UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 9 giugno 2023

IL PARCO SEMPIONE
di Angelo Gaccione

Veduta dell'Arena Civica
 
Il Parco Sempione conserva molte sorprese e vale la pena, almeno una volta, percorrerlo nella sua intera superficie. Vi troverete la Torre Branca di Gio Ponti e Cesare Chiodi realizzata nel 1933, il Ponte delle Sirenette di Francesco Tettamanti (1842), il Teatro Continuo di Alberto Burri (1973), il Bar Bianco di Riccardo Griffini e Giovanni Gariboldi (1954), la Fontana dell’Acqua Marcia di Amorosi (1925-1929), i Bagni Misteriosi di De Chirico (1973) ora per fortuna recintati e protetti dai vandalismi, la Biblioteca del Parco ideata da Ico Parisi, Silvio Longhi e Luigi Antonietti nel 1954. La realizzazione in cemento armato ha una sua giustificazione poiché chi materialmente le diede vita, e cioè la Cementeria Di Merone, era specializzata nel trattamento di questo materiale da costruzione. Su una parete è riprodotto un bassorilievo (sempre in cemento), come in cemento è quel singolare Chiosco Scultura di Giorgio Roccamonte (1973) – realizzato dalla Italcementi – con quei tre “copricapi” tanto strani. Gli alberi piantati in memoria di Lea Garofalo assassinata dalla ’drangheta per essersi ribellata, lei calabrese di Petilia Policastro e donna di un boss, all’infamia dei mafiosi e quello dedicato alla guardia ecologica volontaria Giorgio Paltrinieri, che prendendosi cura del Parco e del verde ha fatto quello che ci ricordano le parole di Sant’Ignazio di Antiochia: “Si educa molto con quello che si dice, ancor più con quello che si fa, molto più con quel che si è”. Ma c’è anche una panchina rossa con la targa su cui sta scritto che Milano dice basta alla violenza sulle donne; c’è il gigantesco monumento con la statua equestre di Napoleone III opera di Francesco Barzaghi realizzata nel 1886, con la lunga teoria dei nomi dei soldati francesi caduti nel corso della Seconda guerra d’indipendenza italiana incisi lungo l’intera superficie del sotto basamento. 


L'Arena allagata per una naumachia
1880

È gigantesco questo monumento nato da una sottoscrizione popolare “per ricordare il contributo dell’alleato francese”. I giovani turisti che ho incontrato ai piedi del monumento a leggerne i cognomi si interrogavano stupiti sia per la quantità dei caduti francesi, sia per la maestosità della statua. Sarebbe stata troppo lunga una “lezione” di storia patria, ma qualche dubbio sono riuscito a chiarirglielo. Contribuì anche Verdi alla colletta perché ne apprezzava il sacrificio, ma le componenti radicali non perdonavano al monarca la morte di tanti garibaldini nello scontro di Mentana e le polemiche aspre che si accesero tardarono la collocazione del monumento in uno spazio pubblico adeguato. Si dovette aspettare il 1927 perché la statua potesse trovare la sua collocazione nel Parco più importante della città.


La Palazzina Appiani

Il Castello Sforzesco, l’Acquario Civico, l’Arena, il Palazzo dell’Arte (la Triennale di Milano) che del Parco fanno parte, sono notissimi e frequentati; meno conosciuta – perché raramente aperta – è invece la Palazzina Appiani. Da alcuni anni a permettere di visitarla sono i volontari del Fondo per l’Ambiente Italiano e così io ho potuto accedervi. La Palazzina, attraverso una scalinata, conduce alla Tribuna Reale, una specie di palco a disposizione di Napoleone Bonaparte e della sua famiglia perché potesse assistere alle celebrazioni in suo onore e concedersi allo sguardo entusiasta dei suoi estimatori. Il porticato cinto da otto colonne corinzie ha l’affaccio sull’Arena Civica Progettata da Luigi Canonica nel 1807.


