UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 7 dicembre 2024

RICORDANDO BORGNA
di Alida Airaghi


Eugenio Borgna
 
Il Direttore di Odissea, Angelo Gaccione, mi ha invitato a ricordare Eugenio Borgna riattraversando le fasi della nostra amicizia: altri, più titolati e competenti di me, hanno già saputo e sapranno evidenziarne l’alto magistero intellettuale e scientifico. Il mio rapporto di familiare e reciproca vicinanza con il Professore è iniziato intorno al 2010, in seguito ad alcune mie recensioni. Da allora si è sviluppato e approfondito, con fasi alterne, fino allo scorso 7 ottobre, quando con l’ultima mail mi comunicava il suo confortante giudizio sui versi di una raccolta inedita che gli avevo fatto leggere, informandosi affettuosamente del mio recupero fisioterapico dopo un’operazione di protesi al ginocchio. Gli ho poi inviato una recensione all’ultimo libro L’ora che non ha più sorelle, pubblicata sul blog SoloLibri il 24 novembre, ottenendo dall’ affezionata e attenta segretaria Nadia l’assicurazione del suo gradimento, insieme al rammarico di non essere in grado di rispondermi personalmente. Voglio credere sia stato così, anche se temo fosse già molto malato. Eppure, solo a metà luglio mi scriveva con relativo ottimismo: “Non so come dirle ancora la mia gratitudine per questa sua presenza amica. A presto. Il suo Eugenio Borgna”.



Decine le lettere e i biglietti che ci siamo scambiati in questi anni, parlando di tutto: di fede e politica, di poesia e di musica, delle nostre famiglie e dei nostri lutti, con una confidenza che si accresceva attraverso le sue frequenti e lunghissime telefonate. Ci scambiavamo le pubblicazioni, le sue accompagnate sempre da un biglietto scritto con una grafia tonda, larga, generosa, e con termini di squisita gentilezza, a volte addirittura di estrema umiltà, quasi dovesse scusarsi di aver osato sconfinare da psichiatra nel campo della letteratura. Nel volume La dignità ferita del 2012 ho ritrovato questo messaggio: “Non so cosa sia questo libro, Alida, se di psichiatria o di antipsichiatria, di psichiatria morale e di psichiatria salvata dalla poesia; ma lei vorrà aiutarmi a ricercarne il senso: se questo c’è? Grazie, e in amicizia”.


Borgna

Ci siamo incontrati di persona solo due volte, a Milano nel 2012 in occasione di una conferenza a cui mi aveva invitato, e alcuni anni dopo nel corso di una sua inaspettata e graditissima visita a casa mia, a Garda. Ricordo la trepidante agitazione all’idea di conoscerlo, il timore di deluderlo con la mia scorbutica timidezza. In realtà, nelle due ore trascorse in un bar della Stazione Centrale, aveva parlato quasi sempre lui, grande affabulatore com’era, ma spiandomi nel volto qualsiasi espressione, in particolare quella di colpevole imbarazzo quando ci aveva avvicinati un’anziana deforme per chiederci l’elemosina. Avendogli comunicato l’assoluta incapacità che provo di affrontare il dolore, mio e degli altri, lui che del dolore altrui si era occupato per tutta la vita, mi aveva consolato: “È la cosa più difficile, guardare in faccia la sofferenza”.
Più disteso era stato il secondo incontro a casa mia, che aveva lodato per la luminosità e l’ordine e la cura delle piante, con mio grande compiacimento. Era stato inflessibile sulle indicazioni del pranzo: un toast e un succo di pera, a cui avevo aggiunto di mia iniziativa un uovo alla coque di cui lo sapevo goloso. Così alto e magrissimo com’era, non gli risparmiavo le raccomandazioni a nutrirsi di più, e a volte mi comunicava con soddisfazione quasi adolescenziale di avere optato al ristorante per un menù più consistente del solito. Poi ricambiava le mie attenzioni commentando “da medico” le diagnosi sull’artrosi che gli sottoponevo, o il percorso terapeutico per la depressione che seguivo da dieci anni, esortandomi a lasciar perdere gli psicofarmaci e ad affrontare con maggiore coraggio l’esterno e i rapporti con gli altri.



A un certo punto la nostra amicizia ha corso il rischio di infrangersi, per colpa dell’irrigidimento che mi impongo quando temo che un legame diventi troppo coinvolgente in termini affettivi ed emotivi. Mi è successo spesso, soprattutto avanzando con l’età, di interrompere rapporti a cui tenevo, per il timore di soffrire troppo se si fossero guastati per qualsiasi ragione, dopo le tante gravi perdite patite. Avevo rifiutato il suo invito a passare dal “lei” al “tu”, e addirittura gli avevo chiesto di non telefonarmi più. Cosa che immagino l’abbia ferito, perché mi ribadiva spesso la sua gioia per la nostra amicizia. Addirittura in una dura e permalosa mail lo avevo accusato di maschilismo (lui, così attento e sensibile alla fragilità femminile!), perché aveva osato scherzare sulle mie troppe paure, con allusioni da me ritenute inopportune e mortificanti. Il Professore, che si firmava, “il suo Eugenio”, capiva e scusava, conoscendo le difficoltà ambientali che avevo vissuto con le mie figlie per tanti anni, e le nostre sofferenze. Capiva e scusava da amico e da psicanalista.  



