E IL SILENZIO DELLA NATURA
di
Fulvio Papi
Vinicio Verzieri "Dissolvimento" |
Se
costruire i fatti storici fosse simile a un gioco di intelligenza compositiva,
allora non c’è dubbio che sarebbe facilissimo trovare il modo per salvare nel
mondo contemporaneo la nostra vecchia Europa, superando tutte le forze avverse
che, non solo sono ben presenti nel nostro continente economicamente e anche
ideologicamente, ma anche nel più vasto spazio mondiale. Per esempio negli
Stati Uniti dove l’unità politica europea sarebbe un altro fattore della
imperiale decadenza che mette in crisi una potenza che, per oltre un secolo, è
stata decisiva, nel positivo e nel negativo, delle sorti del mondo. Oggi,
invano, cerca di restaurare il proprio dominio con la retorica che fiorisce
accanto alla “conquista” dello spazio. Il nostro gioco però è privo di
illusioni, e la sua razionalità ha imparato (forse più da Machiavelli che da
Hegel) a fare conto della realtà delle forme oggettive, piuttosto che di una
metafisica del disegno storico.
In
questa prospettiva solo la Germania, con una totale alleanza con la Francia
(l’antico sogno filosofico del giovane Marx), può costituire il polo di
aggregazione e di sviluppo per una trasformazione europea a livello politico
che non compromette affatto le tradizioni locali, come del resto è avvenuto in
tutti i processi della formazione degli stati nazionali. Oggi (la storia è il
luogo della mutazione temporale) le decisioni fondamentali richiedono proprio
la trasformazione degli stati nazionali, con tutti gli apparati che ne
costituiscono il potere, in stati federali con un’unica dimensione politica.
Cattaneo riteneva che questa impresa fosse più facile che federare paesi e
borghi. Aveva torto, ma per la ragione che “federare” stati in un’unica potenza
significava condizionare in una rinascita della progettualità politica la
forza, attualmente vincente, del potere economico. Questa trasformazione dei
rapporti tra il politico e l’economico può ridare un senso
positivo e attivo a quell’umanesimo che, in varie forme, è stato sempre
rivendicato come cultura europea sia in direzione dell’Oriente che
dell’Occidente. Un umanesimo, va detto, che era diventata una dimensione morale
e retorica, priva di una sua identità politica, un sentimento, una opinione e,
nella cultura più alta, una metafora della nostalgia.
Quando
fu deciso il mercato comune e poi l’unità monetaria, si fecero ovviamente
calcoli economici, spesso dibattuti com’era naturale. E tuttavia credo non sia
improprio ritenere che l’aura etica di questi provvedimenti, risentisse del
pensiero federalista, e, indirettamente, dell’eco storico delle stragi che per
due volte nel secolo hanno sconvolto l’Europa. E oggi, queste memorie? So bene
come sia complesso il rapporto tra potere economico, finanziario, politico,
tale che tenga conto dei consensi necessari per la propria legittimazione. E
tuttavia il bene talvolta richiede più di un sacrificio emotivo o, peggio,
della elaborazione di un risentimento. A qualcuno, dunque, può parere penoso e difficile,
ma solo un organismo politico europeo (e non solo una stipulazione finanziaria
ancorché solidale) che vada oltre la forma storica degli stati - nazione -
popolo - lingua (che, a sua volta, è una potentissima ideologia), è in grado di
entrare già oggi nel nuovo equilibrio del mondo. Fare previsioni storiche è un
esercizio difficile e spesso anche inutile, si può solo dire con certezza
relativa che il futuro, per noi antichi personaggi eurocentrici, sarà più
complicato.
