UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 2 dicembre 2023

ACRI PER PIAZZA FONTANA E PINELLI



Il Comitato Beni Comuni e E.T.S. Libera Accoglienza presentano l’antologia poetica “Piazza Fontana. La strage e Pinelli. La poesia non dimentica” al Caffè Letterario di Palazzo Sanseverino-Falcone ne discuteranno Oscar Greco e Angelo Sposato in collegamento da Milano con Angelo Gaccione e Silvia Pinelli.

TAV. COME SE NIENTE FOSSE
di Associazione di volontariato Idra



Visita guidata al cantiere della Stazione Foster. Subito disattesi da Rfi e Palazzo Vecchio gli impegni a una comunicazione trasparente sulla TAV.
 
La settimana scorsa il Comune di Firenze ha organizzato, insieme a Rete Ferroviaria Italiana, un primo incontro (poco) pubblico sugli impatti che i lavori iniziati per il doppio sotto-attraversamento del Passante Alta velocità ferroviaria promettono, e in parte già comportano, sulla vita quotidiana della popolazione. Sono emerse numerose criticità, con toni anche accesi, e apparenti difficoltà da parte del proponente del progetto nel raggiungere l’assenso all’ esecuzione delle radiografie (i ‘testimoniali di stato’) degli edifici sottoposti a livelli variabili di rischio. L’associazione Idra, che dal 1994 monitora la progettazione TAV, prima in Mugello (dove è stata parte civile nel procedimento penale a carico del consorzio realizzatore dell’opera, e parte ad adiuvandum in quello erariale conclusosi con sentenza di colpa grave a carico dei più alti amministratori, centrali e regionali, fra i quali Vannino Chiti e Claudio Martini)  ha appreso solo per caso dell’appuntamento, conclusosi peraltro frettolosamente a causa dei ristretti limiti di tempo posti all’utilizzo della Sala Riunioni dell’Infopoint del Comune. Eppure da mesi sono in corso incontri di approfondimento co Rfi che l’associazione ha richiesto allo scopo di informare il pubblico su dati, scenari e dettagli destinati altrimenti a rimanere nei cassetti, visto anche il grave ritardo con cui Palazzo Vecchio gestisce la comunicazione sull’argomento con i cittadini amministrati.


 
Lo scorso luglio Idra era stata addirittura invitata a un incontro presso l’Info Point di Rete Ferroviaria Italiana col direttore investimenti dell’Area centro (Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo) per fornire suggerimenti operativi riguardo alla strategia da adottare allo scopo di informare e consultare la città su un progetto talmente vetusto che se ne è persa la memoria collettiva, e che tuttavia pende come una spada di Damocle quanto meno sul prossimo quinquennio di vita urbana e metropolitana. Con spirito collaborativo, Idra aveva fornito spunti e indicazioni di cui il direttore di Rfi l’ha ringraziata impegnandosi a farne tesoro. Alla prima prova concreta, però, l’incontro programmato giovedì 23 novembre sui lavori in corso presso via delle Ghiacciaie e via Cittadella, l’associazione non è stata invitata. Né, risulta, sono stati informati altri soggetti che pure seguono con occhio vigile il processo di cantierizzazione TAV.
 


Nessun invito neanche da parte del Comune di Firenze, che tuttavia ha sottoscritto a giugno con Rfi, Regione Toscana e Città Metropolitana un Protocollo. Un atto che ha previsto l’istituzione da parte di Palazzo Vecchio di un nuovo Comitato di garanzia che, per il supporto alle proprie alle attività, dovrà dotarsi - leggiamo - “di professionalità definite nell’ambito della comunicazione integrata, attraverso la selezione di società particolarmente qualificate per:
− gestire le attività di comunicazione definite nel Piano di comunicazione e garantirne la realizzazione;
− definire e realizzare un piano mezzi congruo rispetto alle attività da comunicare, tra i quali - a titolo esemplificativo e non esaustivo - materiali grafici e multimediali;
− pianificare, organizzare e gestire percorsi di partecipazione, ascolto, informazione e mediazione territoriale con i pubblici di riferimento”.
Orbene, non sembra, questo, un inizio particolarmente riuscito di partecipazione, ascolto, informazione e mediazione territoriale con i pubblici di riferimento.



