Pagine
- HOME
- IL LATO ESTREMO
- FUORI LUOGO
- AGORA'
- LA LAMPADA DI ALADINO
- ALTA TENSIONE
- FINESTRA ERETICA
- ARTE
- SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO
- I DOSSIER
- I LIBRI DI GACCIONE
- BIBLIOTECA ODISSEA
- SEGNALI DI FUMO
- I TACCUINI DI GACCIONE
- NEVSKIJ PROSPEKT
- LA GAIA SCIENZA
- LIBER
- GUTENBERG
- GROUND ZERO
- LA CARBONERIA
- CAMPI ELISI
- LA COMUNE
- OFFICINA
- QUARTIERE LATINO
- IL PANE E LE ROSE
- MARE MOSSO
- LITTERAE
- DALLA PARTE DEL TORTO
- NO
- NOTE
- FORO
- KAOS
- LUMI
- ARCA
- CIAK
- IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE
UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
venerdì 24 marzo 2023
GACCIONE MAESTRO DEL RACCONTO
di Mariacristina Pianta
Il
titolo del nuovo libro di Angelo Gaccione, Sonata
in due movimenti (Di Felice
Edizioni, 2022, pagine 252), prende
spunto dal racconto omonimo di pagina 157; la prima parte dinamica, spiritosa e
spensierata, la seconda dolente, che si spegne come la sinfonia numero 6, Patetica, di Tchaikovsky. I termini: Andante con moto, Allegretto, Adagio, Molto
grave, Dolente adombrano un profondo significato. La vita della giovinezza
e maturità, ricca di attrattive e di speranza, muore nella vecchiaia.
Scriveva
Terenzio Afro: “Senectus ipsa est morbus”. Schopenhauer tracciava una
sorta di parabola discendente dell’anziano che diventa insensibile: “Più si
invecchia, meno quello che si vede, si fa e si vive lascia traccia nello
spirito”. Leopardi preferiva morire piuttosto che varcare la soglia della
senilità.
Il
protagonista del testo di Gaccione, inizialmente bellissimo, brillante,
desideroso di divertirsi, piomba infine in una fase degenerativa che non lascia
più spazio a spiragli di luce: “Qui è la carne inerme esposta ad ogni
sguardo, e il clima dolente che ci accomuna… Ora tutto gli è divenuto
indifferente. In quell’angusto, terribile spazio circonfuso dal dolore, un
dolore fisico, conficcato nella carne viva che è solo suo e che non dà requie,
non c’è spazio per niente: né per gli affetti, né per l’amicizia, né per le mille
passioni che hanno accompagnato una vita…”.
Nella
scelta di utilizzare vocaboli specifici di una composizione musicale, l’autore
mette in evidenza il ruolo del ritmo, delle pause, della sintassi e delle
parole all’interno di ogni racconto. Sa narrare con pochi tratti una storia,
una situazione perché è abile nell’arte della scrittura. Ci troviamo di fronte,
sovente, ad una prosa poetica: “E da ogni lato dell’opificio le voci presero
a sovrastarsi, ad accendersi come si accende la vita al di là di ogni degrado
quando il vino sgorga nelle coppe, quando scende fiammante nella gola, quando
fa dell’uomo un altro uomo e di due corpi appassionati, una sola forma”
(si veda il racconto “Di Vino”). Ho citato due soli esempi dei 51 racconti, ma
potrei continuare. Gaccione ha letto, approfondito i classici, i filosofi e
pensatori della tradizione letteraria per poi approdare con originalità ad una
poetica personale che, evitando inutili orpelli, entra nel vivo di un discorso
esistenziale e sociale. Certe ambientazioni e scorci paesistici sono
accompagnati da una profonda analisi psicologica delle figure presentate. Le
numerose donne, che agiscono e si confrontano con il narratore, che spesso
parla in prima persona per coinvolgere maggiormente il lettore, catturano la
nostra attenzione; riescono a farci comprendere il divario tra apparenza e
realtà. Emergono, da alcuni episodi, la critica a tanti pregiudizi, ad una
società dedita al consumismo e priva di autentici valori, il gusto del
paradosso che sorprende e stupisce, soprattutto nelle ultime righe di tanti
racconti. Nonostante l’impietoso spaccato di un mondo che ha perso le
coordinate fondamentali, c’è ancora la possibilità di costruire un micro e un
macrocosmo diversi, forse finalmente a misura di uomo.
DALLA PALESTINA
di Stefano Bonanni
L'aereo arriva nella notte e con lui l'ansia e la
paura di vedersi negato l'accesso in Israele solo perché si è costretti a
mentire. La dogana rappresenta una barriera per la verità. Qui non c'è posto
per una neutralità che non cerca le cause del conflitto ma che cerca di
convivere con le conseguenze. Per ottenere un visto turistico non si può dire
di recarsi nei territori occupati. Il lavoro di mistificazione della realtà
comincia all'interno, ma per sostenere una menzogna così a lungo bisogna far sì
che tutti gli ingranaggi siano al posto giusto, dall'ultimo impiegato di Tel
Aviv alla giovane soldatessa che mi ritrovo davanti; capelli chiari, dai
lineamenti forti, stivali neri e uniforme verde, dall'aspetto non penseresti
mai che possa imbracciare un fucile, ma qui se la guerra è psicologica la
tensione la respiri per davvero. Anche se sai di non fare nulla di male ti
fanno sentire in difetto sperando che crolli, proteggendo il castello di carta.
