di
Franco Astengo
L’amministrazione
Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal trattato INF
stipulato nel 1987 con l‘URSS. Un trattato che consentì la
drastica riduzione dei missili schierati da una parte e dall’altra
in Europa secondo la linea dell’allora ancora vigente “cortina di
ferro”. Con quel trattato l’escalation che era cominciata con lo
schieramento dei Phersing e dei Cruise americani e degli SS20
sovietici. Per molti commentatori la mossa annunciata in questi
giorni dagli USA potrebbe preludere a una nuova rincorsa agli
armamenti, tanto più pericolosa oggi in una fase in cui gli attori
globali sono cresciuti di numero e la tecnologia atomica è in
possesso di molti Paesi in più rispetto a quasi quarant’anni fa.
Al puro scopo di elaborare un abbozzo di ricostruzione storica
destinata semplicemente a ricordare come si muovevano le cose al
tempo del bipolarismo si è così pensato di ricostruire la fase che
portò appunto all’apertura della distensione e agli accordi tra le
due, in allora, superpotenze. Michail Gorbacev fu eletto segretario
generale del PCUS l’11 gennaio 1985 avendo di fronte l’immane
compito di risolvere i problemi rimasti sul tappeto alla morte di
Chernenko : il legame fra politica estera e politica interna si
affacciava in tutta la sua portata, dimostrando come in questo caso
le scelte internazionali fossero strumentali rispetto ai problemi
interni. All’avvio del suo mandato Gorbacev trovò la situazione
internazionale migliorata rispetto al periodo dell’interruzione
della Conferenza di Ginevra che si era aperta nel 1981: nel novembre
1984, al momento della rielezione di Reagan, era stata, infatti,
raggiunta un’intesa di massima per la ripresa dei negoziati che, in
effetti, si riavviarono il 12 marzo 1985. Si presentarono subito
notevoli ostacoli con l’opposizione sovietica alla cosiddetta
“Strategic Defense Iniziative (SDI) ” lanciata da Reagan e
Weinberger. La SDI, la cui applicazione fu comunque limitata,
imponeva la necessità di dimostrare il controllo di risorse
tecnologiche che solo una società avanzata poteva mettere in campo,
perciò poneva ai sovietici il dilemma se dimostrare la loro
arretratezza in attesa di un difficile recupero o rivelare subito la
loro debolezza, nella speranza di un condono americano. Appena eletto
Gorbacev scelse la seconda strada e diede alla disputa sulla rinuncia
americana alla SDI il valore di una condizione per un accordo più
generale. Questa discussione attraversò una prima fase acuta tra il
settembre 1985, quando i sovietici presentarono le loro proposte
disarmo e il 20-21 novembre dello stesso anno, quando nel corso del
vertice di Ginevra non fu raggiunto alcun risultato concreto ma le
due parti s’impegnarono a proseguire i negoziati intrapresi
accettando di discutere sulla base del principio della riduzione del
50% del numero delle armi nucleari posseduto da ciascuna. Si usò la
definizione “armi nucleari” per significare che il negoziato non
aveva ancora sciolto il nodo degli euromissili: i sovietici li
consideravano armamenti strategici, quindi da includere nel calcolo,
gli americani armamenti di teatro sui negoziare separatamente. Fra il
gennaio del 1986 e l’ottobre dello stesso anno la questione della
rinuncia alla SDI assunse l’aspetto di questione principale: tutte
le proposte di compromesso avanzate dai sovietici furono respinte
dagli americani. I governanti dell’URSS cercarono di avvicinare le
posizioni annunciando un piano di ritiro dall’Afghanistan ma
l’incidente di Chernobyl, nell’aprile dello stesso 1986, mise in
luce l’arretratezza tecnologica degli impianti nucleari sovietici.
Il nodo di fondo di tutta questa fase, infatti, era costituito
dall’accumularsi da parte sovietica di un deficit tecnologico nei
settori strategici frutto di difficoltà insieme economiche e
politiche. Questo fatto pose sulla difensiva i sovietici e Reagan,
costata la fragilità dell’avversario, dichiarò che gli USA non si
ritenevano più vincolati dal trattato SALT II stipulato nel 1979 e
che non era mai stato ratificato dagli stessi USA. A Reykjavik
l’11-12 ottobre 1986 si svolse il secondo incontro Reagan-Gorbacev:
il clima apparve costruttivo ma il negoziato restò bloccato sul nodo
della SDI.