Opera di Vinicio Verzieri |
Sono temi che gli specialisti hanno già in esame, peccato che non filtrino mai nella informazione comune. Sono tutti temi strettamente connessi con la consapevolezza di una trasformazione che va dalla produzione ai consumi, indispensabile per mantenere la nostra forma di vita in un mondo compatibile con le sue forme essenziali. Siamo nella stagione finale dell’autonomia razionale dell’economia. Il pensiero teorico talora anticipa lo sviluppo dei fatti. E la critica del dominio del calcolo economico attraversa almeno due secoli. Nel greco di Omero si chiama destino, rispetto al quale la cultura della modernità (per molti aspetti fondamentale) ha dovuto mostrare i suoi limiti che, nella sua enfasi, aveva dimenticato di pensare. E sono limiti che non derivano solo dai processi produttivi e dal loro senso planetario, ma anche da quel silenzio della natura che non siamo stati più capaci di ascoltare.
Un
virus di cui nulla si sapeva, ma che gli esperti prima o poi attendevano: una
invisibile forma del mondo che ci avrebbe ricordato che noi non simo la sintesi
dell’essere (secondo una idealistica visione dell’evoluzione), ma i
protagonisti di una straordinaria vicenda, alla superficie come al fondo della
quale, vi è sempre la irriducibile creatività della natura.
Il
nostro pensiero (ricordiamo l’ich denke kantiano) si coniuga,
illuministicamente, con un’idea di immunità del soggetto, ma ora subiva un
guasto rilevante, l’ingresso di una insufficienza rimossa. L’epoca dello
spettacolo di una intelligenza in continua ascesa apriva d’improvviso, quasi
rompendo un tempo uniforme, uno spazio inquietante, di solito oscuro:
l’evidenza della fragile incertezza della figura antropologica. In una
situazione economico-sociale che già imponeva un difficile (ma necessario)
mutamento della complessiva riproduzione sociale, l’aggressione del virus, se
non ci ha messo in alcuna situazione “originaria”, è stata per molti fatale, e
ha prodotto una notevole incertezza riguardo al collettivo “dopo”.
Nella
immaginazione del “dopo”, è dalla paura, come forma della conoscenza, che derivano
i beni essenziali necessari, per mantenere un livello accettabile di civiltà. Il
consumismo subisce distinzioni di valore e l’intelligenza progettuale avrà, in
questa prospettiva inattesa, un suo condizionamento che misurerà il suo valore
nel suo vero potere sociale. C’è una parola che apre la scena “lavoro per poter
vivere”.
Opera di Vinicio Verzieri |
Per
chiudere tuttavia mi limiterò a proporre una ipotesi. Nella situazione
esistente un aumento dei prezzi è facilmente immaginabile e le sue conseguenze
colpiranno soprattutto la “piccola borghesia” (già vittima delle crisi
finanziarie). Un ceto vasto che da tempo (la società affluente, lo sviluppo dei
consumi) è abituato a costruire la propria identità attraverso l’accesso a
consumi sempre rinnovati, che costituiscono la propria certezza sociale e il
proprio soddisfacente riconoscimento. Da tempo sappiamo che molte merci hanno
una rappresentazione ideologica. Costi di produzione, prezzi e selezione
estetizzante hanno realizzato una concordanza che consentirebbe di identificare
una “classe media” come elemento sociale portante del sistema. E se il nuovo
corso economico colpisse proprio alcuni punti centrali di quella identità (le
vacanze, la capacità di spesa superflua ma positiva per l’apparizione e per la
stima di sé, la certezza che questo stile potrà ripetersi, ecc.)? Se le
immagini di mode collettive diventassero troppo lontane? Temo anche che questo
ceto non abbia un vero risarcimento ideale. Un anglosassone direbbe che questo
ceto rischia di perdere le proprie abitudini. Ci si può fermare qui, senza
chiamare in campo le analisi filosofiche continentali molto complesse. Resta il
timore per una situazione sociale che riproduca anche solo l’ombra delle
ipotesi considerate. Parlare di disoccupati è più che corretto, ma bisogna non
dimenticare il senso della disoccupazione che non è paragonabile, se non per i
numeri, a quella del 1929. Mi auguro però che le ipotesi siano simili a quelle
che Newton rifiutava nella sua ricerca scientifica.