LA
CONDIZIONE VERGOGNOSA IN CUI VERSA
IL CELEBRE CASTELLO DI MILANO
IL CELEBRE CASTELLO DI MILANO
Una
denuncia accorata del poeta milanese Franco Manzoni
Milano. Sette
secoli di storia in guerra contro i tagli dei fondi comunali, le
lamentele dei guardiani, il degrado generale, l’impossibilità di
formare turni del personale che permettano la tanto pubblicizzata
apertura continuata di tutte le aree museali. Il Castello Sforzesco è
uno dei primi biglietti da visita culturale ed affettivo che Milano
offre ogni giorno a turisti e cittadini. Ma in che modo? Bisognerebbe
farlo gestire a russi, arabi o mecenati indonesiani? Perché si
tratta di un prezioso scrigno che dovrebbe aprirsi, donando il meglio
di sé e delle raccolte ospitate proprio in occasione dell’Expo.
L’uso del condizionale è d’obbligo. E si è costretti a fare
spesso come indicato dal profeta Isaia: guardare e non vedere.
Altrimenti un autentico meneghino si roderebbe il fegato dalla
rabbia. Opere uniche al mondo si trovano ad interagire con ignoranza,
polvere, vetri sporchi, pareti sporche che meriterebbero almeno una
“affrescata”. Per non parlare dei gabinetti a piano terra. Uno
spettacolo indegno, che dura da mesi. E il sindaco Pisapia che
fa nel frattempo? È troppo preso nel replicare alle critiche per i
nuovi moduli d’iscrizione alle scuole comunali? Eppure una
passeggiata al Castello non gli farebbe male, con tanto di uscita
sulla piazza del Cannone e le giostre del Luna Park. Magari
accompagnato dall’assessore alla cultura Filippo Del Corno. Alcuni
turisti stranieri si chiedono se pure le montagne russe fossero tra i
divertimenti offerti agli ospiti dagli Sforza. In ogni caso Pisapia
sembra avere il polso della situazione: sa bene che non ci sono altri
fondi per la cultura. Nella sua ipotetica visita il sindaco potrebbe
iniziare dal museo d’arte antica, dove il clou è la “Pietà
Rondanini” di Michelangelo. Tenga conto, tuttavia, che l’addetto
al controllo deve sorvegliare il celebre capolavoro e
contemporaneamente la porta che conduce verso le altre raccolte.
Basta una breve distrazione. Nessuno vede, e, oplà, una coppia
giapponese porta a casa una foto souvenir speciale. Con un balzo
felino l’uomo arriva sul piccolo piedistallo e si abbarbica alla
Madonna, che sorregge il cadavere di Cristo. Un trittico interessante
La moglie scatta la foto e se ne vanno via sorridenti. Michelangelo
ringrazia per l’affetto, ma al posto dei due gentili turisti
avrebbe potuto esserci un folle con tanto di martello pronto a
colpire l’ultimo capolavoro del grande artista. E che dire di quel
signore al cellulare per venti minuti, che appoggia il fondo schiena
su di un fonte battesimale del XIV secolo?
La guardiana osserva
attenta, lo fissa senza intervenire. Un salto al museo egizio. Ben
poco da vedere: rispetto alla precedente collocazione, poco è
rimasto. C’è solo una mummia. È preferibile andare a Torino per
capire il mondo dei faraoni. Passiamo alla pinacoteca, che ospita
circa mille e cinquecento quadri. Un consiglio a Pisapia: eviti di
giungere verso mezzogiorno. Qui l’orario continuato rimane una pia
illusione. C’è la pausa pranzo. Giustamente. Non ci sono altri
guardiani nel computo dei turni? No, per questo la pinacoteca è
costretta a chiudere dalle 12 alle 14. E i turisti negli ultimi
minuti dovrebbero di corsa tentare di vedere almeno la pala del
Mantegna, la “Madonna del libro” del Foppa, qualche Tintoretto e
Tiepolo. Ma è meglio andare a mangiare anche per sindaco e turisti.
Siamo a Milano, provincia d’Italia. Nel nome di un piatto di
spaghetti o di un risotto la cultura si ferma per fame.
Franco Manzoni