di Franco Astengo
Donald Trump |
Il lavoro contenuto in
questo testo espone schematicamente (tutti i dati sono comunque disponibili a
verifica) alcune osservazioni riguardanti le elezioni di medio termine svoltesi
negli USA il 6 novembre scorso. È
evidente che il dato politico più rilevante sia stato rappresentato dal
passaggio della maggioranza della Camera dei Rappresentanti dal Partito
Repubblicano a quello Democratico e su questo punto si sono concentrate le
attenzioni della maggior parte degli osservatori.
Risulta
importante, però, analizzare i dati anche in proiezione delle presidenziali
2020, tra due anni, quindi un tempo non lunghissimo quello che rimane da trascorrere in attesa di
un nuovo responso dalle urne.
Allo
scopo di eseguire questa operazione di analisi del voto sono stati allora presi
in considerazione i numeri in cifra assoluta e non in percentuale riguardanti i
36 stati nei quali si è proceduto al rinnovo della carica di Governatore. Si
tratta, infatti, di dati disponibili nell’immediato e di facile lettura.
Si
ritiene infatti che il tipo di elezione e la dimensione territoriale di
riferimento, quella dello Stato, rappresentino al meglio la stessa dinamica
dell’elezione presidenziale: preponderante bipartitismo pur in presenza di
qualche candidato aggiuntivo e confine geografico del voto all’interno dello
Stato.
Condizioni
come abbiamo avuto occasione di verificare nel novembre 2016 assolutamente
decisive, stante il sistema elettorale in vigore per l’elezione presidenziale,
all’esito della quale non concorre la maggioranza del voto popolare su tutto il
territorio della Nazione bensì la maggioranza acquisita attraverso i delegati
dei diversi Stati. Gli stati interessati all’elezione della carica di
Governatore, in questa tornata, erano 36 su 50: in 20 di questi è prevalso il
Partito Repubblicano , lo stesso numero di Stati nei quali aveva prevalso Trump
nel 2016 Diverso sarebbe stato il discorso se si fossero esaminati i dati
prendendo a riferimento le precedenti elezioni dei diversi Governatori. L’esito
delle elezioni del novembre 2018 dimostra come nella sostanza non sia mutata più di tanto la geografia del
voto in vista delle elezioni presidenziali. Si conferma il colore rosso (quello
del GOP) nell’area centrale del Paese, quella che risultò decisiva per il
successo di Trump. Il voto popolare invece si è, in una qualche misura,
“spalmato” a favore dei repubblicani che nel computo finale hanno ridotto il
distacco che a novembre 2016 si era determinato nei riguardi dei democratici affermatisi, appunto, nel voto popolare ma perdenti
nell’elezione dei delegati alla Convenzione. Addentriamoci
allora nei meandri dei numeri.
Prima
di tutto va segnalato che non si è verificato il presunto boom nella
partecipazione al voto. Nel
novembre 2016 nei 36 stati presi in considerazione erano stati deposti nelle
urne 106.452.641 voti, ridotti nel novembre 2018 a 84.204.287, quindi con una
flessione di 22.248.354 voti. Evidentemente come da tradizione le elezioni
governatorali attraggono meno elettrici ed elettori di quelle presidenziali.
Il
Partito Democratico ha conservato la maggioranza del voto popolare con
41.558.159 voti rispetto ai 52.539.756 voti convenuti nel 2016 sul nome di
Hillary Roadman Clinton. Il partito democratico quindi flette di 10.981.597
suffragi.
La
diminuita partecipazione al voto ha fatto arretrare anche il Partito
Repubblicano che scende da 48.046.227 (Trump 2016) a 40.652.420 voti: meno
7.393.807.
I
voti assegnati ai cosiddetti “altri” scendono da 5.866.658 (2016) a 1.993.708 (2018)
con una flessione di 3.972.950 suffragi.
In
percentuale sul totale dei voti validi il Partito Democratico rimane stabile al
49,35%, il Partito Repubblicano sale dal 45,13% al 48,27% mentre gli “altri”
scendono dal 5,52% al 2,38%.
Un
commento assolutamente sintetico può indicare come, se si fosse pensato con il
voto di midterm di minare le
basi per una riconferma di Trump, questo
risultato non è stato raggiunto.
Siamo
di fronte ad un esito del voto fortemente contrastato che conferma la
spaccatura verticale della società americana soprattutto vista sotto l’aspetto
dell’espressione di valori fondativi: una situazione del tutto inedita per quel
che riguarda i tempi più recenti.
Quello
del novembre 2018 può essere considerato infatti una sorta di voto d’attesa,
senza che si siano dimostrati slanci particolari: il GOP può aver perso in
alcune situazione di vantaggio come dimostra il voto alla Camera dei
Rappresentanti ma si è probabilmente
rafforzato in situazione di sofferenza, attraverso appunto la già citata
“spalmatura” del voto che ne ha dimostrato una certa capacità di uscire da un
“recinto” predeterminato.
Infine
l’elenco degli stati interessati per questa rilevazione suddivisi tra quelli a
maggioranza democratica e quelli a maggioranza repubblicana.
Democratici: California, Colorado,
Connecticut, Hawaii, Illinois, Kansas, Maine, Michigan, Minnesota, Nevada, New
York, Nuovo Messico, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island,. Wisconsin.
Repubblicani: Alabama, Alaska,
Arizona, Arkansas, South Carolina, South Dakota, Florida, Georgia, Idaho, Iowa,
Maryland, Massachusetts, Nebraska, New Hampshire, Ohio, Oklahoma, Tennessee,
Texas, Vermont, Wyoming.