Ne
parliamo con Thierry Vissol, autore di Europa
matrigna
di
Mila Fiorentini
Thierry Vissol |
Mentre le elezioni europee si avvicinano, tra pronostici,
proclami e scetticismo, in un clima che dire arroventato è un eufemismo, sembra
mancare una riflessione approfondita sull’Europa al di fuori di un dibattito
meramente elettorale. Per questo ci è sembrato interessante incontrare Thierry
Vissol, storico, economista, già docente universitario e funzionario della
Commissione europea, autore del libro Europa
matrigna edito da Donzelli Editore.
Sull’Europa
c’è molta ignoranza, grande sentimentalismo o avversione e poco consapevolezza.
Cosa ne pensa?
“Non ci si può innamorare
dell’Ue o dell’euro, anche se, imperfetti come e perché democratici, può creare
entusiasmo e speranza per un mondo migliore purché vogliamo migliorarla e
offrire i mezzi per farlo. Tuttavia, è chiaro che ben più che un deficit
democratico (in fondo quelli che decidono - capi di Stato e di governo, il
Consiglio europeo, e Parlamento europeo - sono tutti composti di politici eletti
dai cittadini europei) c’è un abisso di ignoranza, sia delle competenze, dei
mezzi, delle strutture, sia delle realizzazioni. Ne sono responsabili, tanto i
cittadini se non si informano, quanto i sistemi educativi, i media e i
politici. Tenendo qualche giorno fa una conferenza con una cinquantina di
giornalisti ho chiesto chi avesse letto il Trattato sull’Unione europea (TUE - 55
articoli, 30 pagine scritte in grossi caratteri con tanto di titoli) che definisce
i princìpi fondanti e democratici e le competenze delle istituzioni e degli
stati membri. Purtroppo nessuno. La stessa domanda potrebbe essere posta ai candidati
alle elezioni europee, probabilmente con gli stessi risultati, visto la povertà
degli slogan e la confusione dei programmi.”
Nella
fase attuale oltre tutto, le elezioni europee che, almeno in Italia, sono
vissute con minor partecipazione delle politiche, sembrano un banco di prova
dei governi nazionali. Lei che sensazione ha al riguardo?
“La “nazionalizzazione” delle
elezioni europee, anche se particolarmente forte in alcuni paesi come Italia e
Francia, è comune a quasi tutti i paesi membri. L’ignoranza del ruolo e
dell’importanza dell’Ue nelle nostre vite è sicuramente una delle ragioni di
questo stato di fatto, che si ritrova nella debolissima partecipazione dei
cittadini alle elezioni (nel 2014 solo 42 % si sono spostati per votare).
Tuttavia, l’organizzazione stessa di queste elezioni a livello nazionale, con
scrutini proporzionali di lista, rappresenta una tentazione per i partiti
nazionali di farne una prova di forza da utilizzare nella politica interna. In
Francia, ad esempio, ci sono 33 liste, in Italia 17. E pochi di questi partiti
hanno indicato a quale famiglia politica intenda aggregarsi nel PE una volta
eletti (anche se quasi nessun cittadino sa quali siano queste famiglie). Quindi
tra ignoranza dei cittadini, illusioni create dai partiti e dai politici non è
sorprendente la deviazione del suffragio, anche se pone il problema di fondo: cosa
vuol dire democrazia e come può sopravvivere la democrazia senza un’informazione
e una consapevolezza minima degli elettori.”
Come
nasce il suo libro Europa matrigna e
da cosa è stato mosso?
