UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 11 settembre 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione

 

Il Parco Alessandrina Ravizza
 
C
i si può domandare che cosa sarebbero le città senza parchi e viali alberati. Vengono i brividi solo a pensarci. Guardando le immagini di certe megalopoli contemporanee soffocate da colate di cemento, da grattacieli sempre più alti e da palazzi sempre più dilatati, si percepisce immediatamente quanto l’urbanistica sia entrata in conflitto con la natura. Hanno dovuto inventarsi terrazze piantumate forse per rimuovere un inconscio senso di colpa, o di vergogna, e le hanno spacciate per “bosco in città”. Il bosco in città c’era, ma gli urbanisti hanno aiutato amministratori e speculatori dalle diverse fogge a cancellarlo, ad abbatterlo, a farlo sparire, a mercificarlo. Porta Nuova a Milano ne è l’esempio più lampante. La cementificazione intensiva lungo lo scalo di Porta Romana, con la scusa del villaggio olimpico per le olimpiadi invernali, ne è un’altra dimostrazione da manuale. Non se ne possono ritenere assolti né le amministrazioni di centro-destra né quelle di centro-sinistra; né gli urbanisti finti progressisti né gli urbanisti reazionari. Tutti costoro appartengono ad una stessa logica e agiscono allo stesso modo: che se ne voglia prendere atto o meno.


Alessandrina Ravizza in piedi a destra

Il parco Ravizza (racchiuso tra il viale Toscana, la via Vittadini, la via Bocconi) data ai primi del Novecento. Il piano regolatore Beruto lo aveva destinato a tale uso nel 1889. Gli studenti della vicina Università Bocconi non ne sanno nulla, molti di loro sono stranieri o provengono da altri luoghi d’Italia. Se non ci fosse, se lo avessero cementificato, non potrebbero goderne né stendersi a leggere sul prato. La stragrande maggioranza di loro è convinta che l’economia sia una scienza e non lo è. Si tratta, invece, di una scelta politica, una scelta di campo, una scelta di classe. Una bestemmia, questa parola, in quell’ambiente dove l’economia si studia come una scienza neutra. 


La cucina per malati e poveri

A quel tempo di questo parco si è deciso di farne un uso pubblico, cioè di tutti, e non una merce. È per questo che ne possono ora godere anche loro, gli studenti di economia della vicina Bocconi. È probabile che non sappiano nulla anche di Alessandrina Massini sposata Ravizza: è a lei che è stato intestato il parco. Ed è stata una decisione saggia perché è stata una grande donna e una grande filantropa. La chiamavano la “Madonna dei poveri” e anche la “Contessa del brodo” – perché i poveri li soccorreva davvero – consapevole di quanto è ingiusta l’economia asservita ai ricchi i quali chiamano non abbienti coloro che hanno sfruttato e affamato per arricchire. 



È a questa donna che vogliamo rendere omaggio con questo scritto: a lei che si diede da fare in favore delle operaie milanesi attraverso l’Associazione generale di mutuo soccorso fondata da un’altra grande donna: Laura Solera sposata Mantegazza. A lei che aveva aperto nel 1879 la Cucina per malati poveri, nel 1887 un ambulatorio medico, nel 1904 una scuola-laboratorio per curare le giovani mamme e i bambini infettati di sifilide. Non paga, impegnò soldi ed energie per favorire l’istruzione popolare, dare un mestiere ai giovani disoccupati e poi ancora e ancora fino all’ultimo respiro. 



C’era mezza Milano ai suoi funerali: assieme alle autorità, i suoi diseredati e quelli che con la sua opera filantropica e solidaristica aveva riscattato. Ecco, a voi non parrà, ma questa è una lezione di economia. Di buona economia.

 

TRUMP FA PAURA  
di Luigi Mazzella



Luscita di Mario Draghi che, gridando, all’improvviso, una sorta di “Al lupo! ”Al lupo!” per l’Europa in caduta libera, ci esorta ad indebitarci ulteriormente con l’America (e per essa con la Finanza di Wall Street e della City) per evitare una catastrofe di cui non poteva non essere a conoscenza da tempo per i suoi alti  incarichi europei e nazionali offre lo spunto per molte considerazioni (purtroppo tristi):
a) Essa ha trovato l’immediato consenso di Fratelli d’Italia (Foti) che pure di Draghi era stata la forza di opposizione più accanita e tenace durante il periodo di tempo in cui Giorgia Meloni non aveva ancora adagiato la sua testa bionda sui capaci pettorali dello zio Sam e non si era lasciata convincere ad abbandonare tutti i suoi cavalli di battaglia (anche elettorali) per sposare le cause d’oltreoceano persino sugli scenari di guerra;
b) Essa sembra adombrare la certezza di Draghi, fedele alla linea del Partito Democratico Nordamericano, che la Harris ridens abbia poche prospettive di vittoria alle prossime elezioni presidenziali statunitensi e che le sue personali fortune e soggettive ambizioni di presunto grande statista per il Vecchio Continente siano per lui in irreversibile declino a causa dell’idea che Donald Trump ha di un’Europa non più colonizzata dagli States attraverso l’interposta Unione Europea, attualmente ancora affidata all’Ursula Von der Leyen & co;
c) Essa mette ancora una volta in luce alternativamente o 1) l’incapacità, l’improntitudine, il pressapochismo, la superficialità perniciosa, l’inconcludenza, l’arrendevolezza  oppure: 2) la mala fede, la corruzione, il tradimento dell’interesse nazionale, di una classe dirigente politica che o è incapace di “leggere” gli eventi politici e si lascia incantare da pifferai venduti a Stati stranieri o perpetua l’abitudine contratta ab immemorabili dagli Italiani, di accontentarsi di governanti di mezza tacca.   

