BUONA PASQUA E BUON 25 APRILE A TUTTE E TUTTI
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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
mercoledì 16 aprile 2025
CONTRAPPUNTI
A partire
da giovedì 15 maggio sarà in libreria il nuovo saggio letterario - e non solo -
di Angelo Gaccione, Contrappunti.
La
condizione umana, il tempo e la vita, i fraintendimenti, la responsabilità del
linguaggio, i piaceri, la quotidianità, l’eterno presente, il rapporto fra
musica e letteratura, il valore dell’utopia, la cecità, la memoria, l’ironia,
il mestiere dello scrittore e molto altro, nelle pagine di Contrappunti.
Una carrellata di stimolanti riflessioni che ne fanno un agile e prezioso volume.
*
In distribuzione
dal 15 maggio in poi e sarà ordinabile da quella data sia nelle librerie sia
sui Siti on-line
Angelo
Gaccione
Contrappunti
Introduzione
Gabriella Galzio
Arca
Edizioni 2025
Pagg. 186 €
14
Per Richieste
Arca
Edizioni
Via Pico
della Mirandola 8/b
20151 Milano
info@arca-edizioni.it
Tel. 02 - 70014024
“Odissea” latoestremo@gmail.com
CITTÀ E SCRITTORI
A partire
da lunedì 5 maggio sarà in libreria il volume collettivo Città e scrittori curato
da Angelo Gaccione.
Eugenio Borgna, Dacia Maraini, Roberto Pazzi, Maurizio Cucchi, Roberta
De Monticelli, Fulvio Papi, Alessandro Zaccuri, Giuseppe Langella, Jacopo
Gardella, Elio Veltri, Marco Vitale, Luigi Mazzella… In prevalenza letterati
(narratori, poeti, saggisti, critici), ma non mancano gli urbanisti, i
filosofi, gli economisti, i pittori, gli aforisti, così come non mancano
commediografi, psichiatri, giornalisti e studiosi dalle diverse discipline. Per
l’esattezza trentasei: trentasei autori diversi per professione e interessi, ma
tutti accomunati dalla passione per la scrittura. Delle città o di parti di
esse, quelle a loro più care ed amate, hanno raccontato scampoli di memorie,
bellezze, atmosfere, riferimenti alla storia, a personaggi, ma anche affetti,
rivalse, lati insospettati e sorprendenti: sempre in bilico fra cuore e
ragione.
Tra le città
raccontate: Torino, Milano, Roma, Zurigo, Trieste,
Senigallia, Catania, Modena, Perugia, Alessandria, Ferrara, Piacenza, Ascoli
Piceno, Siena, Brescia, Lucca, Novara, Grosseto, Savona, Salerno e poi centri
minori, ma di grande suggestione: Longobardi, Bisceglie, Montichiari, Ceraso,
San Nicola Arcella, Stresa, Borgomanero, Martinsicuro, Acri, Crucoli, Cinisello
Balsamo…
Gli autori
Abati,
Airaghi, Astengo, Borgna, Colombo, Cucchi, De Monticelli, Di Felice, Gaccione,
Gallo, Galzio, Gardella, Guarracino, Langella, Longo, Mantiloni, Maraini,
Marchesini, Mazzella, Migliorati, Morone, Pacetti, Papi, Pazzi, Pennisi,
Rinaldi, Russo, Scaramuzza, Seregni, Toscani, Veltri, Vitale, Volante, Zaccuri,
Zanini, Zipolini.
