ESERCITAZIONI DI GUERRA
NELL’ISOLA DEI DRONI
di Antonio Mazzeo
MESSINA. Il
Comando Usa di Sigonella aveva annunciato qualche giorno fa che i velivoli di
ultima generazione “Osprey” in dotazione al Corpo dei Marines avrebbero volato
tutta l’estate in Sicilia per esercitarsi alle prossime guerre in Africa.
Quanto però fossero molesti i cosiddetti “convertiplani” (metà elicotteri e
metà aerei), lo hanno scoperto all’alba di stamani i cittadini di Vittoria, in
provincia di Ragusa. “Siamo stati svegliati intorno alle 4 da un rombo
insopportabile”, racconta uno di essi. “Nonostante l’oscurità abbiamo compreso
che si trattava del transito di aerei pesanti militari. Sembrava assistere al
film Apocalipse Now. Volavano a bassa quota, uno dietro l’altro. E le loro evoluzioni
si sono prolungate per almeno un’altra ora…”. In grado di trasportare più di
una ventina di soldati completamente equipaggiati, gli “Osprey” avvistati nel
ragusano appartengono al gruppo volo del Marine Medium Tiltrotor Squadron 365
del North Caroline, trasferito un mese fa in Sicilia insieme a 250-300 uomini
della Special-Purpose Marine Air-Ground Task Force (SP MAGTF), l’unità di
pronto intervento Usa per il combattimento aereo e terrestre, di base in
Spagna. E’ però tutta l’Isola a fare da scenario dei war games delle forze
armate nazionali e di quelle degli Stati Uniti d’America. Dallo scorso 25
maggio nelle campagne di Caltagirone (Catania) si alternano combattimenti e
lanci di paracadutisti, tutti i giorni dalle 4 di mattina a sera tardi. Le esercitazioni
sono previste sino al 21 giugno sotto il controllo della stazione aereonavale
di Sigonella. Cannoni e armi leggere in dotazione ai reparti della brigata
“Aosta” dell’esercito italiano spareranno sino al 10 giugno nel poligono di
Drasy, alle porte della città di Agrigento e della Valle dei Templi (patrimonio
Unesco). L’area, di straordinaria bellezza paesaggistica e naturalistica, è off
limit per i civili dal gennaio di quest’anno e dopo una “sospensione estiva”,
tornerà il 15 settembre a fare da palestra di guerra per i militari italiani e
Usa.
Dal 3 al 28 giugno l’Esercito si addestra pure (da lunedì a
venerdì dalle ore 6 alle 22) nel poligono di San Matteo (Trapani), mentre dal 4
sino al 27 giugno i lanci di bombe e le esercitazioni di tiro interessano anche
località Santa Barbara, Messina. Le attività nei Peloritani sono più ridotte:
solo tre ore al giorno e nel tardo pomeriggio, tranne gli ultimi quattro giorni
quando si potrà sparare dalle ore 6 alle 21.
"Omaggio a Savinio", opera di Gianni Ruggeri |
Secondo quanto si apprende poi dal testo di alcune
notificazioni ai piloti di aeromobili -
i cosiddetti “NOTAM” - emessi dalle autorità di volo, dallo scorso 21 maggio (e
fino a nuova comunicazione) è stato vietato il passaggio di velivoli passeggeri
in prossimità del “Pachino range target”, il poligono marittimo con un raggio
di 2.700 per lo sganciamento di bombe e l’esplosione di mine, a poche miglia di
distanza da Punta Castellazzo-Marza (Pachino-Siracusa), nella parte più
sud-orientale della Sicilia. “Nell’area interdetta sono previste per tutta la
giornata esercitazioni a fuoco con armi pesanti e attività di velivoli militari
senza pilota (Unmanned Aircraft Military)”, riporta il NOTAM n. A3322/13. I
velivoli a guida remota, meglio noti come droni, sono in dotazione all’US Air
Force e decollano e atterrano ininterrottamente da Sigonella ormai da qualche
anno. Si tratta dei famigerati MQ-1 “Predator” (utilizzati per i bombardamenti
selettivi in Medio oriente, Somalia e nord Africa), e dei grandi aerei-spia
“Global Hawk” che operano ad altissima quota e con un’autonomia di volo
superiore alle 36 ore.
"La Domatrice", opera di Gianni Ruggeri |
Pericolo droni anche per l’aeroporto di Comiso (Ragusa),
l’ex base missilistica nucleare Nato riconvertita in scalo passeggeri ma non
ancora entrato in funzione. Con NOTAM n. B2877/13 dell’1 giugno e con valore
“permanente”, si segnala la possibilità di “restrizioni” in quanto il “traffico
verso/da Comiso potrebbe essere soggetto a ritardi in presenza di attività di
velivoli senza pilota”. Sul regolare funzionamento dello scalo comisano pende
pure la spada di Damocle delle potenti emissioni del MUOS, il sistema di
telecomunicazione satellitare della Marina militare Usa in fase di
realizzazione nella vicina Niscemi (Caltanissetta).
Ancora peggio per l’aeroporto di Catania-Fontanarossa, il
terzo più grande in Italia come volume-passeggeri. Qui le “restrizioni” e i
“ritardi” generati dai droni sono sempre più pesanti e frequenti. La vicenda
più eclatante risale al 22 marzo scorso, quando l’intenso movimento di aerei
con e senza pilota nella base militare di Sigonella ha comportato la chiusura
per un’ora e 15 minuti di Fontanarossa e il conseguente dirottamento su
Palermo-Punta Raisi di due aerei già in fase di atterraggio su Catania. Per i
passeggeri del Roma Fiumicino-Catania (AZ 1741- Alitalia) e Milano
Malpensa-Catania (U2 2847 - EasyJet) l’estremo disagio di attraversare in bus
la Sicilia da costa a costa e raggiungere il capoluogo etneo con mezza giornata
di ritardo.Pronto nuovo intervento USA in Libia da Sigonella
di Antonio Mazzeo
No tedesco agli eurodroni di Sigonella
di Antonio Mazzeo
Poligono Sicilia per i Marines Usa di Sigonella
TERRITORIO AGRICOLO A PERDERE
Le concause della perdita di suolo agricolo
Messina. Gli Stati Uniti
starebbero pensando di lanciare un nuovo attacco militare in Libia dalla
stazione aeronavale di Sigonella. Cinquecento marines sono stati trasferiti nei
giorni scorsi in Sicilia dalla base di Rota in Spagna. Gli uomini fanno parte
della Marine Air Ground Task Force (MAGTF), la forza speciale costituita nel
1989 per garantire al Corpo dei Marines flessibilità e rapidità d’azione nei
differenti scacchieri di guerra internazionali. L’unità di Rota è stata
attivata dal Pentagono solo un paio di mesi fa per sostenere il Comando Usa in
Africa (Africom) nell’addestramento e la formazione delle forze armate dei
partner continentali e intervenire rapidamente in Africa in caso di crisi. La
decisione di dar vita alla nuova task force è stata presa nel settembre 2012
dopo l’attentato terroristico contro il consolato Usa di Bengasi in cui persero
la vita quattro funzionari tra cui l’ambasciatore in Libia, Christopher Stevens.