POETI A VOGHERA PER PINELLI

 


Poiché la poesia non dimentica, sabato 14 settembre 2024 alle ore 16, ne discuteremo al Circolo “Lo Stanzone” di Voghera di via XX settembre n. 92 con Angelo Gaccione, Giuseppe Langella, Zaccaria Gallo, Cataldo Russo. Letture di Anna Rutigliano.

martedì 10 settembre 2024

BIBLIOTECA OSTINATA

Dal fallito attentato a Napoleone Bonaparte il 24 dicembre del 1800, al massacro del Bataclan il 13 novembre 2015. Un romanzo coinvolgente che apre molte questioni sull’uso della violenza e la sua legittimità. Ne discuteranno venerdì 13 settembre 2024 alle ore 18 presso la Biblioteca Ostinata di via Osti n. 6 a Milano Angelo Gaccione, Giuseppe Langella, Giorgio Riolo alla presenza dell’autore Zaccaria Gallo. Letture di Anna Rutigliano.  

 

MEMORIA. CILE 1973
di Franco Astengo


 
Finché i popoli continueranno a lottare, là ci sarà un’idea di riscatto sociale e di rivoluzione politica
 
L’11 settembre 1973 cinquantuno anni fa in Cile il golpe fascista sostenuto dall’amministrazione USA, di cui segretario di stato Henry Kissinger, col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende. Un’esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d’esempio per diversi altri Paesi del mondo. La vicenda cilena, che pure diede origine a un ampio dibattito nel movimento comunista internazionale, deve rimanere nella memoria collettiva come un esempio e un monito incancellabili, in particolare in questi tempi dove davvero si sta cancellando tutto quanto è stato fatto, tra luci e ombre, vittorie e sconfitte, per il riscatto del proletariato di tutto il mondo.
L’11 settembre 1973, il giorno della “macelleria americana” resta intatto nella nostra mente e nel nostro cuore accanto ai grandi passaggi della storia del movimento operaio internazionale: dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione d’Ottobre, alla guerra di Spagna alla vittoriosa resistenza al nazi-fascismo, alla rivoluzione cinese, cubana, vietnamita, alla liberazione dei popoli dell’Africa e dell’Asia dal giogo coloniale, alla fine dell’apartheid in Sud Africa.
L’11 settembre 1973, il giorno della caduta avvenuta a mano armata con l’assassinio del “Compagno Presidente” ricorda il giorno di una sconfitta.
Per noi che continuiamo a credere nell’ideale, è uno dei giorni di quello “Assalto al Cielo” verso il quale dobbiamo continuare a tendere con la nostra volontà, il nostro impegno, il nostro coraggio.
 

MONTICHIARI
di Federico Migliorati


Federico Migliorati

Un paese-città dalla lunga storia 
 
Quando percorro viale Matteotti scendendo in direzione del centro dal colle di San Pancrazio, il più alto dei sei che i millenni ci hanno lasciato in eredità, magari in un’ora serotina autunnale nella quale il manto di foglie giallastre colora strade e marciapiedi in un tripudio di festosi mulinelli, sono preda di una felicità soffusa e gentile: tutto, nuovamente, mi appare a fuoco, a portata di mano mentre la discesa avanza, come se certa bellezza fosse in precedenza sfuggita improvvisamente, come se si fosse diradata. Nei pressi dell’antica croce risalente al 1721, danneggiata e ricostruita nel Primo Novecento, là dove la città si erge sul punto più alto nei pressi della Pieve che affonda le radici nei secoli, imperituro segno del Romanico puro e gentile, si perdono infatti i dettagli e in compenso è possibile osservare buona parte della Montichiari urbanizzata, il paese divenuto città. Nelle giornate limpide l’occhio arriva a spaziare sino al Garda e alle Alpi, abbracciando una vasta plaga tra terra e acqua. Se lo guardo da qui, l’antico e grosso borgo che dir potrebbesi città, appunto, è proprio un conglomerato maestoso, una serie quasi ininterrotta di strade e di case punteggiata qua e là da spazi verdi. Sull’altro lato del parco è il vecchio borgo di sotto, sorto sotto le mura del castello, cuore e nucleo primigenio dell’antica Montechiaro (uno dei numerosi toponimi succedutisi nei secoli, fino all’attuale, definito nel 1877). 