Autori Vari
Città e scrittori
A cura di Angelo Gaccione
Di Felice Edizioni 2025
Pagine 176 € 25
Per Richieste
Di Felice
Edizioni tel. 329 - 4338259
info@edizionidifelice.it
Il libro
può essere ordinato in libreria e su Amazon
Per
richieste a “Odissea” latoestremo@gmail.com
DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
di Franco Astengo
Mi permetto di intervenire sul tema del dibattito aperto dal
cosiddetto “Decreto Sicurezza”
esaminandone l’aspetto della qualità di procedura democratica seguita dal
governo nell’occasione su di un tema di così estrema delicatezza. Prendo anche a prestito alcune frasi che l’ex-ministro
della Sanità Renato Balduzzi, oggi presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti,
ha scritto nella lettera mensile pubblicata dalla stessa Associazione. Balduzzi ha esaminato il quadro complessivo dell’iter
legislativo in questione rilevando la forza della polarizzazione del conflitto
giuridico e istituzionale la cui versione oggi prevalente appare tornata a
tratti quasi primitivi. Di conseguenza proprio la radicalità del conflitto e
della relativa polarizzazione consiglierebbe ai giuristi e, in particolare, ai
costituzionalisti di ritornare a interrogarsi sulle questioni fondamentali e
sulle ragioni che fondano la forma e la sostanza di una comunità politica, della
nostra comunità politica. L’occasione per
questo tipo di riflessione è appunto rappresentata da parte del governo dall’adozione
(e l’emanazione da parte del Presidente della Repubblica) del decreto-legge n.
48 del 2025, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del
personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento
penitenziario».
Nel caso emerge una
constatazione evidente: siamo di fronte - anche a giudizio del presidente dell’AIC
- a una torsione della forma di governo parlamentare in senso maggioritario e
della forma di Stato democratica in senso decidente. Questa evidenza dovrebbe
da un lato, renderci avvertiti di quali e quante siano le conseguenze che
possono derivare da mutamenti, impliciti e a maggior ragione espressi, della
forma di governo, dall’altro, indurci a riproporre, con coraggio, la questione,
da tempo avanzata in dottrina e della quale non si è sempre percepita
l’importanza, se il decreto con “forza” di legge del Governo sia davvero atto
“equi-valente” alla legge parlamentare, e ciò pur nella piena consapevolezza
che, in un Parlamento inteso come comitato esecutivo del Governo, sia
contestualmente mutato anche il senso della legge (sia detto per inciso, una
tale questione è stata posta in questi corretti termini dalla sentenza n. 146
del 2024 della Corte costituzionale).
Ho lasciato intatta la formulazione usata da Balduzzi per porre un interrogativo fondamentale per l’indirizzo che sta assumendo la trasformazione della democrazia repubblicana. Una formulazione ancorché di lettura abbastanza complessa perché sembra proprio arrivato il momento di avviare un confronto di merito sullo spostamento istituzionale in atto verso una forma di governo diversa da quella parlamentare. Non ci troviamo di fronte soltanto ad un fatto di natura procedurale ma ad un “evento” di piena natura politica. Può discutersi di tutto questo, ma ciò che appare fuori discussione, che è indiscutibile, è che la forza di legge nella Costituzione vigente è la negazione della legge della forza, anche ove questa sia la forza dei numeri. Occorre far notare, inoltre, che l’attuale legge elettorale in vigore in Italia riduce fortemente la capacità rappresentativa delle Camere, per una molteplicità di ragioni: dal premio di maggioranza, alle liste bloccate. Inoltre la riduzione nel numero dei parlamentari ha sottratto sia rappresentanza territoriale sia equilibrio nella rappresentanza politica. A futura memoria si ricordano le cinque principali funzioni parlamentari seguendo la sostanza del dettato costituzionale:
1) La funzione
d’indirizzo politico, inteso come determinazione dei grandi obiettivi della
politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in
specificazione dell’attualizzazione e dell’opposizione - dai diversi punti di
vista - del programma di governo;
2) La funzione
legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi cosiddetti “duali” che
richiedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti
dotati di potestà normativa;
3) La funzione di
controllo, definita come una verifica dell’attività di un soggetto politico in
grado di attivare una possibile attività sanzionatoria;
4 La funzione di
garanzia costituzionale, da interpretarsi come concorso delle Camere alla
salvaguardia della legittimità costituzionale nella vita politica del Paese;
5) La funzione di
coordinamento delle Autonomie, sempre più complessa da attuare in un sistema
che, nelle sedi di raccordo esistenti sia a livello internazionale che infra-nazionale
tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi.
