BENI PUBBLICI E LESTOFANTI
di Angelo Gaccione
PRIVATIZZARE
Privatizzare è un verbo chiarissimo e che non ammette ambiguità di sorta.
Significa che un bene che è di tutti (collettivo), passa nelle mani di uno solo
o di pochi. I più potenti, i più ricchi o i più ladri. Il collettivo, cioè la
società, ne viene privata come dice
la radice del verbo, a vantaggio dell’interesse e dell’arricchimento di un
piccolo gruppo. Se dunque un piccolo gruppo ne ha vantaggio, ne consegue che
milioni di uomini e donne dalla perdita di quel bene ne hanno uno svantaggio e
un danno. Trattandosi di beni naturali (acqua, suolo, piante, aria, ecc.),
significa che sono beni inalienabili; vale adire: appartengono a tutti gli
esseri che si trovano a vivere, come esseri naturali, prima che sociali, dentro
lo spazio che quei beni contiene. Chiunque: Stato, Governo o Ente, con un atto
arbitrario (cioè illegale), procede ad alienare, a danno della collettività
tutta, uno di questi beni primari e naturali, e a consegnarlo nelle mani di pochi,
commette un crimine. Per non commettere questo crimine, e dunque non essere
additato dalla collettività come criminale, quell’Ente o quel Governo, deve
procedere alla tutela di quello stesso bene, alla sua cura, alla sua efficienza
e alla sua trasmissione alle generazioni che verranno, integro e fruibile. È
loro compito prendersene cura e salvaguardalo. Se non lo fanno, sono
responsabili del danno che arrecano alla collettività nel suo insieme, e dunque
devono pagare, ed essere estromessi dalla loro gestione, come chiunque preposto
ad un compito pubblico. Chi ha un bene pubblico in custodia non può disporne
come se fosse suo; la malversazione è un reato, non il pretesto per svendere
ciò che non è tuo a qualcun altro. Se quanti vanno all’assalto dei beni pubblici
non fossero i farabutti in mala fede che sono; se quanti vogliono privare i
cittadini di beni vitali avessero nel cervello qualche barlume di intelligenza
critica, riconsidererebbero tutti questi elementi; verificherebbero i nomi di
chi ha portato alla dissipazione beni pubblici e bilanci, e ne richiederebbero
arresto, confisca dei beni e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Verificherebbero quanto il cosiddetto “privato” ha pesato sulle casse pubbliche
dissanguandole, e quanti danni ha prodotto avvelenando fiumi e corsi d’acqua;
dissestato il territorio e sfigurato le città; inquinato aree, massacrato
pinete, maciullato alberi, rubato suolo, disseminato il territorio di amianto,
rifiuti tossici, discariche, in combutta persino con la criminalità mafiosa.
Alle teste di legno che tutto questo non vogliono vedere, segnalo senza
perifrasi le mie modeste proposte di scrittore e di cittadino, per invertire la
rotta.
1.Il reato di mala gestione per i beni di interesse pubblico va portato a
40 anni di carcere con esclusione futura da qualunque amnistia e va
accompagnato alla confisca dei beni per ripagare la collettività.
2.Il denaro necessario per la tutela di questi beni (per esempio ammodernamento
della rete idrica nazionale, sostituendo ove ancora presenti i tubi di
cemento-amianto, e le parti danneggiate che sprecano parte delle risorse
idriche), va attinto dalle scandalose spese militari (che non indignano né il
direttore dell’Unità -povero Gramsci!-, né il conformista editorialista del
“Corriere della Sera” Pier Luigi Battista) lautamente disponibili sempre e
comunque, crisi o non crisi.
3.Gli incapaci burocrati conniventi che oggi dissestano ma non pagano,
potrebbero essere sostituiti nella gestione, dai Comitati per la salvaguardia
dei beni pubblici e dalle comunità locali con incarichi a rotazione.
Scommettiamo che con queste semplici riformistiche misure la musica cambierebbe e alla svelta? Sono sicuro che
l’efficienza tornerebbe ad essere di moda, come la democrazia.