Il Belvedere della Palazzina

Una balaustra sorretta da leoni alati vi permette di cogliere con lo sguardo l’intera ellisse dell’anello ed è un colpo d’occhio di grande fascino. Pare ancora di sentire il coro delle voci degli entusiasti tutt’intorno a celebrare il super-ego compiaciuto dell’imperatore. Una stampa ottocentesca a colori ci mostra l’Arena piena di spettatori mentre vi si svolge una naumachia. È nel suo pieno fulgore, mentre il Parco trabocca di donne elegantemente vestite, uomini a cavallo e carrozze. È colto in una giornata di sole con le montagne innevate sullo sfondo e l’Arco della Pace che si staglia bianco in un immenso paesaggio ancora verdeggiante. Napoleone avrà goduto più volte di quella vista dopo aver sostato nel Salone d’onore e volto lo sguardo al bassorilievo che corre lungo tutto il suo rettangolo. Da comandante militare si sarà immedesimato nel corteo trionfale del fregio immaginando i fasti di una Roma imperiale a cui si era spesso ispirato. Chi ricorda più i nomi dei quattro ingressi con la Porta delle Carceri, la Porta Libitinaria, la Porta Trionfale e il Pulvinare? Oggi percorrendo la via Byron è già molto se prestiamo attenzione alla lapide di marmo con la dedica al giornalista Gianni Brera voluta dal Comune nel 2002, o a quella degli antifascisti Capolongo, Cerini, Cervi, Gaban, Maddalena, Mendel, Rossini, Ottolenghi fucilati in questa Arena il 19 dicembre 1943 per “aver cospirato per l’onore e la libertà della patria”.


L'affaccio sull'Arena

Il Parco Sempione unisce due luoghi dai tratti inconfondibilmente francesi: l’Arco della Pace e il Foro Buonaparte. Così si chiamava il Foro prima che dal cognome del condottiero fosse eliminata la u. La grande piazza circolare arricchita da edifici neoclassici avrebbe dovuto diventare una celebrazione visiva e “teatrale” del dominio napoleonico, ma i costi e la scarsità di finanze ne ridimensionarono il progetto. Tuttavia l’impronta rimane, e ai milanesi il semi-anello stradale che gira intorno al Castello non dispiace.


ALBUM


Il Salone d'onore della Palazzina 


L'interno

L'Arena in una stampa Bertarelli

GOVERNO - CORTE DEI CONTI 
di Alfonso Gianni

 

Cosa nasconde lo scontro.
 
Il voto alla Camera sul testo di conversione del decreto-legge sulla Pubblica Amministrazione che inglobava l’emendamento contro i controlli della Corte dei Conti sulle spese del Pnrr - sul quale il governo aveva posto la questione di fiducia - rappresenta un ulteriore grave passo compiuto verso una concezione puramente autoritaria di governo. Se si vuole un ulteriore atto di quella dittatura della maggioranza che Meloni intende praticare, con l’aggravante di non avere una reale maggioranza di consensi alle spalle, ma di essere solo l’espressione della parte maggiore di una minoranza del corpo elettorale, diventata prevalente in virtù una legge elettorale sciagurata e anticostituzionale. Questo governo, passo dopo passo, affondando nel ventre molle di un’opposizione ancora da costruire, sta riplasmando contenuti e forme del potere statuale, cui è funzionale il dominio nei mass-media. 



Senza nemmeno il pudore di nascondere l’irritazione e di procedere a misure repressive contro pareri divergenti di organi indipendenti, come già nel caso delle obiezioni sulla riforma fiscale da parte dell’Ufficio parlamentare della Camera o del Servizio del bilancio del Senato in materia di autonomia differenziata. Secondo la felice definizione di Marco Revelli: un governo dalla mano pesante e la pelle sottilissima. Mentre si cerca di portare in porto il ddl Calderoli - qui con più di una difficoltà, fra cui le oltre centomila firme depositate in Senato in calce a una legge di iniziativa popolare di modifica degli articoli introdotti in Costituzione nel 2001 -; mentre si tenta di allargare il fronte favorevole - vedi Renzi - all’elezione diretta del premier, intanto si opera più concretamente per mettere il bavaglio alle istituzioni di garanzia sorte proprio per salvaguardare i cittadini da un potere totalmente libero di lacci e lacciuoli.  Quando invece bisognerebbe proprio accendere i fari sull’operato degli organi di governo. Ce lo dice anche l’Agenzia antifrode della Ue, che ha annunciato di avere aperto una serie di indagini sulla gestione dei fondi dei Piani nazionali di alcuni paesi membri. Fra questi l’Italia, la principale destinataria dei fondi Ngeu, al secondo posto con dieci indagini che in nove casi si sono concluse con raccomandazioni specifiche alle autorità competenti. Tante quante quelle rivolte all’Ungheria. Siamo in un campo diverso da quello dei controlli della Corte dei Conti, poiché le presunte frodi comporterebbero il dolo, che fuoriesce dallo scudo erariale relativo alla colpa grave prorogato dal decreto che ora giunge al Senato. Ma proprio perché le fattispecie sono diverse, ne deriva che le scelte sul Pnrr siano ben ponderate e trasparenti. Il che fin qui certamente non è stato. Altrimenti non si sarebbero alzate le voci, anche entro i nostri confini, contro un eccessivo e precipitoso accaparramento da parte italiana dell’intera posta dei prestiti messi a disposizione dalla Ue. Tesi contro la quale reagisce Gentiloni, qualificando il Pnrr una chance e non una medicina amara, ben cosciente che il fallimento italiano trascinerebbe con sé l’intero impianto del progetto europeo, dandola vinta ai paesi “frugali” e al nuovo asse spostato a Est che si sta formando in Europa, quale una delle conseguenze della guerra in atto. 