Al riguardo, Idra attende - dopo averla espressamente richiesta al Servizio Progetto Comunicazione del Comune di Firenze in occasione di un colloquio a Palazzo Vecchio lo scorso 28 settembre - una convocazione presso il Comitato di garanzia, che risulta così composto per effetto della deliberazione di giunta N. DG/2023/00241 del 23 maggio (non ci è parso di riuscire a trovarne traccia fra i comunicati pubblicati alla pagina https://www.comune.fi.it/comunicati-stampa 
*Prof.ssa Benedetta Baldi, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Teorie della Comunicazione e Coordinatrice del Master di I livello in “Pubblicità istituzionale, comunicazione multimediale e creazione di eventi” dell’Università di Firenze
*Dott. Bernard Dika - esperto designato dalla Regione Toscana
*Dott. Michele Brancale - esperto designato dalla Città Metropolitana di Firenze
*Dott.ssa Barbara Tonetto - esperta designata dal Comune di Firenze.
Nell’attesa della fitta schiera di dati, notizie e documenti di cui l’associazione ha presentato istanza nel corso degli incontri svoltisi in questi mesi con Rfi, Idra mette intanto a disposizione della cittadinanza, oggi, il testo del resoconto della visita guidata al cantiere della stazione Foster dello scorso 5 0ttobre, condiviso e validato da Rfi lo scorso 3 novembre, perché la cittadinanza tutta possa conoscere dettagli non solo ‘patinati’ dell’operazione in corso, non scevra da rischi evidenti (in primis, la clamorosa assenza di un Piano di emergenza, autorevolmente attestata dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco!).

INTELLIGENZA ARTIFICIALE
di Luigi Mazzella


Nel 2014 Stephen Hawking metteva in guardia l’umanità circa i pericoli dell’intelligenza artificiale, considerandola addirittura una minaccia per la sopravvivenza del genere umano. Da allora il dibattito tra scienziati dell’informatica, uomini politici, intellettuali è diventato particolarmente vivace. E ciò, per l’indubbia complessità dei problemi che dovrebbe risolvere la IA (o, all’inglese, l’AI, Artificial Intelligence) e che vanno dalla teoria alla pratica, dall’etica alla logica. Detto in soldoni, sistemi hardware adeguatamente progettati e sistemi di programma software dovrebbero essere in grado, a richiesta, di dare agli interlocutori risposte sul piano informativo, necessarie per l’operare in conseguenza, in luogo di quelle che potrebbero essere fornite dall’intelligenza umana. Non sono un esperto del settore e ciò non mi consente di padroneggiare il mondo del digitale e dell’elettronica con sufficiente disinvoltura, ma ho compiuto con serietà i miei studi classici e credo di avere ancora un ottimo rapporto con i procedimenti della logica.
Ragionandoci su, mi sembra che quello dell’intelligenza artificiale sia solo un problema che ne presuppone un altro che l’Occidente tenta di mascherare, nascondendo le responsabilità del caos cognitivo e della conseguente confusione operativa che informano la sua vita. Come tanta altra parte dell’Umanità, gli abitanti dell’Ovest del globo sono sempre più in preda di irrazionalismi religiosi e filosofico-politici, ormai vecchi di secoli che hanno profondamente inciso, distruggendola, la facoltà di raziocinio nella soluzione dei problemi. Ora, se a predisporre hardware e software, immagazzinando dati di ogni tipo (storici, religiosi, filosofici o comunque concettuali) desumendoli acriticamente dalla tradizione culturale dell’Occidente, saranno individui che hanno perso ogni contatto con la conoscenza della verità per avere creduto e per credere in presunte e pretese rivelazioni sfornite di ogni prova da santoni o argomentate, con discorsi paludati, da sedicenti maestri del pensiero (entrambi immaginifici e fantasiosi) non è solo verosimile ma assolutamente certo e indubbio che le risposte dell’intelligenza artificiale non potranno andare che nella direzione autodistruttiva già presa dall’intelligenza naturale. 