Secondo il portavoce del Pentagono George Little, i marines potranno
intervenire da Sigonella in tempi rapidissimi nel caso di nuovi attacchi al
personale diplomatico o ai cittadini Usa presenti in Libia per “effettuarne
eventualmente l’evacuazione”. “Siamo preparati a rispondere se necessario, se
le condizioni peggiorassero o se venissimo chiamati” ha aggiunto Little.
Qualche giorno fa il Dipartimento di Stato ha ridotto sensibilmente lo staff
dell’ambasciata di Tripoli, ordinando di contro il rafforzamento del
dispositivo gestito in loco da una dozzina di militari Usa. Inoltre sono stati
invitati i cittadini statunitensi a viaggiare a Tripoli solo per necessità
improcrastinabili ed evitare in assoluto Bengazi o altre località in Libia.
Washington parla di “crescente clima d’instabilità e violenza” e di
“deterioramento delle condizioni di sicurezza”. Così è stato decretato lo stato
d’allerta per gli special operations team di stanza a Stoccarda (Germana) e per
la task force dei marines in Spagna che prima del trasferimento a Sigonella, il
19 aprile scorso aveva raggiunto da Rota la base aerea di Morón de la Frontera.
Il 3 e 4 aprile, i Comandi delle forze navali Usa in Europa e Africa e della VI
Flotta avevano pure ospitato a Napoli i responsabili della neo-costituita
marina militare libica e del corpo della guardiacoste per discutere di
“sicurezza marittima” e “cooperazione strategica”. Insieme ai marines sono
giunti a Sigonella pure otto velivoli da trasporto e assalto anfibio Bell
Boeing CV-22 “Osprey” (falco pescatore). Si tratta dei controversi
“convertiplani” (bi-turboelica in grado di atterrare e decollare come un
elicottero e volare come un normale aereo), costo unitario 129 milioni di
dollari circa, in grado di trasportare fino a 24 soldati del tutto
equipaggiati, alla velocità di 509 Km all’ora. Numerosi esperti militari hanno
ripetutamente messo sotto accusa l’“Osprey” per le sue scarse condizioni di
sicurezza in volo. Da quando è divenuto operativo, il velivolo è stato al
centro di numerosi incidenti e una trentina tra contractor e militari sono
morti durante test ed esercitazioni. Quando nel 2000 un velivolo in forza
all’US Navy cadde negli Stati Uniti causando la morte di 23 marines il
Pentagono pensò di abbandonare il programma ma sotto il pressing della potente
lobby dei costruttori, esso fu presto riavviato e gli “Osprey” furono destinati
alla guerra in Iraq e Afghanistan. Nella primavera dello scorso anno due
“Osprey” si sono schiantati al suolo, il primo durante un’esercitazione
militare in Marocco (morti due marines) e il secondo in Florida. Per l’alto
rischio di incidenti e l’insostenibile rumore emesso dal velivolo durante le
operazioni di decollo e atterraggio, migliaia di cittadini giapponesi hanno
dato vita a numerose manifestazioni di protesta contro la decisione di
dislocare 12 convertiplani nella grande base aerea Usa di Okinawa. Il Corpo dei
marines ha progressivamente ampliato il proprio impegno di contrasto,
congiuntamente ad Africom, delle milizie islamiche operanti nelle regioni settentrionali
del continente. Nel 2011, nello specifico, fu creata proprio a Sigonella una
forza speciale di pronto intervento del tutto simile a quella di Rota, la
Special Purpose Marine Air Ground Task Force (SPMAGTF-13). Gli uomini sono
impegnati periodicamente come consiglieri e formatori degli eserciti africani o
in attività di supporto logistico e “gestione di tattiche anti-terrorismo”. “La
task force di stanza a Sigonella ha come compiti prioritari la fornitura
d’intelligence e l’addestramento dei militari africani che combattono i gruppi
terroristici in Maghreb e Corno d’Africa o svolgono attività di peacekeeping in
Somalia”, ha dichiarato il maggiore Dave Winnacker, responsabile del gruppo dei
marines. La SPMAGTF-13 include componenti navali, terrestri ed aeree
caratterizzate da notevole flessibilità; conta su circa 200 marines organizzati
in team aviotrasportabili dai grandi velivoli KC-130. Con i 500 uomini giunti
dalla Spagna, Sigonella accresce ancora di più il ruolo di gendarme armato del
Mediterraneo e del continente africano.
No tedesco agli eurodroni di Sigonella
di Antonio Mazzeo
Messina. Droni
di guerra troppo pericolosi per il traffico aereo civile e il governo Merkel
decide di fermare il programma di acquisizione di cinque grandi velivoli-spia
“Euro Hawk”. Dopo anni di studi e investimenti per 550 milioni di euro per
realizzare il primo prototipo, le autorità tedesche hanno fatto sapere che per
ragioni di sicurezza e di bilancio non si doteranno più dei velivoli senza
pilota derivati dal “Global Hawk”, il falco globale schierato dalle forze
armate Usa nella base siciliana di Sigonella. Secondo la stampa tedesca l’“Euro
Hawk” non risponderebbe agli standard di sicurezza richiesti dall’European
Aviation Safety Agency (EASA), l’agenzia europea per la sicurezza aerea. E cosa
ancora più grave, la società statunitense progettista dei “Global Hawk” (la
Northrop Grumman) non intenderebbe fornire tutta la documentazione tecnica
necessaria per il procedimento di certificazione EASA. Da quanto calcolato dal
ministero della difesa tedesco, per regolarizzare i velivoli senza pilota e
dotarli di un idoneo sistema anti-collisione sarebbero necessari non meno di
500-600 milioni di euro da sommare ai 1.300 milioni previsti per lo sviluppo
degli aerei e dei loro sensori. Da qui la scelta di abbandonare l’ambito
programma militare. La produzione degli “Euro Hawk” venne affidata nel 2010
all’azienda aerospaziale europea EADS e fu presentata come un contributo
“autonomo” della Germania al nuovo programma Nato di sorveglianza terrestre
“AGS” (Alliance Ground Surveillance), il cui comando sarà insediato a Sigonella
entro il 2015 congiuntamente a 800 uomini e a cinque falchi globali
dall’Alleanza Atlantica. “Se i costi minacciano di lievitare troppo è
preferibile abbandonare il progetto anche per il futuro”, ha dichiarato il
ministro della difesa Thomas de Maziere. “Meglio una fine dolorosa che un
dolore senza fine. Daremo in Parlamento una spiegazione cronologica degli
avvenimenti”. Intervistato dalla rediotelevisione tedesca, il ricercatore
dell’Istituto per gli Affari Internazionali e la Sicurezza di Berlino,
Christian Mölling, ha spiegato che più del denaro hanno pesato nella scelta del
governo le difficoltà ad integrare l’“Euro Hawk” nello spazio aereo europeo.
“Ciò non è un problema solo per questo tipo di drone ma riguarda tutti i droni
nel continente”, ha aggiunto l’esperto. “Ad oggi non ci sono soluzioni in
Europa. Di certo il governo tedesco era a conoscenza da tempo della questione.
Il problema delle restrizioni al traffico dei droni non è esploso adesso; una
nuova regolamentazione per l’uso dello spazio aereo è in agenda da tantissimo
tempo. Non si può dare una soluzione in ambito strettamente nazionale, ma è in
ambito europeo che si deve decidere come potranno operare insieme i velivoli
con pilota e quelli senza. Bisognerà prevedere una serie di innovazioni
tecniche e di norme legali che assicurino che i droni non si scontrino in volo
con gli aerei di linea”.