Da qui, da questo paese cresciuto esponenzialmente nel giro di poco più di trent’anni, non me ne sono mai andato se non per brevi periodi: come diceva Calvino, vi sono scrittori che restano attaccati alla propria piccola patria come patelle allo scoglio, altri che girano l’universo, come fece lui, per poi ritornare all’origine. Io, che scrittore non sono, semmai un semplice e modesto scrivente, percepisco Montichiari col passare del tempo come un mondo piccolo e resiliente a certe dinamiche da città (come pure ufficialmente è, sulla carta, dal 1991) ma con l’identità ancora borghese e spesso provinciale di un paese: vizi e virtù, insomma. E allora scendendo verso il centro recupero alla memoria le antiche botteghe dell’ex Piazza Garibaldi (così chiamata in onore dell’Eroe dei Due Mondi che qui, come in millanta altre località, tenne un discorso da uno dei balconi ancora oggi presenti) gran parte delle quali ormai scomparse o qualche figura curiosa e simpatica che stazionava agli angoli della stessa pronta a sfoderare un sorriso che oggi mi appare quasi come un ariostesco viaggio nella fantasia. 


La città dalle trenta chiese, ché qui la fede è cosa seria anche se la secolarizzazione ha battuto pesantemente come ovunque, vive soprattutto nel frastuono del mercato settimanale che occupa le due piazze, compresa quella intitolata a una delle glorie illustri della città, l’industriale e mecenate Giovanni Treccani degli Alfieri, quello dell’Enciclopedia Italiana e della Bibbia di Borso d’Este acquistata e donata allo Stato Italiano e oggi custodita alla Biblioteca Estense di Modena: ogni venerdì, da quasi 3 secoli, e ancora prima di lunedì per millanta anni si commercia e si vende, si fanno affari e si chiacchiera, si polemizza e ci si scambia confidenze, sorseggiando un caffè all’ombra del campanile della Basilica Minore i cui rintocchi battono il tempo delle nascite e delle morti, delle gioie e dei dolori. 

Montibus in claris semper vivida fides, si legge sul cartiglio dello stemma, ma non si è mai ben compreso se la fides fosse la spiritualità o la fedeltà a Venezia, la Serenissima che dominò per quasi quattro secoli dopo l’epoca viscontea e malatestiana, o a Brescia, capoluogo a un passo da noi. Poco discosto dal questo “salotto buono” del centro, lungo via Cavallotti che negli ultimi anni del fascismo rabbioso il podestà intitolò a Italo Balbo, ecco la casa dei Pedini, anzi, di Pedini Mario, insigne politico degli anni Settanta, fervente uomo di cultura, finissimo intellettuale e provetto pianista il cui “Accento di paese” non è solo il titolo di un suo libro (il mio preferito e per molti il migliore) ma anche il senso di quella monteclarensità (l’Accademia della Crusca forse mi perdonerà questo neologismo improbabile e improvvisato) che, ovunque la si porti, in capo al mondo o dietro l’angolo di casa, persiste e resiste, ad onta di tutto e di tutti. 

Sulla via per Brescia, a un passo dal confine con Castenedolo, si sviluppa un’area industriale che oggi poco o nulla dice al visitatore-turista che si trovasse per caso in loco: fino ad alcuni decenni fa, tutto qua era brughiera, campi non coltivati, qualche cascina e l’aura di un tempo glorioso dove tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si svolsero prestigiosi competizioni motoristiche: il Circuito Aereo Internazionale del 1909 con l’epopea dei primi voli, alla presenza di Kafka (che vi realizzò un reportage “in gara” con l’amico Max Brod), Toscanini, Puccini, Marconi e di un D’Annunzio che non volle rinunciare a salire su uno di quegli improbabili mezzi volanti ante litteram. Nel 1921 toccò al 1° Gran Premio d’Italia: i bolidi a quattro ruote solcarono le strade tra la periferia e il centro del paese (dove i più anziani ancora ricordano via Marconi come “via del Circuito”, con l’accento rigorosamente sulla seconda i), prima che, l’anno successivo, Monza ci “scippasse” fasti e gloria. Ma è ancora il borgo di sotto che mi restituisce la bellezza che non muore, all’intero di dimore sontuose che ospitarono re e regine, uomini d’arme e autorità religiose, dall’Istituto Mazzucchelli a Palazzo Monti della Pieve presso il quale un giovane Napoleone I stabilì il quartier generale in vista della fruttuosa campagna d’Italia del 1796. 