Il riferimento a Il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler è d’obbligo, come quello ad Albert Einstein che vede immutabile una realtà se non cambia la mentalità che l’ha creata. La “(in)cultura” Occidentale trasfusa nei computer darà le consuete risposte che da duemila anni di storia alimentano, giustificandoli, dispotismi, genocidi, guerre definite sante, intrighi diabolici, ipocrisie clamorose; e sempre con l’ipocrita l’attestazione di pretesi valori desunti da esperienze passate e malamente superate (democrazia ateniese, rispetto della dignità e dei diritti umani). La domanda, quindi, da porsi è se si tratti solo di un falso problema o di una brillante trovata per scaricare su uno strumento digitale la responsabilità, altrimenti personale, di chi ha visto l’approssimarsi della catastrofe ma, da classe dirigente, non ha fatto nulla per evitarla. Il fatto che il naufragio della parte di mondo da noi abitata  possa essere attribuito a macchine (hardware) e a programmi (software) potrà costituire solo un pretestuoso alibi, un furbesco marchingegno  per chi, dopo secoli di guerre ideologiche (sante o profane), di massacri atroci, di stermini (per motivi etnici o di pensiero) ha continuato imperterrito a ripetere le medesime giaculatorie giustificative apprese in famiglia, a scuola, nei luoghi di culto; e ciò o per torpore mentale o per ignavia caratteriale. L’irrazionalità, trasfusa nei computer attraverso i dati immagazzinati, rappresenterà, in buona sostanza, solo un modo falso (come già avviene con le Fake news) per scrollarsi di dosso, addossandola alle macchine, la colpa dello stesso “male oscuro” che da duemila anni ci corrode.  

venerdì 1 dicembre 2023

IN MEMORIA DI PADRE GIUSEPPE ZAUPA

La copertina del libretto
 
È
stato onorato come meglio non si poteva, nel trigesimo della morte, ieri 30 novembre, presso la Basilica di San Carlo al Corso di Milano dove era stato parroco amatissimo, padre Giuseppe Zaupa. Una Messa intensa celebrata da tre suoi confratelli: Philo Ambros, Joseph e Mattew; messa resa ancora più suggestiva grazie al Coro Amici del Loggione della Scala diretto dal maestro Filippo Dadone e dal ricordo musicale con cui hanno voluto chiudere la funzione. Subito dopo l’avvocato Giuseppe Melzi, come noi amico personale di padre Giuseppe, ha illustrato il libretto ricco di splendide foto, messaggi affettuosi e testimonianze giunti da ogni dove, realizzato grazie alla sua liberalità e al suo impegno e che è stato distribuito a tutti i presenti. Un brindisi alla memoria di padre Giuseppe, che ne sarebbe stato lieto, ha chiuso fraternamente la serata. [A. G.]   

GACCIONE A PERO


Angelo Gaccione


Sala del Caminetto della Proloco di Pero e Cerchiate
Via Sempione numero 18-20
 


    
Domenica 3 dicembre 2023 alle ore 16 

Incontro con lo scrittore ANGELO GACCIONE   


 




Conversano con l’autore: 

Nino Di Paolo e Giovanni Bonomo




L’AFORISMA DEL GIORNO


Giovanni Bonomo

Le menti chiuse hanno paura delle menti aperte,
perché temono ciò che non riescono a comprendere”.
Giovanni Bonomo

IL CONCETTO DI CURA
di Lisa Mazzi 
 


Un attributo femminile tra mito e realtà.
 
