di
Felice Besostri
Da
Genova 1892 a Rimini 2019 andata e ritorno:
prossime
destinazioni Erfurt 1891 e Epinay 1971
Parafrasando
il famoso detto sulla guerra e i generali di Jean Jaurès, il grande
socialista tolosano, il socialismo è una cosa troppo seria per
lasciarla nelle mani di dirigenti di un Partito, fossero anche i
migliori e più preparati. Una tale concezione è il frutto
dell’idea, che il proletariato per conquistare il potere e
adempiere, quindi, alla sua missione storica avesse bisogno di una
guida cosciente, di un’avanguardia organizzata di rivoluzionari di
professione. Questa concezione dovrebbe essere stata seppellita, per
tutti, sotto le macerie provocate dal crollo del Muro di Berlino, il
cui trentesimo anniversario dell’apertura si celebrerà il prossimo
9 novembre: una data simbolica della successiva formale dissoluzione
dell’URSS del 25 dicembre 1991. Una cultura mitica-libresca di una
parte della sinistra “aveva diffuso per anni la convinzione che
l'URSS fosse un paese guida così come il partito che ne costituiva
l'ossatura politica.La sua caduta non solo mostrò le ragioni
strutturali dell'economia del paese, le insostenibili spese militari,
ma anche uno stile autoritario e violento del potere centralizzato e
poliziesco opposto ai desideri di identità della popolazione. L'insostenibilità economica e l'oppressione sociale costituivano
unità insopportabile come forma di vita.”(Fulvio Papi “Il
granello di sabbia”
“Odissea” 9 gennaio 2019).
Paradossale per le sorti della sinistra europea la sconfitta del comunismo sovietico non significò, nel periodo che ci separa da quegli eventi, la vittoria della sua alternativa socialista democratica. Una serie impressionante di sconfitte elettorali, per non parlar d’altro per carità di partito, ha fatto scomparire i partiti socialisti del PSE, che nel 1999 erano alla testa di 13 governi della UE a 15, dal panorama politico d’Italia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria e Francia e a non essere più il partito aspirante all’egemonia o a capeggiare un’alternativa di sinistra in Danimarca, Austria e Germania. La scomparsa del blocco comunista e la crescente concorrenza cinese ed indiana e di altri paesi con la mano d’opera qualificata e a basso costo ha convinto il sistema capitalista, che non era più il caso di tener buoni i lavoratori dei paesi sviluppati con le politiche sociali, i benefici salariali della contrattazione collettiva sindacale ed il welfare state, tanto più che i loro partiti al governo e i sindacati avevano rinunciato all’idea stessa che un altro sistema economico e sociale, un nuovo ordine mondiale fosse non solo possibile, ma persino desiderabile: al massimo poteva essere lo slogan per alcuni anni di un esotico Forum Sociale Mondiale in qualche paese latino-americano: una vittoria già nel nome di una visione euro-coloniale e imperial-occidentale del mondo, che esclude da quel continente la componente india e africana.
Paradossale per le sorti della sinistra europea la sconfitta del comunismo sovietico non significò, nel periodo che ci separa da quegli eventi, la vittoria della sua alternativa socialista democratica. Una serie impressionante di sconfitte elettorali, per non parlar d’altro per carità di partito, ha fatto scomparire i partiti socialisti del PSE, che nel 1999 erano alla testa di 13 governi della UE a 15, dal panorama politico d’Italia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria e Francia e a non essere più il partito aspirante all’egemonia o a capeggiare un’alternativa di sinistra in Danimarca, Austria e Germania. La scomparsa del blocco comunista e la crescente concorrenza cinese ed indiana e di altri paesi con la mano d’opera qualificata e a basso costo ha convinto il sistema capitalista, che non era più il caso di tener buoni i lavoratori dei paesi sviluppati con le politiche sociali, i benefici salariali della contrattazione collettiva sindacale ed il welfare state, tanto più che i loro partiti al governo e i sindacati avevano rinunciato all’idea stessa che un altro sistema economico e sociale, un nuovo ordine mondiale fosse non solo possibile, ma persino desiderabile: al massimo poteva essere lo slogan per alcuni anni di un esotico Forum Sociale Mondiale in qualche paese latino-americano: una vittoria già nel nome di una visione euro-coloniale e imperial-occidentale del mondo, che esclude da quel continente la componente india e africana.
Crescono le diseguaglianze tra le diverse aree del mondo e
all’interno dei singoli paesi compresi quelli una volta più
sviluppati e con una classe media in costante ascesa insieme con
l’aristocrazia operaia e i tecnici altamente qualificati della
scienza e della tecnologia più innovativa. La ricaduta
dell’informatica e della robotica sull’organizzazione del lavori
da un lato e i cambiamenti climatici dall’altro con il
riscaldamento globale, con le inevitabili ricadute migratorie, frutto
anche di guerre e sottosviluppo, creano fenomeni , che per essere
governati richiedono una visione planetaria e poteri pubblici
nazionali e sovranazionali democraticamente legittimati in grado di
intervenire in modo coordinato e programmato. Invece ha vinto
l’ideologia del meno stato e più mercato e la corsa individuale al
successo personale. Rischiamo di essere schiacciati tra il disordine
globale e planetario neo-capitalista e dalla logica dello
sfruttamento e del profitto da un lato e dalla reazione nazionalista
identitaria e egoista dall’altro entrambi nemici della sovranità
popolare, che ha la sua massima espressione nella democrazia
costituzionale e nei suoi istituti di democrazia rappresentativa e
diretta. Se in via generale si deve concordare con Rosa Luxemburg,
già sostenitrice del comunismo consiliare, quando scrive “La
democrazia è una necessità imprescindibile non perché renda
superflua la conquista del potere politico da parte del proletariato,
ma al contrario perché la fa necessaria e a un tempo ne rappresenta
l’unica possibilità questo è tanto più vero in Italia,
perché bastano i primi tre articoli della Costituzione a unire la
sua attuazione con un progetto di società, nella quale la
Repubblica, vale a dire noi individui e popolo, istituzioni e poteri
pubblici abbiamo il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Non
è il socialismo, ma va nella sua direzione e nella situazione
attuale della sinistra in Italia e in Europa è quanto basta per lo
sviluppo di un pensiero che abbia il socialismo come obiettivo
unificante e tuttora attuale e ci ispiri nelle azioni e nei conflitti
sociali, che dobbiamo con coerenza promuovere ed interpretare.