UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 17 febbraio 2025

AHI! SERVA EUROPA
di Luigi Mazzella


 

Al gaudio per la ripresa dei negoziati e del “ragionare sulle cose” (deponendo l’ascia di guerra, dissotterrata qualche anno fa, a seguito  delle performance, al suono della banda neonazista “Azov”, di un comico d’avanspettacolo Ucraino, e delle farneticazioni di un Presidente Statunitense, probabilmente, non compos sui per un imprevisto anticipo di senescenza) gli Europei nella loro maggioranza avrebbero deciso di non partecipare. I fedeli dalla teutonica Ursula von der Leyen si mostrano, invece e  sempre più chiaramente,  propensi a prolungare (nei nostri “lidi”) la cruda battaglia che in America si è conclusa con la vittoria di Trump. In altre parole, gli ex asserviti a Biden mostrano di non voler capire  che l’accrocco di potere composto dalla Lobby di Wall Street, dagli spioni della CIA (e dei servizi segreti europei, detti,  eufemisticamente, “deviati”), dai generali felloni del Pentagono (quelli che si rifiutarono di eseguire l’ordine dell’allora Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan) e dal Partito Democratico statunitense con le sue appendici sbiadite dello stesso nome (“dall’Arizona all’Alpe, dal Potomac al Reno”) oltre chee dai partiti falsamente “sinistrorsi” ma con funzioni nascoste di “agenti provocatori” tutti  presenti nei vari Paesi europei, non c’è più, polverizzato dal voto degli Americani. Si sforzano d’ignorare anche che un tale coagulo nefasto di forze negative possa sopravvivere ai colpi di maglio non tanto di Donald Trump quanto dei magnati coalizzati dell’Hi-tech non solo americani ma addirittura mondiali, desiderosi, per ragioni diverse ma convergenti,  di smantellare l’area del dollaro, gestita o controllata dalla lobby ebraica. In un Occidente che, continuando a parlare d’amore ha diffuso l’odio a livelli massimi, era prevedibile che anche la pratica del “chiodo scaccia chiodo” si diffondesse tra gli “odianti” in virtù delle punte acuminate di quegli oggetti metallici.
Piacciano o non piacciano le punture di chiodi, è questa la nuova situazione creatasi sul Pianeta e non sarà certamente la persistenza della “censura” presa a bersaglio da Vance nel suo viaggio in Europa e ancora praticata  dai mass-media (non solo europei, in verità) appartenenti a un’editoria che resta, tuttora,  finanziariamente dipendente da Wall Street a cambiare le carte in tavola. Così come non modificarono l’esito della seconda guerra mondiale (dopo le atomiche a Hiroshima e Nagasaki) i guerriglieri giapponesi dispersi nelle isole Filippine che continuavano a combattere, sparando contro le fronde mosse dal vento, non essendosi accorti che i loro nemici erano tutti rientrati in patria.
Si può concludere ammettendo che il fronte degli Europei fedeli della “pulzella di Bruxelles” è ancora cospicuo (Macron, Scholz e, in Italia, Schlein, Conte, Renzi, Calenda). Seguono le consuete, mie domande.
La prima domanda è: fino a quando  gli Europei continueranno a sentirsi servitori fedeli di Biden e degli industriali delle armi, non avvedendosi che i tempi delle negoziazioni diplomatiche non sono i più favorevoli al commercio dei missili e delle bombe, e che le fonti di quella mortifera locupletazione stanno per essere sostituite da altri mezzi di sostanzioso arricchimento?
Seconda domanda: Per ciò che riguarda l’Italia, chi toglierà la sveglia dal Collo dei nostri politici ostinati a restare servi “nei secoli fedeli” dei vecchi e spodestati padroni”?
Chi consiglierà loro di vedere sui teleschermi il serial di Joe Wright, tratto dal libro di Scurati: “M, il figlio del secolo”, che dimostra come in un Paese dove non abbondano i “cuor di leone” le piroette della nostra Presidente del Consiglio potrebbero persino portarla più in alto del posto in cui l’ha collocata  la sua sparuta minoranza (che, guarda caso, è divenuta maggioranza in virtù di una legge di quell’Ettore Rosato, ex democratico e fondatore dei Popolari Europeisti Riformatori?).
Terza e ultima domanda: Se a voler credere ai fedeli di Cristo che le “vie del Signore sono infinite” è azzardato pensare  che quelle utili al cursus honorum della 
pulzella della Garbatella” passino per la Russia e per le parole di un Putin che generosamente corre, secondo il detto di Ennio Flaiano,  in soccorso del vincitore Trump. Intenditoribus pauca!