In conclusione si può affermare che nell’utilizzo specifico dello strumento della decretazione è stata chiamata in causa l’attività del Parlamento come organo dello Stato-ordinamento: cioè la Repubblica e di conseguenza la priorità dell’assolvimento del compito della più elevata capacità rappresentativa della molteplicità di articolazioni politiche, sociali, culturali, esistenti nella realtà nazionale. Ne consegue, come ricorda la “Lettera” dell’AIC una minor forza del provvedimento legislativo: passaggio delicato verso una forma dell’esercizio di governo fondata sulla priorità del “comando” rispetto all'esercizio democratico della sovranità parlamentare.
PIÙ FOLLIA DI COSÌ SI
MUORE
di Luigi Mazzella
Il caos
nella mente degli Occidentali sembra ormai non conoscere limiti. Persino sulle
alleanze militari di guerra si fa sempre più confusione e mancano
idee se non proprio chiare almeno comprensibili per un’intelligenza
media. Per la verità, in tale settore, atteggiamenti ondivaghi e di dubbia
coerenza razionale non sono mancati anche in passato (protagonista, per
giunta, il nostro Paese).
Nella
prima guerra mondiale l’Italia entrò in guerra con la cosiddetta Triplice
Alleanza (Germania, Austria e Ungheria) e passò successivamente a far parte,
combattendo, della Triplice Intesa (Francia, Regno Unito di Gran Bretagna
e Impero Russo). Nella
seconda, la contrapposizione iniziale era tra le potenze dette
“dell’Asse”(Germania e Italia con l’aggiunta successiva del Giappone nel
cosiddetto“patto d’acciaio”) e gli Alleati (Francia, Inghilterra, Stati Uniti
d’America e Unione Sovietica) ma le vicende successive, dopo la debacle prima
della Francia e molto dopo dell’Italia, erano state caratterizzate dalla
presenza di governi-fantocci diversamente schierati con le potenze in guerra. Oggi, nel conflitto tra la Russia
e l’Ucraina v’è stato il coinvolgimento, in favore del secondo
Paese, della cosiddetta Alleanza NATO e qui, dopo il risultato delle
elezioni presidenziali americane con la vittoria del Partito Repubblicano e di
Donald Trump, il mondo esterrefatto ha cominciato a vedere stranezze
di ogni tipo e colore. Il neo eletto Presidente Statunitense ha scelto tra
le “propagande” delle due maggiori parti in conflitto quella dei Russi, come la
più vicina alla realtà, condannando inappellabilmente quella di Zelensky,
condivisa dal suo predecessore Joe Biden, e da lui ritenuta
artificiosa e strumentale (per l’interesse dell’industria delle armi
e del Partito Democratico succube del Deep State costituito
da CIA,NSA, FBI e Pentagono). In
pratica, l’America del Nord ha dichiarato la propria sconfitta e si è ritirata
dalla mischia.
Se avessero seguito la prassi
delle due guerre mondiali precedenti, gli USA avrebbero “rotto” e ripudiato
ogni rapporto con la NATO, ritenendo il suo comportamento contrario alle
prescrizioni dell’alleanza atlantica, e schierati al fianco della Russia nella
guerra contro l’Ucraina anche con il rischio che la parte restante NATO
continuasse a ritenersi in guerra.
Che cosa è successo, invece, nel
caotico Occidente? Vediamo in quali punti la razionalità è stata tradita.
1) Gli Stati Uniti si sono
dissociati dall’azione della NATO senza allontanarsi dall’alleanza atlantica,
pur ritenuta implicitamente responsabile di un comportamento contrario alle
finalità dell’Istituzione;
2) Essi hanno promesso al mondo
di realizzare la “pace” in quella guerra all’interno dell’Europa, pur non
essendo più “padroni” dell’Alleanza atlantica, come lo erano stati i
precedenti Presidenti americani nel manovrarla a proprio piacimento;
3) A differenza di quanto l’Italia,
da voltagabbana consumata, aveva fatto nella prima e nella seconda guerra
mondiale, gli USA non hanno ritenuto che la guerra continuasse e non si sono
schierati apertamente con la Russia contro Zelensky, pur ritenuto un subdolo
dittatore, nemico della democrazia e autore di massacri e genocidi;
4) In conseguenza, non hanno
dichiarato guerra con le armi ai restanti Paesi della NATO, in
prevalenza europei, ma hanno minacciato per loro dure conseguenze commerciali,
estendendole, contro ogni logica, alla lontana Cina.
