UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 31 gennaio 2021

L’EUROPA DOPO LA PANDEMIA 
di Fulvio Papi

 
È una opinione comune che dopo la pandemia l’Europa non potrà più essere quella di prima. Una proposizione molto azzardata per quanto riguarda il “dopo”, che in questo momento è tutto racchiuso nella speranza di rapidi ed efficaci vaccini ad alto indice di efficienza. Quanto all’Europa si guardano i modelli relativi agli interventi finanziari messi in atto come possibili indicazioni generiche ma eticamente valide per le iniziative future: se non altro mostrano prassi economiche e politiche che mettono o potrebbero mettere nella spazzatura le tesi sovraniste che gruppi di incompetenti assoluti e di irresponsabili avevano negli anni demagogicamente diffuso.
Questo non vuol dire affatto che i problemi relativi all’Europa possano essere facili e scorrevoli come percorrere un’autostrada. Ma almeno sono problemi chiaramente visualizzati come i dibattiti in atto mostrano con chiarezza.
In questo quadro ritorna alla mente una infelice contesa intorno alle radici ideali dell’Europa alla quale parteciparono anche personaggi illustri, che, nell’occasione, mostrarono invece più che poca tolleranza, una molto modesta cognizione storica. Oggi, in un’età in cui dominanti sono i problemi economici e finanziari che hanno assunto una propria fondamentale dimensione planetaria, le identità simboliche riconoscibili nelle diverse forme culturali e religiose, mantengono il loro valore identitario, al quale, penso, nessuno voglia (o peggio, debba) rinunciare, ma hanno una loro autonomia che può avere un peso anche a livello economico, ma molto ridimensionato se ci si colloca nella prospettiva di un bene comune che è possibile elaborare.
Può anche non piacere, ma è indubbio che è la dimensione economica quella nella quale bisogna operare e trovare ragionevoli soluzioni per un bene collettivo, come in altra epoca fu un pacifico equilibrio religioso.
I contendenti degli anni passati nella radice europea che non mi va nemmeno di ricordare, indicavano come fondamento europeo, quella cristiana e, all’opposto, quella illuminista. Erano semplificazioni dogmatiche e insensate. Da un punto di vista astrattamente calcolatorio è facile mostrarlo: basta ricordare quali e quante fossero le modalità sociali della tradizione cristiana che oggi, e solo oggi, mostrano più che una loro tolleranza, il desiderio di una possibile comunione. E l’illuminismo non ebbe a sua volta interpretazioni molto diverse che ebbero echi sociali molto differenti? Le imperatrici illuministe erano uguali agli atei “holbachistés”, di filosofi che mettevano in discussione la proprietà privata? Che oggi storici di valore mettono del tutto ai margini della autentica storia illuminista.


Il fatto è che la metafora delle “radici” adoperata in una dimensione macrostorica è per lo più fuorviante, come, invece, non lo è affatto se si pensa a vicende personali, come per esempio, hanno saputo fare Primo Levi e altri, che hanno indagato sulla composizione delle loro personali certezze materiali.
A livello storico c’è sempre un gioco di influenze, di poteri, di tradizioni, di identità, di credenze che possono avere epocalmente condizioni egemoni, ma che, se vengono guardate storicamente, nel “pozzo del passato” mostrano pluralità individuali così come contaminazioni, modificazioni, reciproche influenze, trasformazioni non insignificanti della loro tradizione.
Non vedo perché un antropologo possa usare come necessarie queste categorie, mentre uno storico o un filosofo possa ignorarle per qualche eccesso intellettuale privo di ragionevolezza.
Se vogliamo poi essere generici e un poco gnomici possiamo anche dire che, quali che siano i suoi argomenti non c’è nessuno il quale, nella realtà, sia padrone nella fede o nella ragione.
Tutto questo discorso per dire che, “dopo la peste” si dovranno scegliere solo gli argomenti opportuni per unificare il continente. Oggi c’è chi, giustamente, dopo la sciagurata presenza di Trump, sostiene che tra Stati Uniti ed Europa dovranno stabilirsi nuove forme di collaborazione soprattutto economica. Aggiungerei che il continente e la sua complessa storia, nella quale ha certamente buona parte anche la tradizione socialista nelle sue varie dimensioni, dovranno guardare al mondo nel suo complesso, dalla Cina all’India, alla Russia. Una voce è più forte quanto più è diffusa, non quando si ascolta nella sua solitudine.
 

