di
Felice Besostri*
A
futura memoria
Gli
elettori, cioè il corpo elettorale, che rappresenta il popolo, al quale appartiene
la sovranità nella nostra Repubblica democratica rappresentativa, il 4 marzo
2018, vi ha affidato la responsabilità di governare, malgrado una legge
elettorale di sospetta costituzionalità, contro la quale avete condotto
un’opposizione politica e giudiziale ferma e determinata, impegnandovi come
singoli parlamentari e come gruppi di Camera e Senato, alla quale ho collaborato.
Non
ha avuto successo, ma ha contributo a far maturare un diverso orientamento alla
Corte Costituzionale sui conflitti di attribuzione promossi da parlamentari ed
ora il principio è acquisito: il singolo parlamentare è un potere dello Stato.
Non ha ancora trovato una concreta applicazione, perché nei ricorsi in materia
di bilancio la Corte Cost. non ha ravvisato la grave violazione delle
prerogative del singolo deputato, ma lo strumento di tutela esiste e se il
nostro ordinamento fosse minacciato nei suoi principi supremi ci si potrebbe
appellare.
Il
suo fondamento è nell’art. 67 Cost. “Ogni membro del Parlamento rappresenta
la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ogni
membro, non il Parlamento nel suo complesso, rappresenta la Nazione, che è un
altro modo per dire il popolo, cui appartiene la sovranità. Quindi il
parlamentare non rappresenta il partito che l’ha candidato, né gli elettori che
l’hanno votato, né il territorio della circoscrizione di elezione. Per questa
ragione c’è il divieto di mandato imperativo, pietra angolare della moderna
democrazia, deve rappresentare l’interesse generale, non di clero, nobiltà o
Terzo Stato o di altre corporazioni, meno ancora di lobby o gruppi di pressione
o di interesse. Il divieto di mandato imperativo è tutela di questi valori non
dei volta gabbana, perché la Costituzione è un corpo organico.
L’art. 67 Cost. va letto con l’art. 54 Cost.
in particolare il secondo comma “I cittadini cui sono affidate funzioni
pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando
giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Chi lascia un gruppo per
ragioni personali o di convenienza viola l’art. 54.2 Cost. Il concetto di onore
è chiaro per tutti. Per disciplina non si intende obbedienza, che sarebbe
contraddittorio con l’art. 67 Cost., ma rigore morale, e chi abbandona per
essere rieletto sotto altre bandiere dimostra di non avere disciplina e onore.
Parliamoci
chiaro, la responsabilità maggiore l’hanno i partiti che hanno preferito le
liste bloccate, nell’illusione di avere soldatini ubbidienti, invece che
parlamentari preparati ed interessati al bene pubblico. Sull’abolizione del
divieto di mandato imperativo le nostre strade si sono divise, perché è il
classico rimedio peggiore del male (toppa peggiore del buco). Bastava imparare
dalle regole del Parlamento europeo. Chi non fa più parte di un gruppo è un
deputato non iscritto, ma allora si doveva intervenire sulla legge elettorale e
sui regolamenti parlamentari. I partiti o gruppi politici organizzati hanno il
monopolio della presentazione di liste alle elezioni, ma non abbiamo una legge
organica sui partiti politici. Soltanto così si potrebbe adottare una normativa
di collegamento tra liste di candidati e gruppi parlamentari, che impedisca di
lasciare a titolo individuale un gruppo e di iscriversi ad un altro, se non in
caso di scissione di un partito o di abbandono collettivo di un gruppo in
seguito a una discussione pubblica e ad una votazione nel gruppo.
Se
ci fossero voti di preferenza o solo collegi uninominali sarebbe più difficile
errare da un gruppo ad un altro: chi lascia deve metterci la faccia non trovare
un nuovo capo che lo ricandidi in posizione eleggibile. Non sono mai stato
iscritto al M5R, come l’amico Ferdinando Imposimato, con cui ho fatto scelte
parallele, dopo le elezioni del 2013. Entrambi abbiamo fatto parte di una
sinistra democratica di orientamento socialista.
