Il
Pentagono della ministra Pinotti
di Manlio
Dinucci
La ministra
Pinotti ha un sogno: un Pentagono italiano, ossia un’unica struttura per i
vertici di tutte le forze armate, una copia in miniatura di quello
statunitense. Il sogno sta per diventare realtà. La nuova struttura, annuncia
la ministra in un’intervista a Repubblica, è già in fase progettuale ed è
previsto un primo stanziamento nel budget della Legge di stabilità.
Sorgerà
nella zona aeroportuale di Centocelle a Roma, dove c’è spazio per costruire
altri edifici e infrastrutture. A Centocelle, dove è stata trasferita anche la
Direzione generale degli armamenti con il suo staff di 1500 persone, c’è già il
Comando operativo di vertice interforze, attraverso cui il Capo di stato
maggiore della Difesa comanda tutte le operazioni delle forze armate. Anzitutto
quelle all’estero: l’Italia è impegnata in 30 missioni militari in 20 paesi,
dal Kosovo all’Iraq e all’Afghanistan, dalla Libia alla Somalia e al Malì. Dato
che in ciascuna partecipano componenti di tutte le forze armate, spiega la
ministra, occorre un comando unico interforze con sede a Centocelle. Viene così
attuato, ancor prima che venga discusso in parlamento, il disegno di legge
sulla implementazione del «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la
difesa», presentato il 10 febbraio dal Consiglio dei ministri. È quindi già in
atto il golpe bianco che, nel silenzio generale, sovverte le basi
costituzionali della Repubblica italiana, riconfigurandola quale potenza che
interviene militarmente nelle aree
prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno
dei propri «interessi vitali» economici e strategici, e ovunque nel mondo siano
in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando
Usa.
Occorrono
a tal fine nuovi armamenti. Ad esempio i primi due aerei Gulfstream 550
modificati, che l’Italia ha appena ricevuto da Israele al prezzo di circa un
miliardo di dollari: veri e propri comandi volanti, dotati dell’elettronica più
avanzata, per missioni di attacco a lungo raggio.
Occorrono
allo stesso tempo professionisti della guerra, capaci di usare le nuove
tecnologie e di combattere in lontani paesi nelle più diverse condizioni
ambientali. «Abbiamo bisogno di soldati giovani, – spiega la ministra Pinotti –
la chiave sta nell'arruolare persone a 19-20 anni, offrirgli un pacchetto
formativo importante per sette anni della loro vita, insegnando lingue e
professionalità. Se si ritroveranno sul mercato a 26-27 anni non sarà difficile
trovare un'altra occupazione anche perché ci impegniamo a costruire nuove
opportunità di lavoro con percorsi legislativi». In una situazione di
disoccupazione e precariato, si offre cosi ai giovani il modo per guadagnare e
avere un posto sicuro: la guerra. E ai professionisti della guerra, agli ordini
del Pentagono italiano, viene affidata nel disegno di legge anche la
«salvaguardia delle libere istituzioni» con «compiti specifici in casi di
straordinaria necessità ed urgenza», formula vaga che si presta a misure autoritarie
e a strategie eversive. Tutto
questo costa. L’Italia, annuncia la Pinotti, anche se non è ancora in grado di
portare la spesa per la «difesa» al 2%
del Pil come richiede la Nato, la sta incrementando: «Quest'anno siamo
all'1,18% del Pil pari a circa 23 miliardi». La ministra ci informa quindi che
l’Italia spende per la «difesa» in media 63 milioni di euro al giorno, cui si
aggiungono le spese per le missioni militari e i principali armamenti, iscritte
nei budget di altri ministeri. A Roma, mentre divampa il dibattito politico
sull’impatto ambientale del nuovo stadio, nessuno si preoccupa dell’impatto
sociale del nuovo Pentagono tricolore.