LUCI E OMBRE DEL TRATTATO ONU
SULLE ARMI NUCLEARI
di Manlio Dinucci
Il Trattato sulla proibizione
delle armi nucleari, adottato a grande maggioranza dalle Nazioni Unite il 7
luglio, costituisce una pietra miliare nella presa di coscienza che una guerra
nucleare avrebbe conseguenze catastrofiche per l’intera umanità.
In base a
tale consapevolezza, i 122 stati che l’hanno votato si impegnano a non produrre
né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non
trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Questo è il
fondamentale punto di forza del Trattato che mira a creare «uno strumento
giuridicamente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti
verso la loro totale eliminazione».
Ferma
restando la grande validità del Trattato – che entrerà in vigore quando, a
partire dal 20 settembre, sarà stato firmato e ratificato da 50 stati – si deve
prendere atto dei suoi limiti. Il Trattato, giuridicamente vincolante solo per
gli stati che vi aderiscono, non proibisce loro di far parte di alleanze
militari con stati in possesso di armi nucleari. Inoltre, ciascuno degli stati
aderenti «ha il diritto di ritirarsi dal Trattato se decide che straordinari
eventi relativi alla materia del Trattato abbiano messo in pericolo i supremi
interessi del proprio paese». Formula vaga che permette in qualsiasi momento a
ciascuno stato aderente di stracciare l’accordo, dotandosi di armi nucleari. Il
limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli
stati in possesso di armi nucleari: gli Stati uniti e le altre due potenze
nucleari della Nato, Francia e Gran Bretagna, che possiedono complessivamente
circa 8000 testate nucleari; la Russia che ne possiede altrettante; Cina,
Israele, India, Pakistan e Nord Corea, con arsenali minori ma non per questo
trascurabili. Non aderiscono al Trattato
neppure gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio,
Olanda e Turchia che ospitano bombe nucleari statunitensi. L’Olanda, dopo aver
partecipato ai negoziati, ha espresso parere contrario al momento del voto. Non
aderiscono al Trattato complessivamente 73 stati membri delle Nazioni Unite,
tra cui emergono i principali partner Usa/Nato: Ucraina, Giappone e Australia.
Il Trattato non è dunque in grado, allo stato attuale, di rallentare la corsa
agli armamenti nucleari, che diviene sempre più pericolosa soprattutto sotto
l’aspetto qualitativo. In testa sono gli
Stati uniti che hanno avviato, con rivoluzionarie tecnologie, la
modernizzazione delle loro forze nucleari: come documenta Hans Kristensen della
Federazione degli scienziati americani, essa «triplica la potenza distruttiva
degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere
«la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici
con un first strike di sorpresa». Capacità che comprende anche lo «scudo
anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato
dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina.
La Russia e
la Cina sono anch’esse impegnate nella modernizzazione dei propri arsenali
nucleari. Nel 2018 la Russia schiererà un nuovo missile balistico
intercontinentale, il Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare
10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica
(oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili
intercettori forando lo «scudo».
Tra i paesi
che non aderiscono al Trattato, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. La
ragione è chiara: aderendo al Trattato, l’Italia dovrebbe disfarsi delle bombe
nucleari Usa schierate sul suo territorio. Il governo Gentiloni, definendo il
Trattato «un elemento fortemente divisivo», dice però di essere impegnato per
la «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (Tnp), pilastro del
disarmo».
Trattato in
realtà violato dall’Italia, che l’ha ratificato nel 1975, poiché impegna gli
Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari,
né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». L’Italia ha
invece messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per
l’installazione di almeno 50 bombe nucleari B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre,
al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova
arma Usa da first strike nucleare. In tal modo l’Italia, formalmente paese
non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso
confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.
Perché il
Trattato adottato dalle Nazioni Unite (ma ignorato dall’Italia) non resti sulla
carta, si deve pretendere che l’Italia osservi il Tnp, definito dal governo
«pilastro del disarmo», ossia pretendere la completa denuclearizzazione del
nostro territorio nazionale.