Il dibattito sul valore del lavoro di cura, sia tra le mura domestiche, che fuori, non è nuovo. Nel 1974 la professoressa italoamericana, nativa di Parma, Silvia Federici nel suo Manifesto “Salario alle casalinghe” scriveva: “Lo chiamano amore, noi lo chiamiamo lavoro non pagato.” Già prima, a Padova, Mariarosa Dalla Costa aveva fondato, nel 1972, il Collettivo internazionale femminista per i salari alle casalinghe, perché secondo lei, a livello sociale, esisteva - ed esiste ancora - una differenza fondamentale, tra il lavoro salariato e quello senza salario. In Germania una delle prime posizioni femministe in merito uscì nel 1977 sulla rivista “Courage” da parte di Gisela Bock e Pieke Biermann, le quali chiedevano al governo della Repubblica Federale, paese in cui le donne lavoravano per lo più solo a metà tempo, di assumersi i costi di tutto il lavoro casalingo femminile. Il motivo del part time, che veniva favorito con notevoli sgravi fiscali per le coppie, rispondeva all’esigenza di conciliare la professione senza ledere il lavoro di cura per figli e coniuge, che passava da madre a figlia come per un fattore naturale.  Inoltre, Bock e Biermann volevano eliminare la situazione in cui le donne passavano da un’attività casalinga non pagata nei momenti particolari della cura (bambini e anziani) ad una attività sottopagata sul mercato del lavoro, costringendole a mantenere una dipendenza forzata dal potere economico del maschio. A. Schwarzer, l’altra grande femminista tedesca, la pensava diversamente dalle berlinesi asserendo, che bisognerebbe eliminare in toto la possibilità di essere solo casalinga, delegando al maschio la metà delle incombenze.
 


Da allora le discussioni su questo tema si sono intensificate e soprattutto con la definizione di lavoro di “cura” (Sorge/care) si intendono oggi non solo i lavori casalinghi senza retribuzione, ma tutte le attività sottopagate nel campo della cura di anziani, malati, bambini, disabili e nel settore delle pulizie. Il lavoro di cura viene considerato come “ancorato” al carattere precipuo della donna di essere portata naturalmente al sacrificio, disponibile in modo naturale alla cura come un fattore immanente, per il quale non c’è bisogno di remunerazione. Ancora oggi esso viene affidato ad una mano d’opera femminile, spesso straniera, e, non trovando riscontro nel PIL, viene reso quasi invisibile pur venendo svolto da miliardi di donne e producendo miliardi di introiti. L’organizzazione del lavoro di cura ha oggi una dimensione globale e rafforza anche le differenze sociali tra le donne che ne usufruiscono e quelle che lo svolgono sia per l’origine etnica, per l’appartenenza ad una determinata classe, per la diversa nazionalità e lo status migratorio. Con il termine global care chains si vuole sottolineare la dimensione transnazionale di questi lavori, affidati principalmente a donne migranti e donne of colour. L’outsourcing di queste energie è divenuto fondamentale sia per l’aumento della popolazione anziana, sia per la maggior presenza di italiane sul mercato del lavoro. Le prime donne, reclutate in Italia e chiamate badanti o colf, venivano dalle Isole di Capoverde e dalle Filippine. Le prime di lingua madre portoghese per una maggior facilità nella comunicazione in lingua italiana, le asiatiche per il carattere mansueto e responsabile. Solo più tardi sono arrivate le donne dall’Est, europeo grazie all’abbattimento della “cortina di ferro”. Attraverso le global care chains il sistema patriarcale e la suddivisione eteronormativa del lavoro rimangono invariati. Sussistono inoltre altri gravi problemi nei paesi di partenza, come ad esempio scompensi psichici nei bambini e negli adolescenti rimasti a casa in compagnia o solo del padre o dei nonni. D’altro lato soffrono anche le madri, che, allontanandosi dai loro figli sono spesso afflitte da sensi di colpa e sindromi depressive. Nonostante lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, che permetterebbero contatti veloci e giornalieri, il lavoro nel paese d’arrivo non lascia molto tempo alla cura valida di affetti così lontani. Il narrativo sulle badanti da parte delle famiglie datrici di lavoro è spesso in netto contrasto con quello delle badanti stesse, partite con ottimismo dall’Est, nella speranza di trovare lavoro per un paio d’anni e tornare poi in patria con gruzzoletto di risparmi, volto ad un miglioramento economico e sociale nel paese di partenza, dando ai figli la possibilità di un avanzamento sia nel settore scolastico, che in quello occupazionale. In fondo la realizzazione del sogno nel cassetto di ogni emigrante. Diversi sono spesso i commenti delle famiglie, i cui anziani vengono affidati alle badanti, ma per fortuna, oggi, questo lavoro è regolamentato dalla legge e non più solo in nero come all’inizio. La società patriarcale si attendeva e ancora spesso si attende da queste persone un’abnegazione perfetta, facendo leva appunto sulle qualità femminili per eccellenza come il senso del sacrificio, la pazienza e simili, tramandate ormai da secoli.


