CIBO PER LA MENTE
L’estate è già finita.
Un racconto di Vito Calabrese
illustrato da tavole originali di Adamo Calabrese
(per Ilaria)
Capitolo 1
Ai primi di luglio, Ilaria è arrivata al villaggio
residence di Alimini insieme ai genitori. La famiglia si è riunita,
raggiungendo i fratelli, già stanziali da almeno due settimane, per la vacanza
in terra di Puglia. Sole, mare, spiaggia, animatori e… dove sono le amiche? Che
noia i primi giorni. Finalmente, a fine settimana, Giorgia e Kate sono sbarcate
con gli ultimi arrivi. Ilaria aspetta l’ora di scivolare in piazzetta per
incontrare le amiche.
Shorts e t-shirt sono ammucchiate sulla spiaggia vicino
alle ciabatte. I ragazzi fanno un cenno di saluto da lontano, col braccio
alzato verso gli ombrelloni delle famiglie, e poi di corsa si spingono, coi
piedi che affondano nella sabbia, per finire in tuffo dentro il mare senza
onde. I giochi d’acqua continuano in una fontana di spruzzi e di voci che si
rincorrono, occhiate sfuggenti, inviti e finte. Rocky riceve la palla e la
schiaffeggia rilanciandola alta verso Poldo. La palla rimbalza lontano, oltre
le boe rosse, come avesse sbattuto contro un tronco, uno di quei relitti che a
volte bordeggiano la spiaggia, dopo i violenti temporali estivi. Poldo nuota
vigorosamente, alzando spruzzi, per raggiungere la palla.
“Ah! Ah! Aiuto!… Aiuto.”
Poldo si rigira su se stesso, s’inabissa e riemerge
sempre urlando con voce atterrita. Il gruppo dei ragazzi si è fermato,
galleggiando nell’acqua alta, gli sguardi rivolti a Poldo, che sembra
combattere coi fantasmi.
“Venite. Aiuto.”
Pochi attimi di sorpresa, poi Rocky e gli altri ragazzi
si lanciano a nuoto verso di lui. Le ragazze gridano domande che non ricevono
risposte e si avvicinano incerte. I ragazzi hanno raggiunto Poldo che, sempre
agitato, indica quella specie di tronco galleggiante.
“E’ morto.”
“Che cos’è?”
“È un cadavere.”
“Via di qui, andiamo via.”
“Torniamo a riva e diamo l’allarme”
“Lo rimorchiamo?”
“Sei pazzo?”
“Ci penseranno i carabinieri.”
“Via, andiamo.”
I bagnanti sulla spiaggia si sono alzati dai lettini,
hanno abbandonato gli ombrelloni e sono entrati in acqua per capire cosa stia
succedendo laggiù. Il bagnino cerca di calmare l’eccitazione della piccola
folla e invita ad aspettare i ragazzi che stanno nuotando affannosamente verso
la spiaggia. Si è formato un capannello di gente vociante che incombe sui
ragazzi stremati, quasi abbandonati sul bagnasciuga mentre il bagnino,
accosciato davanti a loro, cerca di capire. Frasi smozzicate, visi impauriti,
arie stralunate. La morte vista così è insopportabile. Poldo sta male, vomita e
balbetta guardandosi le mani: “L’ho toccato, una cosa molle, gonfia, che si è
rigirata. Mi è apparso un viso rosicato, senza occhi…”
Le ragazze sono sconvolte. Il bagnino ha capito e
ricaccia indietro gli spettatori, già affamati di disgrazie eccezionali, poi
chiama col telefonino il Pronto Intervento e la Capitaneria di Porto.
“Sarà la salma di un poveraccio, un migrante che è caduto
o è stato buttato fuori dal gommone, ed è annegato. C’è stato uno sbarco
l’altro ieri, una decina di chilometri più a sud. Ci sono stati dei dispersi.
Forse è uno di quelli.”
Il bagnino ragiona ad alta voce, mentre aspetta
l’intervento delle Autorità, e cerca di calmare i ragazzi che sono ancora
sbalorditi dall’emozione. Sono sopraffatti da quella esperienza, inaspettata e
terribile, in quel mare così calmo e sereno, fino a poco fa. Ma ora?
Il corpo è stato recuperato. Ora è disteso in una bara di
alluminio, di quelle con le stanghe. Il corpo è rovinato dalla lunga permanenza
in mare, straziato dall’attacco di pesci e di uccelli. Era una donna di colore,
alta, avvolta in brandelli di quelli che dovevano essere stati i suoi abiti,
una tunica colorata.
Cap 2
La sera imminente smorza il caldo che attanaglia
da giorni tutta la zona. Le amiche si sono spostate all’angolo estremo della
spiaggia per stare tranquille, evitare quelle discussioni piene di luoghi
comuni -“cosa pensavano di trovare, non se ne può più, che stiano a casa loro,
vengono qui a morire, non c’è posto per tutti, bisogna chiudere le frontiere”-
un parlarsi addosso che non aiuta, che le addolora.
Una figura è scivolata fuori dal folto delle canne che
chiudono la riva asciutta del torrente. L’ombra si confonde con il profilo nero
della persona che si è fermata, sospettosa. Un’altra ombra l’ha raggiunta.