Nel marzo 2010, l’agenzia europea per il controllo del
traffico aereo (Eurocontrol) aveva indicato le “linee guida” a cui gli stati
membri si sarebbero dovuti attenere per la gestione degli aerei senza pilota
nello spazio europeo, “considerato che cinque velivoli Euro Hawk opereranno in
Germania e sino a 20 Global Hawk saranno schierati a Sigonella dalle forze
armate statunitensi o entreranno in funzione con la Nato con il nuovo programma
AGS”. Eurocontrol raccomandava di prevedere “normalmente rotte specifiche”
evitando che i droni “sorvolino aree densamente popolate o uno spazio aereo
congestionato o complesso”. In considerazione che i droni “mancano delle
capacità di sense & avoid e di prevenzione delle collisioni con altri
velivoli che potrebbero incrociare le proprie rotte”, Eurocontrol chiedeva
inoltre d’isolare i Global Hawk nelle fasi di ascensione ed atterraggio (le più
critiche) e durante le attività di volo in crociera che “devono avvenire in
alta quota al di fuori dello spazio aereo riservato all’aviazione civile”. Le
linee guida dell’agenzia europea per il controllo del traffico non erano
obbligatorie: il governo tedesco le ha però accolte mentre le autorità italiane
hanno aperto lo spazio aereo siciliano alle spericolate operazioni dei droni
Usa e Nato con numerosi effetti negativi sul traffico passeggeri negli scali di
Catania Fontanarossa e Trapani Birgi.
Il progetto “Euro Hawk” ha preso il via nel 2000 con la
costituzione di una joint venture tra la statunitense Northrop Grumman e la
holding europea EADS. La nuova società con sede a Friedrichshafen è divenuta il
prime contractor del ministero della difesa tedesco. Il progetto per il nuovo
drone è stato elaborato a partire dal velivolo RQ-4 “Global Hawk” in grado di
volare ad alte altitudini (sino a 60.000 piedi) e per lunghi periodi (36 ore
circa). Dotato di una potentissima antenna radar e di altri sensori in grado di
fornire immagini ad altissima risoluzione, il drone può funzionare
perfettamente con qualsiasi condizione meteorologica. Nei piani della joint
venture tedesco-statunitense l’“Euro Hawk” dovrebbe migliorare la capacità del
“Global Hawk” nella raccolta dei segnali d’intelligence (SIGINT) e delle
informazioni elettroniche (ELINT) di radar ed emittenti di comunicazioni,
mettendoli in rete con le stazioni terrestri e i centri di elaborazione dati.
Il primo e unico prototipo “Euro Hawk” è stato completato nel 2011; per i suoi
test sperimentali è stata utilizzata la base aerea di Manching nei pressi di
Monaco di Baviera. Ad esso dovevano seguire altri quattro velivoli-spia
telecomandati da schierare permanentemente nello scalo di Schleswig-Jagel, in
Germania settentrionale, dove sono stati spesi 40 milioni di euro per
l’ammodernamento delle piste. Il responsabile del settore aerospaziale di
Northrop Grumman, Tom Vice, ha affermato di non avere conferme ufficiali dello
stop tedesco al programma “Euro Hawk”. “Non credo tuttavia che ciò che deciderà
la Germania potrà avere effetti sulle altre nazioni europee, compreso per il
contratto di 1,7 miliardi di dollari sottoscritto con la Nato nel 2012 per la
produzione e consegna di cinque velivoli Global Hawk”, ha aggiunto Tom Vice. Se
in Germania le forze armate sperano ancora di poter ricevere la certificazione
per l’uso dei droni nello spazio aereo nazionale, i manager di EADS affermano
che le apparecchiature già realizzate per gli aerei-spia potranno avere
comunque altri utilizzi. “I sistemi d’intelligence da noi sviluppati in
Germania sono tra i più avanzati al mondo e possono essere integrati a supporto
di altre piattaforme aeree delle forze armate”, ha dichiarato Bernhard Gerwert,
presidente di Cassidian, una delle principali aziende impegnate nel programma
“Euro Hawk”. Intanto a Berlino c’è chi pensa ad acquistare in Israele i
droni-killer “Heron TP”. Sul tema il ministro Thomas de Maiziere ha tenuto due
meeting ufficiali con i capi delle forze armate israeliane (il primo nel
novembre 2012, il secondo nel febbraio di quest’anno). Il capo di stato
maggiore dell’aeronautica tedesca, gen. Karl Muellner, si è invece recato tempo
fa a Gerusalemme per partecipare alla presentazione ufficiale dell’“Heron TP”.
Secondo il settimanale Der Spiegel la decisione finale sui nuovi droni verrà
presa solo dopo le elezioni politiche nazionali fissate per il prossimo 22
settembre.
di Antonio Mazzeo
Messina. I siciliani sono avvisati: quella del 2013 sarà una stagione
estiva all’insegna dei giochi di guerra dei marines di Sigonella. L’ufficio
stampa US Navy della grande stazione aeronavale fa sapere che a partire dalla
fine di maggio, “in pieno coordinamento con il Ministero della difesa
italiano”, alcuni aerei KC-130J Super Hercules e i convertiplani MV-22B Osprey
del Corpo dei Marines saranno impegnati per l’estate in non meglio specificati
“voli di addestramento” nei cieli dell’Isola. “In questo periodo, le
popolazioni locali potranno aspettarsi un incremento dell’attività operativa di
volo della NAS Americana”, aggiunge la nota a firma del vice responsabile per
le relazioni pubbliche di Sigonella, Alberto Lunetta.
I velivoli militari appartengono al gruppo volo “U.S. Marine
Medium Tiltrotor
Squadron 365 (VMM-365)” dell’Air Station New River (North
Caroline), assegnato transitoriamente alla Special-Purpose Marine Air-Ground
Task Force (SP MAGTF), l’unità di pronto intervento, combattimento aereo e
terrestre, trasferita nei giorni scorsi in Sicilia dalla base spagnola di
Moròn. Composta da 500 marines, la task force è stata ribattezzata Unità
Bengasi, in riferimento all’attentato avvenuto nella città libica l’11
settembre 2012 quando persero la vita quattro funzionari statunitensi tra cui
l’ambasciatore in Libia, Christopher Stevens.
“Gli Stati Uniti hanno spostato un gruppo di Marines e
marinai nella Naval Air Station (NAS) di Sigonella per intervenire rapidamente
a supporto delle forze di sicurezza che proteggono le ambasciate Usa ubicate in
Nord Africa e in Africa Occidentale e per condurre operazioni di evacuazione di
non-combattenti (NEO), assistenza umanitaria, soccorso in caso di catastrofe o
per il recupero di velivoli o personale”, spiega il Comando di US Navy. “NAS
Sigonella continua ad essere impegnata a
fornire supporto logistico globale ai comandi americani EUCOM, CENTCOM, AFRICOM ed alle unità della Quinta e
Sesta flotta degli Stati Uniti, nonché alle forze della Nato nel Mediterraneo.
In linea con questo impegno, e secondo modalità previste dagli accordi
bilaterali con il governo italiano, la base continua a supportare la presenza
di unità permanenti e temporanee schierate al suo interno”.