...buio Fitto...

Come si vede lo scontro tra governo e Corte dei Conti non può essere rubricato come una vicenda contabile o procedurale. È la punta di un iceberg ben più massiccio. La questione che emerge, e non solo in Italia, concerne non tanto la quantità della spesa, ma la sua qualità. Cosa ben diversa dalla realizzabilità dei singoli progetti e della loro tempistica, su cui insiste il presidente della Confindustria, mettendo in primo piano la presunta efficienza del privato rispetto al pubblico. Il tema non riguarda solo l’Italia, ma la Francia e ancor più la Germania entrata ormai in recessione tecnica. Solo che non se ne esce, come invece propone l’economista tedesco Daniel Gros, aumentando le dimensioni dei progetti, le cosiddette grandi infrastrutture. Se la polverizzazione degli stessi rivela la mancanza di un disegno unificatore, il gigantismo non lo risolve, ma lo aggrava. Visti i paesi coinvolti è chiaro che siamo di fronte a un punto di crisi della governance del sistema capitalistico e come tale andrebbe affrontata. La mancanza di una capacità programmatoria da parte del potere pubblico, messa così impietosamente a nudo anche dal rifugiarsi nelle spire di un’economia di guerra, non si risolve né si contrasta con punture di spillo, con il solito e melenso rimbalzo di accuse tra chi sta al governo e chi no. Richiede invece la costruzione di una nuova agenda, a livello europeo e domestico, su cui non solo costruire una opposizione coerente, ma delineare una nuova politica economica alternativa.

 

VIRUS E IMMUNOLOGIA

 
Poche e sintetiche note; non esaustive, certo, ma uno stimolo per approfondire lo studio di queste entità biologiche, a volte insidiosissime, ma necessarie per la vita. Se conosci il tuo nemico potrai renderlo innocuo. Il volume è disponibile su Amazon. Prezzo di copertina euro 15,00
 
GLI AUTORI




giovedì 8 giugno 2023

ZUPPI A KIEV
di Luigi Mazzella
 


Opinioni a confronto.
  
Qualcosa si muove sul fronte Occidentale o è frutto di un puro miraggio? Sulla missione di padre Zuppi a Kiev occorre capire qualcosa di più rispetto a quanto il sistema mass mediatico occidentale (asservito, secondo il parere di molti osservatori politici, alle centrali finanziarie di Wall Street e della City) ha lasciato trapelare. Il messo del Papa è stato trattato, come suol dirsi, “a pesci in faccia”, da un protervo Zelensky, secondo un rituale che di certo era più che prevedibile. Le immagini del guitto diventato Presidente dell’Ucraina e capo dei battaglioni neo-nazisti Azov sono state molto eloquenti e di rara antipatia. D’altronde, dalle stesse fonti vaticane si era detto che il cardinale Zuppi era andato in Ucraina solo per ascoltare. Che cosa? Ciò che già tutti sapevano sulla posizione di Zelensky? C’è chi ritiene che, rebus sic stantibus, tentare di capire se la missione abbia potuto avere un significato ben diverso da quello apparente non è un fuor d’opera. Certamente, a livello dei rapporti internazionali esistenti al mondo, il viaggio non poteva avere alcun effetto. 
Joe Biden che risponde fedelmente ai diktat della lobby ebraica e massonica di Wall Street non ha neppure bisogno di chiedersi, come Stalin a Jalta, di quante divisioni corazzate disponga il Pontefice. Si può solo pensare che la commiserevole missione di Kiev con lo "schiaffo" a Zuppi sia stata immaginata solo per svegliare, grazie a quel gesto di verbale violenza, il torpore degli Europei e degli Italiani (in specie) di fronte alla pericolosità crescente di una guerra insensata. Naturalmente, è augurabile che se il Pontefice ha pensato che “offrendo l’altra guancia” riteneva possibile lo sfaldamento del fronte dei guerrafondai italici, abbia escluso dal novero dei possibili pentiti gli asserragliati nelle roccaforti comuniste e fasciste. Essi sono di troppo recente acquisizione all’area d’Oltreoceano e d’Oltremanica perché rinuncino, da neofiti, al forte potere politico acquisito con il sostegno del sistema mass mediatico governato dalla massoneria ebraico-anglosassone.