Sono felice di essere riuscita, l’anno scorso, a esprimergli il mio rammarico per alcune estemporanee irritazioni nei suoi confronti, e la gratitudine invece per i tesori che il nostro rapporto mi aveva regalato: “Gentile Prof. Borgna, spero stia bene, e che il caldo non la faccia soffrire troppo. Qualche giorno fa è morto un caro amico, lasciandomi il rimpianto di un immotivato allontanamento, come succede spesso al mio calvinismo severo. E allora mi è venuto da pensare che per un certo periodo siamo stati molto amici anche noi, e poi io mi sono chiusa a chiave nel mio dolore, per quello che mi succedeva intorno. E ho interrotto i rapporti con tutti. Si sbaglia sempre, non bisognerebbe mai perdere di vista nessuno, nemmeno chi ci ha fatto del male. Così avevo scritto in una poesia, pensando che avrei potuto essere più affettuosa e più attenta anche con mio marito, mia mamma, mio papà, gli amici che ho trascurato. E quindi mi scuso anche con lei, se non sono riuscita a dirle che la sua vicinanza mi è stata cara. Alida”, “Mia gentile Alida Airaghi le sono infinitamente grato della sua mail che mi è giunta segnata da questo grande dolore che è conseguito alla morte di un suo caro amico. Le parole con cui mi dice questo sono come sempre molto gentili, umane, nostalgiche, luminose e poetiche. Infinite grazie di ogni sua mail che mi giunge come una azzurra colomba trakliana, anche se giornate come queste accrescono la nostalgia e il dolore per le persone care che non ci sono più. Non posso dimenticare le sue splendide poesie che rileggo e che sono di una bellezza e di una malinconia dolorosa, ma irrorate del fiume della speranza che è la sola cosa che possa dare un senso al nostro dolore. Grazie di tutto con grande nostalgia. Eugenio Borgna”.
Non so se il rimpianto, insieme alla mia riconoscenza, possano raggiungere il caro Eugenio Borgna, lì dove era certo di arrivare, con la sua limpida fede nell’eternità dell’anima. Ma in qualche modo, pur da non credente, lo spero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CHUCHILL AT WAR: UN SERIAL DA VEDERE  
di Luigi Mazzella


Churchill

Churchill at war (Churchill in guerra) è un serial di quattro episodi, in parte recitato da attori professionisti e in parte ricavato da spezzoni documentaristici, rielaborati digitalmente (a colori), programmato in streaming da NETFLIX che sembra creato appositamente per spiegare, al colto e all’inclita, il fenomeno Donald Trump, raccontando di un altro “caratteraccio” della Storia Occidentale. Il Churchill della serie è descritto certamente come un individuo di eccezionale intelligenza politica, di grande temperamento e di forte carattere, di prevaricante e prepotente personalità, di pungente e caustica ironia (ma anche di teneri affetti familiari) ma è terribilmente ostico e difficile da trattare non solo per i nemici come Adolf Hitler e Giuseppe Stalin ma anche per gli amici come Franklin Delano Roosevelt che, negli ultimi tempi, a mala pena lo tollerava. Riconosciuto “grande” per la sua lucidità politica (dalla Storia e dopo la sua morte) ma denigrato in vita, in patria e fuori, da pennivendoli e politicanti da dozzina (e dagli stessi elettori se, nelle prime votazioni a guerra finita, gli fu preferito il modesto Clement Attlee) il Winston Churchill che emerge dalla storia narrata (che detto, per inciso, ignora del tutto la presenza e il ruolo dell’Italia e di Mussolini nella Seconda guerra mondiale, (tamquam non esset) rappresenta ai miei occhi una conferma dell’irrazionalità  che contraddistingue tutta la vita dell’Occidente. 



La mia tesi è che sia molto difficile prevedere che cessi all’improvviso l’assuefazione degli Occidentali all’irrazionalismo (anche il più folle) dopo l’abitudine contratta, per oltre due millenni, di credere in fole e utopie, religiose e politiche, dimostratesi non solo irrealizzabili (com’era prevedibile) ma portatrici di morti e di distruzioni (superiori in misura enorme al previsto). Credo che il cancro di cui è affetto l’Occidente (con le sue guerre a gogò avviate dalle potenze egemoni, con i suoi genocidi, stermini, attentati terroristici e quant’altro) potrebbe essere curabile solo se i suoi abitanti riprendessero l’abitudine di “pensare” (secondo l’insegnamento della filosofia presocratica e sofista) ai problemi dell’unica vita razionalmente credibile e, nei fatti, concreta e reale (quella terrena) e abbandonassero quella di “credere” nell’irrealtà di mondi fantasiosi (iperuranici, post-rivoluzionari  o ultra terreni). Purtroppo, sia nel Vecchio e sia nel Nuovo Continente, tutti appaiono totalmente  indifferenti alla ricerca delle cause di tanto sfacelo (che sembra non avere equivalenti nel resto del globo) e senza ricerca delle cause non v’è terapia immaginabile.