Se percorro la lunga via XXV aprile la vista del Castello Bonoris riporta idealmente le lancette dell’orologio al Medioevo: neogotica nelle fattezze, voluta da un conte danaroso e vanitoso, ma altresì attento alla solidarietà, la sontuosa dimora, acquisita al Comune solo nel 1996, è teatro di eventi ricreativi e culturali. Ma il mio è uno sguardo, come dicevo all’inizio, che spazia sull’intero borgo e non indugia troppo, perché tante e tali sono le meraviglie che sarebbe un peccato perdersi troppo qui o là: un tour a Teatro Bonoris dove di anno in anno i cartelloni accolgono fior fiore di attori e musicisti di calibro e dove un certo Celentano nel 1979 vi girò alcune scene di un film, il possente Museo Lechi adiacente, nato per volontà di benefattori insigni quali i conti Luigi e Piero Lechi (lontani discendenti dei generali di Napoleone). 

Qui vicino nacque Umberto Benedetti Michelangeli, direttore d’orchestra e nipote del pianista più geniale del Novecento, Arturo, e ancora per spostarci nello spazio e nel tempo, magari dopo una rapida sosta presso l’antico ospedale della vecchia Porta Inferi oggi moderna biblioteca-pinacoteca,  l’antichissima chiesa di Santa Cristina altomedievale dispersa nella campagna, la scenografica collina di San Giorgio con i resti dell’antico luogo di culto d’epoca longobarda per arrivare sino al fiume Chiese, corso d’acqua che dal Monte Fumo attraverso 160 km si adagia lento nell’Oglio, tra Acquanegra e Canneto concedendo lungo le sue sponde uno spazio per ritemprarsi, magari riscoprendo tra le pagine di uno storico, il compianto Giovanni Cigala, quanta feconda bellezza ci ha tramandato il “nostro” Nicolò Secco d’Aragona, il genio inquieto del Rinascimento, la cui dimora avita ahimè langue desolata e abbandonata lungo via Guerzoni. Questo rapido giro per il paese-città, lungo le strade battute dalla storia, si chiude dov’era principiato: risalgo a passi lenti il viale che riporta alla Pieve, nell’ombrosa e solitaria via che rammenta i caduti di questo o quel corpo d’armata, affratellati da sacrifici spesso vani. Mi perdo in un sogno, su una delle panchine del parco: nel tempo gentile della memoria anche l’antico tram (dei desideri?) che tagliava in due il borgo può tornare a fare capolino, solcando in lungo e in largo con lo sferragliare sui binari il paese che non si è mai convinto di diventare città.
 

 

 

lunedì 9 settembre 2024

GUERRA BATTERIOLOGICA   
di Jean Olaniszyn   


Hirohito
 
Il grande segreto del Giappone: gli indicibili crimini dell’Unità 731.
 
Circa un anno fa, nell’estate del 2023, archeologi cinesi dell’Istituto di reperti culturali e archeologia della provincia di Heilongjiang, identificarono nella Cina nord-orientale, i resti di un grande bunker del famigerato “Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito di Guandong, Gruppo dell’Esercito Imperiale Giapponese, dal suo nome ufficiale, meglio conosciuto oggi con il nome in codice usato negli anni ’30: Unità 731, guidata dal tenente generale Shiro Ishii.
Durante l’occupazione giapponese della Cina dal 1931 al 1945, un centro operativo dell’Unità 731 a Pingfang (provincia di Heilongjiang e amministrato dalla prefettura di Harbin) ospitò un laboratorio sotterraneo segreto, da allora soprannominato “il Bunker dell’Orrore”, dove i militari e gli scienziati giapponesi condussero raccapriccianti esperimenti su soggetti umani.
L’Esercito imperiale del Giappone si macchiò di crimini di guerra talmente orribili che osservatori dell’alleato tedesco lo definirono “una macchina bestiale”, riferito in particolar modo al noto “Massacro di Nanchino”.
In quel tempo Nanchino era la capitale della Repubblica della Cina caduta in mano ai giapponesi il 13 dicembre 1937. In sei settimane i soldati giapponesi uccisero oltre 300.000 persone, con torture, stupri di donne, ragazze e anziane, ma anche di bambini in tenera età uccisi per divertimento e in modi orribili a decine di migliaia dai militari giapponesi.
Già nell’agosto del 1937 l’Esercito imperiale giapponese nell’avanzata verso la “Battaglia di Shangai” fu particolarmente crudele verso i cinesi, sia militari che civili (seguendo anche le direttive dell’imperatore Hirohito che impose di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni internazionali), ciò che fa pensare che il massacro di Nanchino non sia stato un evento isolato.
Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ha calcolato che vennero stuprate più di 20.000 donne, anche bambine e anziane. Gli stupri durante il giorno spesso avvenivano in pubblico, il più delle volte di fronte ai mariti o a componenti della famiglia, che venivano immobilizzati e costretti a guardare. Un gran numero di tali atti fu frutto di un’organizzazione sistematica, con i soldati che cercavano le ragazze di casa in casa, sottoponendole a stupri di gruppo. Le donne venivano spesso uccise subito dopo lo stupro, non prima di aver inflitto loro mutilazioni o sventrando quelle incinte. Ci sono testimonianze ancora più raccapriccianti di episodi talmente orribili che in questo contesto evito di raccontarne i dettagli.


