di
Franco Astengo
Mai
come oggi è il caso di esclamare: Viva la Repubblica!
La Repubblica non ha mai attraversato un momento così difficile:
né nel luglio ‘60, né nel maggio ‘78 e nell’agosto ‘80, né con Tangentopoli, né
con gli assalti tentati alla Costituzione nel 2006 e nel 2016 e respinti dal
voto popolare, né con l’emanazione di leggi elettorali giudicate
incostituzionali dall’Alta Corte.
Abbiamo
attraversato periodi di supplenza della democrazia esercitata da soggetti
esterni al Parlamento come nel caso della Magistratura.
Oggi
però il pericolo viene da dentro, da una classe politica chiaramente al di
sotto del proprio compito storico e con al proprio interno forti tendenze
negative (dall’uno vale uno, alla richiesta di pieni poteri, alla voglia di
frantumazione dell’identità nazionale, al dilagare di un personalismo
addirittura competitivo sul piano istituzionale) e dalla marea, sorda ma
montante di una disaffezione crescente verso l’esercizio della politica. Una
disaffezione che sull’onda del peso fortissimo della crisi economica provocata
dall’emergenza sanitaria potrebbe tramutarsi in protesta in grado di generare
una tensione sociale capace di reclamare un restringimento dell’agibilità
democratica. Senza tema di essere tacciati di retorica è il caso allora di
ricordare ancora una volta che la democrazia repubblicana è nata dalla
Resistenza ed è stata inverata dalla Costituzione.
È
anche il caso di entrare nel merito del significato profondo di ciò che accadde
il 2 giugno 1946, snodo decisivo della nostra vita democratica: punto
conclusivo della Resistenza e di principio per il progetto della Costituzione.
La
nascita della Repubblica Italiana ha rappresentato un evento preciso e datato,
e occorre studiarlo valorizzando il fatto che si trattò di una scelta affidata
direttamente alle elettrici e agli elettori, dopo lunghi anni in cui gli uomini
non avevano esercitato il diritto di voto e le donne non erano mai state
chiamate alle urne.
La
valutazione circa il valore della scelta referendaria va quindi inserita in un
contesto ampio dando maggior rilievo di quanto non ne sia stato dato in
precedenza agli aspetti istituzionali legati allo strumento usato del
referendum. In quel voto furono investite, da entrambe le parti quella repubblicana
come quella monarchica, grandi cariche emotive popolari come mai prima di
allora e come forse non è mai avvenuto in seguito.
Accenniamo
agli aspetti istituzionali della scelta del 2 giugno 1946, perché fu proprio
attraverso la scelta del Referendum che l’Italia voltò pagina davvero senza
alcuna possibilità di una sorta di “ripresa di continuità” con l’Italia dei
notabili liberali pre-fascisti.
La
Repubblica è dunque nata in Italia a seguito di un referendum, con uno
strumento per sua natura bipolare.
Forse
la predominante attenzione, in molte ricostruzioni riferite agli anni
successivi, alla “consociazione tramite la partitocrazia” come elemento
caratterizzante del sistema politico italiano, ha reso meno sensibili storici e
analisti politici al momento fortemente bipolare rappresentato dal referendum
istituzionale.
Lo
strumento referendario, per sua natura bipolare e non consociativo e nel caso
specifico di tipo propositivo, servì essenzialmente alla difficile saldatura
tra l’Italia repubblicana che stava nascendo e l’Italia monarchica, garantendo
il consenso popolare al nuovo ordinamento.
Una
risposta necessaria alla realtà di allora, una realtà nella quale c’erano tante
cose e tanti vissuti contraddittori difficilmente compatibili: c’erano le forti
appartenenze popolari che mobilitavano il Paese, più che in ogni altro momento
della sua storia, ma lo dividevano anche in profondità; c’era l’esperienza
della Resistenza; c’era la frattura creata dalla Repubblica sociale.
Tornando
alla valutazione relativa alla realtà istituzionale rappresentata, in quel
momento, dal referendum si può dunque affermare che, forse più dell’elezione
dell’Assemblea Costituente, proprio il referendum servì a realizzare una nuova
saldatura, a creare le condizioni per una nuova cittadinanza per tutti gli
italiani.
La
scelta istituzionale divenne così per i partiti che la sostennero con
accanimento, quelli della sinistra comunista, socialista, laica un’occasione
per porre i problemi di contenuto e non una mera scelta di bandiera.
Emerge,
così, un’ulteriore linea di ricerca: quella del ruolo dei partiti come fattori
di educazione politica, e di riflesso, della condizione del cittadino italiano
nell’esercizio della sovranità popolare e più concretamente del diritto di
voto: il problema della sua informazione, della sua educazione alla politica,
dei condizionamenti sulle sue scelte e quindi della libertà di voto.
Nelle
contraddizioni di quella fase si può parlare del ruolo dei partiti come di un
fattore fondamentale del recupero di un senso della cittadinanza, dell’adesione
ai partiti come forma personale di appartenenza alla collettività politica
nazionale: si determinò così il modo di essere cittadino dalle origini della
Repubblica almeno per tutto il quarantennio successivo.
Una
memoria da non disperdere e un monito per l’oggi.