In
quel vertice doveva rivelarsi se la posizione sovietica, alla ricerca
di un compromesso, era ancora legata alla politica di distensione
perseguita da Breznev oppure se era dovuta al riconoscimento della
debolezza sovietica con l’ammissione che la politica portata avanti
da Stalin e dai suoi successori a partire dal 1945 era fallita nel
tentativo di raggiungere la parità strategica con gli USA per poi
tentare di superarli. Tutto il 1987 fu occupato dalle diplomazie a
trovare una via d’uscita dallo stallo di Reykjavik facendo sì che
non si evidenziassero le rinunce sovietiche: intanto, sul piano
interno, a Natale 1986 Gorbacev aveva compiuto un gesto politico di
grande significato consentendo ad Andrej Sacharov di riprendere
pienamente l’insegnamento a Mosca. Rispetto al ruolo della NATO,
che risultava vincolante per la posizione americana, un grande passo
in avanti fu compiuto dal cancelliere tedesco Kohl che nell’agosto
del 1987 si disse pronto a rinunciare a nuovi missili, purché
sovietici e americani si accordassero per distruggere tutti i missili
a medio e corto raggio esistenti in Europa. La strada era aperta
verso il terzo e conclusivo vertice tra Reagan e Gorbacev, svoltosi a
Washington tra il 7 e il 10 dicembre 1987: per la prima volta nel
secondo dopoguerra in quella sede s’indicò la possibilità di
distruzione, anziché di limitazione, di un certo tipo di armamenti.
Il trattato firmato l’8 dicembre stabiliva, infatti, secondo
un’intesa già pronta da settembre, che entro tre anni tutti i
missili della portata compresa tra i 500 e i 5.500 chilometri fossero
distrutti, con l’eccezione dei missili appartenenti ai sistemi
nucleari nazionali di Francia e Gran Bretagna. L’accordo prevedeva
anche un meccanismo di ispezioni nelle basi per la verifica dei
rispettivi adempimenti: in questo senso era necessario anche un
trattato speciale con i cinque paesi della NATO che ospitavano
euromissili: la Germania Ovest, la Gran Bretagna, l’Italia, il
Belgio e l’Olanda. Il limite dell’accordo, dal punto di vista
europeo, consisteva nella mancata eliminazione dei missili tattici,
cioè di quelli dalla gittata inferiore a 500 chilometri,
utilizzabili anche in scontri di natura convenzionale. A queste
limitazioni si aggiungeva l’accordo per il numero di testate per i
154 missili più potenti (154 missili con non più di 1.540 testate)
e l’impegno a continuare la discussione sui bombardieri strategici
e sui missili intercontinentali mobili e infine la previsione secondo
la quale il numero totale delle testate nucleari non dovesse superare
le 4.900 unità per ciascuna delle due parti. L’ultimo vertice
ufficiale tra Reagan e Gorbacev, tenuto a Mosca tra il 29 maggio e il
2 giugno 1988, si concluse senza che un accordo sui missili
strategici fosse raggiunto. Con l’avvio della presidenza Bush ebbe
inizio la fase conclusiva del processo di smantellamento
dell’arsenale giuridico-politico-militare della guerra fredda in
Europa. Si svolsero così i vertici di Malta del 2/3 dicembre 1989 e
la conferenza di Ottawa del 13 febbraio 1990: in quest’ultima
occasione i rappresentanti della NATO e del Patto di Varsavia
stabilirono in 195.000 uomini il livello massimo che le truppe
americane e sovietiche avrebbero dovuto raggiungere in Europa. Dopo
l’incontro tra Bush e Gorbacev avvenuto a Camp David tra il 30
maggio e il 3 giugno 1990 i negoziati per il disarmo fecero un altro
passo avanti con la conclusione delle conversazioni iniziate a Vienna
nel 1973 per la “Mutua e Bilanciata riduzione degli armamenti”
(MBFR). Si trattò di due accordi: con il secondo, sottoscritto da
tutti i paesi della CSCE e firmato il 21 novembre 1990 si definirono
i principi della “Carta di Parigi per una nuova Europa”, cioè le
regole della futura convivenza pacifica nel continente europeo. Dopo
quest’accordo, la via verso l’intesa sulle armi strategiche
risultò ulteriormente spianata e l’iter del negoziato fu concluso
il 31 luglio 1991, quando Bush e Gorbacev firmarono a Mosca il
trattato START I, cioè lo Strategic Armaments Limitation Treaty, che
chiudeva il lungo lavoro iniziato dai trattati SALT e proseguito dal
1981 con i negoziati di Ginevra. Dopo di allora l’Unione Sovietica
entrò in una fase di crisi sempre più convulsa fino alla cessazione
formale della sua esistenza nel dicembre 1991. Quest’abbozzo di
ricostruzione storica si ferma a questo punto. L’occasione deve
essere colte per esprimere una forte preoccupazione perché la scelta
compiuta in questi giorni dall’amministrazione USA non significhi
un pauroso salto nel buio. C’e da ricordare ancora che lo
scioglimento dell’URSS e l’assunzione da parte degli USA del
ruolo di “poliziotto del mondo” e di “paese esportatore della
democrazia” non ha certo significato l’aprirsi, nel corso
dell’ultimo trentennio” di un periodo di pace ma piuttosto di
tragiche convulsioni in diversi teatri strategici in quadro di crisi
molto complessa che oggi con la presidenza Trump tende a inasprirsi
aumentando la possibilità di tragici scenari a livello globale.
[È
stato consultato il testo “Storia delle relazioni internazionali
1918-1992” di Ennio Di Nolfo, Laterza Roma-Bari 1994].