Camus


Un tentativo di approfondire il tema, sia pure soltanto sotto un aspetto limitato e particolare, è stato fatto da Albert Camus con L’homme révolté (L’uomo in rivolta) con la previsione che le ideologie (chiaramente sia di destra che di sinistra) a causa del loro carattere totalitario e con la pretesa giustificazione della violenza in nome di un fine superiore nonché del sacrificio dell’individuo per il bene collettivo, potessero trasformarsi in dittature a seguito di rivoluzioni politiche. Così come, aggiungo io, anche gli assolutismi di natura religiosa possono generare atti di terrorismo, governi fortemente autoritari e guerre sante. Ciò che Camus non ha considerato esplicitamente è che, anche senza giungere alla “patologia” e alla “degenerazione” della loro natura iniziale, gli assolutismi, ideologici e religiosi, attraverso i loro possibili incroci, innesti, coinvolgimenti reciproci, sono in grado di stravolgere, nella vita ordinaria e di apparente normalità quotidiana, la razionalità nel comportamento di una massa enorme di individui, condizionandone fortemente la  capacità di convivere nel rispetto della dignità e della libertà umana. 



In definitiva, io ritengo che non sia necessario attendere la comparsa della malattia degenerativa degli assolutismi ideologici e religiosi per cogliere il pericolo insito in ogni credenza utopica per sua natura “totalizzante”. In altri termini, anche senza i bubboni della peste nazista e comunista e quelli dei genocidi e stermini motivati dalla diversità religiosa la vita quotidiana in Occidente resta pur sempre “minata” e in grado di scoppiare da un momento all’altro per quanto “annacquate” e “innocue” possano apparire quelle ideologie in abiti cosiddetti democratici. L’irrazionalismo resta, nel profondo, e condiziona aprioristicamente ogni scelta anche sul più semplice dei problemi della res publica. (Si è a favore o contro a seconda della scelta del nemico irriducibile da combattere).


Blair

Trovo, cioè, che la nostra società contemporanea e di avanzata tecnologia si muova, in Occidente, in un clima di precarietà totale e di pericolo costante, oltre che nella confusione operativa di chi abbia un pensiero deviato dall’irrazionalità.
Per usare una terminologia tradizionale, pure essendo convinto che gli aggiornamenti lessicali, terminologici e concettuali richiedono, oggi, una tempestività diversa da quella in uso nei tempi andati potrei dire che viviamo in un clima “da basso impero”, anche se oggi non possiamo  riferirci all’esistenza di un’entità statale costituita da un esteso insieme di territori e/o di popoli diversi (per lingua, religione, origine etnica, usi e costumi) a volte anche molti lontani ma sottoposti ad un’unica autorità rappresentata da una persona fisica detta “imperatore”. Tale terminologia sarebbe certamente d’altri tempi e puzzerebbe di stantio ma nella sostanza esprimerebbe la situazione dell’Occidente, oggi, che esso costituisce una vasta aggregazione di Paesi egemonizzata dagli gli Stati Uniti d’America (con l’appendice del Regno di Gran Bretagna) dove tutto avviene per spinte del tutto irrazionali.



Concludo, dicendo che l’Occidente, lungi dall’esserne la culla, può rappresentare, in un futuro non so quanto prossimo o lontano, la tomba della libertà. 

E ciò per la ragione più volte detta e cioè che la sua cultura è solo un incrocio di assolutismi, astratti e intolleranti, di natura sia religiosa (monoteismi mediorientali) sia filosofica (hegelismo di destra e di sinistra, id est; fascismo e comunismo). La gente, naturalmente, ne attribuisce la causa a motivi diversi, indicati con stereotipi e parole prive del loro significato originario. E usa quei concetti desueti, blaterando di “neo-liberismo”, di danni del “capitalismo avanzato” del “populismo”, del “sovranismo”, di effetti della “globalizzazione” e di altre amenità, come armi contro presunti avversari politici, senza rendersi conto della loro inattualità e obsolescenza. Si usano tali, parole divenute prive del loro significato originario, non accettando che la realtà politica ed economica è talmente cambiata da richiedere un tipo di analisi prettamente filosofica e ben diversa da quella cui l’opinione pubblica è stata abituata, partendo dalla convinzione errata di vivere in un vero regime democratico. 



