I serbi salvati dagli italiani
L’articolo La
caporetto dei serbi di Pierluigi Sabatti (Il Ponte rosso n.6 novembre 2015), rievoca un episodio poco noto
che penso valga la pena, oggi, di ricordare. Nel corso della Grande Guerra, il
4 ottobre 1915, il feldmaresciallo tedesco August von Mackensen alla testa di sedici
divisioni austriache e tedesche muove contro la Serbia occidentale.
Dopo 3 giorni di violentissimi
scontri, il 9 ottobre, capitola Belgrado. Memori della precedente durissima
occupazione delle truppe austroungariche nel novembre 1914 -dopo la quale i
serbi ripresero Belgrado pagando il prezzo di 170.000 caduti e prostrati dalla
carenza di generi alimentari e da un’epidemia di tifo che fece 150.000 vittime
civili-, incalzate dall’offensiva dell’esercito austriaco, le forze serbe si
ritirano subendo perdite rilevantissime. Sono circa 400.000 persone tra
militari (40.000 prigionieri austriaci fatti nella riconquista di Belgrado
dell’anno prima) e civili. 400.000 uomini in fuga, lungo 710 chilometri
percorsi in 70 giorni, in pieno inverno, a marce forzate (“I serbi salvati dagli italiani” di Silvio Bertoldi, Corriere della sera, 27.07.1955).
Fu un esodo d’immense
proporzioni, spaventoso, d’inenarrabile orrore e disperazione; i fuggiaschi
decimati dagli stenti, dalle malattie e dalla fame, attraverso l’Albania,
giunsero ai porti dell’Adriatico.
L’Italia, in guerra a
fianco dell’Intesa, rispose subito alla richiesta di soccorso dei serbi.
Imbarcò a Durazzo, a Scutari e Valona, 260.000 esuli accogliendoli (in 3 mesi!)
in Italia; oggi li chiameremmo richiedenti asilo.
Un esemplare intervento
umanitario, in un paese incomparabilmente meno ricco e attrezzato di quanto lo
sia oggi. A Brindisi, una lapide ricorda
quell’intervento: “Dal dicembre 1915 al febbraio 1916, con 584 crociere
protessero l’esodo dell’esercito serbo e con 202 viaggi trassero in salvo 115
mila dei 185 mila profughi che dalla opposta sponda tendevano la mano”.
Allora, il Ministero della
Marina, proibì che se ne parlasse; oggi avremmo media e ministri schierati impettiti
nelle celebrazioni.
Claudio Zanini