PER IL CENTENARIO DI SCIASCIA

Leonardo Sciascia

In occasione del centenario della nascita dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, proponiamo il link con l’articolo che Giorgio Riolo gli aveva dedicato, e pubblicato su “Odissea” venerdì 17 gennaio 2020. https://libertariam.blogspot.com/2020/01/leonardo-sciascia-di-giorgio-riolo.html
Le ragioni di questa scelta le spiega Riolo stesso in questa nota introduttiva.
 
Si ripropone l’articolo tale e quale per ricordare e per rendere ancora una volta omaggio a Leonardo Sciascia di cui proprio quest’anno ricorre il centenario della nascita. Figura tanto più amata da chi scrive proprio per la forza e il rigore del pensiero critico e antisistema, per la ferma concezione della letteratura come disvelamento della realtà e per il suo profondo spirito antiretorico. Uomo di poche parole, da persona di “tenace concetto”, (da uno dei protagonisti storici da lui citati in Morte dell’inquisitore). Totalmente estraneo a ogni narcisismo, a ogni opportunismo, a ogni esibizione ecc.
All’inizio di gennaio è andata in onda una puntata-inchiesta di Report. Terribile quadro del Potere nella storia italiana. Tutto Sciascia, mi veniva di pensare. Anche perché il terribile quadro che l’inchiesta mostrava aveva un crocevia, non l'unico, nella Sicilia. Il crocevia e il profondo intreccio di mafia, Stato, politica, servizi segreti, massoneria, neofascismo, Cia ecc. ecc.
Nella puntata, il lucido Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, così si esprimeva "...ma come si fa a dire "servizi deviati" quando a congiurare erano i vertici dei servizi segreti e dello Stato?". Il "doppio Stato", o il gramsciano “sovversivismo delle classi dominanti”, tipici nostri, almeno dall’Unità a oggi.
Ma non dimentichiamo la continuità nella nostra triste storia. Sempre a proposito di Sicilia e Sciascia. Strage di Portella della Ginestra 1° maggio 1947 e la banda Giuliano. La prima "strage di stato" e la strategia della tensione... La banda infiltrata da un confidente dei Carabinieri e da uno al servizio dell'ispettore Messana (ex Ovra fascista in Jugoslavia), massimo grado della polizia in Sicilia. Mentre Giuliano ammazza carabinieri e poliziotti, il colonnello Luca, capo del Comando repressione banditismo siciliano, lo incontra (tante testimonianze). Stato-mafia-sovversivismo ecc.
Le trame e l'impostura del potere. Sciascia è questo. E tanto si è fatto in questo gennaio 2021 e tuttora si fa per ricordarlo, nella stampa, nei media in generale, nella Rete, ristampando le sue opere. Naturalmente nei media mainstream poco spazio è dato all’intellettuale autenticamente critico del potere. Ma questo è compito oggi di chi ne rivendica, pur nella limitatezza delle proprie capacità, non dico l’eredità, ma semplicemente l’essere stati influenzati da lui e pertanto offrendoci strumenti e parole per decifrare, e denunciare, la realtà, nostra e del mondo.
Giorgio Riolo

