di
Franco Astengo
Conte e Salvini |
Nel
corso del dibattito svolto in Senato sulla crisi di governo abbiamo assistito
ad un inedito sul piano della comunicazione e dell’azione politica.
Per
la prima volta in una occasione di questo tipo si è sviluppata una sorta di
verifica in sede istituzionale del peso assunto da quel processo di
personalizzazione della politica che ormai da diversi anni ha assunto un ruolo
preminente nell’insieme dell’agire politico. Personalizzazione che si è
sviluppata parallelamente al cambiamento profondo del ruolo dei partiti.
Si
sono così modificati i termini di confronto all’interno della democrazia
repubblicana rispetto al tipo di regime parlamentare disegnato dalla Costituzione.
Nel
corso dell’intervento del presidente del Consiglio Conte si è sviluppato,
infatti, un attacco diretto rivolto - usando tra l’altro toni direttamente colloquiali
- al vice presidente e ministro dell’interno Salvini.
Un
attacco evidentemente finalizzato a scindere le responsabilità dello stesso
Salvini al riguardo dell’apertura della crisi rispetto a quelle assunte dal suo
partito: la Lega.
Un’operazione
molto raffinata volta essenzialmente a spezzare il filo che ha fin qui stretto
il partito ex-nordista al suo leader.
L’obiettivo
di Conte è stato quello di superare il meccanismo di identificazione tra
Salvini e la Lega che ne aveva fin qui accompagnato la crescita impetuosa fatta
registrare nel corso degli ultimi mesi.
Nello
stesso tempo il presidente del Consiglio (che ricordiamolo non è leader di
partito) ha posto oggettivamente se stesso come contraltare diretto,
rivendicando in proprio i presunti successi dell’esecutivo, e proponendosi come
nuovo soggetto continuatore nel solco del meccanismo di egemonia della visione
personalistica della politica.
Da
Berlusconi a Renzi, da Grillo a Salvini adesso toccherebbe a Conte: questa però
è ancora fantapolitica. L’elemento sul quale gli analisti dovrebbero cercare di
riflettere riguarda invece l’ingresso massiccio dello scambio personalistico
diretto all’interno di un dibattito parlamentare di grande spessore
istituzionale, come quello riguardante l’apertura di una crisi di governo. Conte
si è proposto come erede di una presunta capacità personale di imporre
egemonia: questo pare essere il succo di questa giornata parlamentare molto
complessa e dall’esito di assoluta incognita.
L’idea
del “leader solitario” addirittura senza partito sembra rappresentare il
seguito possibile dell’idea di “democrazia recitativa” ormai impostasi nel
determinare la governabilità del Paese fin dal 1994, anno della berlusconiana
“discesa in campo”.