SENSO E
RAGIONE
di Franco Astengo
Luigi Di Maio |
Si pregano eventuali
gentili lettrici ed eventuali gentili lettori di prendere nota di questo
antefatto: Intervista a Di Maio Corriere della Sera 3 novembre 2018. L’ultima
domanda riguarda la questione dello stipendio dei parlamentari.
Domanda: Tagliate gli stipendi
per le vostre rendicontazioni sono ferme.
Risposta di Di Maio: Non è vero. Anzi proprio questo mese organizzeremo un
Restitution Day. Rispetto al passato i soldi non vanno più al fondo per il
microcredito, che ormai finanziamo come governo, ma sono destinati a finanziare
progetti scelti dagli iscritti per fare interventi più diretti per le persone
in difficoltà.
Da
questa risposta si possono dedurre almeno due spunti di analisi:
1) Una concezione
privatistico-proprietaria del ruolo di governo. Quello che prima finanziava il
partito adesso lo finanzia il governo che evidentemente si sovrappone
direttamente al partito. Oppure governo e partito sono considerati ormai la stessa
cosa. Com’è accaduto per tutti i ruoli di sottogoverno e di staff (in questo
caso con notevoli incrementi di stipendio nella sovrapposizione tra partito e
governo);
2) Opacità nella gestione
(sempre che i soldi siano versati per davvero): progetti scelti dagli iscritti
per intervenire sulle persone in difficoltà uguale a clientelismo e magari voto
di scambio. O no?
Il
tema saliente però è quello della concezione privatistico-proprietaria del
governo nel quale il M5S si identifica totalmente al punto da usare il “noi”
(prima persona plurale) nell’identificare la fonte di finanziamento per il
microcredito (ormai “noi” finanziamo attraverso il governo).
Non
è la prima volta che questo fatto accade nella storia d’Italia.
Non
successe, come molti tenderebbero a pensare, con la DC: la DC formò governi di
coalizione anche quanto disponeva della maggioranza assoluta e non ci fu
un’identificazione “tout court” del partito con il governo. Anzi, la fase centrale (53-63) nella quale la
DC svolse una funzione “pivotale” all’interno del sistema fu dedicata
interamente, e con grandi convulsioni, proprio all’allargamento del quadro di
governo verso sinistra. I “monocolori” si formarono o in situazione di
“traghettamento” (Leone e i governi balneari) oppure in condizioni
assolutamente eccezionali: le “convergenze parallele” (copyright Moro e Governo
Fanfani) all’indomani del luglio ’60 e Andreotti all’epoca della solidarietà
nazionale (1976-1978).
Di Maio e Salvini |
L’identificazione
del partito con il governo si verificò invece con il “ventennio”. Il fascismo,
infatti, non riformò lo Stato: rimase in vigore lo Statuto Albertino. Tanto è
vero che l’esercito restò un corpo a sé rispetto alla struttura fascista,
avendo gli ufficiali giurato fedeltà al Re. Gli effetti di questa situazione si
videro all’8 settembre, sia negli episodi tragici di Cefalonia, sia nella
deportazione degli IMI, sia nella possibilità di formare l’esercito del Sud. Il
fascismo creò” strutture parallele” (Gran Consiglio, Milizia, Tribunale
Speciale). L’unico atto di aperta rottura con lo Statuto avvenne con
l’istituzione della camera dei fasci e delle corporazioni in luogo della Camera
dei Deputati (si era già nel 1939). Fu attraverso il partito unico e i
plebisciti che il fascismo esercitò il suo potere totalitario. Tanto è vero
che, al 25 luglio, furono sufficienti atti di legislazione ordinaria a
riportare la struttura istituzionale al punto di partenza.
Tornando
all’attualità non si può che notare come affermazioni del tipo di quelle
pronunciate da Di Maio possono avere spazio senza timore di suscitare giuste
reazioni, perché quella italiana è da tempo una società sfibrata, sfrangiata,
priva di riferimenti culturali unificanti, divisa nelle sue esigenze
fondamentali e nei suoi obiettivi. Una società che non riesce a esprimere
un’azione politica coerente, capace di elaborare una sintesi che guardi
all’interesse generale. È fallita la ricerca di un “Lord protettore” che
era iniziata con il voto del 2008, così come in precedenza lo schema del
“bipolarismo temperato” aveva mancato l’obiettivo di ricostruire un’identità
collettiva con proiezione europea. Anzi quello europeo è stato lo sviamento più
grande, quello che ha scompaginato nella fase di caduta dei grandi partiti di
massa.
Pare
proprio che ci sia stia rifugiando nel corporativismo interpretato da soggetti
che esprimono una concezione “proprietaria” di una sorta di “qualunquismo di
governo” che finisce con l’esaltare le più retrive pulsioni individualistiche
(condono fiscale, reddito di cittadinanza). Società sfrangiata, debolezza del
sistema politico, disintermediazione progressiva, crescita di egoismi
competitivi: in questo quadro cresce il consenso per le attuali forze di
governo nella presunta esistenza di un’azione politica che non è altro che
finzione. Sarà difficile, al momento proprio del disvelamento della finzione,
evitare un rinnovamento del nichilismo, come forma estrema della propria
affermazione soggettiva di fronte alla “collettività del dramma sociale”: un
quadro complessivo che pare presupporre all’affermazione di una prospettiva di
vera e propria “dissoluzione civile”. La politica, almeno in Italia e in buona
parte di Europa, ha perduto di senso e di ragione, ed è questo il tema sul
quale cercare di ricostruire partendo dall’analisi dagli effetti sociali che
impone l’inedita complessità delle “fratture” presenti nella modernità.
Una
complessità di “fratture” dalle quali sortisce la necessità di rifondazione
nella lettura degli interessi contrapposti alla quale deve corrispondere una concreta
rappresentanza politica. Fallita la previsione sull’idea del regno del Bengodi
e della “fine della storia” nel post caduta del muro e ben presenti i rischi di
guerra su scala mondiale, c’è molto di più da rifondare di una sola parte
politica.