Shiro Azuma col suo diario
 
Lager dell’unità 731 a Pingfang
In un tale oceano di sofferenza durante l’avanzata dell’esercito giapponese verso Nankino, la morte di circa 3.000 prigionieri cinesi e in piccola misura russi, a Pingfang, vicino ad Harbin, potrebbe essere vista come un epifenomeno. Ma nell’inferno di Pingfang, nel cuore della Manciuria, furono commessi fra i crimini più atroci della “Grande Guerra Asiatica”.
L’Unità 731 effettuò, su larga scala, esperimenti biologici e vivisezioni su cavie umane (prigionieri cinesi, coreani, russi, ma anche britannici e olandesi), testando i limiti della sofferenza umana su uomini, donne e bambini, per fornire alle forze armate giapponesi armi batteriologiche e chimiche.
Un sopravvissuto, Fang Zhen Yu, in un’intervista a ‘Le Monde’ ha raccontato: “Era il 1941. Avevo diciannove anni e lavoravo come magazziniere, prigioniero nel campo giapponese. Punito, fui rinchiuso in una cella, da dove potevo vedere i treni arrivare e scaricare come animali i poveri disperati destinati agli esperimenti; un giorno è arrivato un convoglio di vagoni merci, scesero degli uomini con le mani legate, alcuni avevano capelli biondi” () Dal magazzino portavano molto cibo al laboratorio, da dove provenivano perennemente urla strazianti di uomini, donne e bambini”.  
Il cibo era destinato per testare sulle cavie umane il miglior vettore infettivo. Le verdure furono riconosciute come le più adatte alla guerra batteriologica, in particolare quelle con molte foglie, seguivano in ordine successivo: la frutta, il pesce e infine la carne.


 
Nel piccolo museo di Pingfang, inaugurato nel 1982, un plastico ricorda quello che era l'immenso complesso (70 edifici) dell'Unità 731. Dietro il lungo edificio amministrativo a due piani, si trovava un quadrilatero formato dalla prigione e dai “laboratori”, oltre agli alloggi per i tremila giapponesi (medici, veterinari, infermieri, soldati) che gestivano gli orrendi crimini. 
All’epoca il campo di prova comprendeva anche installazioni in superficie che non esistono più, ad eccezione di una pista di atterraggio, perché nell’agosto del 1945 fu tutto fatto saltare in aria dai giapponesi per cancellare ogni traccia di ciò che accadeva nel sottosuolo, in locali destinati a contenere e controllare soprattutto la diffusione di agenti infettivi. I documenti storici hanno rivelato che nei vari laboratori (Unità 731, Unità 1644, Unità 100) del famigerato Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito Imperiale giapponese, furono almeno 12.000 cavie (uomini, donne e bambini) che furono uccise durante test con agenti batterici e malattie mortali (sifilide, antrace, colera, febbre tifoide), ma anche con altri perversi metodi: immessi in centrifughe rotanti, iniettati con sangue animale contaminato, esposti ai raggi X, al freddo, alla disidratazione, bruciati vivi con lanciafiamme. 



I disgraziati venivano anche vivisezionati, senza anestesia ovviamente. Pulci infettate da Yersinia pestis e sviluppate in laboratorio per essere particolarmente letali, causa della peste bubbonica e polmonare, venivano lanciate anche da aerei a bassa quota sulle città cinesi del Manchukuo, uno stato conosciuto come “fantoccio”, territorio della   Manciuria controllato dall’Impero del Giappone nel nord-est della Cina tra il 1932 e il 1945. L’avanzata dei sovietici in Manciuria e le bombe atomiche americane sganciate su Hiroshima e Nagasaki fermarono i folli progetti giapponesi per l’uso delle armi batteriologiche sviluppate dall’Unità 731. Tra questi il programmato bombardamento batteriologico di San Diego (California), nome in codice “Operazioni Fiori di Ciliegio nella Notte”.