5) La guerra continua tra i Russi
e Zelensky con i suoi persistenti alleati europei che da
semi-belligeranti continuano a mandare armi al grido di “Vile attacco di
Putin”ad ogni azione bellica del “nemico”.
6) Per l’atteggiamento dei Paesi
Europei la pace non si allontana ma diventa ragionevolmente impossibile!
Più follia di così, si muore!
BORO E RAMIZ
di
Gianmarco Pisa

Ramiz
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Ramiz |
Una storia di fratellanza e unità.
La lotta di liberazione antifascista dei popoli
della Jugoslavia è stata, com’è noto, una delle resistenze partigiane più
estese dell’Europa sotto l’oppressione nazista e fascista, una resistenza
vittoriosa, che ha portato alla sconfitta del fascismo e del nazismo e alla
costituzione di un nuovo ordine sociale e politico per i popoli slavi del sud;
ma è stata anche un crogiolo di unità e solidarietà antifascista, di unità e
fratellanza, di amicizia tra i diversi popoli della regione.
Non pochi
furono gli esempi di lotta unitaria tra i diversi popoli jugoslavi, e l’esempio
forse più iconico, tra i tanti che hanno segnato quelle pagine memorabili, è la
lotta di Boro e Ramiz. Si tratta dei due “eroi del popolo della Jugoslavia”,
Boro Vukmirović (serbo) e Ramiz Sadiku (albanese), la cui storia è tanto più
significativa, perfino emotiva, oggi, di fronte alle divisioni etniche e alle
continue violazioni dei diritti umani delle diverse comunità non maggioritarie
che caratterizzano la situazione del Kosovo odierno.
Fatti
prigionieri a seguito di un’imboscata nell'aprile del 1943, mentre si trovavano
sulla strada da Djakovica a Prizren, in Kosovo, diretti a un incontro con il
leggendario comandante partigiano Svetozar Vukmanović Tempo, Boro e Ramiz
furono torturati dalla polizia fascista e poi fucilati, l'uno tra le braccia
dell'altro, insieme, dal momento che, avendo condotto insieme le fasi più dure
della lotta, rifiutarono di separarsi proprio nel momento della fine.
I due sono
un vero e proprio simbolo di fratellanza e unità tra albanesi e serbi.
Boris
(Boro) Vukmirović (1912-1943) era partigiano e operaio. Era nato il 1° agosto
1912 e, perso il padre in giovane età, fu costretto a interrompere gli studi e iniziare
a lavorare come operaio. A venti anni (1932) è membro dell’organizzazione
giovanile (Skoj), dall’anno successivo membro del Partito Comunista di
Jugoslavia, del quale, nel giro di appena un anno, diviene segretario del
Comitato locale a Peć (Peja), nel Kosovo occidentale.
Imprigionato
più volte, a causa della sua attività rivoluzionaria, fu poi rinchiuso,
torturato e processato nel 1935 nel carcere di Peć, salvo poi andare assolto
per mancanza di prove. Nel 1940, fu fatto membro del Comitato regionale del
Partito Comunista di Jugoslavia per il Kosovo e la Metohija, il Montenegro e il
Sangiaccato. Ma nel 1940 siamo già alle porte della guerra.