La “conformità” agli accordi bilaterali Italia-Usa dei nuovi
marines in Sicilia è stata rivendicata dal ministro della difesa Mario Mauro.
“Le attività condotte dal personale militare statunitense rientrano nelle
misure assunte per garantire sicurezza al personale diplomatico e ai cittadini
Usa presenti in Libia”, ha dichiarato Mauro in Parlamento. Peccato però che nei
piani Usa il raggio di azione della task force si estenda a buona parte del
continente africano. Stridenti contraddizioni pure sul numero dei militari
effettivamente giunti a Sigonella. “Solo una parte del team di pronto
intervento di circa 550 marines dislocato in Spagna è stato trasferito nella
base siciliana”, la generica dichiarazione di Mauro. “Il rafforzamento Usa a Sigonella
è stato prima di 75 e poi di 125 persone per un totale di 200”, ha precisato la
ministra degli esteri Emma Bonino. “Per motivi di sicurezza operativa non è
possibile fornire dettagli riguardanti il numero dei componenti della suddetta
unità”, il laconico commento dell’ufficio stampa di US Navy.
Top secret pure il numero dei velivoli da guerra messi a
disposizione dei marines di Sigonella. La Special-Purpose Marine Air-Ground
Task Force conta normalmente su due mezzi da trasporto KC-130J “Super Hercules”
del Marine Aerial Refueler Transport Squadron 252 e sei/otto Bell Boeing “CV-22
Osprey” della 26th Marine Expeditionary Unit di Camp Lejeune (North Carolina).
L’“Osprey” (falco pescatore) è tecnicamente un convertiplano, cioè decolla come
un elicottero e vola come un normale aereo. In grado di trasportare fino a 24
soldati completamente equipaggiati alla velocità massima di 509 Km all’ora, il
falco pescatore è armato con mitragliere GAU-19/A da 12,7 mm prodotte da
General-Dynamics. Nonostante le sue caratteristiche belliche, il velivolo è al
centro di svariate critiche, sia per l’alto costo unitario (120 milioni di
dollari contro i 49 preventivati), sia per il pesantissimo inquinamento
acustico generato dai motori e sia per l’alto numero d’incidenti mortali che lo
hanno visto protagonista (una trentina le vittime tra militari e tecnici). “Non
siamo in grado di poter fornire alcuna informazione sulle aree della Sicilia
che verranno interessate dalle esercitazioni dei marines, non dipendendo essi
dal Comando navale di Sigonella”, rispondono all’ufficio relazioni pubbliche
della base siciliana. Nei mesi scorsi il territorio compreso tra i comuni di
Corleone e Contessa Entellina (Palermo) è stato al centro di misteriose
esercitazioni militari Usa. Formazioni di elicotteri d’assalto Sikorsky UH-60
“Black Hawk” hanno sorvolato ripetutamente le campagne suscitando timori e
proteste tra la popolazione e gli amministratori locali. Dopo i raid e le
ricognizioni aeree si è però passati agli aviosbarchi e in più occasioni
coltivatori e allevatori sono stati testimoni di vere e proprie azioni di
combattimento sul terreno. “Spesso gli americani piazzano a terra anche
strumenti elettronici: forse apparati di trasmissione o sistemi di misurazione,
che vengono smontati prima di ripartire”, hanno riferito i cronisti locali.
“Gli elicotteri da guerra e i marines avvistati nelle campagne di Contessa
Entellina e di Corleone stavano svolgendo regolari esercitazioni militari”, ha
spiegato il colonnello dell’Aeronautica militare italiana, Achille Cazzaniga.
“Li abbiamo autorizzati noi. Ci scusiamo con i cittadini e le autorità locali
per gli inconvenienti. In futuro, se dovessero ripetersi altre attività nella
zona, ci preoccuperemo di aprire un dialogo con i sindaci delle località interessate”.
Bene. Ma chi ha autorizzato stavolta e dove i giochi di guerra estivi dei
marines Usa destinati alle future guerre africane?TERRITORIO AGRICOLO A PERDERE
Le concause della perdita di suolo agricolo
di Franco Ferroni
La diminuzione
della superficie del territorio destinata all’agricoltura (SAT, Superficie
Agricola Totale) e la perdita di suolo effettivamente utilizzato in agricoltura
(SAU, Superficie Agricola Utilizzata) dipendono essenzialmente da due fattori,
da una parte l’aumento dell’urbanizzazione e dall’altra l’abbandono delle aree
rurali più marginali. Il fenomeno è direttamente connesso alla riduzione del reddito
delle imprese agricole ed alla progressiva riduzione del numero delle imprese
agricole dovuta a molteplici fattori, dal ridotto ricambio generazionale nel
mondo agricolo ad aspetti sociali e culturali che hanno indotto all’abbandono
delle aree rurali con una concentrazione della popolazione nelle aree urbane.
Senza dubbi l’incidenza maggiore nella perdita di suolo in agricoltura è
imputabile al cambio di destinazione d’uso a vantaggio delle aree urbanizzate e
delle infrastrutture di vario tipo. Sono stati sufficienti alcuni decenni di
non convenienza all’uso agricolo delle pianure italiane per provocarne il
sacrificio delle superfici a vantaggio dell’urbanizzazione (industriale,
artigianale, commerciale e residenziale). In Lombardia ad esempio dal 1999 al
2007 le aree urbanizzate sono aumentate di 34.165 ettari, le aree agricole sono
diminuite di 43.278 ettari, mentre i terreni boscati e le aree seminaturali
sono aumentate di 9.814 ettari per effetto dell’abbandono delle pratiche
agricole essenzialmente nelle aree montane e collinari (dati ERSAF 2009). Oggi
quasi il 60% delle aree urbanizzate nazionali è collocato in aree pianeggianti,
indubbiamente più comode per ciò che riguarda i collegamenti e più vantaggiose
in relazione ai costi di costruzione dell’edilizia. In pratica, si è consumato
più suolo e in modo più estensivo dove questa risorsa era più disponibile e
dove costava meno, anche quando i suoli utilizzati erano ad alta vocazione
agricola. L’interesse alla speculazione legata ai cambi di destinazione d’uso
delle aree agricole ed all’edificabilità dei suoli sono enormi ed hanno
generato spesso un intreccio tra costruttori ed Amministratori pubblici che ha
in molti casi stravolto ogni tentativo di seria programmazione e gestione
territoriale. Gli interessi dei grandi costruttori sono molto spesso
coincidenti con quelli fondiari, chi costruisce case da tempo compra le terre
su cui edificare e non sempre le comprano con l’edificabilità già sancita nei
piani regolatori. Il guadagno in questo caso si moltiplica, e di molto.