  

LA PREDA UCRAINA E IL CINISMO OCCIDENTALE
di Maurizio Vezzosi


 
Nessuno può dire quanto tempo sarà necessario per realizzare in Ucraina una tregua e quanto per reale accordo di pace, ma di certo si possono rilevare alcune evidenze. Il negoziato tra Washington e Mosca non concerne soltanto il problema ucraino, ma la reciproca sicurezza strategica dei due attori - anzitutto in ambito nucleare - e le altre aree geografiche in cui il loro coinvolgimento è prominente. Il Cremlino non accetterà di concludere un accordo con Zelensky e non accetterà alcun Minsk-3, ossia un semplice congelamento della guerra. Il nuovo inquilino della Casa Bianca finora ha almeno un merito: quello di avere ricordato brutalmente che cosa ci sia davvero alle radici della guerra in Ucraina. La postura di Donald Trump impone anche ai più miopi di ammettere che l’Unione Europea non è un soggetto rilevante negli equilibri globali, ed in materia di guerra e di pace nemmeno negli equilibri europei. Il colossale sforzo bellico a sostegno di Kiev ha difeso soltanto interessi alieni e contrari a quelli della maggioranza degli ucraini: il cinismo esplicitato da Donald Trump - 500 miliardi di terre rare - in merito alle risorse ucraine si discosta solo nella forma da quello sostanziatosi nella politica delle precedenti amministrazioni. E conferma quello che l’Ucraina sia sempre stata dal 1991 ad oggi per Washington. Prima di tutto uno strumento per dividere ad ogni costo - fosse anche la distruzione dello strumento stesso - l’area occidentale del continente da quella orientale, oltre che una spina nel fianco di Mosca ed un enorme serbatoio di risorse. Del resto oggi Donald Trump ha gioco facile nell’imporre ai paesi dell’Europa occidentale l’acquisto di risorse energetiche statunitensi grazie al lavoro ereditato dalle precedenti amministrazioni. A questo si aggiungeranno i colossali acquisti di armi che Washington già non fa mistero di pretendere dai paesi dell’Europa occidentale, tra cui l’Italia. D’altra parte, di che cosa si alimenterà l’industria militare degli Stati Uniti se in Ucraina non dovessero essere inviate più armi, almeno con le stesse proporzioni degli ultimi tre anni? Mentre il mondo cambia, ed una nuova Yalta appare meno lontana, gli ucraini restano le prime vittime di enormi illusioni, pagando a loro spese un’ecatombe senza precedenti in Europa dal 1945 ad oggi.

MINIMA IMMORALIA
di Franco Continolo
 


Se l’Europa fosse guidata da statisti, anziché da superidioti, guerrafondai e revanscisti - pensando a gente come Pistorius, il socialdemocratico ministro della Difesa tedesco, si sarebbe tentati di rispolverare l’attributo socialfascista - approfitterebbe della volontà americana di chiudere la guerra alla Russia, e di normalizzare le relazioni con essa - volontà testimoniata anche dalla ripresa dei contatti tra i ministri degli Esteri - per negoziare con Mosca una pace duratura fondata sulla sicurezza comune. In altre parole, non si limiterebbe a rispondere ai questionari provenienti da Washington, di cui parla il servizio in oggetto, perché questi prospettano in pratica una tregua, il congelamento dello status quo, che come tale necessita della presenza dei piskiper, presenza quanto mai inutile, come dimostrano il Libano, il Congo, il Sudan, l’Afghanistan, ecc – quando non si sa cosa fare si chiamano i piskiper. Il questionario può andar bene ai polacchi, ai baltici, agli scandinavi che non vedono l’ora di mettere sotto la Russia, e che a questo scopo creeranno prima o poi un “incidente” nel Mar Baltico, come prevedono Andrew Korybko e John Helmer.

