CINEMA
Figlia mia per
Made in Sardegna
Un’isola di
film - La Compagnia (Firenze)
di Mila Fiorentini
Approda per il secondo anno a Firenze la rassegna
sul nuovo cinema sardo organizzata da ACSIT (Associazione Culturale Sardi in
Toscana) in collaborazione con la Fondazione Sardegna
Film Commission. La manifestazione si è aperta venerdì 11 maggio con il nuovo film di Laura Bispuri, Figlia Mia, che vede protagoniste Valeria Golino e Alba Rohrwacher, insieme alla
giovanissima protagonista, Sara Casu,
in anteprima italiana prima dell’uscita nelle sale. Nell’estate in cui
compie 10 anni, Vittoria scopre di avere due madri: Tina, madre amorevole che
vive in rapporto simbiotico con la piccola, e Angelica, una donna fragile e
istintiva, dalla vita scombinata. Rotto il patto segreto che le lega sin dalla
sua nascita, le due donne si contendono drammaticamente l’amore di una figlia,
come fosse un uomo del quale sono innamorate entrambe. Opera seconda di Laura
Bispuri, dopo Vergine giurata, il
film è stato presentato in anteprima alla Berlinale 68. Crudo, autentico, con
un’interpretazione davvero convincente, è un film che non fa sconti neppure
all’amore che forse non è mai totalmente gratuito. Una storia che lascia
speranza affidata all’impegno quotidiano e alla lotta di ognuno con se stessi e
a volte contro se stessi. Girato in una terra dura, inospitale quanto
seduttiva, denuncia nella sua asprezza la radicalità del sentimento materno e
della ricerca dell’identità di ognuno di noi.
Il cinema sardo sempre più ricco di proposte, apprezzato dalla
critica, alla ribalta dei festival internazionali, complice anche il sostegno
alle produzioni da parte di una sempre più attenta e attiva Sardegna Film
Commission. Dopo una tradizione che testimonia la vocazione cinematografica,
che ha visto la Sardegna essere terra di film entrati a far parte della storia
del cinema, come Proibito, di Mario Monicelli (1954), Banditi a
Orgosolo, di Vittorio De Seta (1961), Padre Padrone (1977)
di Paolo e Vittorio Taviani e Deserto Rosso, di Michelangelo
Antonioni (1964), solo per citarne alcuni, in anni recenti l'isola è sempre più
spesso meta di set, non solo ambientati in Sardegna, ma firmati da registi isolani, talenti riconosciuti dal pubblico e
dalla critica, esponenti di una cinematografia che si contraddistingue con un
preciso tratto distintivo. Come
Gianfranco Cabiddu, che nel 2016, con il suo La stoffa dei sogni, film scritto con il fiorentino Ugo
Chiti insieme a Salvatore De Mola, ha trionfato ai Globi d'Oro e ha vinto il
David di Donatello per la sceneggiatura non originale, o Laura Bispuri, che con
il suo Figlia mia (2018), interamente
girato e ambientato in Sardegna, ha partecipato al Festival di Berlino, al
Tribeca Film Festival e all’Hong Kong Festival; o ancora Bonifacio Angius, che
nel 2015 ha presentato al Festival di Locarno il film Perfidia e Salvatore
Mereu, che a Venezia 69, nel 2012, ha presentato Bellas Mariposas. Una
rappresentanza del cinema sardo è sbarcata a Firenze, al cinema la Compagnia, dall'11 al 13 maggio,
alla rassegna Made in Sardegna. Un'isola di film che si è aperta appunto
con il nuovo film di Laura
Bispuri, Figlia Mia, in anteprima prima dell’uscita nelle
sale.
La regista ha scelto un
tema universale che infatti è già stato comprato in molti paesi tra i quali la Cina,
eppure ha una connotazione territoriale molto forte che la Bispuri ritiene
importante per il cinema. Come nel suo precedente film c’è un lavoro di scavo e
di penetrazione di un luogo e di un mondo: allora era l’Albania, qui è la
Sardegna, quella di Cabras nella zona di Oristano che l’ha affascinata per la
luce, frutto del dialogo tra mare, laguna e saline che caratterizzano il
paesaggio di questa zona. La regista conosceva l’isola per esserci stata in
vacanza e soprattutto, guarda caso, per un viaggio fatto da sola con sua figlia
che l’ha segnata molto. La scelta dell’ambientazione in terra sarda, ha
raccontato presentando la proiezione, è stata istintiva ed è maturata in viaggi
successivi grazie ai quali ha scritto e riscritto di volta in volta la scenografia.
In particolare si sente la fascinazione per una Sardegna aspra, quasi
prepotente, come lei stessa l’ha definita, rude eppure malinconia, sospesa, a
tratti magica per alcune atmosfere che a suo parere riflettevano bene il
carattere dei personaggi del film. Nulla di oleografico, di costruito, ma una
grande armonia, seppur travagliata, dolorosa, fatta in gran parte di miseria ma
anche di decoro, tra persone e luoghi. Belle e senza vezzi di caratterizzazione
macchiettistica, le scene della lavorazione del pesce, la casa umile e
accogliente, con lo sforzo di renderla gradevole della madre adottiva e quella
degradata della madre naturale. Campeggiano la madre terra che la Sardegna
incarna senza nessun elemento edulcorato e l’identità, forte e abbarbicata al
terreno; ad un tempo in continuo divenire, che l’isola rappresenta. La bambina che
è la vera protagonista sembra proprio lo specchio di questo sentire,
interrogandosi su chi è, sul non rispecchiarsi fisicamente nella madre adottiva
e quindi anche in quel territorio bruno e mediterraneo, lei così esile, dai
riccioli rossi. Si respira molto amore e molto dolore, quello della
disperazione, del conflitto che non è meschinità, egoismo ma che non riesce a
essere generosità pura. La regista si mantiene equidistante tra le due madri,
proprio come la bambina, che alla fine trova a suo modo una conciliazione, una
soluzione: tenersi entrambe le madri, “approfittando” della ricchezza della
differenza tra le due donne.
Nessuna delle due d’altronde è totalmente buona o
cattiva e i bambini si lasciano sedurre meno degli adulti, spietati come sono
nella loro ricerca di verità: incarnando piuttosto due aspetti della maternità,
quella negata per paura, inadeguatezza, incapacità e riscoperta con tutta
l’istintività della quale è capace una donna; e quella voluta a tutti i costi,
solo apparentemente forte, altrettanto pericolosa della madre adottiva,
premurosa fino alla morbosità, protettiva fino alla nevrosi. Emerge la
delicatezza e la fragilità dell’infanzia troppo spesso messa in pericolo che
però ha il coraggio proprio dell’ottimismo della volontà che in età tenera
porta a credere che ci sia sempre un lieto fine. Un film di grande equilibrio
anche se presenta eccessi e un mondo che sembra fermo nel tempo e sfiora la
post modernità allo stesso tempo, come solo in un luogo di confine qual è
un’isola può rivelare. Interpretazioni intense, senza esasperazioni. La Golino
risulta matura in questo film, dosata, in grado di modulare le sfumature dei
sentimenti. Sorprendente la bambina. Le riprese si avvalgono soprattutto di un
disegno luci di grande suggestione mai invasivo. Il film crudo ma non violento,
specie all’inizio è a tratti disturbante, senza sconti rispetto alla miseria
che diventa, oltre che fisica, miseria dell’anima. La madre naturale che si
prostituisce, la madre adottiva che permette anzi induce la visione del
degrado, sperando di conquistare l’affetto della figlia. Ma i bambini, senza
sovrastrutture, colgono l’essenziale, oltre le apparenze.