TUTTO PER “IL BENE DEL PAESE”!
di Vincenzo Rizzuto        



In questo marasma che stiamo attraversando, non c’è politico che non dichiari in modo stucchevole che tutto si fa per ‘il bene del paese’ e non per la poltrona! Ma mentre si afferma tutto questo si escogitano mille cavilli per far cadere il governo minacciando il ricorso alle urne con una lotta ‘ad personam’ senza quartiere, una lotta che, a ben vedere, ha tutto il sapore di una faida personale e niente di politico; e mentre il paese è in preda, come tutto il mondo, ad una pestilenza che ogni giorno miete centinaia di vittime creando scompiglio e disperazione, i demiurghi, imperterriti, vanno a vendere ‘saggezza’ nei paesi arabi viaggiando con lussuosi aerei personali.
Per costoro non c’è morte che tenga, non c’è crisi, né pietas alcuna per lo sgomento che ovunque dilaga sotto la pressione del virus che incombe; per loro c’è soltanto il piacere di essere i primi della classe all’attenzione dell’universo mondo.
Per costoro a nulla valgono gli inviti del Colle al senso di responsabilità politica verso il Paese, che rischia di perdere la tenuta sociale e di cadere nel baratro della disperazione, come sta avvenendo con pericolose rivolte di piazza non solo in Europa. Eppure molti di questi demiurghi sono stati eletti non nelle file della Destra più ottusa, ma nei partiti della cosiddetta Sinistra e nei movimenti libertari, nati per avviare un cambiamento radicale nella vecchia politica incartapecorita.
Evidentemente i vari ‘rottamatori’ sono nati già vecchi e governati dal tarlo della megalomania, che fa di essi novelli ‘ducetti’, pericolosi per sé e per gli altri perché governati da sacra fames auri’ propria della intelligenza volpina, come è sempre avvenuto con i vari ‘Kaiser’, stranieri e nostrani di infausta memoria!      
E allora? non c’è altro che sperare in un generale sussulto di razionalità collettiva, che travolga i miserabili interessi personali di questi odiosi demiurghi, i quali, pur di rimanere a galla, sono pronti a sacrificare anche le loro madri agli altarini del loro tornaconto; solo così sarà possibile impegnare le forze sane del Paese in una ricostruzione del vivere civile, e affrontare la risoluzione dei gravi problemi che la pandemia ha paurosamente finito per esasperare. Da qui un invito a tutte le forze sane del Paese ad isolare in ogni momento questi demiurghi, specializzati cultori del proprio orticello, ma ‘distruttori’ di ogni bene comune.    

E DEI VELENI SAZIATI…
di Anonimo Lucano

 
Quella dei consumatori è senza dubbio la categoria sociale più sedotta e abbandonata che esista in questo clima di pan-economia. Massimo vessillo del maschilismo economico dell’industria finanziario-capitalistica. Sollecitato con sapienti dimostrazioni, corteggiato con insinuante ardore, soggiogato dall’incalzare di messaggi, il consumatore finisce con “l’innamorarsi” di una merce che spesso ripaga la sua dedizione con la truffa sul piano economico e/o soprattutto sanitario.
Ma niente paura! C’è la legge, il ministero della salute, vi sono 75 anni di democrazia, più cattolica che cristiana; ma soprattutto c’è la libertà della scelta e se uno, o tanti consumatori si son fatti fregare sono affari loro. E poi, cosa sono i drammi di Seveso, la terra dei fuochi, la mefitica aria della pianura Padana e l’agricoltura ridotta dai diserbanti e dalle piogge acide ad un produttore di sostanze nocive, e così ridotta male che anche un redivivo Attila ne rimarrebbe imbarazzato.
La condizione di vulnerabilità del cittadino-consumatore di fronte all’egemonica utilizzazione dei mass-media da parte dell’industria, la sua scarsa tutela giuridico-istituzionale, le difficoltà oggettive di acquisire un “potere contrattuale” attraverso forme associative, sono tutti importanti aspetti di un fondamentale e delicato problema sociale di cui troppo spesso si appropriano finti paladini.
C’è una condizione di subalternità e di sopraffazione che caratterizza il momento del consumo e dell’utenza di beni e servizi da parte dei consumatori: il loro potere decisionale è nelle mani di chi produce e vende; mancano, o meglio sono minoritari ed oscurati, i mezzi di informazione autonoma e disinteressata.