LA TECNOCRAZIA ECONOMICA AL POTERE
di Andrea Fumagalli 



Il discorso di Vance è molto interessante e dice che l’Europa (come il re di Andersen) è nuda. La democrazia in Europa come in Occidente è morta da lustri (se mai c’è stata). È paradossale che a dirlo sia il vice presidente di uno stato che ha abolito la democrazia sostanziale da anni. Fino a ieri esisteva almeno una democrazia formale, che a parole si rifaceva a una qualche carta costituzionale, sempre più stracciata. Oggi neanche questa. Credo infatti che da qualche anno siamo entrati in una fase post-costituzionale, dove il neo autoritarismo si basa sulla negazione dell’approccio costituzionale e della separazione dei poteri. Con l’avvento delle piattaforme tecnologiche, come nuovo modello organizzativo del capitalismo, salta completamente la separazione tra potere economico e potere politico. Se il neo-liberismo aveva sancito la supremazia del potere economico di mercato sul potere politico dello stato, comunque demandando allo stato alcuni compiti regolativi o deregolativi (flessibilizzazione del mkt del lavoro, difesa formale della concorrenza - antitrust, autonomia fiscale, ecc. -), oggi con il duo Musk-Trump, il potere politico viene annullato e la politica è direttamente svolta dalla tecnocrazia economica che governa e comanda le piattaforme digitali.
Vance lo conferma, dicendo che il nuovo sceriffo (populista) predilige deportazioni e remigrazioni e vuole libertà d’azione e detassazione per le piattaforme tecnologiche, in nome di un illusorio recupero dell’egemonia unipolare USA. Obiettivo destinato, comunque, al fallimento.

 

LA VOCE DEL POTERE
di Franco Continolo


 
Per capire lo stato dell’informazione in Italia è utile dare un’occhiata ai titoli di prima pagina del 15 febbraio. Sulla vicenda Mattarella sembra che sia più offensivo l’aggettivo “blasphemous” usato dalla Zakharova, dell’uguaglianza Russia = Germania nazista, fatta dal Presidente riferendosi a un paese che ha pagato con oltre 25 milioni di morti la liberazione (dell’Europa) dall’aggressione nazista 
 
Il Sole 24 Ore
Vance sferza l’UE: “A Washington c’è un nuovo sceriffo”
Mosca attacca Mattarella. Meloni: un’offesa a tutta la nazione
 
Corriere della sera
Attacco al Colle, tensione con Mosca
L’affondo del vice di Trump
 
La Repubblica
Mattarella, lo sfregio di Mosca
Vance, il vice di Trump, contro l’Europa: “Ci preoccupa più di Putin”
 
Il Messaggero
Vance a Monaco vede Zelensky e si scaglia contro la Ue: la censura è più pericolosa di Putin
Il Cremlino attacca Mattarella. Meloni: “Insultata l’Italia intera”
 
La Stampa
Vance contro la Ue: la censura minaccia più grave di Putin
Mattarella nel mirino del Cremlino: da lui invenzioni blasfeme

 

 

BLASFEMIA SUI GENERIS 
di Romano Rinaldi


 
L’accusa di blasfemia rivolta dalla portavoce del Cremlino al nostro Presidente della Repubblica per aver paventato una similitudine tra le trattative di pace in Ucraina intraprese dalle due superpotenze e la “soluzione” della questione dei Sudeti nella Conferenza di Monaco del 1938, a parte l’innegabile appropriatezza di tale similitudine, suscita qualche riflessione. Innanzitutto l’uso dell’espressione “blasfemo”, un vocabolo che risuona molto di frequente nelle teocrazie islamiche e viene addotto negli assalti dei fanatici islamisti, com’è avvenuto per Charlie Hebdo 10 anni fa, il Bataclan lo stesso anno in novembre e le varie altre stragi compiute anche di recente, scagliando automezzi tra gli ignari passanti, magari congregati per qualche festività o altra attività sociale. A pensarci bene è dunque una parola a “due vie” e molto probabilmente più appropriata per il ritorno che per l’andata! Questo porta logicamente a considerare l’autorappresentazione del nuovo Zar della Russia neo-imperiale il quale, corroborato da un robusto sodalizio con l’attuale patriarca, lancia una specie di scomunica, insieme al suo sodale neo presidente americano, nei confronti di una personalità dotata di indiscutibile autorità culturale e politica; il più alto rappresentante di uno Stato ad ordinamento democratico (tutt’ora!).
Ed eccoci dunque a qualche considerazione conclusiva del ragionamento. Entrambi i capi delle due grandi potenze in questione si sentono investiti di una missione divina per ristabilire l’ordine mondiale a scapito del sistema democratico liberale e capitalista così come l’abbiamo conosciuto finora (e da 236 anni negli Stati Uniti), piuttosto che cercare di correggere le ben note e possibili aberrazioni indotte dal sistema. Il costante richiamo all’autorità divina come guida delle loro azioni è un chiaro sintomo di un delirio di onnipotenza fomentato dalle immense ricchezze accumulate dai pochi che con loro gestiscono il potere, utilizzando il liberalismo democratico come grimaldello per distruggere l’essenza stessa dei principi democratici di convivenza, sia all’interno della propria nazione, sia nei confronti delle altre nazioni del mondo, avendo portato il materialismo capitalista alle sue estreme conseguenze. Forse è ancora presto per dirlo ma questo delirio di onnipotenza pare avere una scarsa propensione per la convivenza pacifica e assomiglia di più a un piano diabolico piuttosto che a un disegno di nuova armonia tra le moltitudini umane che popolano il pianeta Terra.