Instancabile
organizzatore di scioperi e manifestazioni, protagonista delle lotte operaie a Peć
e in tutto il Kosovo, ebbe un ruolo di primo piano, tra le altre, nelle grandi manifestazioni
antifasciste del maggio 1940 e poi nelle manifestazioni del marzo 1941. Subito
dopo l’aggressione nazista alla Jugoslavia, il 6 aprile 1941, si impegnò
instancabilmente nell’avvio della lotta partigiana. Dall'ottobre 1941 fu
commissario politico del distaccamento partigiano della Metohija e dall’anno
successivo membro temporaneo dello Stato maggiore dei distaccamenti partigiani
per l’intera regione del Kosovo.
Proprio durante una di queste missioni, mentre lasciava Djakovica,
con Ramiz Sadiku, per incontrare Svetozar Vukmanović Tempo,
delegato del Comitato centrale del Partito Comunista di Jugoslavia e del
Quartier generale supremo, il 7 aprile 1943, cadde in un'imboscata e, in uno
scontro con fascisti italiani e nazionalisti albanesi, fu ferito, catturato e
sottoposto a tortura, senza che fosse possibile, tuttavia, estorcergli alcuna
confessione. Fu fucilato il 10 aprile 1943 a
Landovica e nominato eroe dei popoli della Jugoslavia nel 1945.
Insieme
con lui, c’era Ramiz. Ramiz Sadiku era nato a Peć nel 1915. Si unì al movimento
rivoluzionario ancora studente al ginnasio. Tra i fondatori del circolo
rivoluzionario “Budućnost”, divenne membro dell’organizzazione giovanile (Skoj)
nel 1933 e poi del Partito Comunista di Jugoslavia nel 1936. Nel giro di poco
più di un anno divenne membro dell'Ufficio di presidenza del Comitato
distrettuale per il Kosovo e la Metohija e, dopo l’invasione e l’occupazione
italiana dell’Albania (1939), iniziò a organizzare raduni in tutta la regione
del Kosovo contro l'invasione e l’occupazione fascista.
L’intervento
della polizia non tardò ad arrivare e Ramiz fu presto catturato e imprigionato nella
famigerata Torre Sheremet a Peć. Al processo, il pubblico ministero ne chiese
la condanna a morte, ma Ramiz fu poi mandato assolto, per mancanza di prove. Nel
giro di pochi mesi (luglio 1942) fu di nuovo arrestato e di nuovo imprigionato,
ancora nella torre di Sheremet.
Nonostante
le continue torture, anche lui non indulse ad alcuna confessione, e fu quindi
trasferito nel carcere di Tirana, da cui riuscì incredibilmente ad evadere,
grazie all’aiuto di un gruppo di comunisti albanesi, giunti in suo soccorso, guidati
da un altro eminente leader rivoluzionario, Koçi Xoxe, e tornare così in Kosovo
in clandestinità. Caduto nell’agguato del 7 aprile, fu catturato, torturato e fucilato il 10 aprile 1943 a Landovica, con Boro.
Con Boro, nel 1945, fu proclamato Eroe dei
Popoli della Jugoslavia.
Apparentemente lontana, è, in realtà, una storia che
parla di noi. Di un territorio in cui le leadership nazionaliste e le
diffidenze interetniche, spesso tra sciovinismi e razzismi, sono subentrate
alla disgregazione della federazione e alle eredità del conflitto, e dove la
guerra ha lasciato uno strascico profondo, in termini di contrasti
etnopolitici, violazioni dei diritti e ingerenze esterne.
Ma anche di una vicenda che si vorrebbe, da parte di
quelle medesime leadership nazionaliste, sepolta nel passato, in cui
revisionismi e manipolazioni della storia si impongono e dove il rispetto dei
diritti umani e il tessuto della solidarietà e dell’amicizia tra i popoli si
fanno sempre più tesi e sfrangiati.
