LAVORO, AMBIENTE,
SFRUTTAMENTO
di Franco Astengo
Dunque la Regione Puglia ha
attenuato il proprio interventismo nella drammatica vicenda dell’ILVA di
Taranto: l’altoforno non si spegne e del ricorso si parlerà più avanti, dopo la
data fatidica del 9 gennaio. Nessuno o quasi ha cercato di fornire una lettura
più approfondita di questa storia, limitandosi i più a leggere semplicemente
l’antico conflitto ambiente / lavoro: quello che noi in Liguria abbiamo
conosciuto drammaticamente in tempi più lontani e recenti, da ACNA a Stoppani
fino a Tirreno Power. Conflitto conclusosi sempre con una sconfitta generale,
così com’era accaduto fin dagli anni’70 in tante occasioni analoghe, a partire
dal dramma di Seveso e da storie come quelle di ICMESA, Farmoplant e
quant’altro contrassegnate, alla fine, dalle croci nei cimiteri.
Tutti o
quasi hanno smarrito il senso profondo di quello scontro, nell’assunzione del
suo significato più radicale: quello di collocare quella che avevamo definito
contraddizione principale al centro di un nuovo intreccio sulla base del quale
esplorare inedite forme di sfruttamento che riguardavano proprio l’ambiente, la
contraddizione di genere e quant’altro allargasse la platea del dominio della
vera frattura che attraversa spaccandola la modernità. Vera frattura
rappresentata dall’eterna faglia sociale che divide sfruttati e sfruttatori.
Per dirla con una parola si scrive ambiente, si scrive lavoro e vi si leggono
dominio e sopraffazione, egoismo del potere e dell’arricchimento selvaggio: in
una sola parola capitalismo. Ed è stato su questa lettura di fondo che è
mancata la capacità d’intervento iniziativa, programmazione, proposta di unità
nella lotta dei ceti subalterni: è venuta meno, cioè, la forza della politica e
si è adeguata l’inerzia di un potere pigro e nascosto nelle pieghe
dell’autoconservazione.