I modelli di consumo con cui pubblicità, tivù, cinema e rotocalchi esasperano la popolazione, tendono a determinare orientamenti ed aspirazioni spesso non convenienti per la gran massa dei consumatori, sia dal punto di vista economico che da quello della salute. In questa discrepanza tra gli interessi reali e quelli indotti, che fa da matrice all’ideologia consumistica, sedando la vigilanza critica di gran parte dei cittadini, si innestano e si intrecciano tutte quelle circostanze che consolidano l’asservimento del consumatore: la schiacciante forza penetrativa dell’apparato pubblicitario, che trova complice, in quanto tributaria, anche la stampa indipendente, politica e informativa; la limitata rappresentatività di mercato della pubblicità, accentrata dalle grandi marche, solidali nel non farsi concorrenza sui prezzi; la non applicazione di norme giuridiche che frenino la spinta all’indebitamento; una legislazione che mai, in concreto, impone obblighi informativi alla reclame, avvallandone di fatto il ricorso alle più ipocrite suggestioni o alle più mendaci omissioni, come nei casi dei foglietti illustrativi dei farmaci, i bugiardini.
Poi c’è il tema delle garanzie di qualità e di sicurezza circa l’uso dei prodotti. Gli organismi di controllo, che ben poco possono fare, ed il ginepraio di norme italiane ed europee, rendono beffarda l’immunità di cui godono i grandi produttori.



Di fronte a questa barriera kafkiana, sta la quasi totale impotenza del consumatore a costruirsi strumenti di contestazione e difesa giuridica che non siano quelli sterili della causa individuale. È vero ci sarebbe la class action, che dal 1° gennaio 2010 i consumatori italiani hanno a disposizione per far valere in giudizio i propri diritti (art. 140-bis del Codice del Consumo), ma da quando nel lontano 2004 la class action entrò nel dibattito parlamentare all’anno 2019 che rappresenta il terzo atto della saga dell’azione collettiva all’italiana, di fatto il consumatore viene turlupinato e rimettersi alla clemenza della lentissima Giustizia italiana. Siamo ben lontani da quella che si pratica negli Usa: si parla di class action all’Italiana.
Ma veniamo ad esempi pratici di come certe scoperte scientifiche vengano raggirate con sofismi ed ingannevoli e fuorvianti dispositivi commerciali. Un tema fondamentale che sfugge a tutti è il fattore tempo. Siamo passati dalla velocità del cavallo a quello dei chips senza accorgersene, o meglio, l’industria lo sa e ti offre il piatto della comodità davanti agli occhi, e noi, pur di “non perder tempo”, accettiamo supinamente ed acriticamente quello che la direzione mondiale del consumo di propone.
Ma torniamo a bomba. Partiamo dalla mitica (è proprio il termine che ci vuole) Dieta mediterranea, Patrimonio immateriale dell’umanità, Bene protetto dall’Unesco. Alzi la mano chi riesca a fare la Dieta mediterranea. Non è solo la qualità e la quantità del cibo: essa implica anche un movimento, un ritmo sonno/veglia (si va a letto presto e ci si alza presto), lontani dagli elementi psico-stressogeni. Dico questo perché continuo, nel limite del possibile, a seguire questo stile di vita appreso dai miei nonni e dai parenti. Quasi tutti, senza deficit mentali e strutturali, si sono avvicinati ai cento anni.

sabato 30 gennaio 2021

L’AMIANTO UCCIDE MA NESSUNO PAGA

 
Per le 10 vittime di amianto del Teatro alla Scala si attende vicinanza e solidarietà dal presidente della Fondazione Teatro alla Scala, Giuseppe Sala, sindaco di Milano. Smontati alcuni cavalli di battaglia della difesa.
 