Nel caso del Kosovo, come ha riferito in Consiglio di
Sicurezza Caroline Ziadeh, Rappresentante speciale, le minoranze non si sentono
protette e, riportando le interlocuzioni con la società civile serba, i
cittadini “deplorano le azioni unilaterali intraprese dalle autorità di
Prishtina, tra cui la recente chiusura dei Centri di assistenza sociale gestiti
dalla Serbia e il conseguente drammatico impatto socioeconomico”. Un contesto
di violazioni diffuse dei diritti umani. “Ciononostante, non si vedono
alternative alla necessità per i serbi del Kosovo di riappropriarsi di un senso
di autonomia con un sistema di autogoverno nel quadro della Comunità dei Comuni
a maggioranza serba del Kosovo”. Quella lezione di solidarietà e amicizia
torna, dunque, più attuale che mai.
Riferimenti:
Special Representative of the Secretary-General (SRSG),
Caroline Ziadeh, calls for concrete steps to prioritize commitments under the
dialogue, 08.04.2025: https://unmik.unmissions.org/srsg-ziadeh-calls-concrete-steps-prioritize-commitments-under-dialogue-presents-trust-building
Immagine:
Lo storico monumento “Boro e Ramiz” nel Parco cittadino
di Prishtina, Kosovo. Il busto di Boro è stato
distrutto e rimosso.
martedì 15 aprile 2025
LA DIFFICILE PACE
di Luigi Mazzella
Domanda
iniziale: perché, pure essendo, le due grandi potenze mondiali del Nord
America di Donald Trump e della Russia di Vladimir Putin,
decisamente orientate nella stessa direzione di volere, cioè, la pace, il
conflitto in Ucraina continua a mietere morti di giovani vite e a produrre
ingenti distruzioni materiali? Provo a dare una risposta: probabilmente perché si
ritengono inscindibili la guerra e la propaganda (che, sempre, da una parte e
dall’altra, accompagna il conflitto).
Seconda
domanda: perché si ritiene che esse secondo il motto latino “simul
stabunt et simul cadent? Può entrarci il fatto che, normalmente, la
Storia la scrivono i vincitori ed essi intendono affidare alla memoria dei posteri
le “buone ragioni” della loro discesa in campo? E significa qualcosa che nel
conflitto ucraino non v’è ancora chiarezza tra vinti e vincitori perché la
guerra continua con l’aiuto degli Stati Europei a Zelensky? Solo gli Stati Uniti
d’America hanno dichiarato formalmente di avere perso una guerra, voluta
sostanzialmente da Joe Biden e con Trump, Vance, Kennedy jr. e hanno ammesso
pubblicamente che a provocare l’invasione russa in Ucraina sarebbero stati, da
un lato, l’inosservanza da parte di Zelensky di ben due patti stilati a Minsk a
garanzia dell’indipendenza e a protezione delle minoranze filorusse e russofone
nelle regioni di confine (un patto del tipo De Gasperi-Gruber per
l’Alto Adige sarebbe stato necessario e sufficiente per evitare ogni contesa)
e, dall’altro, la presenza di risorti battaglioni neonazisti (denominati Azov)
al confine della Russia (che i tedeschi di Hitler aveva dovuto già sconfiggerli
e cacciarli dal proprio territorio nella seconda guerra mondiale). La posizione
degli Statunitensi (e quella corrispondente
dei Russi) era l’unica che potesse consentire una trattativa utile
per giungere alla pace. Purtroppo, però, Russi e Statunitensi si sono
trovati sul cammino della pace Europei e Ucraini, in posizione che è restata
nettamente contrapposta alla loro versione dei fatti. E ciò a causa della
presenza, in Europa, di una scomoda propaggine (verosimilmente sostenuta
dai servizi d’intelligence dei vari Paesi del Vecchio Continente)
del Partito Democratico americano, sconfitto negli States da Trump, ma in grado
di mandare, attraverso la NATO, tutto all’aria e mantenere in piedi
una sanguinosa e catastrofica guerra, continuando a mandare armi a Zelensky,
ringalluzzito belligerante. Ancora una volta, nella storia dell’Umanità, la fideistica,
fanatica, utopista, ideologizzata Europa si è dimostrata, come il vicino Medio
Oriente (da cui ha ereditato la rissosa cultura religiosa) focolaio di guerre e
di conflitti distruttivi di portata mondiale. Macron, Von Der Leyen,
Starmer & co. hanno continuato a propagandare la “versione
sull’aggressione russa” formulata di Joe Biden, e i medesimi in
aggiunta e contro ogni regola di buon gusto, hanno fatto a gara con
altri “Capi” Occidentali” a ingiuriare Putin con un un vergognoso linguaggio da
trivio.
