"I
Provos, i Beatniks e l’Anarchia (1966-1967)"
Lo storico libertario
Franco Schirone parla del suo nuovo libro.
La copertina del libro |
“...Quante
le strade che un uomo farà
e
quando fermarsi potrà
quando
tutta la gente del mondo riavrà
per
sempre la sua libertà
quante
volte un uomo dovrà litigare
sapendo
che è inutile odiare
e
quante morti ci vorranno perché egli sappia
che
troppe persone sono morte
quante
volte le palle di cannone dovranno volare
prima che siano bandite per
sempre?
Risposta
non c'è o forse chi lo sa
caduta
nel vento sarà.”
(Bob
Dylan, Blowin In The Wind)
Questo breve
saggio vuole essere semplicemente un omaggio a una generazione perduta nel
tempo e per le strade del mondo. A quei ragazzi e ragazze che nella metà degli
anni Sessanta hanno desiderato la libertà totale al posto dell'ipocrisia e la
dignità umana al posto dell'arrivismo. Agli indesiderati da tutti, agli
allontanati con i fogli di via come appestati e ai denigrati dalla grande
stampa: borghese, fascista, reazionaria o comunista, i cui colori sfumavano, si
confondevano e il grigiore, soprattutto quello mentale, li univa. Ecco, in
queste pagine parlano loro. Solo loro!
Quelli della generazione dell'innocenza,
dei semplici, degli spontanei. Ma testardi nella loro volontà di critica al
sistema. Parla l'ingenuo movimento che si è messo contro ogni genere di
autoritarismo: il militare, lo Stato, la chiesa, la scuola, la famiglia.
Quelli che hanno anticipato le grandi
rivolte del sessant'otto, spesso
derisi dai movimentini iper organizzativisti e ideologizzati (chiamiamoli pure
stalinisti, nessuna remora).
Quelli che hanno trovato l'anarchia sulla
loro strada, spesso senza saperlo, spesso senza alcun filo diretto con quel
movimento, pur parlando la stessa lingua senza che alcuno l'abbia insegnata:
questo, forse, per tanti, è venuto dopo.
Per scrivere questa storia ho ripreso un
capitolo de La gioventù anarchica e
l'ho ampliato utilizzando documentazione che nel frattempo ho potuto ritrovare.
Si tratta di fogli e ciclostilati, una produzione cresciuta un po' in tutta
Italia, prodotti dai gruppi o da individui che s'identificano in quell'ampio
movimento noto col nome di "contestazione globale: sono, i Provos, i
Beatniks, i Beats, i Pleiners, i Nozems, i Cavalieri del nulla. Insomma, "i
capelloni", come sarcasticamente, sbrigativamente e soprattutto
sprezzantemente venivano chiamati i ragazzi e le ragazze di quella generazione,
dal poliziotto, dal benpensante, dal giornalista, dal mezzobusto della cronaca
nera televisiva. I loro fogli, su cui hanno scritto i loro ideali e il loro
pensiero, sono semplici e poveri. Sono ciclostilati, il più delle volte
prodotti da un vecchio arnese dell'anteguerra, col nero dell'inchiostro che
straborda a una pressione in più del dito sulla leva e macchia volentieri il
bianco del foglio coprendo parti del discorso scritto. Le copertine e i disegni
sono fatti a mano libera, con una penna a punta tondeggiante che solca e
traccia una lucida e lunga matrice teneramente plastificata: tanto basta, ad
esempio agli ironici Provos milanesi, per "dichiarare guerra agli Stati
Uniti" per il genocidio che sta compiendo contro la popolazione
vietnamita. La matrice "elettronica" verrà lì per lì ma son davvero
pochi ad averla e per chi la detiene, è una grande cosa organizzare un foglio
su cui incollare ritagli di giornali, foto e quant'altro, utili per la
riproduzione: la comunicazione, così, è più immediata, colpisce chi legge,
possono essere riprodotte e poi diffuse senza censure le immagini delle marce
antimilitariste, gli scioperi della fame o le bombe che uccidono i bambini in
Vietnam. Per i ragazzi e le ragazze, questi fogli non sono
"ciclostilati": sono veri e propri "giornali", al pari
dell'odioso "Corriere della Sera" che spara a zero su di loro.