Ogni cosa può essere usata contro di te per poterti trattenere, maltrattare ed
espellere dal paese. È per questo che bisogna eliminare ogni traccia nei social,
nell'email, nei documenti del telefono che possa dar appiglio ad
interminabili interrogatori. L'ansia di aver dimenticato qualcosa non la puoi eliminare,
partendo di fatto in svantaggio, come se quello sbagliato fossi tu.
La
mia destinazione è At-Tuwani un piccolo villaggio a sud delle colline di Hebron
nelle valli che si estendono dal mar morto fino alla Giordania. Qui ormai da 20
anni gli abitanti si sono organizzati per contrastare l'espansione
dell'avamposto di Havat Ma’on, illegale non solo per il diritto internazionale
ma anche per la legge israeliana. Da quando i coloni Israeliani sono arrivati
qui hanno di fatto occupato una strada che collegava due villaggi e negli anni
hanno continuato ad edificare. La scelta della nonviolenza degli abitanti dei
villaggi palestinesi li ha portati a non accettare più i soprusi degli
invasori, ma di rispondere attivamente richiamando alla mente i satyagraha dell'india di Gandhi. E come
nella fisica dove ad ogni azione corrisponde una reazione, qui, nelle valli
palestinesi, la reazione è fatta anche da donne e bambini che scardinano la
logica maschilista della supremazia e riportano il confronto sulla terra. Spesso
però anche i soggetti più fragili sono presi di mira ed è qui che un passaporto
italiano può essere un privilegio e può essere un vantaggio per potersi
frapporre tra vittime e aggressori, utilizzato come mezzo di denuncia per far
arrivare la verità al di là del muro di omertà costruito da Israele.
Arrivato
nel villaggio riconosco con grande sorpresa diversi ragazzi, una volta bambini,
ormai uomini in una terra che ti fa crescere velocemente. Negli anni ho sempre
provato una certa inquietudine per le sorti di queste persone, che nonostante i
loro sforzi sono costrette a vivere in un perenne clima di tensione. A primo
impatto nulla sembra essere cambiato dall'ultima volta che sono stato qui nel
2012 e questo in parte mi dà serenità. Solo ora vedendoli realizzo che non era
scontato che li avrei ritrovati qui. Ed è stato proprio quel loro remare contro
corrente che gli ha permesso di rimanere immobili.
Tra
i tanti ragazzi ritrovo Alì, un giovane palestinese che al tempo accompagnavamo
nel tragitto dal suo villaggio alla scuola nel villaggio vicino, percorso che
più volte è stato preso di mira dai coloni ferendo i bambini inerti che avevano
come unica colpa di essere nati da famiglie non ebree. Dopo avermi riconosciuto
Alì mi invita per la cena e a passare la notte da loro. In questo periodo il
loro villaggio è stato preso di mira e le famiglie si sentono più sicure con
degli internazionali. In un attacco recente una donna americana è stata colpita
alla testa con un bastone da un colono, riportando una ferita che ha avuto
bisogno di punti e di accertamenti medici. La cittadinanza non ti dà la
certezza di non essere aggredito, ma le pressioni del consolato americano hanno
portato all'arresto di due coloni, un evento raro per questa terra, dove coloni
ed esercito giocano un ruolo di squadra.
Ali
è robusto e non molto alto, ha delle sopracciglia sottili e zigomi pronunciati
che danno al suo ampio viso un tocco di femminilità. Indossa una kefiah a
ribadire il suo legame con questa terra. Le sue radici sono qui, anche se i
terreni dei suoi genitori sono stati occupati. Lungo il tragitto in macchina
per arrivare a casa sua si fermerà davanti a degli alberi piantati dalla sua
famiglia e ad un piccolo terreno recintato. Scendiamo dalla macchina ed il
momento acquisisce una certa sacralità, il sole splende alto nel cielo e
l'unico rumore che si percepisce è il soffiare incessante del vento. Ali è lì
fermo in piedi che scruta quella terra, ottenuta di nuovo da suo padre a
seguito di una causa giudiziaria nei confronti di Israele. È solo un centesimo
di ciò che gli apparteneva, ma la fissa intensamente come fosse la cosa più
importante che ci sia, più della sua vita. La resilienza di questi ragazzi mi
lascia sperare in un futuro differente. La notte ci ritroviamo a giocare a
carte davanti a un bicchiere di tè. Da qualche anno nel villaggio è arrivata
l'elettricità. Siamo abituati a pensare ad una casa come un edificio costruito
dall'uomo, qui però gli abitanti si sono adattati all'ambiente. Senza alcun
tipo di recinto a delimitare le proprietà alcune famiglie vivono ancora in
delle caverne. La casa è una grande stanza unica, il soffitto è scurito
dall'umidità e ai margini si possono notare tutte le scorte. Sdraiati su dei
materassi, gli stessi che si usano per poter mangiare da seduti e poter dormire
la notte, Alì mi chiede se ha senso mettere al mondo un figlio sapendo già che
dovrà soffrire. Questa è una domanda che non ci si aspetta in un posto dove le
famiglie sono molto numerose e dove la prima cosa che ti domandano è se sei
sposato e quanti figli hai. Prima ancora di sapere da dove vieni. Senza mai
chiederti che cosa fai. Come se la famiglia fosse già tutto, indissolubile
dall'uomo. Nonostante ciò, Ali a 25 anni ha deciso di mettere la causa
palestinese davanti a tutto.