Giorgia ha percepito le presenze, si alza guardinga e strattona le amiche,
allarmandole. Sono tutte e tre in piedi, guardano quel grumo scuro che cerca di
appiattirsi sull’arenile.
“Chi siete? Venite fuori. Vi abbiamo visti.”
Nessuno si muove. Kate fa un passo verso quei due che non
rispondono. Ormai sono a due passi da loro e vedono il bianco degli occhi
splendere come gemme nel profilo scuro dei corpi. I due si alzano in piedi
tenendosi allacciati. Sono una coppia. Alti, neri, lei con le treccine
attaccate alla testa come un ricamo, lui magro e spigoloso. Sono giovani, forse
hanno la loro stessa età o poco più.
“Chi siete?… Mi capite?… “ prova ancora Kate.
“English?…Speak english?” butta là Ilaria incurante della
grammatica.
Il maschio trattiene dietro di sé la ragazza e muove un
braccio, come facesse un’apertura. Il suo sguardo si posa lentamente sul viso
delle tre amiche e una voce stentata, come un soffio, lo supera:
“We escape war” sono le prime parole pronunciate dalla ragazza
nera che le osserva con timore ma anche con speranza. Sono scappate dalla
guerra. Le tre amiche si guardano, si stringono le mani e Giorgia prova a
comunicare: “Where are you from?”
“No italian?…da dove venite?” s’intromette Ilaria.
“No, no…
some english. We are from Ethiopia.”
“I know
friends born in Ethiopia.” Ilaria pensa alla sua amica Lielit e continua
sorridendo ma loro non sanno che dire e restano silenziosi.
“Dove? …uhm, where in Ethiopia?”
“Dolo. Yes, coming from Dolo.” Questa volta è lui a dire
qualche parola. Lento, posato, sembra già un uomo.
“Dolo, mai sentita? Where, nord, sud?” prova ancora
Ilaria, aiutandosi con le braccia per indicare i punti cardinali.
“South. Border of Somalia.” Risponde lei.
Le ragazze si sono avvicinate e, poco alla volta, una domanda
dietro l’altra, si sono scambiati i nomi, non senza qualche problema, e si sono
fatte raccontare come sono arrivati. Sono due fratelli. Dolo è sul confine
meridionale con la Somalia alla confluenza di due fiumi e c’è un campo di rifugiati.
Le incursioni delle bande somale avvenivano di continuo e terrorizzavano la
popolazione. I loro genitori sono morti, così hanno deciso di scappare,
appoggiandosi ad uno zio. C’è voluto un tempo molto lungo per attraversare l’altopiano
e poi le terre pericolose del Sudan. Una carovana di dolore e di miseria, nonostante
i parenti avessero pagato a caro prezzo il passaggio della carovana che doveva
portarli in Europa. In qualche modo erano arrivati in Italia ma volevano andare
oltre. Una storia già sentita. Cercavano un modo per proseguire. Non volevano
stare nei CIE. Sono prigioni. Sono scappati da San Foca e cercavano aiuto. Chi
li poteva aiutare?
Le ragazze si guardano, incredule, in che cosa si sono imbattute?
Che storia pazzesca. Come faranno ad aiutare questi ragazzi, dei fuggiaschi che
non hanno più nulla, solo i vestiti che portano addosso, jeans, maglietta e un
paio di infradito. Restava da risolvere la questione fondamentale. L’ospitalità.
Dovevano ospitarli a casa loro? Potevano ospitarli a casa loro? No. Avrebbero
messo in difficoltà le loro famiglie, avrebbero dovuto avvisare la polizia o i
carabinieri. Li avrebbero riportati al centro da cui erano scappati. No, non
era la soluzione. Nasconderli sulla spiaggia era impossibile. I bagnini li
avrebbero scoperti. Che fare?
Ilaria, rifacendosi alla sua esperienza, ha proposto di
raccontare la storia al prete del paese, quello che veniva a celebrare la messa
la domenica, un pretino giovane ma sveglio. Un prete non è un carabiniere. Ti
ascolta, ti deve ascoltare. Può trovare un modo per accoglierli e ospitarli, intanto
che si cerca una soluzione accettabile per i profughi. Ne hanno parlato,
l’hanno comunicato ai due fratelli con tanta pazienza e fatica, e hanno ottenuto
l’ok a negoziare col prete. L’unica condizione per accettare l’ospitalità era
quella che fosse possibile nasconderli alle autorità, almeno per un po’.
Don Mauro è un prete giovane ma ne ha già viste tante in terra
di Puglia e le storie dei migranti hanno un posto particolare nel suo cuore e
nei suoi affanni. Ha accettato di buon grado d’incontrare la ragazza, quando ha
capito che, dietro l’ansia della sua chiamata, c’era un vera richiesta d’aiuto.
All’ingresso del villaggio c’è una portineria in disuso che andava bene per
l’incontro. Il prete ha però voluto che Ilaria informasse i suoi genitori così
d’avere il via libera e il tempo necessario per impegnarsi in quell’intervento.
(Continua…)