 
Il governo giapponese cercò sempre di nascondere l’esistenza e i crimini dell’Unità 731. Catturati dalle truppe americane al termine del conflitto, il comandante Ishii e il suo stato maggiore, Darkum Neik, Masaji Kitano, Yoshio Shinozuka, Yasuji Kaneki, ottennero l’immunità in cambio della consegna all’OSS (precursore della CIA) di tutte le informazioni delle loro ‘ricerche’ sulla guerra batteriologica. L’accordo avvenne con il beneplacito del generale Douglas MacArthur che ricevette istruzioni di garantire ufficialmente la piena immunità agli scienziati dell’Unità 731. All’infuori del Giappone, solo gli USA avevano quindi le prove dei crimini dell’Unità 731 in Cina, ma furono sottaciute. I crimini contro l’umanità commessi in Manciuria dai giapponesi, a quanto pare, non avevano responsabili. L’Unione Sovietica protestò veementemente, senza alcun risultato tangibile.
Anche altri scienziati coinvolti nell’Unità 731 ricevettero nel 1946 l’immunità da ogni accusa dal Tribunale internazionale per l’Estremo Oriente (Tribunale di Tokyo), avendo fornito agli Stati Uniti tutti i dati - definiti dall’allora segretario alla Sanità Usa “inestimabili” - della loro criminale attività.
La documentazione e gli archivi dell’Unità 731 furono trasferiti sul continente americano, più precisamente a Fort Detrick, il famoso centro biomedico militare americano, dove furono utilizzati per sviluppare armi batteriologiche. I criminali giapponesi trasferiti negli Stai Uniti furono utilizzati in vari laboratori, sia su territorio americano che in altri paesi, ovviamente sotto il controllo del Pentagono.

Il documento rinvenuto nel 2023

Nel 1976 negli Stati Uniti andò in onda un programma d’inchiesta che rivelò delle inedite dichiarazioni di venti ex dipendenti dell’Unità 731 accolti su suolo americano. Lo scossone riaccese il caso, anche agli occhi dell’opinione pubblica, che ne volle sapere di più, ma il governo mise tutto a tacere. La politica perseguita da Washington nei confronti dei criminali di guerra giapponesi non è stata dissimile da quella tenuta nei confronti di quelli tedeschi. Basti pensare all’Operazione Paperclip, che proseguì fino al 1973, con la quale oltre 1.600 scienziati, tecnici ed ingegneri tedeschi nazisti vennero portati in America a lavorare per il governo statunitense. Anche se alcuni studiosi americani avevano documentato le attività dell’Unità 731, il loro lavoro era stato “oscurato” o rimasto confinato fra gli specialisti.
Nel 1987, Shiro Azuma, un militare che aveva partecipato al massacro di Nankino, pubblicò il proprio diario sui crimini compiuti dall’esercito giapponese in Cina che gli procurarono denunce per diffamazione dal governo giapponese, mentre il governo cinese gli fu grato per il suo gesto.


Shiro Ischii

Dopo queste rivelazioni spuntarono “dal nulla” altri indizi ed elementi dal valore probatorio e molti storici iniziarono a chiedere informazioni ai governi giapponese e americano, ma solo nel 2018, gli archivi nazionali giapponesi pubblicarono i nomi di 3.607 membri dell’Unità 731, su richiesta di Katsuo Nishiyama, professore all’Università di Scienze Mediche di Shiga (Giappone), il quale aveva dichiarato che “la lista è una prova importante che supporta le testimonianze delle persone coinvolte e la sua divulgazione è un passo importante verso la rivelazione di fatti tenuti nascosti per troppo tempo”.
Nel settembre del 2023, Seiya Matsuno, uno storico giapponese, ha scoperto presso gli Archivi nazionali del Giappone dei documenti che registravano le informazioni di base dei medici militari dell’Unità 731, nonché la loro affiliazione, adeguamento, smobilitazione e alcune altre informazioni dopo il 1944. Ufficialmente, tuttavia, molto resta secretato, anche in relazione al complesso rapporto del Giappone con Washington. Come sintetizzato in modo eloquente da Daniel Barenblatt, autore di “A Plague upon Humanity: The Hidden History of Japan’s Biological Warfare Program” (2005), il “segreto dei segreti” del Giappone è diventato il “grande segreto dell’America”. 