Papa Francesco avrebbe potuto pensare, però, che l’apparente totalità dei guerrafondai italiani possa cominciare, in men che non si dica, a “sgretolarsi” e inondare l’elettorato del Bel Paese di anti-bellicisti togliendoli dall’area crescente degli astensionisti. E ciò, in concomitanza con le prossime elezioni europee, non sarebbe una mossa politica di poco peso. Naturalmente, anche i cattolici usciti dalla vecchia DC (scherniti e ridotti al silenzio negli schieramenti di sinistra, di centro e di destra) sono in una bolla composta più di false notizie propagandistiche che di ragionamenti logici ispirati a raziocinio. E si trovano, per la prima volta, di fronte a un chiaro ed esplicito contrasto della Curia con le posizioni del Pontefice. In tali condizioni non sarà facile che, con l’astuta operazione del Papa, si possa trovare un leader politico capace di portare sul terreno della lotta il grido disperato ma certamente razionale di pace. Egli dovrebbe: essere indipendente dai finanziamenti e dall’appoggio mass-mediatico di Wall Street e della City; coraggioso abbastanza per dire basta a una guerra voluta per contrasti egemonici tra Stati Uniti e Russia e per denunciare anche apertamente la palese complicità della Nato e di una servile Unione Europea; e, last but not least, agire sapendo di avere contro la Curia Romana e lo IOR. Certo: forse Francesco confida che i cattolici, potrebbero togliersi qualche pietra dalle scarpe dopo essere stati estromessi dalla politica italiana da quegli stessi americani che essi avevano devotamente servito per lunghissimi decenni. Ma basterà per dare coraggio a un “popol morto”, come lo definiva Carducci? 

REFERENDUM CONTRO LA GUERRA
Campagna Referendaria “Italia per la Pace”



La Campagna si oppone giuridicamente alla guerra, proponendo il Referendum che è l’unico strumento di democrazia diretta a disposizione del popolo italiano per poter cambiare una Legge. Il Referendum è organizzato su due quesiti per abrogare due leggi che, in contrasto con l’art.11 della nostra Costituzione, permettono un continuo e dispendioso trasferimento di armi in Ucraina. La fornitura delle armi in questo anno di conflitto, non solo non ha risolto ma anzi ha favorito l’escalation bellica, portandoci oggi sul baratro di una guerra mondiale nucleare, dove i primi a soccombere saremo noi europei! La prossima richiesta potrebbe essere di fornire i nostri giovani per il fronte! Il governo italiano può rifiutarsi di inviare armi oggi e soldati domani, dato che la nostra Costituzione ci obbliga a ripudiare la guerra, infatti così recita l’art. 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.



A questi due quesiti si aggiunge un terzo quesito per migliorare la Sanità Pubblica, abrogando il sostegno alla sanità privata.
La raccolta firme per il Referendum, partita il 22 aprile, si concluderà il 21 Luglio ed è essenziale che quella parte del popolo italiano che non è d’accordo con le politiche guerrafondaie e preferisce usare diversamente i soldi pubblici, vada a firmare per raggiungere il numero di firme necessarie per far convalidare i tre quesiti referendari.
Se si riuscirà in questo scopo l’Italia sarà di esempio per tutto il mondo, rifiutando che scelte dell’importanza di un coinvolgimento bellico vengano prese con logica emergenziale dai governanti, senza che il popolo sovrano, che ne subisce le conseguenze, abbia voce in capitolo.



La raccolta firme per i tre quesiti referendari si può fare:
1). Presso tutti i Comuni Italiani, dove possono firmare sia i residenti che i non residenti
2). presso i Banchetti organizzati in tutte le piazze d'Italia, da cercare nelle mappe:
https://dovefirmare.it      https://clnoggi.it/banchetti-referendum-202
3). On-line al costo di 1,50 € a firma.



Questi i link diretti per firmare on line:
https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=RIPUDIA_LA_GUERRA https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=ARMI
https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=SANITA
  
Si firma per la presentazione di tre proposte di Referendum abrogativo di iniziativa popolare relativo a tre quesiti:

 


1). ABROGAZIONE PARZIALE ARTICOLO 1 COMMA 6, LETTERA a) LEGGE 09 LUGLIO 1990 N.185 (NUOVE NORME SUL CONTROLLO DELL’ESPORTAZIONE, IMPORTAZIONE E TRANSITO MATERIALI DI ARMAMENTO E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI)

 
2). ABROGAZIONE ARTICOLO 1 DEL D.L. 02/12/2022 N.185 (DISPOSIZIONI URGENTI PER LA PROROGA DELL’AUTORIZZAZIONE ALLA CESSIONE DI MEZZI MATERIALI ED EQUIPAGGIAMENTI IN FAVORE DELLE AUTORITÀ GOVERNATIVE DELL’UCRAINA) 


3). ABROGAZIONE DELL’ART.1 (PROGRAMMAZIONE SANITARIA NAZONALE E DEFINIZIONE DEI LIVELLI UNIFORMI DI ASSISTENZA) COMMA 13, D.L. N. 502/1992- RIORDINO DELLA DISCIPLINA IN MATERIA SANITARIA A NORMA ART. 1 DELLA L. 23.10.92 N. 421 (G.U. N.305 DEL 30.12.92. SUPPL.ORD N. 137) LIMITATAMENTE ALLE PAROLE “E PRIVATI E DELLE STRUTTURE PRIVATE ACCREDITATE DAL S.S.N.”

