di Franco Astengo
Disegno di Adamo Calabrese |
Come si può rispondere al
sottotitolo della prima pagina del Manifesto del 7 maggio: “La presenza tra gli stand di Torino di un
editore dichiaratamente fascista ha portato autrici e autori a dividersi se sia
giusto o meno partecipare e in che forma. Ma essere messa in discussione è la
presunta egemonia della sinistra nella produzione culturale italiana”?
Due
soli spunti di riflessione nel merito: la vicenda riguardante il Salone di
Torino si inquadra nell’evidente presenza fascista ormai rampante.
Ho semplificato la descrizione per renderla
più chiara e per insistere su di un punto a mio giudizio assolutamente
cruciale.
Stiamo
sottovalutando il fenomeno fascista sia dal punto di vista delle posizioni
politiche sia nella mancanza di avvertimento dell’umore di fondo che ci arriva
da un insieme di comportamenti quotidiani da parte di ampie fasce di
popolazione.
Comportamenti
che sì fanno davvero “egemonia”.
In
secondo luogo il Manifesto fa bene a scrivere di “presunta egemonia della
sinistra” nel campo della produzione culturale.
Come
possiamo pensare, infatti, all’esercizio di un’egemonia nella produzione
culturale essendo la sinistra priva di una qualche minima strutturazione
politica in grado di essere presente nel vivo della quotidianità, della
capacità di informare i modelli di vita, di indicare un rapporto tra la realtà
e l’agire politico? Non è certo il caso di tirare in ballo Gramsci come pure
potrebbe essere opportuno ma di guardare in faccia la verità: senza soggettività
politica non può esserci espressione culturale se non da parte di un’élite
ristretta e quasi autoreferenziale, del tutto immersa nel seguire le mode
correnti.