RESISTENZA E
RISORGIMENTO
di Franco Astengo
Il corteo di ieri a Milano |
È doveroso far notare come
la comparazione tra Resistenza e Risorgimento, pur tentata ieri nel corso delle
celebrazioni del 25 aprile dallo stesso Presidente della Repubblica, sia
questione da maneggiare con cura e grande attenzione. Essenzialmente essa va
valutata sotto questi aspetti che è il caso di ricordare per buona memoria:
1) L’interpretazione
gramsciana del Risorgimento che rimane punto di analisi insuperabile: Gramsci
ha meditato a lungo sul processo storico che, nel secolo XIX, attraverso un
travagliato percorso aveva prodotto lo stato unitario. A suo avviso tale
processo era stato diretto fondamentalmente da forze moderate e il cosiddetto
Partito d’Azione (cioè il complesso di forze che si richiamavano in parte a
Mazzini e a Garibaldi) si era rivelato incapace di svolgere un’opera
adeguatamente incisiva e trasformatrice nel contesto politico del tempo. Quella
risorgimentale è stata, per usare un’espressione gramsciana, una “rivoluzione
mancata”;
2) L’interpretazione
fondativa della Resistenza come fatto storico è stata data, invece, da Claudio
Pavone, nel 1991 attraverso il suo saggio “Una
guerra Civile, saggio storico sulla moralità della Resistenza”. Frutto di
anni di riflessioni e di ricerche “Una guerra
civile” tocca, basandosi su un’amplissima gamma di fonti, diversi temi di
grande rilievo: dal valore fondante della scelta compiuta l’8 settembre al
problema della violenza, al rapporto tra politica e morale. Si tratta di una
rilettura della storia degli anni 1943-1945 ferma nel sottolineare l’importanza
decisiva della lotta di liberazione per la riconquista della dignità nazionale
e per una vera rinascita di quella patria di cui era di moda allora quando
Pavone scrisse ma anche adesso, nell’incipiente clima del «revisionismo», far
risalire la morte all’8 settembre 1943. Ma nel saggio di Pavone si nota
altrettanta attenzione a far risaltare differenze e chiaroscuri. Da un lato si
distingue fra una «Resistenza in senso forte», la guerra partigiana combattuta
soprattutto al Nord da una cospicua minoranza, e una «Resistenza in senso ampio
e traslato», che era man mano diventata, anche per chi non vi aveva partecipato
o aveva cercato di circoscriverne o manometterne la memoria, l’elemento legittimante del sistema politico
repubblicano edulcorandone in parte il significato più profondo. Dall’altro
interpreta la Resistenza a un tempo come guerra patriottica, combattuta per
liberare il paese dall’occupazione tedesca e sentita in sostanza come nuova
«guerra d’indipendenza», guerra civile, tra combattenti partigiani e i fascisti
della Repubblica di Salò, e guerra di classe, combattuta, soprattutto dai
comunisti al Nord nel nome di una radicale trasformazione sociale.
3) Proprio sulla base
dell’analisi di Pavone è necessario ancora sottolineare un altro punto di
fondamentale differenza con la fase risorgimentale. La Resistenza si sviluppò
in forme diverse da una parte all’altra del Paese a causa della complessità
degli eventi bellici che accaddero nella penisola nel corso del biennio 1943-
45 ma è stato soprattutto al Nord, nel triangolo industriale, dove il nesso tra
partecipazione popolare e restituzione della dignità nazionale, toccò la sua
punta più elevata: quella forma di Resistenza che consentì di sottrarre
l’Italia alla sudditanza agli Alleati e di recuperare immediatamente lo
sviluppo politico di una democrazia che era stata coartata dal fascismo per
oltre 20 anni. Non solo quella democrazia risultò comunque essere di tipo nuovo
e non semplice ritorno alla “democrazia dei notabili” come da più parti si era
pensato di realizzare. Il fatto decisivo in questo senso, prima ancora della
formazione dei grandi partiti di massa che poi rappresentò l’elemento portante
della forma di Stato repubblicana almeno per i suoi primi 50 anni, fu
rappresentato da come avvenne la Liberazione delle grandi città del triangolo
industriale e in particolare di Genova che si verificò in condizioni del tutto
originali rispetto al contesto europeo con la resa delle truppe tedesche direttamente
alle brigate partigiane.
4) Da lì, principalmente
dall’esito della Resistenza in quel contesto sociale e politico dominato dalla
presenza della classe operaia delle grandi fabbriche, derivò il processo
politico che permise negli anni immediatamente successivi di stabilire,
attraverso l’esito del Referendum istituzionale e il lavoro dell’Assemblea
Costituente condizioni di agibilità della democrazia affatto diverse da quelle
risorgimentali. Pur con contraddizioni, ritardi, vere e proprie battute d’arresto
che non possono essere sottaciute, ma comunque verificatesi all’interno di un
moto storico di evidente progresso sotto i fondamentali aspetti dello sviluppo
economico e dell’uguaglianza sociale.
5) Se si pensa, infine,
che tra il Risorgimento e la Resistenza intercorrono fatti storici di
grandissima portata come l’aver trascinato l’Italia nella follia di due guerre
mondiali, un ventennio di dittatura, l’esito grottesco dell’istituto monarchico
dopo l’8 settembre, si comprende bene come,
appunto, si cercava di sostenere all’inizio, certe comparazioni,
soltanto ritualmente patriottiche, vadano ben più attentamente considerate nel
loro sviluppo soprattutto sul piano storico.