IL ROSSO NON È IL NERO
di Franco Astengo

 
La difficoltà democratica e le iniziative sul territorio.  
 
Nel corso dell'assemblea dell'Associazione "Il Rosso non è il Nero" di Savona, svoltasi il 6 giugno, si è sviluppato un ampio dibattito sulla situazione generale attraverso un'analisi dei recenti risultati elettorali amministrativi e delle prospettive dell'opposizione in vista della scadenza delle elezioni europee, considerate un punto dirimente di questa fase definibile di "difficoltà democratica". Le elezioni europee rappresenteranno, infatti, un evento politico diverso dal passato che avrà influenza sia sul quadro internazionale, sia sulle prospettive del sistema politico italiano. Come è stato ben fatto rilevare nell'ambito della discussione sul piano europeo si presentano - proseguendo le operazioni belliche in Ucraina e risultando deboli i tentativi di mediazione in atto - come determinanti i temi della coincidenza tra NATO e UE (fattore che porta ad uno schiacciamento dell'UE sulla politica estera USA in una logica di riproposizione di una sorta di "logica dei blocchi") e del conseguente spostamento dell'asse di riferimento dell'Unione verso Est con l'affermazione di regimi autoritari come quello polacco e quello ungherese.



La coincidenza tra questo disegno e l'affermazione della destra in Italia (e la possibilità che analoga situazione si determini in Spagna) costituiscono i fattori che rendono la scadenza elettorale della primavera 2024 di grandissima importanza. In Italia appare ormai prevalente il tema della tenuta democratico-costituzionale che sembra racchiudere anche quello delle durissime contraddizioni economiche e sociali in atto: un governo fondato sulle corporazioni e i privilegi per pochi che punta al mutamento della forma di governo e delle relazioni tra centralità dello Stato e Regioni allo scopo di affermare un regime fondato su di una "autorità di comando" (imposta anche verso le istituzioni di controllo della legittimità democratica come la Corte Costituzionale e la Corte dei Conti) considerando la Nazione un fatto quasi ideologico, al limite dell'etico, di "comunità di destino", in un impasto di sovranismo, razzismo (pensiamo alla "sostituzione etnica"), volontà di potenza. 



Intanto i temi della vita quotidiana languono sotto la scure di ulteriori forme di sfruttamento e di privatizzazione corporativa: dai temi del lavoro a quelli della sanità e dello stato sociale. Sulla base di queste valutazioni "Il Rosso non è il Nero" rivolge un invito a tutti i soggetti politici  e associativi (cercando di agire di conseguenza) sia a livello nazionale, sia in sede locale che si ispirano ai valori della storia del movimento operaio, del socialismo democratico, dell'ambientalismo, del progressismo costituzionale e sociale, del cattolicesimo impegnato per la pace e la testimonianza di solidarietà, ad aprire un confronto rivolto, prima di tutto, al recupero di una capacità di aggregazione culturale ma anche misurato sulla prospettiva della scadenza elettorale europea del 2024. Obiettivo: trovare le forme più efficaci per il contrasto alla destra anche nell'occasione elettorale avendo ben chiaro il pericolo che nel Parlamento di Bruxelles si formi una maggioranza composta da un Partito Popolare spostato verso dal suo tradizionale asse di riferimento con Conservatori (di cui fa parte Fratelli d'Italia, il PiS polacco, gli spagnoli di Vox) e Identitari (il gruppo che fa capo al Front National francese e alla Lega).
Intanto l'associazione "Il Rosso non è il Nero" proseguirà nel suo lavoro sul territorio programmando iniziative pubbliche in particolare sui temi della sanità, del lavoro e della tanto discussa "egemonia culturale".

