A
PROPOSITO DELLO SCRITTO DI PAPI
SGUARDI PRESBITI (O MIOPI)
di
Chiara Pasetti
Fulvio Papi a si. con Gian Carlo Ferretti alla Casa della Cultura di Milano (Archivio "Odissea") |
Filosofi
che sanno guardare vicino e lontano,
e
forme di comunicazione.
Ricevo dall’amico nonché direttore di “Odissea” Angelo
Gaccione la notizia dello scritto del Professor Fulvio Papi “Lo sguardo
presbite”, da pochi giorni pubblicato su “Odissea”, e dopo averlo letto mi
soffermo qualche istante (in realtà un po’ più di un istante, ma il tempo, si sa, è relativo, specie quando
si pensa…) sui contenuti. Premetto che stimo profondamente il Professor Papi,
che ho letto tutti i suoi libri fin dagli anni Novanta, quando ero una
studentessa di Filosofia dell’Università Statale di Milano, e che da qualche
anno lo seguo con appassionato interesse sulle pagine di “Odissea”, a cui
affida regolarmente i suoi pensieri, riflessioni, opinioni, che sono sempre
fonte preziosa di spunti per me come senz’altro per i tantissimi lettori della
rivista. Mi colpisce il titolo, innanzitutto, “Lo sguardo presbite”,
specialmente perché ho davanti l’ultimo libro del Professore, Come specchi del tempo (edizioni Ibis,
dedicato a Marguerite Yourcenar, Samuel Richardson, Henry Fielding e Cesare
Pavese, di cui proverò a redigere una sorta di compte-rendu prossimamente per queste pagine), e mi viene immediatamente
da porre il relazione i due titoli. Specchi,
tempo, sguardo, presbiopia… solo questi quattro termini basterebbero per aprire
una discussione infinita, che a mio avviso il Professor Papi dovrebbe condurre
non soltanto su queste pagine ma in un luogo pubblico, dove chiunque, e
specialmente i giovani (di cui ho ancora l’illusione di fare parte, anche se ho
ormai compiuto quarant’anni, ma quando finisce la liceità di definirsi giovani
e di cominciare a pensarsi “adulti” soprattutto in un mondo che sembra sempre
più “piccolo”, e non nel senso, meraviglioso, di “bambino”, ma nel senso di
ristretto e, mi si consenta, meschino?...); personalmente mi hanno fatto
pensare a lungo, mi hanno richiamato letture nietzschiane, e di Platone, Oscar
Wilde con la sua Salomé («bisognerebbe
guardare solo negli specchi, perché gli specchi non riflettono che maschere»),
e di tantissimi altri autori che insieme al Professor Papi stesso e ad altri
grandi filosofi hanno scelto di indagare su questi temi fondamentali, e per uno
studioso di estetica come me oltremodo affascinanti.
La copertina del libro di Papi |
L’aggettivo “presbite” contenuto nel titolo dell’articolo del
professor Papi, invece, mi ha rimandato al mio Maestro spirituale, Gustave
Flaubert, che in una lettera a Louise Colet del 16 gennaio 1852 scriveva: «Non
così sognatore come si crede, so vedere e vedere come vedono i miopi, fin nei pori delle cose, perché ci
ficcano il naso sopra». Cito dunque la fine dello scritto del professor Papi:
«Un caro amico di altri tempi mi diceva spesso che ero presbite, vedo da
lontano o credo di vedere da lontano, ma sono in difficoltà con le cose vicine.
O non sarà piuttosto che le forme dominanti di comunicazione che sono diventate
“il mondo”, hanno distrutto il tempo? »… In
difficoltà con le cose vicine, scrive Fulvio Papi, quando in realtà,
secondo il mio umile giudizio, anch’egli, come Flaubert, sa vedere, e vedere
molto bene, fin nei pori delle cose…
Per questo è in difficoltà «con le cose vicine»… “purtroppo” (anzi per
fortuna!) le vede fin troppo bene!
