di
Franco Astengo
La
fase di avvio di una delle più significative operazioni trasformistiche nella
storia della Repubblica appare contrassegnata dall’ennesimo attacco alla
Costituzione Repubblicana, soprattutto sotto l’aspetto della centralità del
Parlamento così come questa era stata disegnata nell’Assemblea Costituente.
La
riduzione del numero dei parlamentari che pare, infatti, rappresentare il
presupposto “sine qua non” della possibile trattativa M5S-PD è come noto
materia di competenza dell’articolo 138.
Non
si tratta di un caso fortuito: il numero dei parlamentari, infatti, è legato a
due questioni assolutamente fondamentali nell’assetto parlamentare:
1.La rappresentatività
politica che negli intenti dei Padri Costituenti (che non misero la formula
elettorale tra le leggi costituzionali) avrebbe dovuto essere commisurata alla
possibilità di espressione istituzionale delle più importanti sensibilità
ideologiche, culturali, politiche presenti nel Paese organizzate in partiti
(secondo l’articolo 49);
2.La rappresentatività
geografica dei territori realizzata naturalmente in equilibrio con la diversità e densità numerica della popolazione mantenendo la possibilità di presenza delle
principali minoranze linguistiche ed etniche.
Tenuto
conto di questo contesto appare evidente che un taglio “lineare” nel numero dei
parlamentari porrebbe in discussione questi due elementi collocandosi così in
un disegno di “diminutio” comunque delle prerogative delle Assemblee.
È
facile anche immaginare che dal varco aperto dalla riduzione del numero dei
parlamentari potrebbero infilarsi altre opzioni, già respinte dal voto con il
referendum del dicembre 2016, riguardanti - magari - il bicameralismo e
l’attribuzione della prerogativa - per l’appunto bicamerale - riguardante
l’espressione del voto di fiducia.
Egualmente
sarà da verificare come, in questo frangente, sarà affrontato il tema delle
cosiddette “autonomie differenziate” che non riguarda soltanto la Lega ma anche
il PD per il tramite delle richieste avanzate dalla regione Emilia-Romagna. Anche
in questo caso ci troviamo nel campo costituzionale con riferimento agli
articoli 116 e 117 del titolo V, già modificato dal centro sinistra nel 2001 a
seguito di evidenti pulsioni di stampo leghista.
A
sinistra emergono quindi ragioni molto significative per opporsi all’eventuale
disegno di accordo M5S-PD, ragioni collocate al di sopra delle stesse
valutazioni di carattere economico, sociale, culturale, di concezione
dell’agire politico. Ci è capitato di richiamare in diverse occasioni un punto
che qui è necessario ribadire: nell’occasione del già citato referendum del
dicembre 2016 nell’ambito del “NO”, si espresse anche una quota di elettrici ed
elettori di sinistra, coerentemente democratici, cui non è stata data in
seguito alcuna risposta politica agli intenti che essi avevano espresso
rifiutando la “deforma” avanzata in allora dal governo Renzi.
È
questo il momento di provvedere, sia pure in ritardo, con un’espressione di
Sinistra Costituzionale che parta da alcuni presupposti sicuramente difensivi,
li trasformi in opzione di avanzamento nella qualità della democrazia e si
ponga in questa dimensione sia sul piano della ricostruzione dell’organizzazione
politica sia della proposta di presenza istituzionale.