Se sul piano internazionale, c’è un blocco egemone anglo americano (con prevalenza del secondo termine sul primo) che elabora una politica definibile approssimativamente “pauperistica” che impone nei propri Paesi e in quelli dominati (quasi colonialmente) e che prescinde totalmente da indirizzi  scientifici di economisti, giuristi e altri uomini del sapere accademico, perché si sostanzia in una somma di provvedimenti idonei a tenere buono il “popolo bue”, proprio ed altrui, ciò è dovuto solo al fatto che la gente ha rinunciato a fare uso del suo raziocinio a ciò sospinta da prelati e ideologi. Questo blocco, al potere con continuità preoccupante, non crede più nell’alternanza e vagheggia una linea politica che è quella del Partito Democratico Americano e del Laburismo inglese, influenzato non a caso dal ritorno in auge di Tony Blair, consulente bene inserito nel sistema finanziario giudaico-americano.
 

venerdì 6 dicembre 2024

LUTTI NOSTRI



Il funerale di Eugenio Borgna sarà sabato alle ore 11.00 nella Collegiata San Bartolomeo di Borgomanero.

GLI OCCHI DI BORGNA
di Roberta Guccinelli


Eugenio Borgna
 
Nel corso della sua straordinaria esistenza Eugenio Borgna ha illuminato molte vite. Lo ha fatto con quella semplicità disarmante che solo i grandi “cuori” di taglio scheleriano sanno comunicare. La gratitudine è il primo sentimento, ma non l’unico, che sia immediato provare nei suoi confronti, per l’instancabile esploratore dell’Arcipelago delle emozioni che parlava a tutti e non temeva di farlo, sebbene fosse all’Ospedale Maggiore di Novara primario emerito di Psichiatria, disciplina di cui incarnava con l’anima più pura il rigore metodologico e clinico, e libero Docente in Clinica delle malattie nervose e mentali all’Università di Milano. Era tra l’altro Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana. Non cesserà mai però di essere molto di più di tutto questo: un “buono” come solo i “felici” possono davvero essere, per impiegare di nuovo, nella loro accezione più elevata e meno scontata, dei termini di Scheler, un filosofo da lui amatissimo. Una persona, Borgna, dall’immensa cultura, elegante e agile, nondimeno, scattante, come uno scalatore di montagne rispetto al quale si arranca, scoprendo all’improvviso di avere il fiato corto. Avevo provato questa sensazione quando, dopo anni di letture borgnane, che mi accompagnano dalla mia più giovane età, ebbi finalmente occasione di incontrarlo di persona a Bellinzona, nel 2006, dove entrambi tenevamo una relazione nell’ambito di un Corso Postdiploma in “Medical Humanities” organizzato dalla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana e dalla nostra generosa ospite, Guenda Bernegger. Facemmo il viaggio di ritorno in Italia, lui a Novara, io a Milano, in treno assieme. Lui rinunciò al suo biglietto di prima classe e si sedette vicino a me, in seconda classe. La conversazione che intrattenni con lui, lunghissima, intensa e dal sapore tragicomico o comicotragico che solo certe pagine di Thomas Bernhard possono restituire, rimane uno dei ricordi più belli e ben scolpiti della mia esistenza. Da allora è sempre stato presente nella mia vita, prima con lettere come si scrivevano una volta, poi con e-mail. Dovrò abituarmi alla nuova forma di presenza, fondamentale, che continuerà ad avere in questa mia stessa esistenza, comunque da oggi più povera. Gratitudine e ammirazione prevalgono, sui mille vissuti emotivi e sulle risonanze che risveglia la sua voce inimitabile, davanti a una simile rara creatura, avvolta nel più eloquente silenzio e disposta, insieme, all’ascolto, capace della massima attenzione nei confronti dell’estraneità che abita ognuno di noi e di ogni possibile genuino interlocutore, e una gioia antica, indomita, sale, nel momento addirittura estremo, una gioia commossa, pudica. Nasce dalla fortuna, enorme, di averla incontrata sul proprio cammino, questa figura così poco ordinaria in un paese conformista e sguaiato, talvolta, privo per larghi tratti di ideali, e in un ambito per sua stessa natura votato alla mera forma come quello accademico. In Borgna, nel “nostro” Eugenio Borgna, spiccano la grande, grandissima umanità, la dignità, e una curiosità viva nei confronti di ogni forma di sapere, un amore, sempre pronto a essere condiviso, per la poesia, la letteratura, il cinema, la filosofia, per la gentilezza che in lui trovava il suo migliore interprete. Gratitudine ancora per i suoi innumerevoli lavori corali, nel rispetto di ogni autore e di ogni autrice citati, per le pagine limpide dedicate «alla comprensione e alla difesa della vita psichica», anche quando il mondo, della scienza e della cultura, della società, se ne andava a rotta di collo in una direzione diversa da quella paziente della ricerca del senso della sofferenza psichica; per la sua mitezza che, con la gentilezza, «scorreva temeraria»; per la speranza, che in lui davvero aveva il potere di «abbattere i muri»; per i suoi occhi vivaci, ironici, intelligentissimi che sapevano guardare in profondità e invitare alla Resistenza. 