I
risultati delle elezioni 2013 segnano il passaggio a un sistema politico
tripolare a partire da un sistema politico bipolare artificiale, cioè indotto
da leggi elettorali con coalizioni avvantaggiate rispetto alle liste singole e
premi di maggioranza senza rapporto con il consenso popolare. Un fatto positivo
che andava salvaguardato, specialmente da chi aveva combattuto la legge
n.270/2005, da tutti conosciuta come porcellum, che sarà finalmente
annullata nel gennaio 2014. Tuttavia il
pensiero dominante andava in altra direzione, bisognava assicurare la
governabilità e una nuova maggioranza che rompesse gli schemi bipolari non era
ancora disponibile, come dimostra la fine prematura di un incarico a Bersani,
che pure aveva sconfitto Renzi per la leadership del PD: il risultato è la
deforma costituzionale Renzi-Boschi e la sua legge elettorale incostituzionale,
la n. 52/2015, approvata con 3 voti di fiducia, richiesti dal governo e ammessi
dall’allora Presidente della Camera Boldrini in violazione dell’art. 72.4 Cost.
e dell’opinione di una Presidente di altro e più alto spessore, come la compagna
Nilde Iotti, espressa con adamantina chiarezza nel 1980. “ Con la richiesta di
voto di fiducia l’iter di approvazione di una legge diventa speciale, perché la
norma è nella Parte Terza e non nella Seconda del Regolamento”(quella che
regola appunto “La procedura normale di esame e di approvazione diretta da
parte della Camera” richiesta dall’art. 72 della Costituzione per le leggi “in materia costituzionale ed elettorale”: fate
attenzione all’endiadi, che equipara Costituzione e legge elettorale)[1]
Il
M5S ha dato il maggiore contributo di ricorrenti parlamentari ai ricorsi, anche
parlamentari della sinistra lombarda e laziale e persino una deputata centrista
umbra, erano della partita, ma a titolo individuale, solo il M5S è stato presente
con i suoi capigruppo e con i più alti esponenti nelle istituzioni, basta
vedere chi ha sottoscritto il ricorso in Campania. La sentenza n. 35/2017 ha
coronato l’iniziativa eliminando per la seconda volta il premio di maggioranza
bipolare, ma soprattutto facendo un’importante affermazione di principio, che
in materia di tutela di diritti costituzionali fondamentali, se una norma crea
dubbi sulla estensione di questi diritti, basta la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale per attivare la tutela giudiziale. Non c’è bisogno che sia applicata.
Si capisce il passo in avanti: la legge n. 52/2015 sarebbe stata di effettiva
applicazione dal 1° luglio 2016 la sentenza di annullamento parziale è stata
depositata il 9 febbraio 2017. Per fortuna del Ministro Buonafede i nemici
della sospensione della prescrizione non si occupano di tutela dei diritti
costituzionali, secondo loro violati, sarebbero già davanti alla Corte
Costituzionale se avessero letto la sentenza, per la quale ci siamo battuti. Ma
andare in Corte Costituzionale è un rischio, invece si voleva vivere di rendita
politica per una qualche candidatura in elezioni che si sperava imminenti.
La
lezione delle sentenze n. 1/2014 e 35/2917 era stata recepita solo dal M5S e
pochi altri in parlamento e grazie a loro il germanicum (che
sprezzantemente alcuni di noi chiamavano il tedeschellum o con ibrido di
lingue maccheroniche tedeskellum) non passò proprio per una norma
sudtirolese e per far digerire il rosatellum
furono necessari 8 voti di fiducia 3 alla Camera senza problemi per la
volonterosa on. Boldrini e 5 al Senato imposti a quel galantuomo e servitore
dello Stato sen. Grasso, che ne trasse le conseguenze. Il contrasto al Rosatellum, che non è
il nome di un buon vino ma di una pessima legge elettorale è stato fatto
solamente, salvo le solite eccezioni individuali, dal M5S, senza apparente
successo a meno di sorprese del tribunale di Catanzaro che deve depositare una
sentenza entro settembre/ottobre Al tribunale di Roma la prossima udienza è il
2 dicembre 2020.
Ferdinando Imposimato |
Spero
che sia approvata prima una nuova legge, con modifiche del ddl A.C. 2329, che è
comunque meglio della l.n. 165/2017 come modificata dalla l.n. 51/2019, che ha
accentuato l’incostituzionalità al Senato, dove nel riparto tra seggi
uninominali maggioritari e plurinominali proporzionali, applicando regole
diverse dalla Camera si sono sottratti 16 seggi su 196 alla parte proporzionale
per darli in più al maggioritario, cioè alle coalizioni, di cui finora non
avete fatto parte. Non sono pochi, superano quelli iniziali di LeU su 317, su
196 rappresentano un 8,16%, un partito molto sopra la soglia del 3%, ma anche
del 5%. Quest’ultima soglia c’è in Germania ma con deputati, di norma più di
600, 631 quello in carica, come il precedente. Con 400 della futura Camera è
discutibile, con i 200 del Senato eccessiva, forse anche incostituzionale.