 

PER LAURA ALVINI


Laura Alvini
 
Il Museo degli Strumenti Musicali ha il piacere di invitarvi 
 
sabato 22 febbraio 2025 alle ore 15.30
in Sala della Balla
 
a una manifestazione musicale in ricordo della tastierista Laura Alvini, scomparsa venti anni fa.
 
Musiche di G. Frescobaldi e dintorni
 
Interpreti:
Alessio Corti
Mara Galassi
Simonetta Heger
Arianna Radaelli
Giovanni Togni
Yu Yashima
 
Ingresso libero sino a esaurimento posti disponibili. I tagliandi d’accesso che garantiscono la prenotazione del posto saranno distribuiti a partire dalle ore 14.30 nel Cortile della Rocchetta.
 

Cliccare sulla locandina  

Laura Alvini, nota per essere stata negli anni Settanta uno dei pionieri nel promuovere in Italia l’esecuzione della musica barocca e la sua interpretazione filologica, ha rivestito un importante ruolo nella divulgazione del repertorio clavicembalistico e fortepianistico di questo periodo.
Intensa è stata la sua attività di concertista, sia come solista, sia in ensemble, come quello da lei fondato con Enrico Gatti al violino e Roberto Gini al violoncello. Oltre ad incidere numerosi dischi, si è dedicata anche all’insegnamento: docente di Musica d'insieme per strumenti antichi al Conservatorio di Verona, docente di clavicembalo, clavicordo e basso continuo alla Civica Scuola di Musica di Milano, direttrice di Seminari di Musica Antica presso la Fondazione Cini di Venezia.
 
Tra i musicisti che si esibiranno ci saranno alcuni suoi ex allievi ai quali Laura ha trasmesso la passione per una lettura sensibile e fedele degli spartiti antichi.
 
I brani verranno eseguiti su un clavicembalo italiano appartenuto al Maestro Alvini, recentemente concesso dal figlio in comodato d’uso al Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco.


 

Unità Raccolte Artistiche

 