UN ROMANZO INDAGATORE
di Annitta Di Mineo

Maurizio De Caro
 
La narrazione di Maurizio De Caro, nel romanzo Io sono il mago (Montabone editore, Milano), va oltre la capacità colloquiale e discorsiva perché non ha pudore; è un romanzo indagatore, è un guardarsi dentro, uno scavo psicologico per ricordare e comunicare, esprimersi e raccontare, racchiude qualcosa di profondo che valica l’apparenza e diviene catartica. Un ego per dimostrare la nostra presenza nel mondo attraverso i concetti di doppio/specchio/maschera di pirandelliana, sveviana e wildiana memoria.
Un conflitto da risolvere per abbattere il limite dell’uomo, ossia la morte.
Se da una parte attraverso i due protagonisti (Maurizio e Giuliano) si vive appieno la vita o ci si accontenta, dall’altra si cerca il senso della vita.
In mezzo la voce del mago, un alter ego, la voce narrante della coscienza (il Grillo parlante di Pinocchio) che non si può sopprimere, è a fianco a noi. Qui tutto riemerge e senza il doppio non si conoscerebbero i desideri celati e repressi, inibiti o inespressi. La voce intrinseca o estrinseca? il giudice? la morale? Secondo Heidegger la voce arriva prima e solo nel silenzio interiore possiamo sentirla e ascoltarla, ma non lo facciamo e non pensiamo alle conseguenze delle scelte. In Io sono il mago la voce così pure la scrittura in stile diaristico, epistolare e in parte anche semiautobiografico combaciano, importante di come la parola scritta in chiave simbolica, immaginaria o reale usata in vari registri diviene fondamentale nel romanzo di De Caro, che nel sapere mescolare lascia fluire le parole perché sa che l’Altro/l’inconscio esige tempo per rivelarsi. La maschera, per mostrarsi parzialmente all’esterno adattata al contesto o alla situazione sociale, appare come ostacolo alla libertà personale ed è qui che si manifesta la frantumazione dell’io, il contrasto tra l’immagine che si ha di sé stessi e l’identità riflessa. Accettare la maschera che indossiamo o avere più personalità in base ai giudizi? o ancora non abbiamo nessuna maschera, nessuna personalità? Crisi dell’io di fronte all’ ignoto, all’aldilà? Romanzo rizomatico, pregno di rimandi, un mago che ci mostra chi siamo, che spariglia le certezze, i giochi. L’autore affronta tematiche esistenziali differenti, dalla famiglia al sociale… più attento alla connessione che non l’approfondimento, e così l’interpretazione si espanda in modo trasversale. 



Io sono il mago è un percorso penetrante e liberatorio, al contempo autentico e complicato, vi sono presenti valori quali: la parentela, la potenza dell’amore sulla morte, l’importanza della lettura e della scrittura nella vita dell’uomo, il valore del tempo, il kairos-tempo qualitativo, prendersi del tempo per ascoltarsi e ascoltare, una storia che si dipana nel narrare un resoconto, una disamina della vita. Si è vissuto invano? Leggere questo romanzo ci porta anche a scoprire una Milano con luoghi, locali e personaggi allogati in un contesto di vita descritto e analizzato che ne influenza le loro azioni, uno spaccato di storia milanese dove i protagonisti vivono e talvolta si fondono.  

mercoledì 7 giugno 2023

LA LEGGE TRUFFA
di Franco Astengo

 
Settant’anni fa gli italiani furono chiamati al voto per le elezioni della II legislatura repubblicana.
 
È il caso di ricordare quel passaggio proprio adesso mentre è vigente una formula elettorale dai profili incostituzionali (dopo che altre due sono state bocciate dalla Corte grazie all'iniziativa di singoli coraggiosi nel silenzio delle forze politiche): un tema ormai abbandonato quello della formula elettorale (anzi il tema abbandonato riguarda l'insieme delle norme che regolano il diritto di voto che presentano ormai rilevanti "discrepanze democratiche" non soltanto sul punto della formula che dovrebbe tradurre i voti in seggi parlamentari ma anche, ad esempio, come nel caso del voto all'estero). Effetto "rappresentatività del voto" del resto violentato con la stupida riduzione del numero dei parlamentari avvenuta nel 2020. Andando per ordine: il 18 aprile 1948 nelle elezioni per la prima legislatura repubblicana la DC aveva ottenuto il 49,8% dei voti e la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, formando un governo quadripartito presieduto da De Gasperi e comprendente i rappresentanti di Unità Socialista che poi nel corso della legislatura avrebbero formato il PSDI, il PRI e il PLI. Prima dell’inizio della II legislatura si svolsero in Italia, in due tornate, tra il 1951 e il 1952, le elezioni amministrative e si compì, tra De Gasperi e il Vaticano uno “strappo” circa la proposta, rifiutata dal Presidente del Consiglio, per la formazione di un “listone” alle elezioni comunali di Roma comprendente anche i neo-fascisti del MSI. L’esito complessivo della tornata amministrativa 51-52 mise in allarme la maggioranza di governo. Infatti, la DC vide diminuire il suo consenso di ben 13 punti percentuali rispetto al 1948. Questo significava che, se lo stesso fenomeno si fosse riprodotto al momento delle elezioni politiche, la geografia politica del Parlamento sarebbe stata profondamente modificata. Inoltre, il dato che emergeva in modo chiaro dai risultati elettorali era quello della tendenza di un sistema che nella sua prima manifestazione era apparso fortemente bipolare (il Fronte Democratico Popolare aveva ottenuto il 31%, quindi i due primi partiti assommavano circa all’80% dei voti su di una partecipazione complessiva del 92,23%), a diventare almeno tripolare a causa della forte legittimazione ottenuta nella competizione, soprattutto al Sud, dal Partito Monarchico e dal MSI. Questo risultato produsse nella classe politica di governo e in particolare all’interno della DC quella che viene comunemente definita come “sindrome di Weimar”: ovvero il timore che i partiti posti ai due estremi dell’arco parlamentare possano strategicamente unire le loro due opposizioni contro il governo e rendere, di fatto, il sistema ingovernabile. In questo clima maturò, alimentata anche dal timore che lo scontro Est-Ovest potesse travalicare i confini della guerra fredda e portare il mondo verso un terzo conflitto mondiale, la decisione di "blindare la democrazia". Scelta fortemente sostenuta dagli Stati Uniti attraverso l'ambasciatrice Clara Boothe Luce, un esempio di vera e propria "ferocia" anticomunista. Il metodo seguito per ottenere questo risultato fu quello di realizzare un cambio del sistema elettorale in modo da permettere alla formula degasperiana del centrismo di mantenere e consolidare la guida del Paese. Si avviò così, sul finire della prima legislatura un acceso dibattito in Parlamento e nel Paese. Dibattito avviato attorno al progetto di riforma elettorale presentato dal ministro dell’interno Scelba nell’ottobre del ’52. 