“Sono di una famiglia che ha
viaggiato molto da più generazioni e anche se ha combattuto in molte guerre non
ha mai ceduto all’odio del “nemico”. Quindi anche da piccolo - sono nato con il
trattato della CECA - ho vissuto in un ambiente pro-europeo. Poi, ho dedicato
36 anni della mia vita a cercare di contribuire alla costruzione europea, unica
nel mondo e nella storia. Ho lavorato con colleghi di tutte le nazionalità,
visto e vissuto che quello che ci avvicina - la nostra identità europea - che è
senza dubbio superiore a quello che ci differenzia, al punto da avere adesso
difficoltà a lavorare in ambienti “mono” nazionalistici, chiusi. Ho già
pubblicato una decina di libri su temi europei, passato molto tempo a
sviluppare programmi di informazione e noto che purtroppo non c’è stato
progresso nella consapevolezza dei cittadini anzi, al contrario, una
regressione. Quindi mi è venuta una grande rabbia, non una rabbia emotiva
distruttiva, ma una rabbia costruttiva basata sulla ratio. Come mai, davanti alle grandi sfide del mondo instabile,
alle minacce geopolitiche, al crescere di nuovi imperi spesso ostili, allo
sradicamento rispetto alla cultura occidentale del mondo, alla perdita di
potere dell’occidente, all’invecchiamento delle nostre popolazioni con tutti
gli effetti sociali che ne conseguono, all’intelligenza artificiale che
sconvolgerà il nostro modo di lavorare, di vivere, problemi senza frontiere, ci
sono ancora dei politici struzzi, sonnambuli, che possono far credere che le
nostre vecchie e piccole nazioni possano risolvere o fare fronte a questi
problemi ripiegandosi dietro nazionalismi erigendo muri?”
Quali
sono a suo avviso le cause fondamentali dell’insoddisfazione generalizzata
verso l’Europa e quali invece i punti di forza sui quali l’Unione può contare
per tessere il proprio consenso?
“Al di là
dell’ignoranza e della disinformazione in materia europea, ci sono dei fattori
concreti che possono spiegare l’insoddisfazione verso l’Europa. L’abitudine di
molti politici (anche europeisti quando sono nell’opposizione) di attribuire
all’Unione la colpa dei loro errori, delle loro incompetenze o dell’incapacità
di migliorare la situazione nazionale, ne fa una matrigna, un capro espiatorio
facile, soprattutto quando le istituzioni non hanno il diritto di difendersi. Si
aggiungono a questo stato di fatto le grandi aspettative delle popolazioni che
paradossalmente pensano che l’Ue sia in grado di risolvere tutti i loro
problemi, perché non hanno un’idea né delle competenze limitate, né dell’esiguità
del suo bilancio (lo 0,96 % del prodotto interno lordo dell’insieme dei paesi
membri - quando la bilancia federale degli USA supera il 22% del PIL
americano). Pochi sanno che le competenze, il bilancio, le legislazioni europee
sono adottate, non da un branco di “funzionari/burocrati/tecnocrati apatridi”,
ma dai loro capi di Stato e Governo e, spesso per i campi più importanti,
all’unanimità. Quindi se i cittadini vogliono che l’Ue sia più efficiente
dipende solo dalla società civile. Infine, l’azione e i risultati dell’Ue sono
come un iceberg: la parte visibile si limita alle grandi controversie sulle
politiche economiche (di competenza nazionale principalmente) o i flussi
migratori, che fanno il buzz sui
social e sono ripresi a ciclo continuo dai media main-stream, quando la parte la più importante è nascosta e lo
rimane per mancanza di informazione e di formazione. E in questo i media hanno
una grande responsabilità. La forza dell’Europa risiede da una parte nella sua
identità culturale, artistica, filosofica, storica, tecnologica, democratica,
troppo spesso dimenticata o ignorata, nella sua capacità, finora, di adattarsi
al mondo in cambiamento, ma soprattutto nella forza economica e politica che,
se unita, può rappresentare per fare fronte alle sfide di questo mondo ostile e
alla concorrenza dei nuovi grandi imperi che sono gli USA, la Cina, la Russia,
e presto l’India, delle potenze medie dell’Asia.”
Quanto
è importante spiegare l’Europa, anche nei suoi limiti, senza fare propaganda
pro o contro e in tal senso come si sviluppa il suo libro?
“Credo avere già risposto
sull’importanza di spiegare l’Europa, che per me è fondamentale, nelle scuole,
nelle Univesità, ai sindacati, ai partiti politici, ai media. Come già detto,
l’Ue è una costruzione umana e politica, quindi imperfetta, pertanto opinabile.