BAJ A PALAZZO REALE
di Alberto Figliolia
 

Quand’ero piccolo vedevo le sfilate, le parate militari, la fanfara, le piume dei bersaglieri, le bandiere al vento ed ero felice. La guerra manco sapevo cos’era. Ora so che ci sono i generali a Mosca come a Washington, Parigi, Saigon, Roma e Pechino. (Enrico Baj)
 
Il paradosso, l’assurdo, l’ironia sono le uniche difese rimaste all’umanità. (Enrico Baj)
 


E sfilano i ritratti dei Generali - quei Generali distruttori (che non stanno mai però in prima linea con i fanti: sono sufficienti i cannocchiali per osservare fuoco e combattimenti): basti pensare ai massacri del conflitto 1915-18, ma è una triste condizione e situazione universale, senza tempo, e sarebbe più consono scriverli con la g - con il loro bagaglio di tintinnanti medaglie-patacca e nastrini assortiti in primi piani di crudezza tragicomica o in parate di vacuità e vanagloria. L’antimilitarismo di Enrico Baj era radicale, drastico - e come dargli torto pensando all’intrico siriano, alla catastrofe Palestina-Israele-Libano, al disastro Russia-Ucraina, alla dispersione di vite, energie, beni che la maledetta guerra è? Il suo antibellicismo/pacifismo trovava espressione e ragione nelle fantasiosissime figurazioni di cui era straordinario e splendido artefice, nei geniali assemblaggi di un’azione artistica fantasmagorica, poetica e civile, in continuo fermento intellettuale e antiretorica per eccellenza. E in questi tempi di guerra permanente, dove bombe e armi tecnologicamente sofisticate continuano a versare sangue innocente - una ecatombe infinita - acquista ancora più spessore l’impegno estetico ed etico di Baj.



Baj chez Baj è la mostra allestita nella rovinosa magnificenza della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, là dove venne già esposta nel 1953 Guernica di Picasso. Una scelta indovinatissima, vieppiù confermata dalla posizione dominante, centrale, che hanno I funerali dell’anarchico Pinelli, “(...) un capolavoro dove forma e contenuto vanno di pari passo, dove l’evento storico è sublimato in una dimensione assoluta”. Un’opera “controversa”, monumentale, in cui si rivive un dramma epocale e una tragedia individuale, quella di un innocente precipitato - un libertario pacifista amante di Spoon River, uno che era stato partigiano - dalle finestre di un luogo dello Stato dov’era trattenuto senza i crismi della Legge. Ci si siede innanzi alla scena apocalittica che penetra occhi e anima e coscienza. Una congerie di sagome e volti con le più diversificate espressioni: indifferenza, rabbia, sgomento, terribile meraviglia, apatia, impotenza, raccapriccio, dolore… Aguzzini e vittime sotto un cielo di pietra, segmentato; sopra un tappeto di scarti e rifiuti. 



Imponente. Potrebbe dirsi anche “incantevole” se la tragedia non fosse lì, sospesa - sospesa e pur definitiva, ineluttabile - in quell’ultimo interminabile volo prima del crudo e crudele asfalto, in quel grido rotto che spacca lo spirito di chi, indifeso, inerme o inetto, osserva, nei nudi seni di dolore della donna piegata, piagata, che guarda e veramente nulla può. Un manifesto.
Peraltro l’Apocalisse che accoglie il visitatore all’ingresso, un potente work in progress durato anni di fatica e creatività, introduce al capolavoro dei Funerali. Linguadicazzo, il Patacanguro, la Sirena dell’isola di Patmos, lo Squonk - “tratte dalle acqueforti con cui aveva illustrato nel 1973 il Manuale di Zoologia fantastica di Jorge Luis Borges, raro esempio di derivazione di opere uniche da opere grafiche (mentre più consueto è il contrario)” - insieme con la moltitudine di figure compongono un mosaico che sta fra il comico e l’agghiacciante nel miglior stile e ispirazione di Baj.



Il tema dell’Apocalisse fu scoperto da parte di Baj grazie agli Otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz (fra cui “sovrappopolazione, indottrinamento e pericolo atomico”). Dall’Apocalisse di Giovanni ai Trionfi della morte medioevali, dall’Inferno dantesco alle allucinate visioni boschiane. Oltre 200 sono le sagome della gigantesca costruzione. “In tale delirio tragicomico, affronta infatti le nostre paure esorcizzandole con una sana risata. Nell’allegria del suo folle naufragio si condensa l’idea di un inferno sociale dal retrogusto grottesco e si percepisce l’atmosfera surreale di un luogo sinistro, come un ballo in maschera”. 