Il "progetto Scelba" intendeva promuovere l’assegnazione di un premio di maggioranza del 65% dei seggi al partito o alla coalizione di partiti apparentati che avessero ottenuto un consenso pari almeno al 50% più uno del totale dei voti validi (come si può osservare si trattava, comunque, di un vero e proprio premio di maggioranza). La determinazione con cui il governo perseguì l’approvazione del progetto, dimostrata dall’aver posto la “fiducia” in entrambi i rami del Parlamento (come poi sarebbe accaduto nel 2015 nell'occasione dell'Italikum poi bocciato dalla Corte Costituzionale), l’anomalia delle procedure (in particolare nell’occasione del voto finale al Senato) e le accuse di volontà di manipolazione del risultato elettorale che  le opposizioni lanciarono a più riprese alla Democrazia Cristiana restarono nella memoria collettiva attraverso l’epiteto appunto, di “legge truffa”, inventato dalla fertile mente propagandistica di Giancarlo Pajetta. Un dibattito arroventato che ebbe anche importanti conseguenze politiche sui partiti che appoggiavano la DC e all’interno dei quali non mancarono le voci di distinguo fino a provare vere e proprie scissioni che sfociarono nella formazione di liste schierate contro l’apparentamento centrista: da PSDI e PRI, Parri e Calamandrei formarono “Unità Popolare”, dal PLI l’ex-ministro Epicarmo Corbino (che aveva sostituito al ministero dell’Economia Luigi Einaudi, quando questi era stato eletto alla Presidenza della Repubblica) fondò l’Alleanza Democratica Nazionale e si schierò contro la nuova legge anche un’altra piccola formazione di ex-PCI usciti dal partito a causa dello “scisma” jugoslavo e guidata dai deputati Cucchi e Magnani formando l'Unione Socialista Indipendente (USI). Tre gruppi che, alla fine, non ottennero seggi al Parlamento ma le cui percentuali ebbero indubbiamente un peso sull’esito finale della vicenda.



Anche la campagna elettorale risultò particolarmente “calda”: il responsabile della propaganda del PCI, Giancarlo Pajetta, inventò anche dopo quello della "legge truffa" il celebre motto dei “forchettoni” rivolto ai notabili democristiani e la stessa DC; o meglio un suo giovane astro emergente Umberto Tupini incappò in un clamoroso infortunio, organizzando a Roma una mostra fotografica sulla “Chiesa del Silenzio” per dimostrare le condizioni di vessazione in cui versava la Chiesa Cattolica nel Paesi dell’Est a “socialismo reale”. Fu, però, dimostrato, che la mostra era composta di fotomontaggi e che i sacerdoti ritratti dietro il filo spinato o stretti dalla guardia dei “vopos” se ne stavano tranquillamente a Roma e si erano prestati come comparse. I risultati elettorali non furono quelli auspicati dal Governo.


