Una
risposta di Astengo a un articolo di Migone
e un commento di Felice Besostri.
L'articolo
di Gian Giacomo Migone e la lettera di Adriana Re pubblicati dal “il Manifesto”,
meritano una replica immediata, collocata all'altezza della qualità di
argomentazioni da essi addotte che richiedono il massimo di considerazione.
La
riduzione del numero dei parlamentari, il monocameralismo oppure la
differenziazione del bicameralismo paritario con altre modifiche della legge
elettorale hanno storicamente fatto parte dei programmi istituzionali della
sinistra comunista, sia della commissione problemi dello Stato del PCI, sia del
CRS diretto a suo tempo da Pietro Ingrao, anche dello stesso PdUP e della
Sinistra Indipendente (si ricordi la relazione Milani - Pasquino alla
Commissione Bicamerale Bozzi del 1985, proprio sul tema della legge
elettorale).
In
quei progetti si sommavano diversi elementi (anche tecnici) che puntavano a
garantire la piena espressione della volontà dell’elettorato, la
rappresentatività istituzionale delle forze in campo, la formazione di governi
coerenti con la capacità programmatica delle forze disponibili.
Contrapposizione
vi fu con la “grande riforma” craxiana perché orientata verso il
presidenzialismo, l’accentramento nell’esecutivo, il cosiddetto “decisionismo”.
In
seguito tutto questo patrimonio fu azzerato e si procedette per colpi di
riforma elettorale (considerata come la panacea di tutti i mali) perseguendo un
duplice scopo: “accompagnare” in negativo il mutamento di natura dei partiti da
soggetto di massa a personalistici “catch all party”; considerare la
“governabilità” come la frontiera esaustiva dell’agire politico (tanto è vero
che il PCI fu sciolto all’insegna dello “sblocco del sistema politico”).
Nacque
a quel punto, beninteso fin dal “Mattarellum” il meccanismo di “nomina” dei
parlamentari da parte non tanto delle segreterie dei partiti ma da parte delle
cordate che si stavano spartendo il potere al loro interno oppure da parte del
“padrone” nella logica del “partito-azienda”.
Nel
frattempo diminuiva esponenzialmente la partecipazione politica (e quella
elettorale) e si aprivano le porte a fenomeni di vera e propria degenerazione:
prima l’egoismo razzista della Lega al quale fu sacrificato il titolo V della
Costituzione, poi l’antipolitica di basso profilo etico-politico del movimento
5 Stelle.
Intanto
i diversi sistemi elettorali affinavano il meccanismo della nomina in luogo
dell’elezione al punto da provocare, da parte di giuristi illuminati, i ricorsi
alla Corte Costituzionale che in ben due occasioni provvedeva in materia con
sonore bocciature, unico caso nella dimensione europea.
In
questo quadro è intervenuta la proposta di riduzione nel numero dei
parlamentari, proposta in chiave meramente propagandistica adducendo il motivo
dei costi troppo esorbitanti “da tagliare”. Una motivazione quest'ultima che,
oltre al profilo di bassa macelleria, ha evidentemente assunto una veste
“punitiva” nei riguardi della rappresentatività. La rappresentatività
collettivamente organizzata delle opzioni politiche è sempre stata e rimane il
vero bersaglio di queste operazioni.
Operazioni
di riduzione della democrazia che puntano ad aprire le porte ad un inasprimento
della personalizzazione della politica e quindi condurre al presidenzialismo,
in modifica della Costituzione: già tante volte soggetta ad attacchi, per due
volte respinti con il voto popolare.
Franco
Astengo
IL COMMENTO DI BESOSTRI
Giangiacomo
Migone ha fatto benissimo ad esprimere dubbi e riserve, che circolano a
sinistra, avendo, però il merito o la prudenza di non giungere alla conclusione
di molti di loro, che quindi ci si debba astenere. L’astensione in un
referendum ex art. 138 Cost. senza quorum, a differenza di quello abrogativo
previsto dall'art. 75 Cost., non rappresenta una terza posizione ma un bel SI',
in forma ipocrita. A questo atteggiamento non sono estranee altre
considerazioni, che il responso del popolo è scontato, che quindi sia sbagliato
non stare dalla parte del popolo, cioè distaccarsi dalle masse sia
tatticamente, che in linea di principio. Preferisco il Maxim Gorki, che diceva
"Proprio perché sto dalla parte del popolo non gli posso perdonare
tutto quello che fa!". Ma la vera ragione di fondo è un'altra. Ci sono
due concezioni del popolo una mitica, che però funziona meglio chiamandolo,
alla germanica, Volk, che quando decide è sempre nel giusto e ha ragione e
presto trova la sua guida, che lo interpreta ed incarna, con nome derivato dal
latino o tradotto in tedesco. L'altra concezione è quella della nostra
Costituzione, nella quale "la sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" (art. 1.2 Cost.),
che per come è stata fatta la viola, perché viola l'art. 3 della Costituzione,
quindi l'art. 139 Cost. È un errore chiamarlo Taglio dei Parlamentari, che dal
2005 (porcellum) non possiamo più tagliare noi con un voto, eguale, libero e
personale (art. 48.2 Cost.), invece di Taglio del Parlamento, cioè della
rappresentanza e della democrazia.
Carlo Felice Besostri