Il
giorno seguente andiamo in accompagnamento di Mahmud al pascolo, un uomo sulla
sessantina, dal viso scavato e consumato dalla vita di villaggio. Mentre siamo
sulle colline, timidamente verdi dopo le piogge dell'inverno, più volte i
coloni e l'esercito arrivano a spingerci sempre più in basso nelle valli
prendendo di fatto il controllo del territorio. I pascoli si incrociano nei
terreni palestinesi ma chi ha la meglio sono sempre i coloni che imbracciando
fucili e pistole minacciano i pastori. Ogni volta che l'esercito interviene è
sempre a discapito dei palestinesi. Le telecamere di un internazionale presente
sul posto cercano di disincentivare la violenza, anche se spesso gli aggressori
sembrano non curarsi degli occhi puntati addosso e anzi diventiamo bersaglio
dei loro attacchi. La scarsità di risorse della terra sembrerebbe un problema
comune con l'eccezione che i palestinesi sopravvivono grazie alla terra, mentre
i coloni Israeliani la utilizzano come mezzo per poter annettere nuovo
territorio in barba ad ogni trattato internazionale. Proprio quando la tensione
sembra aumentare arrivano dalle colline alcuni bambini e donne che portano il
pranzo. Mentre i soldati continuano ad intimare di lasciare la terra, i
palestinesi apparecchiano nei campi. I bambini continuano ad andare su e giù
per la collina cercando dei piccoli legnetti per poter accendere il fuoco e
preparare il tè. Tutto sotto gli occhi dei tre soldati poco più che ventenni,
mandati a combattere una guerra basata sul pregiudizio. Forse non sanno neanche
loro perché sono lì, ma la logica militare conosce solo ordini da eseguire. I
bambini di questa famiglia non vanno a scuola ma lavorano già in tenera età. In
queste condizioni di vita non si può sprecare nessuna risorsa. I nuovi giovani
si sentiranno sempre più legati alla terra non vivendo nel mito dell'occidente,
ma forse è proprio questo che ci spaventa, come lo controlli un popolo che vive
in delle caverne e che decide di non omologarsi.
Qui
le persone si svegliano ogni giorno sapendo di dover combattere per la loro
esistenza nella più totale indifferenza della diplomazia internazionale che
sostiene uno stato di repressione. Contrariamente al conflitto ucraino qui non
si parla mai di aggressore e di aggredito. Non esistono sanzioni. È considerata
politica interna su cui coscientemente non si vuole intervenire. Netanyahu è
stato in Italia la scorsa settimana per incontrare il premier italiano. Il
ministro degli esteri Tajani è a Tel Aviv in questi giorni. L'esportazione della
democrazia a domicilio che di frequente ci arroghiamo di portare nel mondo qui
non funziona. È una democrazia selettiva e guarda alle logiche del potere e
agli interessi economici. I palestinesi non hanno nulla da offrire, se non
insegnarci a resistete nonostante tutte le avversità.
LUTTI NOSTRI
Milano. Abbiamo appena
appreso dalla
professoressa Roberta Guccinelli la tragica notizia della scomparsa di Daniela
Samuel, la moglie del filosofo Gabriele Scaramuzza, amico caro e collaboratore
di “Odissea”. A Gabriele e alla sua famiglia l’abbraccio di tutti noi e le più
affettuose condoglianze mie personali e di Roberta Guccinelli. [A. G.]
AL LICEO
AGNESI CON MARCHESINI

Luca Marchesini
Lunedì 3 aprile, alle 17.30, nella sede del liceo
Agnesi di via Carlo Bazzi 18, Milano, Luca Marchesini presenterà il suo libro Una
scuola piccolo borghese, che ripercorre oltre sessant’anni di scuola
italiana visti dall’interno, dalla parte dei banchi e poi da quella della
cattedra. L’incontro è aperto al pubblico.
![]() |
Luca Marchesini |
Iscriviti a:
Post (Atom)