Calderoli

Rispetto ai risultati delle amministrative la DC dimostrò notevoli doti di recupero (perdendo però rispetto al 1948 circa due milioni di voti) ma alla fine i partiti apparentati non ottennero la maggioranza assoluta per uno scarto minimo di 34.000 voti. Come era già avvenuto per il referendum istituzionale si parlò di brogli. De Gasperi, però, non rivendicò il riconteggio delle schede accettando il risultato delle urne e assimilando così il risultato a una sorta di responso referendario sulla legge maggioritaria. Lo scontro in atto produsse, comunque, un’impennata nella partecipazione, che era già stata alta nel 1948, ma che crebbe sino al 93,8% degli elettori (con il 4,6% di schede nulle e l’1,5% di schede bianche). Comunisti e socialisti si presentarono, in questa tornata elettorale, separati ottenendo il PCI il 22,6% e il PSI il 12,7%, dimostrando quindi evidenti segnali di crescita rispetto al risultato realizzato dal Fronte Democratico Popolare nel 1948 e codificando il rovesciamento dei rapporti di forza a favore del PCI rispetto all'esito delle elezioni per la Costituente del 1946. Le tre piccole formazioni schierate “contro” la legge maggioritaria ottennero complessivamente l’1,8% (USI 0,8%, Unità Popolare 0,6%, ADN 0,4%) ma risultarono determinanti nell’ostacolare il raggiungimento della soglia del 50% da parte dei partiti apparentati spostando voti da PRI, PLI, PSDI (quest'ultimo sceso dal 7,07% del 1948 al 4,51%). Di grande rilievo risultò, infine, l’avanzamento di monarchici e missini che ottennero rispettivamente il 6,8% e il 5,8%, avanzando nel complesso del 4% (con punte del 21,8% in Campania, anche grazie alla campagna elettorale delle “due scarpe” e dei pacchi di pasta condotta dal sindaco di Napoli, Lauro, del 15% in Puglia, dell’11,6% in Sicilia.) Il sistema proporzionale si era dunque imposto come la tecnica preferita per l’attribuzione dei seggi e avrebbe permeato gli equilibri del sistema politico italiano per un lungo periodo, fino agli anni’90 del XX secolo quando, dopo fatti politici di grandissimo rilievo (trattato di Maastricht, caduta del muro di Berlino, Tangentopoli) parse prevalere l'antipolitica della "governabilità" con l'idea che l'adozione della formula elettorale maggioritaria contenesse l'elisir di tutti i mali della profonda crisi del sistema politico italiano corroso dall'assenza di alternativa al ruolo pivotale di un DC ormai imperniata sul CAF e la logica del potere per il potere. Un sistema politico pervaso da una profonda corruzione morale la cui crisi diede vita una lunga fase di transizione oggi apparentemente approdata al più radicale dei possibili spostamenti a destra.

  

GUERRA. NEOCON ALL’ATTACCO

 

Allora, la prima notizia è che i russi hanno respinto un attacco più pretenzioso del solito – l’inizio della fatidica controffensiva? – sul fronte meridionale, mentre a nord l’artiglieria ucraina continua a colpire i centri abitati al di là del confine – la provincia di Belgorod è anche quella che ha visto le incursioni dei “patrioti” russi, una tipica creazione dei pataccari inglesi (ricordate i tagliagole siriani fatti passare per combattenti per la libertà? tra un po’ arriveranno anche gli elmetti bianchi). La seconda notizia è che il governatore di Belgorod ha ordinato lo sgombero di alcuni villaggi. Ciò aumenta la pressione in Russia per una condotta di guerra più aggressiva: la conquista di Kharkov, il capoluogo della regione ucraina di confine, viene indicato come il primo obiettivo. Portavoce di queste istanze sono due competenti osservatori della scena politica russa: Gilbert Doctorow da Bruxelles, e John Helmer da Mosca. Il primo è più convinto della necessità di un’azione punitiva; il secondo, dopo aver paragonato la capitale russa alla Roma del tempo delle guerre puniche – Medvedev ricoprirebbe il ruolo di Catone, mentre Putin quello di Publio Cornelio Scipione, detto Corculum – ritiene più solida la linea dello stato maggiore e di Putin, che punta alla distruzione delle capacità militari ucraine. È una linea molto ragionevole; tuttavia, a differenza di Cartagine, l’Ucraina gode di approvvigionamenti militari che, seppur inadeguati, sono illimitati – quindi la guerra può durare indefinitamente. Questa è però un’ipotesi teorica: in pratica è improbabile che l’Occidente non tenti un’escalation prima di arrivare all’ultimo ucraino. Di ciò è convinto Joachim Hagopian, secondo il quale i neocon già hanno messo in conto la guerra mondiale, e che ricorda come le imminenti manovre NATO possano essere un’occasione per l’incidente fatale.
Franco Continolo 
 

 

DI LENA A MARCONIA




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