Come entità politica, nulla da stupirsi se, essendo la maggioranza del
Consiglio e del PE di destra, faccia una politica di destra. In democrazia è la
maggioranza che decide sui grandi orientamenti politici. Spetta ai cittadini
cambiare la maggioranza in caso di disaccordo. Per spiegare l’Ue è necessario
partire dai fatti. Nel mio libro precedente È tutta colpa dell’Europa,
pubblicato da Donzelli nel 2014 descrivevo l’Euroscetticismo con la formula
della relatività di Einstein: E=mc2: l’Euroscettiscismo è il risultato della mancanza di memoria, della complessità dell’argomento e della confusione che ne risulta. Cercavo di spiegare chiaramente da dove veniva,
come funzionava e quali errano le sfide alle quali poteva rispondere se ci
fosse stata la volontà politica. Nel nuovo libro affronto due dei principali
temi in discussione: l’identità nazionale ed europea e la sovranità nazionale e
europea, quindi l’immigrazione e le politiche monetarie. Il mio ragionamento si
appoggia sulla storia e sui fatti concreti, che secondo me sono inconfutabili. Lascio
al lettore la possibilità di formarsi un’opinione.”
In
tal senso il concetto di identità è cruciale perché spesso non è costruito a
partire dal senso di appartenenza che può essere ed è quasi sempre plurale ma
di esclusione, di chiusura. Come non ricordare Les identités mertrières di Amin Maalouf e quell’arroccamento sul
‘purismo’ astratto della lingua, della cultura, della nazione?
“Mi piace molto la referenza
allo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, membro dell’Academie Française,
come mi piacerebbe parlare del cantante franco-algerino Ridan, del filosofo
franco-romeno Emil Cioran e di tanti altri, i quali benché non originari dei
nostri paesi, ne parlano le lingue e spesso conoscono meglio di noi la nostra
cultura, la nostra lingua, senza avere perso gli elementi della loro identità
originaria. Di fatto, l’identità può essere paragonata a un insieme matematico:
composto di tantissimi elementi oltre la lingua, la bandiera o la religione. Se
tutti questi elementi possono costituire l’unicità, l’identità specifica di una
persona, tanti sono gli elementi comuni ad altre persone, qualsiasi sia il
posto nel quale si trovino. Sono le intersezioni di questi insiemi individuali
(o nazionali) che permettono la convivenza e la socialità. Il problema è che
queste intersezioni di elementi comuni, non sono sempre evidenti a prima vista,
spesso si scoprono appunto nella convivenza. È questo che rende il programma
Erasmus così importante, come lo è stato per me lavorare in altri paesi, con
tante nazionalità differenti. La volontà di alcuni politici di ridurre
l’identità a un concetto nazionalistico non corrisponde neanche alla realtà
concreta di un paese. L’Italia ne è un esempio tipico, l’Alto Adige non è la
Sicilia, né la Calabria, né la Sardegna… Eppure, nonostante le differenze di
lingua, di cultura locale, gli abitanti della Penisola sono tutti italiani ed
europei.”
La
questione demografica-migratoria è a suo parere quella che emerge maggiormente
o quella, se non una delle ragioni, di maggior conflitto?
“Si devono
distinguere i due elementi. La demografia europea è in grande pericolo con un
tasso di fertilità inferiore al tasso di 2,1. In Italia è di 1,27 e la
popolazione sta invecchiando rapidamente. Da una popolazione con il 20% di ultrasessantacinquenne,
passerà a 35% tra una generazione. Non si sa, in queste condizioni, come si
potrà finanziare lo stato sociale e pagare le pensioni. Ora nessuno ne parla
quando sarebbe un problema che dovrebbe essere stato affrontato già da anni.
Non voglio dire che l’immigrazione sia la soluzione al problema, ma ne è parte
a condizione di sapere integrare, educare ed acculturare i nuovi cittadini di
origine extra-europea. Non dico neanche che dobbiamo accettare tutta la miseria
del mondo. Al contrario, dobbiamo mettere in moto delle politiche di sviluppo e
di pace per fare in modo che, come in Europa, la migrazione sia una scelta
individuale e non un obbligo di sopravvivenza. E questo sarà possibile solo se
mettiamo insieme le nostre risorse. Ma questo richiede lungimiranza e volontà
politica che mancano alla maggioranza dei nostri politici. Intanto nell’immobilismo
e nella regressione politica attuale, maturano i conflitti.”
Ho
l’impressione che quando si parla di Europa si tenda a criticare o esaltare
alcuni temi senza però capire come l’Europa sia anche l’Italia, ovvero come
influenzi e si traduca a livello nazionale. Come viene affrontata la questione
nel libro?
“Questo è il moto del mio
libro, come si intuisce dalle risposte precedenti. L’Europa siamo noi: siamo
noi ad averla costruita con la legislazione concordata, votata dai politici che
abbiamo eletto e saremo noi a farla evolvere, migliorare o a farla fallire.