Se consideriamo ad esempio che in un’area di fondovalle delle Marche i terreni ad alta vocazione agricola possono avere costi ad ettaro di 15.000 – 20.000 Euro che salgono facilmente a 70.000 – 90.000 Euro ad ettaro se il terreno diventa edificabile con un centro residenziale o commerciale che sostituisce i seminativi. L’erosione del suolo agricolo a vantaggio della nuova urbanizzazione risulta essere ancora più evidente nei territori caratterizzati storicamente da piccoli centri urbani inseriti in una matrice territoriale ad elevata vocazione agricola. Nel 2009 l’Assessorato Ambiente della Regione Marche ha presentato i dati relativi al consumo di suolo dal 1954 al 2007 in 93 Comuni della regione appartenenti a 11 aree urbane funzionali (un’area di Comuni contigui caratterizzati da una concentrazione di relazioni afferenti alle sfere residenziali, lavorative e ricreative, tale da raggiungere un grado di interdipendenza così elevato da identificare un unico sistema socio-territoriale). 10 di queste aree urbane funzionali ricadevano lungo la costa e nell’immediato retroterra e lungo le valli fluviali. L’esito dell’analisi ha evidenziato la perdita di 22.289,06 ettari di suolo agricolo tra il 1954 e il 2007 a causa della nuova edificazione. La superficie urbanizzata complessiva nelle 11 aree urbane funzionali delle Marche è passata dai 6.970,37 ettari del 1954 ai 29.259,43 ettari del 2007; essa rappresenta l’8,2% dell’intero territorio analizzato. L’area urbanizzata al 2007 è 4,20 volte quella presente nel 1954; nello stesso periodo la popolazione è 1,37 volte quella del 1954. Dai dati rilevati emerge che nell’intervallo considerato (1954–2007) è stato urbanizzato il 6,41% della superficie territoriale dell’intera area analizzata; nei 53 anni oggetto di rilievo il suolo urbanizzato è aumentato mediamente ogni anno di 420,548 ettari e ogni giorno di 1,152 ettari.
La perdita di suolo agricolo è stata maggiore dell’aumento del suolo urbanizzato a seguito della disseminazione insediativa (sprawl), che ha determinato una sottrazione di superfici agricole per una nuova urbanizzazione dispersa ed a bassa densità che ha richiesto di conseguenza lo sviluppo di una diffusa rete di strade ed infrastrutture. Questo fenomeno è stato accentuato da una serie di fattori sociali ed economici che hanno indotto la delocalizzazione di molte funzioni urbane nelle aree agricole periurbane come ad esempio la progressiva sostituzione nei centri storici di attività terziarie alle residenze; i minori costi della nuova edificazione su spazi verdi extra-urbani rispetto ai costi di recupero e di adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, le strategie di marketing ed investimento da parte degli operatori immobiliari che nei territori extra-urbani trovano maggiori opportunità legate alla qualità ambientale dei territori e minori vincoli urbanistici, il diffondersi di grandi centri commerciali periferici che determinano nuovi flussi della logistica e dell’utenza basati su una maggiore accessibilità per il trasporto su gomma e la mobilità personale tramite l’automobile. Un’altra causa di consumo di suolo è rappresentata dalla possibilità per i comuni di utilizzare fino al 50% degli oneri di urbanizzazione per pagare le spese correnti. In carenza di altre risorse questa norma ha incentivato da parte delle amministrazioni locali il cambio della destinazione d’uso dei terreni agricoli in aree edificabili anche in assenza di un reale fabbisogno al fine di aumentare le entrate nei propri bilanci per mantenere i servizi essenziali. Una politica miope che non ha tenuto conto dei costi reali per assicurare alle nuove aree urbanizzate la dotazione delle infrastrutture di servizio indispensabili (acquedotto, rete fognante, rete elettrica, ecc.) ed aumentato i costi per i servizi sociali determinati dal maggiore pendolarismo scolastico e lavorativo. La speculazione fondiaria, minori costi e maggiori plusvalenze nel mercato immobiliare, maggiori entrate da oneri fiscali e di urbanizzazione per gli Enti Locali spingono inesorabilmente verso un cambio di destinazione dei terreni agricoli.
Se consideriamo ad esempio che in un’area di fondovalle delle Marche i terreni ad alta vocazione agricola possono avere costi ad ettaro di 15.000 – 20.000 Euro che salgono facilmente a 70.000 – 90.000 Euro ad ettaro se il terreno diventa edificabile con un centro residenziale o commerciale che sostituisce i seminativi. L’erosione del suolo agricolo a vantaggio della nuova urbanizzazione risulta essere ancora più evidente nei territori caratterizzati storicamente da piccoli centri urbani inseriti in una matrice territoriale ad elevata vocazione agricola. Nel 2009 l’Assessorato Ambiente della Regione Marche ha presentato i dati relativi al consumo di suolo dal 1954 al 2007 in 93 Comuni della regione appartenenti a 11 aree urbane funzionali (un’area di Comuni contigui caratterizzati da una concentrazione di relazioni afferenti alle sfere residenziali, lavorative e ricreative, tale da raggiungere un grado di interdipendenza così elevato da identificare un unico sistema socio-territoriale). 10 di queste aree urbane funzionali ricadevano lungo la costa e nell’immediato retroterra e lungo le valli fluviali. L’esito dell’analisi ha evidenziato la perdita di 22.289,06 ettari di suolo agricolo tra il 1954 e il 2007 a causa della nuova edificazione. La superficie urbanizzata complessiva nelle 11 aree urbane funzionali delle Marche è passata dai 6.970,37 ettari del 1954 ai 29.259,43 ettari del 2007; essa rappresenta l’8,2% dell’intero territorio analizzato. L’area urbanizzata al 2007 è 4,20 volte quella presente nel 1954; nello stesso periodo la popolazione è 1,37 volte quella del 1954. Dai dati rilevati emerge che nell’intervallo considerato (1954–2007) è stato urbanizzato il 6,41% della superficie territoriale dell’intera area analizzata; nei 53 anni oggetto di rilievo il suolo urbanizzato è aumentato mediamente ogni anno di 420,548 ettari e ogni giorno di 1,152 ettari.
La perdita di suolo agricolo è stata maggiore dell’aumento del suolo urbanizzato a seguito della disseminazione insediativa (sprawl), che ha determinato una sottrazione di superfici agricole per una nuova urbanizzazione dispersa ed a bassa densità che ha richiesto di conseguenza lo sviluppo di una diffusa rete di strade ed infrastrutture. Questo fenomeno è stato accentuato da una serie di fattori sociali ed economici che hanno indotto la delocalizzazione di molte funzioni urbane nelle aree agricole periurbane come ad esempio la progressiva sostituzione nei centri storici di attività terziarie alle residenze; i minori costi della nuova edificazione su spazi verdi extra-urbani rispetto ai costi di recupero e di adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, le strategie di marketing ed investimento da parte degli operatori immobiliari che nei territori extra-urbani trovano maggiori opportunità legate alla qualità ambientale dei territori e minori vincoli urbanistici, il diffondersi di grandi centri commerciali periferici che determinano nuovi flussi della logistica e dell’utenza basati su una maggiore accessibilità per il trasporto su gomma e la mobilità personale tramite l’automobile. Un’altra causa di consumo di suolo è rappresentata dalla possibilità per i comuni di utilizzare fino al 50% degli oneri di urbanizzazione per pagare le spese correnti. In carenza di altre risorse questa norma ha incentivato da parte delle amministrazioni locali il cambio della destinazione d’uso dei terreni agricoli in aree edificabili anche in assenza di un reale fabbisogno al fine di aumentare le entrate nei propri bilanci per mantenere i servizi essenziali. Una politica miope che non ha tenuto conto dei costi reali per assicurare alle nuove aree urbanizzate la dotazione delle infrastrutture di servizio indispensabili (acquedotto, rete fognante, rete elettrica, ecc.) ed aumentato i costi per i servizi sociali determinati dal maggiore pendolarismo scolastico e lavorativo. La speculazione fondiaria, minori costi e maggiori plusvalenze nel mercato immobiliare, maggiori entrate da oneri fiscali e di urbanizzazione per gli Enti Locali spingono inesorabilmente verso un cambio di destinazione dei terreni agricoli.