domenica 16 febbraio 2025

ICASTICITÀ DEI ROMANI
di LuigiMazzella
 

Neminem laedere” e “nullum crimen, nulla poena sine lege”. Id est: Non arrecare danni agli altri per evitare le punizoni previste dalla legge  per riparare al torto arrecato. I nostri antenati. Padri di una vera civiltà (nata sullo Stivale e sulle sponde del Mediterraneo) arginavano cosi, con la saggezza di Pallade-Athena-Minerva la tendenza a delinquere dei troppi “Centauri”, metà uomini e metà bestie, che popolavano già allora la terra.
Il presupposto di tanta saggezza era la concretezza di una visione empiristica di una realtà considerata come unica, nell’assenza di fumisterie dualistiche (religiose o filosofiche). Con le visioni da incubo (notturne, alla luce della luna, e diurne, sotto il sole infuocato) di insonni e stremati carovanieri del deserto e con le fantasticherie iperuraniche di un uomo ambizioso e supponente, desideroso di condizionare, con metodi autoritari, il comportamento dei suoi discepoli accademici l’icasticità romana finì nel gorgo dei vortici metafisici di doppia natura.
Altre visioni della vita si sovrapposero con prepotenza: c’erano in campo, ormai, non visti ma “sentiti” per il miracolo della “fede”, un Dio giustiziere e misericordioso, a seconda dell’umore, c’era un Diavolo sempre “maligno” e costantemente in agguato sotto sembianze varie (prediletta quella del serpente) che di nequizie una ne combinava e un’altra ne pensava, il delitto entrava in famiglia (Caino ammazzava il fratello Abele e probabilmente era condannato all’inferno, una realtà nuova di fiamme avvolgenti misteriosamente alimentate), il pentimento, però, poteva fare il miracolo ed “emendare” (id est: rendere nuovamente “puliti e più bianchi del bianco” anche i colpevoli più incalliti se c’erano, ovviamente, come artefici del lavaggio, i necessari, indispensabili sacerdoti), si studiavano, nelle sacrestie delle parrocchie, casistiche dettagliate e minuziose per stabilire quali fossero gli orifizi del corpo umano consentiti per la penetrazione e quali proibiti, si rimpinzavano i codici penali di violenze svariate facendone graduatorie spesso incomprensibili qoad poenam, si consentivano come esimenti di delitti anche atroci odi e rancori religiosamente motivati e si guardava con indulgente benevolenza o con severa acredine ai moti popolari anche furibondi a seconda della loro ispirazione a una passionalità politica vicina o distante rispetto alla propria. In poche parole il mondo (quello nostro, dell’Occidente) abbandonava la calma distesa di mare azzurro dell’icasticità romana e si tuffava nelle onde grigiastre dell’agitata area mediorientale. In quei flutti ancora si dimena: quo usque tandem?

 

 

 

LA QUERCIA DI GOETHE
di Gabriele Scaramuzza



Per una genealogia dei campi di sterminio
 
Tracciare una genealogia critica dei campi di sterminio: tale è l’intento di Franco Sarcinelli nell’ottantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz. Un intento necessario, benvenuto anzi, condotto con l’ampiezza culturale e l’acribia che caratterizza l’autore, ma anche con la sua sensibilità che possiamo ben chiamare “umana”. Vi sono due fotografie nel testo, e si riferiscono ad Auschwitz. Ma in gioco è l’intero universo dei Vernichtungslager: tornano in mente non solo Treblinka, Sobibor, Chelmno, Belzec, Majdanek, ma soprattutto Buchenwald, che può essere considerato un caso unico nel suo genere, ed esemplare: Jedem das Seine sta scritto all’ingresso (al posto del più scontato Arbeit macht frei). È vicino a uno dei centri pulsanti della civiltà tedesca, Weimar, e contiene al proprio interno la perturbante “quercia di Goethe”, emblema della assurdità dei campi. Perché proprio sulla collina dove passeggiava Goethe, a pochi minuti dalla città, è poi stato collocato uno dei Lager più devastanti.  
Riprendo qui quanto ho sostenuto in Non dimenticare il meglio (“Scelte”, Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. 9-17). Non basta ricordare, è necessario, assolutamente, non farne una stanca e insipida cerimonia; pena la perdita di ogni sapore del passato e di ogni presa sul presente. Occorre qualcosa che dal di dentro animi la memoria, la sorregga, le dia senso; e questo può ben essere simbolizzato dalla musica: il 27 gennaio è anche la data della nascita di Mozart e della morte di Verdi. Per questa via il Giorno della Memoria può esser vissuto non solo come giorno del grande peggio; ma anche come giorno di una possibile rinascita; chi vuol ricordare è mosso esclusivamente da tristezza e lutto? Una coincidenza per certi versi inquietante può trasformarsi in una chance: per ricordare i valori che sorreggono e rendono possibile la memoria. Perché si traduca in un giorno di riscatto, di impegno a vivere, di ritrovamento di valori: l’ultimo libro di Liliana Segre ha per titolo Ho scelto la vita, e la musica per me è un grande aiuto a ritrovare motivi di questa scelta. Ricordare sì, ma non come obbligo imposto, vuoto rituale: le celebrazioni non devono ricadere in una routine stantia, vuota, privo di quel “principio Speranza” che solo può dar loro senso. Mozart e Verdi danno pur carne al 27 gennaio. “Vergiβ das Beste nicht!”: “Non dimenticare il meglio!” ci raccomanda Walter Benjamin, e l’esortazione, aggiunge, proviene “da una quantità infinita di antichi racconti, senza tuttavia che appaia mai in alcuno di essi”. E conclude: “la dimenticanza riguarda sempre il meglio, poiché riguarda la possibilità della salvezza”.   
Per conto nostro - per chi come noi “ha scelto di vivere”, e di tener vivo ciò che ci ha permesso questa scelta - continuiamo a sentir musica, a frequentare la Scala, come fa Liliana Segre. Idealmente in sua compagnia, finché sarà possibile.  
Quanto a Franco Sarcinelli, ciò che sorregge la sua ricerca si ritrova nel suo recente, impegnativo, Essere umano. Per un’etica del ben-essere (Mimesis, Milano-Udine 2024), dove sono da segnalare anche la prefazione di Alberto Frigo, La presunta banalità del bene e la postfazione di Fabio Fossa, Le domande dell’essere umano e le risposte dell’intelligenza artificiale. È da ascrivere a merito di questo libro il coraggio di tornare ancora una volta (e perché immer wieder si riprenda) al termine “umano”, per tanti versi usurato e compromesso - “com’è umano lei”, dice Fracchia al superiore che lo schiaccia. E soprattutto il coraggio di riproporre domande considerate vane e “inattuali”, eppure così incombenti, circa l’essenza e il destino dell’uomo. Sta qui quanto dà senso alla ricerca sullo sterminio nazista, mille volte tentata e quest’anno di nuovo condotta, con partecipata sensibilità, da Franco Sarcinelli.