Questo necessita alla memoria della nostra provenienza, gli errori, le stragi
che abbiamo provocato, le nostre invenzioni e creazioni (la democrazia in primis) - tutti insieme perché
abbiamo partecipato sia alla parte oscura sia alla parte luminosa della nostra
storia e della nostra identità europea. È quello che provo a spiegare in questo
libro.”
Da qualche
tempo il termine sovranismo ha invaso i dibattiti politici, forse anche a
sproposito. Cosa sta succedendo in merito in Europa?
“Il termine sovranità è
complesso. Teoricamente è la capacità di un’entità politica di padroneggiare il
suo presente e il suo futuro. Per me esistono due tipi di sovranità: la
sovranità interna e la sovranità esterna. La sovranità esterna sarebbe di
essere in grado di dominare gli eventi esterni: difendere il proprio paese
contro ipotetici nemici, assicurarne l’indipendenza energetica e dell’approvvigionamento
di materie prime, proteggerlo contro i cambiamenti climatici, contro i poteri
delle multinazionali e dei grandi imperi e via dicendo. Ora, come ben si sa
nessuno dei nostri piccoli paesi è in grado di farlo da solo. Neanche i grandi
imperi lo sono, basta vedere la guerra attuale tra Cina e USA, perché non sono
desiderosi di condividerla in un sistema multilaterale. Ora il solo modo per
gli europei di proteggere la sovranità nazionale è la base della costruzione
europea dalla creazione della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio in
poi. La sovranità interna è la capacità di una nazione di far funzionare il
sistema paese: giustizia ed educazione efficienti, strade, ferrovie funzionanti,
protezione del territorio contro le calamità naturali, lotta contro la mafia,
le prevaricazioni. Nei termini del Trattato europeo si chiama “sussidiarietà”.
Non vuol dire che non sia possibile collaborare in queste materie, né che non
sia utile farlo. Ma questa sovranità interna, il sistema paese, resta della
responsabilità dei politici che eleggiamo al livello nazionale. Se non funziona,
non è certo colpa dell’Europa.”
Dal
suo punto di vista, che è legato direttamente ad almeno tre Paesi, la Francia,
l’Italia e il Belgio, come valuta lo sguardo e le attese dei cittadini dei
diversi stati rispetto all’Europa? L’Inghilterra ha una posizione netta che è
uscita alla ribalta ma forse anche altri stati meno presenti a livello di
stampa internazionale hanno un loro specifico vissuto.
“Ho vissuto in Polonia, in
Inghilterra e in America, ma il fatto di vivere o avere vissuto in un paese,
non permette di avere una visione globale. Invece, i sondaggi possono essere di
aiuto. Dimostrano quello che dicevo prima: in tutti i paesi le aspettative
verso l’Ue sono alte, talmente alte che sono spesso deluse. Tuttavia, la
maggioranza degli intervistati in tutti i paesi, anche se spesso critica, non
vorrebbe vedere scomparire l’Europa.”
È
esagerato dire che l’Europa è l’unica strada possibile per la vita degli stati
di questa parte del mondo, l’unica forma di coabitazione nella quale la società
di organizza?
“Sono convinto che potremo conservare una certa sovranità
- una certa indipendenza dal resto del mondo - proteggere il nostro modo
occidentale di vivere in pace e democrazia, la nostra identità culturale e
politica solo costruendo un’Europa aperta e più solidale, meno disuguale, sia
all’interno di ogni paese sia tra i nostri paesi. A noi cittadini di
costruirla, di migliorare o modificare il suo asso istituzionale, i suoi mezzi,
purché rimaniamo ispirati dall’articolo 2 del Trattato sull’Ue: “l’Unione si
fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori
sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo,
dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà
e dalla parità tra donne e uomini.”
Thierry Vissol, economista, storico, già docente universitario e
funzionario della Commissione europea, è direttore del Centro euro-mediterraneo
Librexpression della Fondazione Giuseppe Di Vagno. Autore di numerosi libri e
saggi, ha pubblicato per i tipi della Donzelli È tutta colpa dell’Europa (2014) e Toby, dalla pace alla guerra, 1913-1918. Storia esemplare di un soldato qualunque d’Europa (2014).