L’importanza dei
fattori socio-economici D’altra
parte il sempre minore rendimento delle attività agricole non riesce a
contrastare il fenomeno dell’abbandono dell’agricoltura favorendo anche nuove
forme di utilizzo del suolo, comunque sottratto alle produzioni agricole
primarie. Da un ettaro seminato a cereali (grano duro e tenero) per un’area
agricola vocata un agricoltore può ottenere oggi una rendita netta di circa 600
– 700 euro/anno, considerando che i costi di esercizio sono coperti
essenzialmente dal premio unico aziendale della PAC basato al momento sulla
superficie e sul pagamento storico. Per l’utilizzo dello stesso ettaro di suolo
agricolo da destinare ad un impianto fotovoltaico a terra la rendita può
arrivare a 4.000 euro/anno esenti da tasse. Con questi rendimenti è facile
comprendere le ragioni della rapida trasformazione dell’uso del suolo. Per
fermare la perdita irreversibile del suolo agricolo è necessario pertanto
sostenere il reddito delle imprese agricole e riconoscere anche economicamente
il ruolo di presidio che gli agricoltori svolgono sul territorio. Questo vale
maggiormente in alcuni Stati membri dell’Unione Europea, come l’Italia,
caratterizzati dalla presenza di aziende agricole di piccole dimensioni. Nel
nostro paese la dimensione media delle aziende agricole, in termini di SAU
(Superficie Agricola Utilizzata) è di appena 7,9 ettari (dati censimento
agricoltura ISTAT 2010), contro i 52 ettari della Francia, i 45 della Germania
e i 23 della Spagna. In Italia solo il 5,2% delle aziende agricole ha oltre 30
ettari di SAU, ma produce il 70% del reddito agricolo italiano. Per le piccole
imprese agricole affrontare il mercato, sempre più globalizzato anche in questo
settore, contando solo sulle produzioni primarie diventa ogni giorno più
difficile.
Segnali di crisi preoccupanti si registrano anche nelle
produzioni agroalimentari di qualità, per trasformazioni ad alto valore
aggiunto come il vino, l’olio, formaggi e le numerose produzioni certificate
(DOP, IGT, STG) a causa dell’aumento dei costi di gestione e delle
contraffazioni, più o meno legalizzate, nei mercati internazionali, che si
tenta di contrastare attraverso la tracciabilità delle filiere per la tutela
del “made in Italy” e la promozione della filiera corta.
Nel 2009, secondo le stime UE, il reddito reale per lavoratore nel settore agricolo è sceso del 12% nella media dei 27 Paesi membri, del 25% in Italia, del 21% in Germania, del 19% in Francia. La volatilità dei prezzi delle materie prime, l’aumento dei costi di esercizio delle aziende determinati sia dall’aumento dei costi energetici (aumento dei costi del gasolio agricolo e dei prodotti chimici di sintesi) sia dall’elevato costo del lavoro ha contribuito ulteriormente dal 2009 ad oggi ad una riduzione del reddito delle aziende agricole, con maggiori difficoltà per le aziende di piccole dimensioni. Il mantenimento sul nostro territorio di queste piccole imprese agricole è fondamentale non solo per contrastare la tendenza al cambio di destinazione d’uso dei terreni agricoli ma anche per la loro funzione di conservazione della biodiversità e del paesaggio che non potrebbero comunque essere sostituite in modo efficace da aziende di maggiori dimensioni frutto della tendenza ad accorpamenti in atto come hanno evidenziato i primi dati provvisori del sesto censimento generale dell’agricoltura realizzato dall’ISTAT nel 2010. L’agricoltura italiana cerca di resistere alle dinamiche del mercato aumentando la dimensione media delle aziende a discapito di una significativa diminuzione delle piccole aziende agricole Il profilo che emerge dai dati provvisori ISTAT del 6° Censimento generale dell’agricoltura è il risultato di un processo di concentrazione dei terreni agricoli e degli allevamenti in un numero sensibilmente ridotto di aziende. Al 24 ottobre 2010 in Italia risultano attive 1.630.420 aziende agricole e zootecniche di cui 209.996 con allevamento di bestiame destinato alla vendita. Rispetto all’anno 2000 la riduzione del numero di aziende è stato del 32,2%. La Superficie Aziendale Totale (SAT) risulta pari a 17.277.023 ettari e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) ammonta a 12.885.186 ettari. In dieci anni la SAT è diminuita dell’8% e la SAU del 2,3%; una diminuzione attribuibile come già detto in gran parte al cambio di destinazione d’uso del suolo agricolo ed in parte anche al fenomeno dell’abbandono delle aree rurali marginali. La dimensione media aziendale è passata, in un decennio, da 5,5 ettari di SAU per azienda a 7,9 ettari (+44,4%) per una forte contrazione del numero di aziende agricole e zootecniche attive (-32,2%), cui ha fatto riscontro una diminuzione della superficie coltivata assai più contenuta (-2,3%). L’effetto delle politiche comunitarie e dell’andamento dei mercati ha quindi determinato l’uscita di piccole aziende dal settore, favorendo la concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in aziende di maggiori dimensioni riducendo in parte le differenze tra la struttura media delle aziende italiane rispetto alla struttura aziendale media europea. Anche la dimensione media aziendale in termini di SAT è aumenta rispetto a quanto rilevato dal Censimento ISTAT del 2000, passando da 7,8 a 10,6 ettari. Tuttavia, in valore assoluto, la SAT complessiva diminuisce (-8%) assai più della SAU (-2,3%), segnale di un processo di ricomposizione fondiaria che ha trasferito alle aziende agricole attive nel 2010 prevalentemente le superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e, in misura minore, i terreni investiti a boschi annessi alle aziende o non utilizzati. E’ inoltre probabile che una percentuale significativa del cambio di destinazione d’uso dei terreni agricoli abbia interessato particelle già collocate al di fuori della SAU. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto sulla base dell’aumento del consumo di suolo per nuova urbanizzazione e la diminuzione complessiva della SAT a scala regionale. Oltre la metà della SAU totale (54,1%) è coltivata da grandi aziende con almeno 30 ettari di SAU (5,2% delle aziende italiane), mentre nel 2000 quelle al di sopra di questa soglia dimensionale coltivavano il 46,9% della SAU ed erano il 3% del totale. Le aziende con meno di 1 ettaro di SAU diminuiscono del 50,6% e rappresentano nel 2010 il 30,9% del totale delle aziende agricole italiane, mentre erano il 42,1% nel 2000.