Quanto all’ultima domanda-provocazione (ribadisco che tutto
lo scritto meriterebbe un’ampia discussione, ma mi limito a quest’ultima anche
per mancanza, aihmè, di tempo, mio questa volta e non “universale”), mi ha fatto
tornare alla mente un vecchio articoletto che avevo scritto quando ero ancora
una collaboratrice del quotidiano della mia città, “Il Corriere di Novara”.
All’epoca, stiamo parlando del 2009 circa, curavo una rubrica mensile su quelle
pagine, che avevo chiamato Perle,
nella quale scrivevo di filosofia e letteratura soprattutto, ma ogni tanto
osavo anche qualche articolo polemico sul presente (e forse per questo, dopo
undici uscite, la rubrica era stata cancellata dal giornale, senza nessuna
spiegazione da parte dell’allora Direttrice del suddetto quotidiano..).
Una caricatura di Flaubert |
In particolare una della mia “Perle” era dedicata al tema “i
giovani, la lettura e la tecnologia”, che mi pare si leghi allo scritto del
Professor Papi e alla domanda con cui chiude il suo pezzo («non sarà piuttosto
che le forme dominanti di comunicazione che sono diventate “il mondo”, hanno
distrutto il tempo?»); per questo motivo mi permetto di consegnare le mie
riflessioni di allora alle pagine di “Odissea”, ringraziando il Professor Papi
di avermi fatto ritornare la memoria su quelle vecchie paginette e di avermi
aperto a nuove, ulteriori e forse più “mature” (chissà!) considerazioni, che
magari in un altro momento-tempo scriverò.
… e forme di comunicazione.
Nessun
vascello c’è che, come i libri, possa portarci in contrade lontane…
E. Dickinson.
Non
leggete, come i bambini, per divertirvi, o come gli ambiziosi per istruirvi.
No, leggete per vivere…
G. Flaubert
Concediamoci
una pausa da poeti, scrittori e filosofi e andiamo a sbirciare, con occhio non
malevolo ma bonariamente critico, tra le abitudini dei nostri connazionali in
ferie, e specialmente dei loro figli. Prendiamo spunto da un episodio accaduto
in una delle tante piscine affollate della nostra penisola. Un bimbo
pressappoco sui sei anni e sua madre stanno leggendo le avventure di Ulisse in
un’edizione illustrata per ragazzi, la madre legge lentamente, spiega al figlio
incuriosito e attento le parole difficili che si incontrano nel testo. A un
certo punto un vicino di ombrellone sulla sessantina li interrompe: - Scusi
signora, sto guardando lei e il suo bambino da un po’, volevo farle i
complimenti-. Lei, stupita, e forse immaginando con fastidio che si tratti di
un “abbordaggio” estivo, chiede sostenuta: - Mi perdoni, non capisco, i complimenti
per cosa? - . Il signore, gentilmente, spiega: - È così raro vedere una madre
che ha voglia e pazienza di leggere un libro al proprio figlio, e che lui
ascolti rapito la storia... Mi fa piacere constatare che esiste ancora qualcuno
che dedica del tempo alla lettura - .
La signora a quel punto si rilassa, sorride, e i due iniziano una conversazione
sui figli, e sul fatto che, in effetti, è sempre più strano vedere un bambino o
un ragazzo con un libro in mano. Che dite, hanno ragione, e se sì, perché?
Quanti dei bambini italiani in vacanza, e sottolineiamo italiani, fra i sei
(ma, tristemente, anche meno) e i dodici - tredici anni, sotto l’ombrellone o
al fresco di un boschetto di montagna, sfogliano
un libro o chiedono ai genitori di leggere loro qualcosa? Speriamo più di
quel che sembra a giudicare dalle apparenze. E dunque, quando non sono
impegnati in qualche attività fisica o nel sorbire gelati e granite, cosa fanno
i bambini-ragazzini italiani? La maggior parte di loro, in ferie come a casa,
guarda la televisione o gioca, anche in spiaggia o di fronte a panorami
incantevoli, con il Nintendo e i tanti giochini elettronici che sono i primi
nelle liste dei regali di Natale. Ebbene sì, pare che fra i ragazzini i libri non siano proprio più di moda.