Proseguendo in questo zigzag di visita patafisico - La Patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie. La materia ha più immaginazione di noi (Giorgio Kaisserlian) - si succedono:
- Gli ultracorpi. “Da una materia argillosa, viscida e attaccaticcia, germinano piccoli golem orfani, creature invertebrate con grandi teste issate su corpi barcollanti, che muovono passi incerti nella notte della ragione”. Dischi volanti su paesaggi lacustri… “Gli ultracorpi mutanti di Baj sono l’allegoria di qualsiasi potere esercitato dall'alto, ma che, silenziosamente, penetra nella nostra quotidianità”;


- i Meccano dai montaggi farseschi nonostante l’apparente anonimità metallica. Lo spaesamento indotto dall’algido esercizio del potere.
- i Mobili e gli Specchi. Collage di specchi, rotti o tagliati, che divengono nell'assemblaggio autentici personaggi: “in un gioco ambiguo fra realtà e percezione, gli Specchi (entri e non sai se ne uscirai, N.d.A.) mettono lo spettatore di fronte al proprio doppio, che si frantuma e si moltiplica”, un antropomorfismo caricaturale, ma inquietante, realizzato con impiallacciature, intarsi, interruttori. Un domestico che non rassicura affatto, sebbene paia muovere al sorriso (o a una smorfia?), come una minaccia in agguato nell’ombra;
- le Dame. Compagne dei Generali nella primitività psichica prima, poi indipendenti, ma segnate da connotati ambigui, di negatività sociale ed esistenziale;
- le Dame idrauliche, le Donne-fiume, create con l’utilizzo di passamanerie, sifoni, tubi, valvole, guarnizioni. La donna è un fiume. Se si innamora è un fiume in piena. Se straripa fa danni ingenti. L’impeto della donna è pari a quello dei grandi fiumi. […] La donna partorisce acqua viva, ipse dixit;
- il Kitsch, ovvero della “bulimia della cultura di massa” in “un sistema che tutto osserva, controlla e manipola”.



Niente male per un laureato in Legge, capace di deviare da percorsi precostituiti tracciandosi fra influenze picassiane e del Surrealismo nuovi itinerari, tessendo inedite trame. Baj collaborò con Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein; fondò l'Istituto Patafisico milanese con Arturo Schwarz, Paride Accetti, Roberto Crippa, Alik Cavaliere e con l’intervento di Raymond Queneau; ebbe rapporti con Umberto Eco, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti; scrisse per giornali e riviste e compilò libri. Superfluo aggiungere di quante mostre fu protagonista e a quante partecipò in Italia e altrove, nel vasto mondo.
E, ancora, lo Spazialismo, la Pittura nucleare, con la sua speculazione sull’universo e sul microcosmo, la “galassia subatomica”, con gli elementi della fisica quantistica, per inesplorati orizzonti. Associazioni e ricomposizioni nella logica del libero pensiero. Demiurgico e liberatorio.
Le forme si disintegrano: le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo atomico, le forze sono cariche elettriche… La verità non vi appartiene: essa è nell’atomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verità (Manifesto della pittura nucleare). La pittura nucleare vuol esser la visione intuitiva di un mondo in cui la materia diventa energia che si riproduce indefinitamente. L’artista propone di farci partecipare a questo slancio cosmico di liberazione (Giorgio Kaisserlian).


 
I pittori che vogliono rinnovare l’arte cominciano ad abbandonare gli ormai stanchi soggetti aulici, retorici e celebrativi. In loro vece propongono come fa Courbet, soggetti veri, popolari e borghesi, che rappresentano una nuova realtà sociale, quella della gente comune, senza tanti re e imperatori. L’arte tende alla libertà, a una grande emancipazione e indipendenza. (Enrico Baj)
 
L’allegria può distruggere il sistema perché al contrario delle nuove venerate divinità rispondenti ai nomi di Produzione e Consumo, essa è limite, è regola interiore, è contentezza di sé e di cose semplici: non per miseria mentale, ma per saggezza. (Enrico Baj)
 
Lasciamo la chiusa a dei versi (nella forma di un tautogramma “imperfetto”) di Edoardo Sanguineti che perfettamente si attagliano alla materia: rugge rachitico/ il rospo ruspante/ rovescia il rodomonte rampicante:/ ruscella raffi a raffiche il rétro, / ruderi di rubini rococò:/ rinasceranno, rinculando, i re, / rispolverando, rigidi, il rapé:/ ruvida roccia di ricci rossicci/ rompe rogne di ragni in raccapricci.

 
E a un’ultima considerazione critica di Alain Jouffroy: Baj ha disegnato, nel corso di mezzo secolo, una circonferenza in cui ogni sorta di stupidità, ogni sorta di vanità, ogni sorta di aggressività e violenza sono combattute con lo stesso umorismo destabilizzante, la stessa risata liberatoria, la stessa rigoroso volontà.
 