Nel 2009, secondo le stime UE, il reddito reale per lavoratore nel settore agricolo è sceso del 12% nella media dei 27 Paesi membri, del 25% in Italia, del 21% in Germania, del 19% in Francia. La volatilità dei prezzi delle materie prime, l’aumento dei costi di esercizio delle aziende determinati sia dall’aumento dei costi energetici (aumento dei costi del gasolio agricolo e dei prodotti chimici di sintesi) sia dall’elevato costo del lavoro ha contribuito ulteriormente dal 2009 ad oggi ad una riduzione del reddito delle aziende agricole, con maggiori difficoltà per le aziende di piccole dimensioni. Il mantenimento sul nostro territorio di queste piccole imprese agricole è fondamentale non solo per contrastare la tendenza al cambio di destinazione d’uso dei terreni agricoli ma anche per la loro funzione di conservazione della biodiversità e del paesaggio che non potrebbero comunque essere sostituite in modo efficace da aziende di maggiori dimensioni frutto della tendenza ad accorpamenti in atto come hanno evidenziato i primi dati provvisori del sesto censimento generale dell’agricoltura realizzato dall’ISTAT nel 2010. L’agricoltura italiana cerca di resistere alle dinamiche del mercato aumentando la dimensione media delle aziende a discapito di una significativa diminuzione delle piccole aziende agricole Il profilo che emerge dai dati provvisori ISTAT del 6° Censimento generale dell’agricoltura è il risultato di un processo di concentrazione dei terreni agricoli e degli allevamenti in un numero sensibilmente ridotto di aziende. Al 24 ottobre 2010 in Italia risultano attive 1.630.420 aziende agricole e zootecniche di cui 209.996 con allevamento di bestiame destinato alla vendita. Rispetto all’anno 2000 la riduzione del numero di aziende è stato del 32,2%. La Superficie Aziendale Totale (SAT) risulta pari a 17.277.023 ettari e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) ammonta a 12.885.186 ettari. In dieci anni la SAT è diminuita dell’8% e la SAU del 2,3%; una diminuzione attribuibile come già detto in gran parte al cambio di destinazione d’uso del suolo agricolo ed in parte anche al fenomeno dell’abbandono delle aree rurali marginali. La dimensione media aziendale è passata, in un decennio, da 5,5 ettari di SAU per azienda a 7,9 ettari (+44,4%) per una forte contrazione del numero di aziende agricole e zootecniche attive (-32,2%), cui ha fatto riscontro una diminuzione della superficie coltivata assai più contenuta (-2,3%). L’effetto delle politiche comunitarie e dell’andamento dei mercati ha quindi determinato l’uscita di piccole aziende dal settore, favorendo la concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in aziende di maggiori dimensioni riducendo in parte le differenze tra la struttura media delle aziende italiane rispetto alla struttura aziendale media europea. Anche la dimensione media aziendale in termini di SAT è aumenta rispetto a quanto rilevato dal Censimento ISTAT del 2000, passando da 7,8 a 10,6 ettari. Tuttavia, in valore assoluto, la SAT complessiva diminuisce (-8%) assai più della SAU (-2,3%), segnale di un processo di ricomposizione fondiaria che ha trasferito alle aziende agricole attive nel 2010 prevalentemente le superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e, in misura minore, i terreni investiti a boschi annessi alle aziende o non utilizzati. E’ inoltre probabile che una percentuale significativa del cambio di destinazione d’uso dei terreni agricoli abbia interessato particelle già collocate al di fuori della SAU. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto sulla base dell’aumento del consumo di suolo per nuova urbanizzazione e la diminuzione complessiva della SAT a scala regionale. Oltre la metà della SAU totale (54,1%) è coltivata da grandi aziende con almeno 30 ettari di SAU (5,2% delle aziende italiane), mentre nel 2000 quelle al di sopra di questa soglia dimensionale coltivavano il 46,9% della SAU ed erano il 3% del totale. Le aziende con meno di 1 ettaro di SAU diminuiscono del 50,6% e rappresentano nel 2010 il 30,9% del totale delle aziende agricole italiane, mentre erano il 42,1% nel 2000.
Le piccole aziende con meno di 1 ettaro localizzate in
prossimità delle aree urbane hanno maggiori probabilità di essere occupate
dallo sviluppo della nuova urbanizzazione, un fatto non del tutto negativo se
opportunamente orientato alla concentrazione delle aree urbanizzate con
l’intenzione di ridurre la dispersione insediativa. Attraverso opportuni
incentivi si dovrebbe favorire l’accorpamento dei terreni agricoli nelle aree
vocate all’agricoltura di qualità ad elevato valore aggiunto (vigneti, uliveti,
ecc.) e per le produzioni strategiche (come ad esempio i seminativi a cereali),
favorendo invece l’integrazione degli insediamenti diffusi nelle attuali aree
periurbane con l’area urbanizzata principale progettando allo stesso tempo una
rete logistica in grado di facilitare la mobilità pubblica e scoraggiare
l’utilizzo del mezzo privato. La questione fondiaria può essere superata
solamente nelle sedi di pianificazione mediante dispositivi di “perequazione”
in grado di favorire da una parte l’accorpamento dei terreni agricoli e
dall’altra la creazione di aree urbane funzionali, già sperimentati in alcune
aree da diversi anni ma con risultati ancora troppo localizzati e deboli. Con
una dimensione media di 19,2 ettari di SAU per azienda, la Sardegna presenta la
dimensione media aziendale maggiore, superando la Lombardia (18,4 ettari). I
valori minimi si registrano in Liguria (2,1 ettari di SAU per azienda),
Campania e Calabria (4), Puglia (4,7). Tutte le regioni del Sud hanno una
dimensione media inferiore a quella nazionale, ad eccezione della Basilicata
(9,9 ettari di SAU per azienda). Il 46% della superficie agricola utilizzata si
concentra in Sicilia (1.384.043 ettari), Puglia (1.280.876), Sardegna
(1.152.756) Emilia-Romagna (1.066.773) e Piemonte (1.048.350 ). La superficie
di suolo utilizzato in media dalle aziende agricole per le produzione primarie
in grado di assicurare un reddito soddisfacente all’agricoltore rappresenta il
primo ostacolo al consumo irreversibile del suolo determinata dal cambio di
destinazione d’uso. Assumono però oggi un ruolo determinante anche le porzioni
di suolo agricolo non produttivo destinate alle infrastrutture verdi
indispensabili per mantenere la continuità ecologica tra le aree urbanizzate e
le aree agricole e per assicurare la presenza diffusa di corridoi ecologici. E’
importante per questo assicurare un riconoscimento economico adeguato agli
agricoltori che mantengono filari di siepi, alberate, boschetti, piccole zone
umide, prati umidi stabili che garantiscono una adeguata diversità della
matrice territoriale agricola in grado in questo caso di svolgere non solo un
ruolo di antagonista all’espansione dell’urbanizzato ma anche quelle
indispensabili funzioni ecologiche necessarie per la conservazione della
biodiversità e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
4.Per questo l’introduzione del greening nella proposta di riforma della PAC 2014-2020, che vincola il 30% del pagamento unico aziendale del primo pilastro al mantenimento di almeno il 7% della superficie agricola ad aree naturali deve essere confermato e possibilmente rafforzato. La PAC del futuro dovrà assicurare con maggiore equità un reddito minimo ad ogni impresa agricola, premiando chi favorisce il mantenimento di aree semi-naturali che garantiscono una elevata naturalità di una matrice territoriale sempre più frammentata da un continuo aumento dell’urbanizzazione e delle infrastrutture viarie. Accanto agli interventi che potranno essere sostenuti dalla PAC è però necessario orientare la programmazione dei Fondi Strutturali della UE per dare avvio ad una indispensabile riconversione dell’economia legata all’urbanizzazione del territorio e alle grandi infrastrutture del cemento e dell’asfalto promuovendo quelle “infrastrutture verdi” che possono garantire nel lungo periodo un adeguato riequilibrio del territorio rendendolo più resiliente alle perturbazioni a livello globale e locale.