 
Franco Sarcinelli
Vita e morte nei campi di sterminio.
Dall’ascesa del nazismo al compimento della Shoah
Mimesis, Milano-Udine 2025
Pagine 312, € 22. 

PASOLINI E PINELLI. LA POESIA NON DIMENTICA
di Carlo Penati


Carlo Penati
 
Mercoledì 12 febbraio 2025 Angelo Gaccione ha presentato a Lainate, con un racconto sapiente ed evocativo, ricco di aneddoti e di preziosa memoria storica, due opere di cui è stato curatore: Piazza Fontana. La strage e Pinelli. La poesia non dimentica e Intervista a Pier Paolo Pasolini. L’incontro letterario è stato organizzato dall’associazione Officine letterarie – Poesia 33. Alla presentazione di Angelo ha fatto eco un reading poetico concluso dal mio instant poem, di seguito riportato, scaturito dall’ascolto dei vari interventi.
[C. P.]
 



Scriveva Pasolini a Patmos
con la foga di un letterato
immerso nel sangue agricolo padano,
sacrificio all’altare maledetto,
di piazza Fontana apocalisse.
Con la foga di un profeta antico,
di un Giovanni il greco ritornato a piangere
una nuova strage di uomini innocenti.
 
A Patmos il mare urla
le sue poesie sapienti
e il lungo racconto
di poveri contadini
tornati troppo presto a riposare
nella loro terra sterile e immota.
 
Passavo davanti al palazzo
che fu Banca dell’agricoltura,
banca grande, nazionale.
Era aprile e aspettavo
una classe di giovani designer
venuti dall’illustre scuola di Urbino
a studiare il moderno di Milano.
Interrogati con l’aria un po’ furba
del vecchio sociologo lombardo
nessuno sapeva della strage,
della bomba, del sangue,
del fascismo di Stato
che impresse ferite tremende
alla nostra civile convivenza.
Incrinata la pietra del ricordo
nessuno sapeva dei diciassette morti
e nemmeno dell’ultimo,
poi aggiunto alla lunga lista
per un volo anarchico dall’alto.
Una pietra pesante, ultimativa,
sulla storia che stride e duole.
Ardua la verità,
che quando si svela è tardi.
Come credere
che una tragedia lontana
chieda ancora la nostra pietà?
 


Milano osserva sorniona
un Angelo che vola rasoterra
e recita sottovoce
parole sottili di compianto.
 
Nel giorno dei funerali
la macchia nera
dei corpi stretti stretti
nella nebbia fredda
di piazza del Duomo
si spande per la pianura
fino agli Appennini.
Risale le valli
e copre altri brandelli
di morte assassina.
La linea nera che segna,
con un grido strozzato,
il marmo ignaro
di piazza della Loggia
è il dolore di tutte
le madri del mondo.
La molla intatta
della nostra ribellione.

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