 
Un altro fattore importante e portatore di ulteriori squilibri è il care drain, vale a dire la fuga di personale medico e assistenziale dai paesi d’origine, che viene in Europa accontentandosi di venir sottopagato nella speranza, comunque, di un miglioramento totale delle proprie condizioni di vita. Le conseguenze per i paesi terzi coinvolti sono spesso disastrose venendo a mancare loro una forza lavoro importante e preparata, mentre nei paesi d’arrivo assistiamo alla svalutazione di queste professioni soprattutto per le donne. Ricordiamo il fenomeno molto conosciuto delle infermiere sudcoreane venute in Germania negli anni 80, preparatissime, ma reclutate negli ospedali tedeschi con mansioni dequalificanti e mal pagate. L’outsourcing mostra quanto ancora sia impari la distribuzione di questo lavoro tra uomini e donne, soprattutto perché le attività di cura, affidate a migranti, favoriscono il patriarcato, perché si tratta quasi sempre di personale femminile duttile e malleabile. In Germania l’attuale congedo parentale e la flessibilità lavorativa permettono ai maschi un maggior coinvolgimento nel lavoro di cura, almeno per quel che riguarda il rapporto genitore/ figli.



Ultimamente si registra anche un aumento delle presenze maschili nella cura sia in ambito pedagogico, tra educatori e insegnanti, ma anche in case di riposo e ospedali, la robustezza maschile è di aiuto nel caso di cura di persone allettate e non più in grado di muoversi con le proprie forze. Esiste anche una nuova parola: “caring masculinities”, con cui si intende il lato umano maschile più tenero e disponibile, diverso dallo stereotipo classico di potere e di dominio. I maschi, che abbracciano questo tipo di lavoro, risentono però di un’immagine sociale più bassa rispetto ad altre professioni, in quanto con esse non si aumenta la produttività. Si tratta di attività statiche, considerate inferiori e per questo con una minor retribuzione. La filosofa americana Nancy Fraser ha proposto la variante “earner- career model” cioè modello di cura e retribuzione, grazie al quale le donne potrebbero fare carriera, occupandosi parzialmente di cura e con possibilità di recupero professionale e i maschi dovrebbero poter lavorare nella cura senza temere di venir vittime di stereotipi ricevendo una retribuzione adeguata. In Germania la presenza di badanti è pressoché inesistente e al massimo di breve durata con un ritmo di sostituzione delle stesse dai tre ai sei mesi circa. La maggior parte degli anziani viene sistemata in case di riposo gestite da enti privati, confessionali o comunali, che si differenziano tra residenze protette, i cui utenti hanno ancora un buon grado di autonomia e in quelle “di cura” per casi più gravi e bisognosi di cure. 



A questo punto va sottolineato che in Germania esiste un’assicurazione statale cosiddetta “assicurazione di cura” prevista in caso di degenza. In molti casi però, quando pensione e assicurazione di cura non bastano, lo stato richiede il sostegno finanziario ai figli. La casa di riposo viene scelta dai più essendo la Germania un paese, in cui la maggior parte della popolazione, soprattutto nelle città, non possiede un appartamento di proprietà. Continuare a pagare l’affitto, sommandovi lo stipendio di una badante non risulterebbe vantaggioso. I legami famigliari in Germania sono sempre stati molto meno stretti dell’Italia, data la maggior mobilità esistente da parecchio tempo nelle famiglie, separate dalle vicende storico-politiche nel corso degli ultimi tre secoli.  Proposte interessanti dal punto di vista urbanistico sono state e vengono tuttora attuate soprattutto nelle città instaurando forme di cohousing, cioè coabitazione tra persone anziane in appartamenti singoli nello stesso stabile, oppure di appartamenti condivisi, come in gioventù. Esistono anche esperimenti di immobili plurigenerazionali, dove giovani famiglie coabitano, in appartamenti diversi, con anziani aiutandosi a vicenda e supplendo così all’assenza dei nonni. 