4.Per questo l’introduzione del greening nella proposta di riforma della PAC 2014-2020, che vincola il 30% del pagamento unico aziendale del primo pilastro al mantenimento di almeno il 7% della superficie agricola ad aree naturali deve essere confermato e possibilmente rafforzato. La PAC del futuro dovrà assicurare con maggiore equità un reddito minimo ad ogni impresa agricola, premiando chi favorisce il mantenimento di aree semi-naturali che garantiscono una elevata naturalità di una matrice territoriale sempre più frammentata da un continuo aumento dell’urbanizzazione e delle infrastrutture viarie. Accanto agli interventi che potranno essere sostenuti dalla PAC è però necessario orientare la programmazione dei Fondi Strutturali della UE per dare avvio ad una indispensabile riconversione dell’economia legata all’urbanizzazione del territorio e alle grandi infrastrutture del cemento e dell’asfalto promuovendo quelle “infrastrutture verdi” che possono garantire nel lungo periodo un adeguato riequilibrio del territorio rendendolo più resiliente alle perturbazioni a livello globale e locale.
SARDEGNA. VERITÀ e
GIUSTIZIA
per gli uccisi da veleni di guerra e di poligono
per gli uccisi da veleni di guerra e di poligono
Perde un’altra foglia di fico il progetto del Governo
di incrementare la schiavitù militare della Sardegna
e il genocidio lento del suo popolo.
Gli ascari sardi sono nudi ma non demordono.
Teulada pattumiera e dependance di Quirra. Le attività
militari del poligono della morte Salto di Quirra (Pisq), compromesse e
ostacolate dall’intervento di Procura e Gip di Lanusei, sono state trasferite a
Teulada. La notizia data nell’aula del tribunale dal plurindagato generale
comandante del Pisq ha consentito al gup Nicola Clivio di motivare, in parte,
il rigetto della richiesta del PM di “immediato sequestro probatorio dell’area
demaniale del Poligono Salto di Quirra con blocco di ogni attività militare
nelle aree ad alta intensità militare”. Le “rassicurazioni” del generale sul
trasloco - alla chetichella, “democraticamente” all’insaputa delle popolazioni
del Sulcis - trovano una mezza conferma e una mezza smentita nella
Programmazione ufficiale 2013 che continua a prevedere nel Pisq i soliti giochi
di morte (Sardegna quotidiano 13/5/2013).
L’ulteriore giro di vite al servaggio di Teulada è la
costruzione di piste e rampe per droni, i robot assassini volanti. Teulada è
l’imprescindibile succursale integrata
alla nuova rete di dominio dei cieli che ha avrà a Quirra il suo hard core,
come programmato nel piano messo a punto dall’ex ministro ammiraglio Di Paola,
approvato dai servili sardi in Parlamento, contrabbandato come proprio da varie
furbette Autorità dell’area Pisq.
Il nuovo modello di Difesa. La fretta scomposta e la
sicumera sul buon esito dell’operazione ha prodotto una sorta di autogol,
vertici militari e ministri hanno sbugiardato platealmente, con i fatti, il
coro bipartisan dei loro obbedienti ascari sardi sguinzagliati, fin dall’inizio
dell’imprevisto intervento della Procura di Lanusei, per spacciare alla
Sardegna la droga ”immediata chiusura dei poligoni di Teulada e Capo Frasca
(entro giugno 2011 prometteva un senatore!), riqualificazione del Pisq ”.
L’inganno“messa in sicurezza” delle aree la cui contaminazione è ormai
acclarata è stato smascherato dalla Procura di Cagliari, ma c’è ben di più. La
legge di ferragosto dell’anno scorso (134/ 7- 8- 2012) - approvata da tutti i
parlamentari sardi presenti in aula, tutti cantori del ritornello “radicale
bonifica subito”- ha conferito al Governo il potere di sanare con
decreto la contaminazione militare. L’articolo 35, titolato con truffaldina
furbizia“Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi”, al
comma 2 stabilisce: “Con lo stesso decreto interministeriale sono determinati i
criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (…)
applicabili ai siti appartenenti al Demanio Militare e alle aree ad uso
esclusivo alle Forze Armate”. E’ scontato che la modifica dei criteri di
individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione, come da prassi
italiota criminale e impunita, eliminerà per decreto, legalizzandolo,
l’inquinamento di Teulada, Capo Frasca, La Maddalena e, soprattutto,
contribuirà ad affossare il processo sul poligono della morte Salto di Quirra.
RICORDIAMO al Governo, alla lobby militare-industriale e
al loro codazzo di ascari sardi arrogantemente sicuri di riuscire a raggirare
la Magistratura e prevalere sulla volontà del popolo sardo,
*il NO deciso di Teulada e della Regione al progetto
droni
*l’antagonismo vincente della popolazione di Teulada e
delle sue istituzioni al mega parco fotovoltaico militare mirato ad impinguare
i già lauti guadagni del ministero della Difesa derivanti dall’usurpazione
della terra e del mare, usati come campo di guerra perenne, merce da affittare
alle truppe di mezzo mondo e ai fabbricanti di armi.
*la lotta vincente dell’intero popolo sardo e lo stop
imposto dalla Magistratura alla costruzione della nuova rete d’impianti radar,
perno dell’operazione droni e nuovo
modello di Difesa.
PRETENDIAMO dal Governo una risposta su almeno una delle
voci dei costi preventivati per la“riforma” dell’ex ministro alla Difesa Di
Paola: quante vite dei suoi figli la Sardegna deve ancora sacrificare
sull’altare del business della guerra? Quanti bambini deformi dobbiamo ancora
contare?
Non cessiamo di esigere che il Governo assuma le sue
responsabilità, l’obbligo di porre fine e riparo al disastro ambientale e alla
strage di Stato provocata dalle devastanti attività militari, adotti con
urgenza le misure sintetizzate nello slogan portante del sit in mensile e degli
incontri con il rappresentante del Governo, l’acronimo SERRAI (CHIUDERE)
Sospensione delle
attività dei poligoni dove si sono registrate le patologie di guerra;
Evacuazione dei
militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Quirra, Teulada,
Decimomanno-CapoFrasca
Ripristino ambientale, bonifica seria e credibile delle
aree contaminate a terra e a mare;
Risarcimento alle famiglie degli uccisi, ai malati, agli
esposti, Risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola.
Annichilimento, ripudio della guerra e delle sue basi
illegalmente concentrate in Sardegna in misura iniqua;
Impiego delle risorse a fini di Pace
Comitato sardo
Gettiamo le Basi, tel 3467059885;
Famiglie militari uccisi da tumore, tel 3341421838
Comitato Amparu (Teulada) 3497851259;
Comitato Su Sentidu (Decimo)
Famiglie militari uccisi da tumore, tel 3341421838
Comitato Amparu (Teulada) 3497851259;
Comitato Su Sentidu (Decimo)