I CONTRAPPUNTI DI GACCIONE
di Gabriella Galzio
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A. Gaccione (Acri, 2025)
Nel commentare
l’arte del contrappunto in Bach, il musicologo danese Knud Jeppesen mette in
evidenza che “la musica di Bach cresce da uno sfondo idealmente armonico,
contro il quale le voci si sviluppano con una coraggiosa indipendenza”. Volendo
leggere attraverso questa lente i Contrappunti letterari di Angelo
Gaccione, mi sono chiesta quale possa essere questo sfondo, contro il quale
questi suoi brevi scritti narrativi-discorsivi si sviluppano indipendenti. E la
risposta è duplice: da un lato può trattarsi del pensiero dominante, contro il
quale l’Autore, sentendosi responsabile del linguaggio, si erge a baluardo di
un rapporto non obliquo con la verità; dall’altro, questo sfondo
tendenzialmente armonico può essere, invece, la sua stessa Weltanschauung,
da cui si sprigionano più melodie contemporaneamente con effetto polifonico. E
forse sono vere entrambe le cose, poiché la visione del mondo di Gaccione
sarebbe inconcepibile senza una visione antagonista cui opporsi, fino a
trascenderla arrivando ad attingere a una superiore umanità e sapienza. Troppo
numerosi, infatti, gli adagi popolari o le riflessioni sapienziali di altri
grandi pensatori da lui frequentati, di persona o nelle opere della sua “Carboneria”
(dove ne custodisce una marea), che costellano il libro. Che dunque si
configura come un viaggio affascinante nei luoghi “oggetto dell’innamoramento”,
città radicate negli archetipi di civiltà e bellezza, come Parigi o la sua
Milano; ma anche come attraversamento del tempo in compagnia dei grandi del
pensiero e della letteratura, come Voltaire, Manzoni o Leonardo Da Vinci,
conosciuti anche nelle intime pieghe diaristiche ed epistolari, perché non c’è
albero o piazza che non abbia, oltre che un valore in sé, anche una valenza
simbolica, quali luoghi della memoria collettiva, storica o artistica. Umano
sin dalle radici degli alberi – cui dedica versi “per restare umano come loro” –
e radicato nella lingua madre dialettale, Gaccione è rimasto fedele allo
sposalizio di cultura materiale e cultura immateriale, dove il peperone è “Re
dell’orto”, come Dante è padre nobile della poesia. Così l’usanza pasquale dei
dolci continua a brillare nella memoria al
pari della sacralità del pane: “Era la magnifica pratica del dono che mia
moglie continua a tenere viva qui, in questa metropoli bella e feroce, e li
prepara ogni anno per farne dono agli amici”. E, forte di questa memoria,
troviamo anche l’osservatore attento e il testimone dei mutamenti
antropologici della nostra civiltà, quando sottolinea che di intelligenza e sensibilità stiamo
diventando sempre più poveri; o quando afferma indignato che siamo ormai “tutti
obnubilati, tutti plagiati e con gli occhi fissi sul piccolo schermo dello
smartphone, incantati, perduti come in un altrove metafisico”. Un oggetto –
conclude ironico – che “ha prodotto una alienazione dal carattere eminentemente
democratico”. Affiora, infatti, frequente in questi scritti un’ironia amara,
quella che gli consente di sopravvivere, “come uomo, prima che come
scrittore ed intellettuale – impegnato in tutte le cause perse di questo tempo
amaro”. Un’ironia “che può essere anche amara, ma mai scivolare verso un
sarcasmo oltraggioso e crudele” e – come recita un suo aforisma – “è il più
efficace rimedio contro l’idiozia”. Leggerete il mondo passato al
setaccio del suo “insano mestiere” di scrittore – dannato perché innervato da
una forte dignità morale – la cui nobiltà “consiste proprio nella sua strenua
resistenza al disumano”. E anche rispetto al potere che al disumano è contiguo,
dovrete “scegliere da che parte stare, se non volete diventare una canaglia del
potere. Ovviamente potete seguire la via più facile /_..._/ ma a patto che non
abbiate una sola idea che sia vostra, personale, pericolosa”. E in Contrappunti queste
idee personali e pericolose guizzano incaute tra gli scritti creando quella
loro polifonia. Ritroverete in essi lo scrittore, l’autore di aforismi, il
polemista (anche in polemica con la stessa polemica); in sintesi,
l’intellettuale a tutto campo, instancabile e incoercibile – tra Eraclito che
spera l’insperabile e Gandhi dalla volontà indomabile. Quel gramsciano
ottimismo della volontà dell’intellettuale militante che vi dirà che “il vero
realista è proprio l’utopista”, a partire dal quotidiano, da quell’epica della
cura e della compassione che lo porta a difendere ogni essere senziente, umano,
animale o vegetale. E per questo incontrerete anche un uomo dai piaceri
semplici che ve lo renderanno subito familiare: “stare seduto in una qualsiasi
stupenda piazza italiana /_..._/ a conversare amabilmente con persone
altrettanto amabili. Se si tratta di persone di cui provo affetto, questo
piacere si moltiplica fino alla gioia”. Anche se quell’uomo sa bene che così
semplice non è, che “ciascuno di noi è un grumo di misteri per sé stesso e per
gli altri”. E che allora è “meglio lasciare che il nostro sforzo di conoscenza
si arresti al limitare senza varcare la soglia; che quella zona d’ombra
resti inviolata”. Un mistero che ancora chiamiamo anima, senza la quale – citando
Ròzanov – non verrebbe fuori nemmeno una goccia di letteratura.
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Angelo Gaccione
Contrappunti
Arca Edizioni 2025
Pagg. 184 € 14