Queste forme moderne di cura reciproca sono importanti anche dal punto di vista della salvaguardia del pianeta, perché una politica di mercato ecologica e femminista sarebbe maggiormente in grado di affrontare meglio i maggiori problemi del momento come il clima e la salute pubblica. E questo non per l’innata attitudine delle donne alla cura, ma per la loro competenza in campo ecologico ed economico. In tal modo si potrebbe portare avanti una economia postcapitalista più giusta ed equa.
 Personalmente ho sempre nutrito una forte avversione nei confronti della parola “cura”, perché la considero, sia per i suoi risvolti pietistici, sia come lavoro non pagato o non retribuito a sufficienza come uno degli strumenti più beceri del capitalismo e del patriarcato per lo sfruttamento della forza lavoro femminile.

KAFKA
di Gabriele Scaramuzza

 
 
Ha sostenuto Walter Benjamin nel suo famoso saggio del 1934, che Kafka non solo “non si esaurisce mai in quel che è di facile interpretazione, anzi, ha preso tutti i provvedimenti possibili contro l’interpretazione dei propri testi”. Se questa affermazione è vera, come è, le sue conseguenze, lungi dall’essere inibitorie, sono state un proliferare incalcolabile di letture kafkiane, di cui questo Kafka: è l’esempio più recente, che io sappia, da noi. La letteratura kafkiana, mi sembra, consta meno di letture di Kafka, che non di letture con lui, che segnano il tono di un personale vagare tra le sue pagine. Forse questo non è lontano dalle parole con cui Panattoni e Ronchi concludono la loro introduzione: “ciò che ci interessava era l’atto Kafka. Per questo ci siamo rivolti a poeti, scrittori e a filosofi che avessero Kafka nelle loro corde, non come un problema teorico da risolvere, ma come destino al quale, in quanto poeti, scrittori e filosofi, non è dato loro di evadere”.  
Certo, già pone problemi stabilire una differenza tra chi ha Kafka “nelle proprie corde” - e per cui Kafka si configura come “un destino al quale non è dato di evadere” - e chi lo riduce a “un problema teorico da risolvere”. Esistono però indubbiamente letture segnate da intenti neutralmente storico-filologici, o che vedono Kafka come esemplificazione di problemi filosofici quando non scientifici, psicologici, sociali. Kafka: si propone come una raccolta esemplare di lettori del primo tipo. Il che non toglie che ogni contributo in esso abbia presupposti teorici, sfondi contestuali, limiti. Taluni contributi sembrano ricondurre Kafka a teorie precostituite: il mondo in cui si collocano è in modo preponderante quello della recente cultura francese, tra Lacan e Deleuze; non è un caso, ci si può chiedere come mai. A quale ambito appartiene la lettura che ce ne hanno lasciato ad es. Max Brod, Giuliano Baioni, Marthe Robert, Walter Benjamin…?   



Nulla ha impedito di interpretare Kafka, e in modi diversissimi. Certo Benjamin non ha voluto dire che ogni interpretazione di Kafka sia da mettere sullo stesso piano; egli stesso si preoccupa di contestare diverse letture di Kafka, di difendere una propria lettura, non senza accanimento. È indubbio che esiste un limite invalicabile alle interpretazioni di Kafka, e questo è dato dai testi nella loro versione originale. Ma decisivo è determinare cosa sono, e come sono fatti, questi testi; come agiscano al loro interno la diffidenza, gli intralci a interpretarli. E qui occorrono competenze non da poco.  