Una mostra felicemente spiazzante nonché ottimamente allestita. Per divertirsi; per ribellarsi all’ideologia piatta, stantia, disumana, che vorrebbero imporci; per pensare.
 

Baj chez Baj, mostra a cura di Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj    
Palazzo Reale, Piazza Duomo, Milano, fino al 9 febbraio 2025.
Orario: da martedì a domenica dalle 10 alle 19,30
giovedì dalle 10 alle 22,30  
 

 

 

 

 

 

 

IL TRENO DI MATERA


Sabato 7 dicembre 2024, alle ore 17:30, nella sede dell’Associazione Culturale Ce.C.A.M., in Piazza Elettra, a Marconia, sarà presentato il libro Matera, la Basilicata e le Ferrovie dello Stato a cura di Nicola Pavese.  Dopo i saluti di Antonio de Sensi (Assessore alla cultura del Comune di Pisticci) e Giovanni Di Lena (Presidente del Ce.C.A.M.) interverranno Michele Laurino (Presidente Associazione SVIMAR); Giacomo Rosa (Vicepresidente Associazione SVIMAR); Pietro Calabrese (Vicepresidente Associazione SVIMAR.); Luca Braia (Già Consigliere Regionale); Luigi Ditella (Segretario Regionale CGIL Trasporti); Leonardo Pinto (Consigliere Associazione Matera Ferrovia); Cosimo Latronico (Assessore Regionale) e Nicola Pavese (Curatore del libro).  L’incontro culturale sarà moderato da Donato Mastrangelo (Giornalista).

[…] Il “treno di Matera”, che rischia oggi di apparire perfino una battaglia di retroguardia, considerata la strada a 6 corsie, che collega in mezz’ora la Capitale Europea della Cultura all’aeroporto pugliese, mantiene tuttavia la sua importanza al di là delle rotaie, perché dà il senso della progettualità lucana rimasta sconfitta. Dopo il traguardo raggiunto, con Matera 2019, diventata oramai una meta internazionale, sul treno deve salirci tutta la Regione. Una Regione, tra l’altro, che dall’appuntamento culturale del 2019 ha tratto ben scarso profitto. [Dalla prefazione di Carmen Lasorella].



Nicola Pavese da anni associa all’attività artistica l’impegno nell’associazionismo culturale e sociale con numerose iniziative per la valorizzazione del territorio attraverso la promozione della cultura, dell’arte, dei monumenti, del cinema documentario, della fotografia e della tradizione musicale popolare. Notevole anche l’impegno per l’aggregazione giovanile e per incentivare la creatività infantile, attività espletate durante la lunga docenza nelle scuole del Materano e con le associazioni Anbima Basilicata e La Cupola Verde di Ferrandina.

 

giovedì 5 dicembre 2024

EUGENIO BORGNA È MORTO
di Angelo Gaccione
 

Alle 18,38 di ieri 4 dicembre mi è arrivata la notizia della scomparsa del caro Eugenio Borgna, amico e collaboratore di “Odissea”. Me l’ha comunicata Nadia la sua segretaria, con le parole di questa email: “Con immenso dolore, le comunico che il nostro amato Professore questa mattina ci ha lasciati. Un cordiale saluto. La Segretaria. Nadia”. Proprio in questi giorni avevo pensato più volte a lui e per varie ragioni: la prima, perché avendogli mandato il link dello scritto di Gabriele Scaramuzza “I libri di Borgna” pubblicato mercoledì 20 novembre sulla prima pagina di “Odissea” non mi era arrivato, come invece è sempre puntualmente accaduto, alcun messaggio. La seconda, perché su alcuni temi a lui cari pubblicati in queste recenti settimane, ce ne sono stati diversi e dunque mi aspettavo un suo commento come ogni volta avveniva. La terza, perché mi apprestavo a comunicargli notizie del contatto avuto con gli editori, per la pubblicazione del volume collettivo Città e scrittori che contiene anche due sue belle e affettuose note su Borgomanero e Novara. I luoghi dove la sua vita e la sua carriera di studioso e di psichiatra hanno avuto svolgimento. Era contento della pubblicazione di questo libro e me ne aveva scritto con il consueto entusiasmo lunedì 15 luglio scorso quando gli avevo annunciato l’idea: “Mio caro Angelo una bellissima idea e sono ben lieto che tu voglia inserire in questa raccolta anche quello che era stato il mio pensiero sulle cittadine in cui sono vissuto. Ti ringrazio infinitamente di tutto e mi complimento. Un caro saluto. 
Il tuo Eugenio”.