Terza
Domanda: E l’Italia che, nel passato della Destra pre-governativa aveva assunto
posizione critica nei confronti dell’Unione Europea filo-diretta dai
Democratici Statunitensi che cosa ha fatto nei suindicati frangenti? Contraddicendo la sua
precedente politica e la versione di un suo passato leader come Silvio
Berlusconi (nel 2014) si è barcamenata come al solito tra
Scilli e Cariddi, mostrando di essere imparzialmente non “inimica a
Dio (Trump)” ma nemmeno “agli inimici sui”, senza mai osare, cioè di
avere una coraggiosa e autonoma idea propria.
Ultima Domanda: Quando vi sarà la pace?
Risposta possibile: Quando la “sinistra” Europea,
Democratica per procura, per effetto dell’inevitabile ribaltamento politico
realizzato dai fautori della pace, incuranti di essere definiti di destra,
perderà i suoi attuali leader (in alcuni Paesi ancora governanti) e
la Storia, per i risultati ottenuti sul campo, potrà essere scritta
secondo la versione berlusconiana del 2014 e non in base a quella tajanea
odierna.
UNA SPERANZA REALISSIMA
di
Pierpaolo Calonaci
In
una delle ultime sequenze del film Novecento (1976) di Bernardo
Bertolucci, mentre i fascisti scappavano lungo le campagne inseguiti dal popolo
insorto, una contadina sale su di una balla di fieno e guardando l’orizzonte
(la macchina da presa ne inquadra lo sguardo senza riferire nulla di ciò che è
guardato, che non interessa) esclama forte: beati i giovani che vedono
quello che non c’è ancora. Alludendo ad un popolo finalmente unito, libero,
forte e capace di scegliere il futuro assetto democratico. Il film si chiude,
se non ricordo male, proprio sull’immagine di ragazzi e ragazze delle campagne
che impugnando ogni sorta di utensile, senza requie, cacciano i fascisti.
Questo
è il collegamento con la prima foto che T. P. ha voluto pubblicare dove di
spalle guarda a ciò che non c’è ancora. O meglio, a ciò che è stato perduto,
che non è stato curato bene, che non è stato difeso con coraggio e determinazione
a qualsiasi costo: ovvero la dignità umana. Ma che non è persa, che abbisogna
di individui centrati, determinati e disinteressati, spogliati tra l’altro del
piccolo paranoico orgoglio personale.
La
giovane donna guarda la sua Firenze e s’indigna e mentre sente questo fuoco, l’ama.
E come ogni sguardo genuino e ingenuo che solo ogni giovane possiede chiede che
la si ascolti, che le venga sgombrato da parte degli adulti (che si credono
maestri e saggi) il campo di visuale e di azione. Ché i giovani insomma vengano
lasciati vivere da giovani poiché non sono adulti immaturi o fotocopie di
questi; di più, che quest’ultimi usino loro la cortesia di mettersi un po’ da
parte, di lasciare il palcoscenico.
È esattamente
questo uno dei temi letterari del libro di Thomas Bernhard Antichi maestri:
i maestri sono coloro che, mutatis mutandis, pervertono, traviano,
mistificano, normalizzano le attese, i desideri di liberazione, l’eros di
palpiti segreti per nuovi sogni e speranze che nell’arte, nel pensiero, nei
corpi sessuati della vita non aspettano altro che esplodere e fiorire
autonomamente. E che invece i “maestri” ricoprono con la loro coltre spessa di
nausea di perbenismo e moralismo.