Kafka: è un libro ricco, si muove con grande duttilità su orizzonti ampi e sfumati, in parte tuttavia non semplici da abbracciare. Il testo in ogni caso è istruttivo, e tale da “far pensare”.  
La mia è solo una segnalazione generica, personale nelle scelte; non renderò conto dei singoli interventi. D’altronde una segnalazione (se riesce) non può essere che uno stimolo alla lettura. Mi soffermerò su qualche punto che mi prende: tocca temi che mi sono a cuore - e spero interessino. Il confronto con Fellini, ad es., viene incontro al mio interesse per Kafka e il cinema, anni fa già innescato da Kafka va au cinema di Hans Zischler. E ravvivato dalla mia frequentazione di Il processo di Orson Welles.
Mi sono soffermato per lo più su testi di autori a me noti, quali Silvia Vizzardelli; innanzitutto per i suoi cenni all’atteggiamento di Kafka verso la musica, tema da sempre quanto mai coinvolgente per me. Originale è il modo di rileggere il romanzo da parte di Federico Leoni, nel suo La forma del Processo. Benvenuti sono i suoi riferimenti a Benjamin, a Primo Levi tra gli altri. In particolare ho cercato nel suo saggio chiarimenti sul sospetto iniziale e sulla vergogna finale (o presunta tale) del romanzo; il tema della vergogna ha dato luogo a discussioni molteplici, nel cui solco Leoni non sembra voglia inserirsi. Il suo testo contiene comunque penetranti riflessioni che mi aiutano a ripensarmi. Kafka: la distanza di Umberto Fiori con la sua acutezza aiuta a rileggere Davanti alla legge, e tramite esso tutto Kafka. Resta tra i saggi che ho letto con maggior partecipazione, con piacere se posso dire.



Il titolo di Rocco Ronchi, Kafka: immanenza assoluta, mi ha lasciato a tutta prima perplesso. E se lo spazio di cui Kafka vive si ponesse a un livello che precede ogni distinzione tra immanenza e trascendenza? Incongruamente mi ha soccorso qui ll Grande Oltre di Franco Chiereghin. La tesi, in esso, per cui in principio questo universo non sia né Essere né Non essere, che insieme esista e non esista, mi ha dato uno strano sollievo, il senso di una liberazione, anche leggendo Kafka: svincola dalle angoscianti dicotomie in cui spesso ci dibattiamo, e in cui si dibatte tanta letteratura kafkiana. Divagando pro domo mea: l’origine è antecedente a qualsiasi distinzione, le separazioni si impongono in seguito, e con insistenza poi percorrono la nostra cultura: anche quella tra dicibile e indicibile. Non è sul limite di una simile ipotesi che si può leggere Kafka? Non è questo il campo di un precategoriale, che esemplarmente nell’esperienza estetica si dà carne?  
Da questo punto di vista, davvero è il “chiarimento” quello cui dobbiamo tendere di fronte alle opere d’arte? Non è che comunque si arriverà sempre a un punto in cui l’idea della chiarezza cederà il posto al chiaroscuro in cui si muove Kafka? Leoni ne ha accennato (in un contesto certo toto coelo differente) quando ha chiamato in causa il “grigio intermedio” di Primo Levi.
Sempre a proposito delle pagine di Rocco Ronchi: il brano di Kafka datato 25 febbraio1918 (presente nel quarto dei “Quaderni in ottavo”), che include Io ho potentemente assunto il negativo del mio tempo…, esemplifica bene il modo di procedere di Kafka da lui illustrato. Nel saggio mi attraggono poi non poco le pagine su Una relazione a un’accademia e quelle sul Teatro naturale di Oklahoma. La distinzione tra piacere e godimento mi richiama infine quella geigeriana tra Lust e Genuβ, anche se non è proprio detto abbia a che fare con essa.   
 


Kafka
a cura di Riccardo Panattoni e Rocco Ronchi
Mimesis, Milano-Udine 2023,
pagg. 194, € 18.

ZACCARIA GALLO A CORATO



 

A MARCONIA CON D'AGOSTINO




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