Quando, insieme con Imposimato, abbiamo prestato le nostre competenze per
battaglie di principio, non c’era adesione politica a tutto il programma del
Movimento, né ci è stato chiesto, né abbiamo chiesto nulla in cambio. Per
vostra autonoma decisione avete candidato Imposimato alla Presidenza della
Repubblica e me, tra altri alla Corte Costituzionale, un segno di simbolico
riconoscimento, che ricordo con piacere.
La
ragione di fondo, anche se i nostri rapporti, per scelta di molti di voi, sono
al lumicino è che il nostro sistema politico deve restare tripolare, almeno c’è
speranza che sorga un polo di sinistra democratica e sociale di orientamento socialista e
libertario, che sappia riunire le migliori tradizioni storiche del movimento
operaio italiano, come sviluppo del Partito dei Lavoratori sorto a Genova nel
1892 e che si è rotto nel 1921: l’anno prossimo saranno 100 anni. Stiamo a
vedere cosa si farà l’anno prossimo o nel 1922 nel 130° anniversario di Genova,
magari nel nome di Gramsci e Matteotti, piuttosto che di Craxi e Berlinguer. Per
avere un sistema tripolare il M5S non deve scendere sotto il 20%, meglio ancora
intorno al 25%. Per la stabilità di un Governo giallo-rosa il PD dovrebbe avere
la stessa percentuale. Se poi si auspica un governo giallo-rosso (senza
equivoci sono milanese ed interista) la terza gamba del Governo dovrebbe
aspirare al 10%, ma solo dopo aver cambiato nome in LUeU, Liberi Uguali e
UNITI.
Resto
di quest’idea anche se gli ultimi atti della maggioranza e del Governo sono
deludenti. La fretta di convocare il referendum costituzionale per poi revocare
comizi elettorali referendari senza indicare contestualmente o parallelamente
una nuova data. Involontariamente si è creato precedente gravissimo se
applicato all’art. 61 Cost. Una maggioranza meno attaccata di questa alla
Costituzione, che grazie al premio di maggioranza nascosto nel Rosatellum
facilitato e amplificato dalla legge n. 51/2019, si è scelto un Presidente
complice, può in caso di scioglimento del Parlamento convocare le elezioni e
poi revocarle.
Per
i referendum, pace, ma per le elezioni l’art 61 Cost. è chiaro “Finché non
siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti”.
Non succederà mai, ma proprio per questo il Governi deve cambiare linea di
difesa e non dire c’è carenza assoluta, in altre parole si può fare: nessun
giudice se ne può occupare. Dimostrate che non intendete creare precedenti:
rinunciate alla Giornata Elettorale Unica, ottenuta con un voto di fiducia
incostituzionale o almeno rispettate la lingua inglese e chiamatela election’s
days: si vota domenica e lunedì. E non di celebri il referendum finché non
è pronto un libretto informativo, completo delle ragioni del Sì e del No, come
si fa in Svizzera. Sarà difficile spiegare che il Trentino-Sudtirolo ha 6
senatori come la Calabria, con il 92% di abitanti in più del Trentino-Alto
Adige.
Questa
lettera doveva partire il 23 ma il 24 su discuteva al TAR Lazio il ricorso
contro il taglio drastico dei parlamentari, non contro una sensata riduzione, e
il 25 contro il taglio dei vitalizi. Non è questa la sede per parlarne, posso
solo ribadire che se fosse stata fatta con legge sarebbe già andata in Corte
Costituzionale e non me ne sarei occupato. Ora tutti dimostrino se sono forze
di governo e non momentaneamente al Governo o all’opposizione.
Si
è ancora in tempo per cambiare rotta e occuparsi dei problemi veri del paese.
*Amico del popolo e della
Costituzione
Nota
[1] Una
legge elettorale incostituzionale è la ferita più grave alla democrazia
costituzionale: ne abbiamo avute due ufficialmente, ma approvate tre. Con la
prima abbiamo rinnovato tre Parlamenti nel 2006, 2008 e 2013, la seconda è
stata annullata per tempo e con la terza abbiamo celebrato le elezioni del 2018.