AMORE SOLO
Un racconto di Lisa
Albertini
Francesco Hayez: Il bacio |
“Non amarmi più di così, ti
prego.” disse Ilenia al Piero che da giorni, in impeti di amorosa passione, la
inondava del proprio fluido vitale. E quel pomeriggio, nel prato dietro al
bosco: “Mi sento ricca oltre ogni dire, più di così non potrei darmi a te. . .”
continuò la giovanissima interprete dell’Amore nato nell’intimo e portato dal
cuore nelle viscere della terra madre, che attende sempre di essere fecondata.
Si sentiva al culmine di quanto è umanamente possibile concedere all’amato,
senza perire. L’amato, giovane uomo di nessuna, fuorché suo. Fresco di forze e
d’immaginazione, inarrestabile al lavoro, incorruttibile nella vita, incessante
nell’amore. Conosciuto tre anni prima al funerale del padre di lui, morto
durante la testimonianza resa al comunismo per i diseredati, contro il
populismo intimidatorio dei ricchi. Dai quali era stato annullato. Il padre di
Piero, amico di suo padre, lo ricordava anche lei: barba lunga e rossiccia, occhi
verdi annacquati ma dallo sguardo altero, mani segnate dalla fatica grosse,
callose, accoglienti. Il figlio un tempo ne temeva i momenti di scontento, in
cui si scatenava con parole improprie a vituperare chi era insensibile ai suoi
ideali. Ora non più.
Ilenia,
il Piero l’aveva sposato. Erano andati a stare in un cascinale delle zone
impervie di quella regione, la Basilicata, dove la gente abita per lo più fuori
dalla città: vi sono boschi e boschi, in cui stanno anche i lupi, che ne escono
ogni tanto spaventando i pastori. E sullo sfondo, non poi così distante, ma
certo per loro fuori mano, vi erano i Sassi di Matera: la vecchia città le cui
case sembravano uscire dalla roccia della collina. Scavate come grotte, in
profondità, avevano davanti un pezzo di muro con la porta e una finestrella.
Per il resto l’abitazione si svolgeva in un antro, da cui i bimbi delle
famiglie di ieri se ne andavano spesso in non più di un anno, tramortiti da
quell’umido di montagna scavata. E i genitori restavano, ad abitare con le
bestie e a vivere uniti, come la terra permetteva.
Loro
due, come i vicini del resto, deridevano i cittadini, i quali avevano tutto
vicino, senza far la fatica di raggiungerlo a piedi o a cavallo. Né conoscevano
ritmi delle stagioni o colori delle infiorescenze, di gemme e germogli.
Solamente la loro, era vita. Sempre fuori, tra i campi da arare, il bestiame,
il puledro che nasceva, la frutta o le olive da raccogliere. E l’Inverno,
dentro a riparare attrezzi, sistemare gli angoli trascurati della casa, fare
filò a sera, davanti al camino. Con quelli, pochi per la verità, che venivano
dalle fattorie vicine. Pietro suonava il banjo, lei cantava con la sua voce
fresca e piena, qualcuno si univa nei ritornelli, gli altri ascoltavano.
Era
una terra così, nata con gli antenati di generazioni prima e rimasta uguale,
solo per loro.
Venne
però un giorno in cui Ilenia sentì debordare amore da sé con tale forza, che
l’avrebbe dato volentieri a un figlio. Le sembrava, altrimenti, amore sterile.
Lo
disse al Piero credendosi compresa, ma l’altro le rispose male, persino.
“Non
vorrai dividere noi due. . .” denunciò in un impeto di convinzione.
Oltremodo
meravigliata, non seppe lì per lì come replicare. Tuttavia si riprese.
“Sarà
l’espressione di noi due uniti!” affermò senza appello. Lui, anziché convinto,
apparve per giorni e giorni cocciuto avversario della sua richiesta.
Lei
non lo intendeva e si allontanava sempre più anche dall’accettarne gli amplessi amorosi.
“Sterili,
sono!” continuava a dire con l’animo in subbuglio. Piero tentava di riportarla
alla ragione, come diceva, accampando motivi e motivi, tutti annullati da lei
uno per uno. Persino quello economico non accettava, dicendo che un figlio, in
realtà, cresce da sé. Si sarebbe impegnata ad allattarlo, cucire i vestitini,
sistemare una culla trovata dal robivecchi: viatico sufficiente per la vita.
Piero
a momenti la trattava da bimba capricciosa, ma talvolta s’incupiva, lasciando
intuire che il proprio convincimento avverso non aveva incrinature. Ilenia, con
il tempo si scoraggiava sempre più. Tentò la strada di parlare alla madre di
lui perché lo convincesse, ma l’altra, che pure la appoggiava, non riuscì
nell’intento, sebbene avesse percorso, per questo, chilometri e chilometri, che
dividevano la sua casa dalla loro. Dopo cena, ai filò d’Inverno, a Ilenia non
riusciva più di cantare. Sino a che non fu capace nemmeno di accogliere altra
gente. Chiudeva la porta ogni sera e rimanevano loro due, davanti al camino.
Lui suonava il banjo e lei cuciva, in silenzio.
“Che
cosa cuci?” le chiese una volta.
“Una
cuffietta per il bimbo che verrà.”
“Quale
bimbo?”
“Quello
che la Provvidenza mi manderà.”
Riprese
a suonare, stupito, ma rimase zitto, sapendo che erano fole.
Venne
Primavera e Piero riavviò i lavori fuori. Si alzava il mattino alle quattro e
non tornava a casa che a sera. Ilenia gli dava il pranzo appresso, ma era
sempre troppo seria. Non rideva più, nemmeno quando le oche, sull’aia, si
becchettavano quaqquerando. Mentre un tempo la facevano sbellicare dalle risa,
con la loro rivalità nel venire a prendersi il cibo. La vita in fattoria
proseguiva ugualmente, solo tuttavia poiché l’erba cresceva e gli animali
richiedevano cura.
Accadde
qualcosa di diverso solo un mattino, quando il garzone della malga, da cui spesso
si servivano, si affacciò alla sua porta verso le dodici, mentre il sole dorava
le spighe nel campo davanti e, diretto, negava l’ombra a ogni cosa. Quello,
chiese a Ilenia se volesse burro, cacio e ricotta.
Le
portò un po’ di tutto, entrando nella fresca penombra della cucina. Lei, nel
chinarsi a prendere il denaro in un
cassetto, lasciava scorgere la morbida curvatura dei seni dallo scollo
dell’abito. Fermo in piedi, il garzone la guardò negli occhi con un’espressione
indefinibile. Nell’incanto, i soldi le caddero dalla mano, che si aprì finché
le rimase davanti: robusto, ma dolce e animato come il vento di Primavera.
Non
passò molto tempo, e Ilenia riprese a sorridere, ma solo quand’era sola e Piero
nei campi. Sentiva una creatura crescerle dentro e s’industriava ad allargare
gli abiti, sempre di più. Quando bastava poco, e si sarebbe visto, il garzone
la venne a prendere un mattino verso le dodici. La caricò su un carro fornito
di cuscini e la condusse via con sé, in un’altra fattoria a cento miglia da lì.
Aveva
dei campi, dove prese a lavorare ogni giorno. Al mezzodì tornava da Ilenia, ad
ascoltare i movimenti del bimbo. Appoggiava l’orecchio al suo ventre, in
silenzio.
Lei
faceva scorrere la mano, in una carezza, sui capelli a spazzola. E poi, lieve,
sul nido intimo e caldo, che ospitava il nuovo, amato cucciolo d’uomo.