Ramallah.
Ancora sangue
e odio sparati su un ragazzino
di Paolo Loreto
Nel villaggio di Nabi
Saleh, assurto alcuni mesi fa agli onori della cronaca per l’arresto della
giovane Ahed Tamimi, della mamma, colpevole di andare a chiedere sue notizie, della
cugina, colpevole a sua volta di aver gridato contro i soldati occupanti e del
cugino, colpito e devastato da un proiettile in pieno volto e poi arrestato, i
soldati hanno fatto una nuova vittima in modo al tempo stesso assurdo e
crudele.
Izz
Abdelafez Tamimi, un ragazzino di 15 anni della stessa grande e sfortunata
famiglia, è stato colpito alla gola da
un soldato israeliano. E’ una morte di “routine”, non farebbe neanche notizia
se il caso non ci avesse portato ad assistere all’incredibile dinamica che ha
reso ancora una volta evidente la crudeltà dei soldati dell’esercito che, a
nessun titolo, viene definito il più morale del mondo.
Incredibile
non in sé, purtroppo la morte da queste parti è sempre in agguato, ma soltanto
perché si tratta dell’azione di soldati di uno Stato che ambisce ad essere
definito democratico. E’ vero che anche nei “democratici” States, di queste
esecuzioni, generalmente contro uomini di origine africana ce ne sono a volontà
e a nessuno viene in mente di privare gli USA della qualifica di nazione
democratica, ma questo non impedisce, a chi al termine attribuisce un
significato autentico, di notarne l’orrore e le contraddizioni.
Una
cosa unisce gli USA ad Israele, anche mettendo da parte la protezione (ormai
fattasi pubblicamente vera e propria connivenza) dei primi sul secondo. Ciò che
li unisce è un sottile e sempre riaffiorante razzismo. Per gli Usa lo è verso i
neri, come attestano i numerosi casi che riescono ad emergere grazie a chi
questo razzismo lo detesta e lo denuncia filmandolo, per Israele lo è nei
confronti dei palestinesi come mostrano i casi quotidiani, sia quando si tratta
di immotivati assassinii, sia quando si tratta di arresti, sia quando si tratta
di mortificazioni quotidiane come quelle cui abbiamo il “privilegio” di
assistere stando qui, ad esempio tra la gente che prende i bus pubblici e che,
se palestinese, è costretta a scendere a comando dei soldati per essere
controllata fuori del bus, allineata come gregge alla mercé dei controllori e
dei loro capricci. Stamattina i soldati dell’IDF hanno dato ulteriore prova di
questo loro sentire, non solo sparando al collo di un ragazzo colpevole di aver
lanciato dei sassi contro le camionette che andavano a devastare il suo
villaggio cercando la preda quotidiana, ma impedendo ai suoi familiari di
soccorrerlo e portarlo in ospedale.
Video
girati clandestinamente col cellulare, certo non di buona qualità, ma
inattaccabili come testimonianza, mostrano la crudeltà inutile dei soldati in
risposta al dolore e alla rabbia degli abitanti che gridano mustashfà, cioè
ospedale, e che provano a ripetere in inglese, come fosse un problema di
lingua, la richiesta di portare subito il ragazzo in ospedale. No, semmai verrà
arrestato, perché non è la prima volta che i soldati israeliani arrestano
ragazzi moribondi, ma tanto una ferita al collo è un colpo destinato ad
uccidere e ci sarebbe stato poco da fare. Quello che colpisce noi, osservatori
casuali dell’omicidio, ma conoscitori da tanti anni della realtà palestinese, è
la totale mancanza di pietas. Quel sovrappiù che si aggiunge alla già illegale
e crudele occupazione e allo stesso omicidio, commesso come fosse la pratica
burocratica di un annoiato impiegato del catasto. Questa disumanizzazione
dell’altro, tipica dei regimi di apartheid, occulta o manifesta che sia, non
solo è un’officina di odio, ma ha un effetto specchio: disumanizzando la
vittima, disumanizza il carnefice. Questo è ciò che si percepisce sempre di più
vivendo nei Territori palestinesi occupati e quindi, per necessità, a continuo
contatto con Israele.
L’omicidio
del giovane Izz Abdel Tamimi, che forse verrà ignorato dai media mainstream, o
forse verrà infilato nella categoria “scontri” sempre adatta a giustificare i
killer, è un’ulteriore conferma di questa perdita costante di decenza umana dalla quale Israele sembra ormai
affetto senza possibilità di cura. Gli stessi, pochi israeliani, che
manifestano contro questi avvenimenti vengono dileggiati o ignorati, e questo è
un altro sintomo del male. Per oggi da Ramallah è tutto, ma la giornata è
ancora lunga e il nuovo martire non aiuta certo a sperare che la pace sia
dietro l’angolo.