Uno strumento che consente loro di viaggiare con la fantasia, di arricchire il
proprio lessico, di appassionarsi a una storia che può tenere compagnia nei
momenti vuoti (che sono sempre meno, perché ci si accorge che anche in vacanza
si tende a riempire le giornate dei ragazzi con mille attività, sicuramente
divertenti ma dispersive e spesso anche stancanti, che non consentono alla
mente di riposarsi e prendersi qualche sano spazio di solitudine), il libro,
insomma, sta quasi scomparendo dalle mani dei ragazzi in età scolare. Non
sanno, perché prima di tutto non lo sanno
i loro genitori, drogati dai telecomandi al punto da leggere sempre meno,
producendo quella che Camilla Cederna definiva «asfissia morale», che «ogni libro è un capitale che
silenziosamente ci dorme accanto, ma che produce interessi incalcolabili»… Ma
questo è il pensiero di Goethe, e chiunque di loro lo ascoltasse ora lo
definirebbe quanto meno antiquato, fuori moda appunto.
E non parliamo degli adolescenti, che ormai passano le giornate su face book (e gli effetti di questo fenomeno sono ormai noti a tutti, con conseguenze spesso anche gravi), o con il cellulare in mano per mandare messaggi agli amici (ma se gli amici sono lì con loro, con chi si messaggiano così ossessivamente? Mistero!), ma proprio dei bambini e dei ragazzi più giovani. Da sempre ascoltare le storie narrate dai genitori o dai nonni ha fatto parte della cultura orale di ogni popolo, e così si tramandavano leggende, vicende fantastiche, che incantavano generazioni di bambini, i quali, da grandi, le narravano a loro volta ai propri figli. Quando televisione e videogame non esistevano non era certo raro vedere un ragazzino leggere un libro, e senz’altro molti di noi ricorderanno, con Proust, le ore trascorse leggendo, e più indietro ancora nel tempo quelle in cui un genitore ci leggeva una favola prima di addormentarci.
E non parliamo degli adolescenti, che ormai passano le giornate su face book (e gli effetti di questo fenomeno sono ormai noti a tutti, con conseguenze spesso anche gravi), o con il cellulare in mano per mandare messaggi agli amici (ma se gli amici sono lì con loro, con chi si messaggiano così ossessivamente? Mistero!), ma proprio dei bambini e dei ragazzi più giovani. Da sempre ascoltare le storie narrate dai genitori o dai nonni ha fatto parte della cultura orale di ogni popolo, e così si tramandavano leggende, vicende fantastiche, che incantavano generazioni di bambini, i quali, da grandi, le narravano a loro volta ai propri figli. Quando televisione e videogame non esistevano non era certo raro vedere un ragazzino leggere un libro, e senz’altro molti di noi ricorderanno, con Proust, le ore trascorse leggendo, e più indietro ancora nel tempo quelle in cui un genitore ci leggeva una favola prima di addormentarci.