UNA SITUAZIONE DIFFICILE DA ACCETTARE
di Luigi Mazzella 


 
La sclerotizzazione della Ragione in Occidente fa sì che chi abbia frequentato le scuole medie superiori e l’università continui a usare il linguaggio appreso sui banchi di scuola e nelle aule accademiche senza rendersi conto della sua inattualità e obsolescenza. Si usano parole divenute prive del loro significato originario come neo-liberismo, populismo, sovranismo e altre non capendo che la realtà politica ed economica è talmente cambiata da richiedere un tipo di analisi ben diverso da quello cui l’opinione pubblica era stata abituata, partendo dalla convinzione di vivere in un regime democratico (con i suoi rituali elettorali con effetti sul governo dei Paesi) presente sia nel vecchio e sia nel nuovo continente. Oggi non è più così: c’è un blocco egemone anglo-americano (con prevalenza del secondo termine sul primo) che elabora una politica definibile approssimativamente “pauperistica” che impone nei propri Paesi e in quelle egemonizzati e che prescinde totalmente da indirizzi scientifici di economisti, giuristi e altri uomini del sapere accademico perché si sostanzia in una somma di provvedimenti idonei a tenere buono il “popolo bue”, proprio ed altrui. Questo blocco, al potere con continuità preoccupante, non crede più nell’alternanza e vagheggia una linea politica che è quella del Partito Democratico Americano e del Laburismo inglese, influenzato non a caso dal ritorno in auge del solito Tony Blair, consulente bene inserito nel sistema finanziario giudaico-americano. I tentativi Reaganiani, Thatcheriani, Trumpiani di ribaltare la situazione sono divenuti oggi del tutto impossibili: respinti con ogni mezzo, compreso l’uso politico della giustizia. La dipendenza politica assoluta dagli Stati Uniti di tutti gli schieramenti Europei (con rare eccezioni) garantisce inoltre che l’Europa, sostanzialmente obbligata dai voleri degli Inglesi e dei Nord-americani, a non “infastidire” lo strapotere economico anglosassone, “non muova foglia che Wall Street e la City non vogliano”.
Destra, Centro o Sinistra che dir si vogliano non possono fare altro che attuare le linee politiche del Partito Democratico Statunitense condotto in apparenza da un Presidente eletto (cui il Pentagono può sempre opporre rifiuti, come nel caso del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan disposto da Trump) ma super controllato dai servizi d’intelligence, finanziati in un modo che molti intellettuali del cinema ritengono, nelle loro opere, più occulto che palese. Sentire, quindi, insigni notisti politici parlare di effetti catastrofici del neo-liberismo e citare le conseguenze benefiche o malefiche di altri aulici concetti economici fa una certa impressione.
Domanda: Siamo certi che non s’invoca “la Scienza” per coprire una squallida guerra di strapotere internazionale, combattuta ormai senza esclusione di colpi, nell’ignoranza o con la complicità di politicanti di provincia, mandati al governo dei Paesi subalterni, grazie ai suggerimenti di esperti d’oltreoceano circa l’uso congiunto di sistemi elettorali truffaldini e quello politico della giustizia che, insieme, tengono lontani dall’agone politico le persone dabbene e competenti?

 

domenica 8 settembre 2024

LA MIA PIAZZA GRAMSCI A MILANO
di Patrizia Gioia



Due personalità della cultura milanese sull’indifferenza istituzionale verso il degrado della città.
 

Eh sì, caro Angelo. Professionalità era una volta sinonimo di qualità, di accuratezza, di cura di quel che era sotto la nostra responsabilità.
Ed era gioia farlo, impegnavi testa, cuore e mano, senza separazione alcuna.
Vedere Milano oggi così degradata, la mia piazza Gramsci lasciata all’abbandono è per me dolore quotidiano. Adoro ogni piazza, luogo di incontro, di scambio, di umanità.
I sanpietrini staccati e diventati un cumulo di pietre, causa di cadute per gli anziani che, per fortuna, sostano ancora sulle panchine, aiutando a non lasciare la piazza ai vandali, nonostante nessun albero faccia loro ombra e il canto della sua fontana è da anni stato zittito dall'incuria che l'ha trasformata in un grande cestino di rifiuti.
Per non parlare del degrado dell’autosilo, dove i proprietari dei box sotterranei non riescono a trovare un dialogo con il Comune per il buon mantenimento del complesso.
Invece ci si affaccenda sempre più in settimane (diventate week!) del design, della moda, dei mobili, dei vini e dei cibi, dove fiumane di turisti sono intenti solo a guardare, non le bellezze della città, ma a fotografarsi davanti ai marchi delle vetrine che ormai sono le stesse in ogni paese del mondo globalizzato. Tutto questo vorrebbe davvero farci credere che Milano sia grande metropoli?
No! Milano urla che la stanno violentando, ma la massa non ha più né cuore né orecchi, i soli organi capaci di ascolto e di Rivelazione, ma solo cellulari, cuffiette e “happy hours”. E le targhe poste sui muri, quelle che disegnano la mappa del cuore di una città, non hanno più nomi leggibili perché non portiamo più nel cuore i nostri avi, oltre ad esserci dimenticati di noi stessi, dell’umanità che siamo e che vive di solidarietà, di valori, di sentimenti, di dignità. Sono le loro lacrime che hanno sciolto il colore con cui i loro nomi erano scritti e... il Porta, il Manzoni, la Cristina Belgioioso e la Contessa Maffei non li vedete? Ci stanno guardando stupefatti chiedendosi: è questo che abbiamo lasciato loro? 
 