In
piazza Tasso, qualche giorno fa, in uno dei rioni storici quello di San
Frediano - una piazza sempre contrassegnata da contraddizioni sociali che
colpiscono gli individui rendendoli schiavi della droga, dell’alcol, del furto,
dello spaccio ecc. - vengono trovati morti per cause ancora da definire due
uomini senza fissa dimora. Questo fatto rappresenta per il consigliere della
Lega a Palazzo Vecchio, tale Mossuto, uno dei tanti modi per consolidare il
proprio consenso politico basato sulla violenza, sulla tracotanza, sull’odio
xenofobo e islamofobo e in questo caso sul “bisogno” di rendere una città
“decorosa e pulita”. Alcuni fiorentini gli rispondono direttamente sui suoi
profili social cercando di fargli notare il suo atteggiamento a dir poco
stupido. Ma è proprio di questo che i vari Mossuto sparsi ovunque si nutrono:
non possedendo alcuna capacità riflessiva su cui costruire un pensiero
minimamente razionale e umano attingono dalle parole che a loro vengono rivolte
per deformarne il senso in arma con cui colpire il cosiddetto nemico ovvero chi
li critica. L'unico modo di lasciar morire questi Mossuto è far loro intorno
terra bruciata (ma nello scorso fine settimana la Lega a Firenze ha tenuto il
suo congresso...). Tale Mossuto posta quindi le foto di quei due “devianti”
mentre si riparavano nelle casette di legno dei giochi da bambini con i soliti
commenti che oramai dobbiamo sorbirci. Un luogo anodino (Firenze) che pullula
di bed and breakfast, dove tutti gli spazi per vivere sono ridotti al profitto,
dove la maggior parte degli edifici storici del centro in cui il popolo vi
abitava e lottava sono destinati al turismo, non può permettersi lontanamente
di pensare di tornare a essere città di vita e solidarietà. Men che mai di
pace.
A
questi Mossuti d’Italia e alla loro protervia bullista e razzista sul modello
“Vannacci”, T. si rivolge. E scrive parole semplici con le quali afferma la
centralità della dignità umana. Analogamente alla lotta del meraviglioso popolo
palestinese e parte del popolo ebreo che da decenni la stanno testimoniando a
proprie spese davanti al mondo che se ne frega.
Ecco
perché parlo di speranza realissima (e non di un mio bisogno che essa esista a
cui poi attaccarmi) davanti alla lucidità e al nitore dell’anima e dell’intelligenza
di T. e dei giovani come lei.
Beati
i giovani che sanno osare l'amore contro il mondo degli adulti popolato di
fantasmi, di nemici e di sangue!
Beati
i giovani che rompono con la propria timidezza e fioriscono attraverso la
grazia dell’errore!
Beati
i giovani che s’impossessano della parola come strumento di lotta di classe,
assumendosi la responsabilità della sofferenza umana!
UNA VITA, UN DIRITTO
di
T. P.

Teresa e Firenze
Salve
sig. Mossuto, a scriverle è una ragazza di quasi 17 anni, che voleva esprimere
il disprezzo, anzi meglio il disgusto nei suoi confronti. Dovrebbe sapere
meglio di me che il suo mestiere è stato creato per difendere i diritti
dell’umanità, indipendentemente dal colore della pelle, dalla sessualità o dei
propri disagi, quindi mi sembra assurdo come lei, signor avvocato, sia il primo
a negare il diritto umano della dignità sociale. Non tutti come lei signore
posso permettersi un telefono, dei vestiti, un tetto sulla testa o molto più
semplicemente un aiuto. Questi due ragazzi che sono morti erano italiani quanto
lei solo con una storia diversa, che né lei né io conosciamo, e denigrare la
loro morte mi sembra una delle cose più viscide e nauseanti che io abbia mai
sentito. Come ha detto lei noi accogliamo un sacco di persone in Italia e la
lotta che dovremmo affrontare dovrebbe essere per offrire loro un posto
migliore e non farli ricadere in queste situazioni. Ma lei ovviamente, come
tutti i politici dalla sua disgustosa parte, riesce o a pensare solo a se
stesso, perché se qualcosa non succede alla propria (nauseabonda) persona
allora non esiste.

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