Il numero di Microprovincia
dedicato a Borgna

Il suo silenzio mi era suonato strano e mi era venuto il sospetto che poteva avere come causa ragioni di salute. E infatti, inviandogli quasi quotidianamente qualche articolo di “Odissea” più vicino alla sua sensibilità, gli avevo scritto di darmi notizie della sua salute e di rassicurarmi. Questo non è avvenuto fino a ieri quando ho appreso la ferale notizia prima dalla poetessa Alida Airaghi che lui stimava molto, poi dalla signora Nadia sua segretaria. Sono stato colto di sorpresa per tutto il resto della giornata e non sono stato più capace di concentrami su nulla. Volevo scriverne un ricordo subito, ma mi è stato impossibile. In me prevale il sentimento che alcune figure a cui sono affezionato siano come immuni dalla morte; non riesco mai a convincermi che possano non esserci più, che non restino eterne su questa terra. Sapevo dei suoi 94 anni e so che esiste un limite per ognuno di noi oltre il quale non si potrà andare, ma psichicamente in me avviene una rimozione che nasce dal considerare tutto questo una suprema ingiustizia, una inaccettabile crudeltà del destino. Forse anche per questo le mie rubriche hanno conservato tutti i nomi che negli anni vi ho trascritto, indifferente al passare del tempo e al destino che li ha portati via. 
Chiunque ha avuto un qualche contatto con Eugenio Borgna ne ha conservato un buon ricordo. La gentilezza e la dolcezza sono gli aggettivi più frequenti impiegati per definire l’uomo, prima che lo studioso. E del resto non avrebbe potuto essere diverso considerata la pratica di psichiatra in un luogo di dolore come l’Ospedale Maggiore di Novara. Dal comune amico e suo collaboratore Filippo Noto Campanella (che a “Odissea” collaborò fino alla prematura morte), sapevo delle pratiche innovative che avevano messo in atto. Pratiche umane e coraggiose quanto quelle di Franco Basaglia. Ma io l’ho sempre considerato “il poeta della psichiatria”, per l’attenzione che ha sempre riservato ai versi e alle vite dei poeti. Per il mio libro di versi Spore aveva scritto parole bellissime nell’aprile del 2020; parole profonde e sentite. Le conservo assieme alle sue lettere e messaggi in una cartellina a suo nome. Io di versi gliene avevo dedicati alcuni in occasione del suo compleanno, eccoli:



Compleanno 
Al poeta della psichiatria
 
Se il tempo ha imbiancato i tuoi capelli,
tu non badarci come fosse estate.
Vedi come la luce li inargenta?
È neve e il seme riposa sottoterra.
Di tanti fili ne faremo un nido:
lo scricciolo è arrivato di buonora,
e canta tutto allegro nel giardino.
È
neve, è neve, e presto è già Natale.

LA PRATICA DEL VOLTAFACCIA
di Luigi Mazzella


 
 
La pratica del voltafaccia, dopo il clamoroso esempio di Giorgia Meloni che passando dall’opposizione al governo del Paese ha dato prova di “girellismo” a trecentosessanta gradi, sta dilagando in tutto l’Occidente, confermando la non “guaribilità” di mali che trovano la loro origine nell’irrazionalismo più cieco, generato a sua volta dagli assolutismi incrociati delle religioni e delle ideologie di cui si nutrono gli abitanti della parte ovest del globo, con rigorosa esclusione di ogni altro cibo per la mente. Persino il “dead man walking” americano ha pensato di dovere imitare la nostra “pulzella” armata di elmo e ascia di guerra e in un sussulto di rantolo politico, dopo avere fatto dichiarazioni per uniformarsi al voto degli Statunitensi favorevoli a un Trump assertore della pace in Ucraina, ha garantito a Kiev un altro anno di invio di armi (missili a lunga gittata, munizioni, radar) dando “pane per i loro denti” ai battaglioni Azov di Zelensky, bene addestrati secondo tecniche a lungo sperimentate. Ma l’inciampante ex Presidente americano non si è fermato a imitare l’italico esempio solo in ciò: ha annunciato (“magno cum gaudio”?) di avere concesso, da “anatra zoppa” (come si dice da quelle parti), la grazia al proprio figlio Hunter in attesa di ben due processi per possesso illegale di armi e per evasione fiscale, aggiungendo note poco commendevoli per il senso di giustizia che aleggia nel suo Paese, definito selettivo, ingiusto e distruttivo.
Orbene, mentre dei “voltafaccia” della Meloni tutto può dirsi tranne che abbiano procurato danni in modo illegittimo (sono stati compiuti nell’esercizio di un potere da parte di una minoranza nel Paese diventata maggioranza in Parlamento per beneficio di legge elettorale (dura lex, sed lex) e sono intervenuti in uno Stato abituato ai voltafaccia soprattutto a livello internazionale, di quelli di Biden si può dire ben altro. Essi hanno inferto, contro ogni buona pratica istituzionale e costituzionale, un duro colpo al mito più duro a morire dell’intero Occidente, riducendolo in poltiglia: quello della democrazia Statunitense. Sotto questo profilo il merito (obiettivo) di Biden è di lapalissiana evidenza.  

mercoledì 4 dicembre 2024

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