Non
esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuti tanto
pienamente come quelli che abbiamo creduto di aver trascorsi senza vivere, in
compagnia d’un libro prediletto. Tutto quel che (a quanto ci sembrava) li
riempiva per gli altri, e che noi scartavamo come ostacoli volgari a un piacere
divino, il gioco per il quale un amico veniva a cercarci nel punto più
interessante; l’ape o il raggio di sole che ci davano fastidio, costringendoci
ad alzar gli occhi dalla pagina o a cambiar di posto; le provviste che ci erano
state date per l’ora di merenda e che lasciavamo accanto a noi sul sedile,
senza toccarle, mentre, sopra il nostro capo, il sole diminuiva di forza nel
cielo azzurro; il pranzo che ci aveva obbligati a rientrare e durante il quale
pensavamo solo a salire subito dopo, in camera, a terminare il capitolo
interrotto, tutto questo, di cui la lettura avrebbe dovuto farci sentire
soltanto l’importunità, ne imprimeva invece in noi un ricordo talmente dolce
(e, pel nostro giudizio attuale, più prezioso di quel che leggevamo allora con
amore) che, ancor oggi, se ci capita di sfogliare quei libri di un tempo, li
guardiamo come se fossero i soli calendari da noi conservati dei giorni che
furono, e con la speranza di veder riflesse nelle loro pagine le dimore e gli
stagni che più non esistono. (M. Proust).
Adesso
questo non accade quasi più, al punto che il signore della piscina si
complimenta con una madre che, dal canto suo, crede di fare una cosa
assolutamente naturale, ma che naturale non è più. Naturale è diventato
l’artificiale, le amicizie e gli amori virtuali e, per i bambini, le emozioni
veloci e facili, che non richiedono riflessione e non ne sviluppano, delle
immagini di un cartone animato (sempre più violenti e pieni di messaggi a dir
poco fuorvianti), o di un video gioco elettronico. Senza contare che, al di là
dell’incredibile perdita culturale che la mancanza della lettura produce,
nonché della difficoltà dei ragazzi di tollerare momenti di silenzio,
solitudine, anche di noia, poiché questi vengono repentinamente riempiti da
suoni, attività, colori volti a tenere occupata la mente e distrarla dal
quotidiano, i bambini che guardano tanta tv e giocano tutto il giorno con il
Nintendo (ma, la maggior parte di loro, non sa allacciarsi le scarpe a 10
anni!), non sono più capaci di fare dei giochi insieme. Abituati a giochi
solitari davanti a uno schermo, sono spesso aggressivi con i compagni, non
tollerano di perdere, non sanno organizzarsi per una partita a calcio o a
pallavolo sulla spiaggia, necessitano sempre della presenza di un adulto per
mettere insieme una qualsiasi attività di squadra. Potranno sembrare discorsi
nostalgici e un po’ retorici, ma aiutiamo i nostri figli a scoprire il piacere
della lettura e dei giochi “semplici”, raccontiamo
loro i nostri sogni e le favole lette o ascoltate da bambini, e leggiamo loro
un buon libro. Queste sono esperienze che non hanno prezzo né tempo, di cui
senz’altro si ricorderanno tutta la vita e di cui, scommettiamo, un giorno ci
ringrazieranno. Perché «il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata
il tempo per vivere» (Pennac).
E senza demonizzare a tutti i costi la televisione e i giochini tecnologici, quando ci verrà la tentazione di “parcheggiarli” davanti alla tv o a un video-game per ore (si sa, i bambini richiedono tempo e sacrificio, ma è impagabile la gioia che si ricava dal tempo passato con loro), ricordiamo questa ironica frase di Groucho Marx, che andrebbe attaccata con un post-it sopra ogni schermo frequentato assiduamente dai nostri figli: «trovo che la televisione sia molto educativa… ogni volta che qualcuno la accende, vado di là e leggo un libro»!
E senza demonizzare a tutti i costi la televisione e i giochini tecnologici, quando ci verrà la tentazione di “parcheggiarli” davanti alla tv o a un video-game per ore (si sa, i bambini richiedono tempo e sacrificio, ma è impagabile la gioia che si ricava dal tempo passato con loro), ricordiamo questa ironica frase di Groucho Marx, che andrebbe attaccata con un post-it sopra ogni schermo frequentato assiduamente dai nostri figli: «trovo che la televisione sia molto educativa… ogni volta che qualcuno la accende, vado di là e leggo un libro»!