Nessuna differenza, se non nel contenuto, ovviamente. Ecco, questi giornali (ed
ora togliamo pure il virgolettato) sono stati analizzati per rispondere
fondamentalmente ad una domanda: quale rapporto esiste, e se esiste, tra il
movimento dei giovani contestatori e gli anarchici (almeno con la componente
giovanile), o col pensiero anarchico in generale.
Questo saggio, per la prima volta,
affronta direttamente questo tema, mettendo a confronto la gioventù ribelle e
la gioventù anarchica attraverso i loro incontri comuni, le comuni battaglie e
le prospettive. Nella seconda parte del presente lavoro proponiamo ottanta
volantini prodotti tra il 1966 e il 1967 a Milano, Roma, Savona, Lentini,
Reggio Emilia, Lucca, Rimini, Brescia, ecc.; fogli spesso sequestrati su cui lo
Stato ha confezionato denunce; fogli che irridono alla gerarchia della chiesa,
al borghese, al potere, al militarismo; fogli che rigettano la grigia morale
della società borghese; fogli che urlano la demolizione di un mondo marcio.
La domanda che ci si può porre, dopo
quell'esperienza incredibile che ha preceduto il movimento del Sessant'otto, è la seguente: che fine
hanno fatto i ragazzi e le ragazze della Beat
generation?
Certamente la gran parte che ha calcato
la via della moda e ne ha consumato i prodotti è stata tranquillamente
riassorbita dal sistema, magari conservando un granello "ribelle",
che fa sempre "chic" nella società dello spettacolo.
E gli altri?
Degli altri se ne è parlato e scritto, ma
solo in parte.
Si è scritto dei personaggi più in vista
di quel mondo, se n'è seguito il cammino e le avventure in Marocco, nel Nepal,
in Afganistan, in India, o in oriente alla ricerca di altri mondi sul versante
mistico attraverso la filosofia Zen, così
come negli Stati Uniti era avvenuto con i viaggi verso il Messico e il Sud e la
riscoperta delle antiche culture dei Maya, dei Nativi americani e africani.
Altri hanno giocato sulla propria creatività in campo sociale, artistico,
dell'editoria alternativa.
Scrivendo di loro, e solo di loro, in
loro si è voluto identificare il "tutto". Anche nei documentari di
recente produzione, sicuramente interessanti per molti versi, è stata ripetuta
l'identica semplificazione che però offusca una più complessa realtà.
Una parte di quella gioventù ha
sperimentato la vita delle Comuni, quelle agricole e quelle metropolitane per vivere insieme senza regole imposte,
condividendo i gesti e i problemi quotidiani senza distinzione tra essere donna
o uomo, condividendo i pochi soldi che giravano, dicendo no alla guerra, alla
violenza, alle gerarchie, al possesso, alla gelosia... Questo era per noi la
fratellanza e questo siamo riusciti a vivere e a realizzare in uno spazio-tempo
che sembra oggi sospeso... in un'utopia futura.
Altri sono confluiti nel nuovo movimento
di contestazione dopo il "Maggio Francese" del 1968: in parte su
posizioni piuttosto distanti (per la vocazione non-violenta ed antiautoritaria)
rispetto ai gruppi politicizzati marx-leninisti o stalinisti; altri ancora ne
hanno fatto parte a pieno titolo, secondo le situazioni, il territorio, le
realtà cittadine o la provincia, pur conservando la propria natura
antiautoritaria. Altri ancora sono confluiti nei diversi e variegati gruppi
anarchici, interessandosi dell'organizzazione, creando situazioni di lotta
nelle grandi fabbriche, praticando l'anarco-sindacalismo attraverso la creazione
di "comitati di lotta", portando avanti la battaglia contro le
centrali nucleari, per l'ecologismo, per la liberazione animale. Molti di quei giovani non si sono mai
arresi e li ritroviamo ancora oggi, barba e capelli lunghi candidi, presenti
nello scontro sociale: tra i No-Tav, tra gli antimilitaristi e tra i movimenti
orientati al cambiamento radicale della società.
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