislativa dello Stato e delle Regioni per quanto riguarda
sanità e tutela/valorizzazione/promozione di territorio, ambiente, paesaggio e
beni culturali; contraddittorietà e confusione che ora non c’è lo spazio per
esplicitare, e che saranno foriere di nuovo contenzioso tra i due livelli di governo.
In sintesi occorre un No forte e
chiaro alla “riforma” Renzi/Boschi e l’avvio di un processo partecipato di
revisione costituzionale che non solo riaffermi, ma anche rafforzi i grandi
principi di un tempo adeguandoli all’oggi: partendo ad es. dall’abolizione
dell’ormai antiscientifico riferimento alla “razza” contenuto al primo comma
dell’art.3, da sostituire con
“etnia”, e soprattutto dall’affermazione sostanziale della laicità dello Stato eliminando
dalla Costituzione i Patti Lateranensi, che secondo Antonio Gramsci non
costituirono un trattato paritario tra due Stati sovrani, ma rappresentarono la
capitolazione dello Stato Italiano di fronte a uno Stato estero, che
rivendicava poteri di giurisdizione sui cittadini italiani e che li ottenne. L’inserimento
in Costituzione del Concordato con lo Stato della Città del Vaticano fu uno dei
compromessi cui si giunse nel dopoguerra, i cui guasti continuano ancor oggi,
sotto forma di ostacoli infiniti all’autodeterminazione di cittadini e
cittadine nelle scelte di vita e di morte. Analogamente sarebbe ora di togliere
il riferimento, contenuto nell’art.29,
alla famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”. Basta una minima
infarinatura di antropologia e di storia per sapere che, se c’è un istituto connotato
culturalmente nello spazio e nel tempo, questo è proprio la famiglia. Basterebbe
riformulare l’art.29 nel modo
proposto da Ersilia Salvato e da altre senatrici del P.C.I. con un disegno di
legge costituzionale del maggio 1989: “La Repubblica
riconosce i diritti della famiglia. Il matrimonio è ordinato sulla uguaglianza
morale e giuridica dei coniugi”.
Da ultimo bisognerebbe proprio
inserire tra i principi fondamentali della Costituzione la tutela non solo del
paesaggio -che in senso ampio potrebbe comprendere forse anche il territorio-,
ma pure dell’ambiente e dei beni comuni, a partire dall’acqua, per
rappresentare adeguatamente la sensibilità di una parte consistente e crescente
del popolo italiano.