UN SEGNALE DI INCIVILTÀ
di Giuseppe O. Pozzi


 
Caro Angelo, ti sono grato come cittadino per questi memo. Un segnale di inciviltà sociale ed istituzionale che ti stringe in una morsa mortale e sta lì inesorabile a rappresentare l’impotenza del cittadino che passa e tira dritto perché non sa più cosa fare per far rinascere un po’ di dignità e di rispetto.
Grazie.

UN RICHIAMO ALL’8 SETTEMBRE
di Franco Astengo



Al di là delle vicende contingenti l'assunzione dell'estrema destra al governo del Paese ha riaperto il "caso italiano" ponendo in evidenza una crisi particolare della liberaldemocrazia rispetto a quella in atto in Francia che è crisi essenzialmente istituzionale e in Germania che è crisi del forzato (e sbagliato) esodo della socialdemocrazia dal suo ambito naturale.
Da anni la società italiana soffre di disgregazione strutturale, di eccesso di fluidità e vive di individualismi reattivi e rabbiosi perché percorsi da grandi disuguaglianze: la risposta è stata - assieme - quella del populismo, dell'antipolitica, del vuoto di potere colmato dalla magistratura o dall'asservimento alla tecnica di bilancio nel nome del "ce lo chiede l'Europa".
Una società percorsa da paure universali e da una disordinata accettazione della crisi dell'universalismo avviata nel post-globalizzazione dalle grandi crisi prima del 2001 con le Torri Gemelle, poi nel 2007-2008 con la crisi dei subprime a dimostrazione che era illusoria l'idea della "fine della storia" avanzata al momento della caduta del muro di Berlino: tanto è vero che è tornata la guerra ad occupare per intero proprio quella scena della storia.
La destra ha offerto un progetto che si basa su alcune indicazioni di facile comprensione: una politica "forte" con una tendenza alla soluzione penale delle questioni sociali intesa come scudo a difesa delle condizioni di vita e di produzione di una società che si articola economicamente sulla centralità degli egoismi individuali inseriti nel contesto ritenuto naturale (la famiglia).
La destra implementa sia l'avversità verso l'economicismo e il giurisdizionalismo esterno, quanto l'uniforme acconciamento alla fluidità interna affrontati attraverso concetti di identità religiosa civile, culturale (la Patria/Nazione): la lotta della destra diventa allora quella per la tradizione offesa per l'affermazione di valori ritenuti minacciati rifiutando così l'accoglienza di stili di vita nuovi in un quadro generale di profonda modificazione nel rapporto tra struttura e sovrastruttura che ignora il trasformarsi culturale dei modi della produzione capitalistica (anche se ne sfrutta in termini mediatici la ricaduta nell'innovazione tecnologica in ispecie sul piano della comunicazione).
La sinistra è chiamata a rispondere a questa radicalità ponendo mano a un progetto di sistema che tenga conto della particolarità del caso ma riuscendo al tempo stesso di tenere fermo il concetto di "spazio politico europeo" e di impronta costituzionale.



Non esiste lo spazio intermedio di "ponte" e neppure di adagiamento nell'errore di considerare la governabilità quale punto esaustivo della democrazia liberale.
E' necessario pensare al rafforzamento dei corpi intermedi (opponendosi alla visione corporativa di "elargizione del potere") rappresentati sia dai partiti che da sindacati in grado di lottare per un riequilibrio economico tra profitti e salari e di uno Stato forte al punto di saper riproporre servizi sociali intesi come forma concreta e democratica di sicurezza e di uguaglianza : oltre a una politica estera autonoma e al contempo capace di mediazione partendo da un punto che si era sollevato nel corso della campagna elettorale europea e poi abbandonato circa la non coincidenza tra UE e Nato.
La costituzione italiana che rimane punto avanzato rispetto allo schema liberaldemocratico classico per ragioni storiche e politiche garantisce la cornice adatta per questa necessità di contrapposizione, a patto di difendere la forma di governo fondata sulla ridotta e da recuperare centralità del Parlamento (gioca qui il tema della legge elettorale) e la forma di stato unitaria ripensando anche al ruolo delle Regioni che ha subito nel corso degli anni una profonda trasformazione.
Nel sistema politico italiano si ravvedono ancora tracce di questa identità costituzionale ma siamo privi di una soggettività che le traduca in impatto politico immediato.
Respingere l'idea della Costituzione come anticaglia novecentesca; considerarla ancora come fattore di transizione; ricordare sempre che si tratta del frutto di chi l'8 settembre tra sacrifici immensi seppe stare dalla parte giusta della storia.

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