“Le vittime, i 10 morti di amianto nel Teatro alla Scala, i loro familiari, i loro rappresentanti, le associazioni e comitati, costituiti parti civili,  attendono finalmente  una presa di posizione di vicinanza e solidarietà da parte dell'attuale presidente della Fondazione Teatro alla Scala e cioè  il sindaco Giuseppe Sala, che non può restare silente di fronte alla tragedia che ha colpito i lavoratori e gli artisti del teatro lirico più importante del nostro Paese e che continua a mietere vittime”, è quanto hanno dichiarato, al termine dell'udienza odierna in Tribunale a Milano, Fulvio Aurora, Medicina Democratica e AIEA, Associazione Italiana Esposti Amianto, Michele Michelino, Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Roberto d'Ambrosio Comitato Ambiente e Salute del Teatro alla Scala, e Pierluigi Sostaro della CUB Informazione e Spettacolo.  
Una udienza deputata alle arringhe finali della parti civili, in cui si sono alternati una decina di avvocati: ne è scaturito un quadro piuttosto organico  di quanto accaduto in questo che è uno dei più importanti teatri del mondo, ma l'unico di cui si abbia notizia di una tale “strage” di lavoratori, tecnici, cantanti e musicisti, causata dall'amianto presente in tutti gli ambienti e respirata per decenni non solo da chi ci ha lavorato, ma anche dai frequentatori e dal pubblico ignaro: tutto ampiamente documentato non solo  con  il dossier presentato un anno fa dal Comitato Ambiente e Salute del Teatro alla Scala,  con la denuncia di assenza di informazioni sui rischi per la salute, la mancanza di dispositivi di protezione, condizioni di lavoro  non rispettose delle norme di sicurezza, gravissimi ritardi nelle bonifiche, o realizzate  solo dopo le denunce  dei lavoratori. “Sono stati messi dei paletti di verità sulle conoscenze scientifiche maggiormente condivise - ha dichiarato Laura Mara avvocato delle parti civili Medicina Democratica, AIEA e del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio - per cui sono venuti a cadere alcuni cavalli di battaglia della difesa”. Un esempio fra i tanti: smontata la tesi sostenta dall'ingegnere di parte Giuseppe Nano, secondo cui non era possibile dotare i lavoratori di maschere e respiratori contro le polveri di amianto prima degli anni '90 del secolo scorso, in quanto non esistevano. “Un falso - ha detto Laura Mara - come dimostrano i contributi del prof. Lorenzo Tomatis, oncologo ed epidemiologo di fama internazionale, direttore dello IARC per 12 anni, che attestano l'esistenza dei filtri HEPA fin dagli anni '50, esistenza mai smentita da nessuno”! “Appaiono chiare-ha sottolineato Michele Michelino- le evidenti responsabilità dei dirigenti e del sovrintendente Carlo Fontana, che hanno omesso di informare i lavoratori e dare mezzi di protezione individuali, esponendoli a gravi rischi per la salute, come purtroppo è accaduto”. Ma, paradossalmente,  questa  “dimenticanza” dell'ingegner Nano ed  altre cruciali questioni, per quanto enunciate, nella sua arringa,  dall'avvocata Laura Mara, non state ammesse negli atti processuali dal Tribunale.
“A questo punto - ha sottolineato Fulvio Aurora - ci aspettiamo che il Tribunale di Milano, cambi registro e  finalmente apra uno squarcio sulla linea fin qui tenuta e faccia giustizia condannando i responsabili. Ci auguriamo che venga sventato il pericolo che anche questo processo per morti di amianto venga sminuito, minimizzato e si concluda con pene irrisorie, prescrizioni o peggio assoluzioni, come quello per la Breda o quello per la strage di Viareggio”.



Per informazioni:
Carmìna Conte 393 - 177616
Medicina Democratica e Associazione Italiana Esposti Amianto:
Fulvio Aurora 339 - 2516050
Comitato Ambiente e Salute del Teatro alla Scala:
Roberto d'Ambrosio 347 - 3656006
CUB Informazione e Spettacolo:
Pierluigi Sostaro 328 - 6438556
Comitato per la difesa della Salute nei luoghi di lavoro
 e nel territorio: Michele Michelino 3357850799
club.scala@gmail.com
ambientesalutedelteatroscala@gmail.com

 

SFRUTTAMENTO CRIMINALE



"Sosteniamo una nuova e solida legge che ritenga le aziende responsabili dei diritti umani e degli abusi ambientali perpetrati nelle loro catene di approvvigionamento e consenta alle vittime di cercare giustizia nei tribunali europei". 

   

Tredici colpi in pieno giorno: il padre di Ramón è stato assassinato così per aver difeso la foresta colombiana dall'espansione delle piantagioni di olio di palma. Ora è suo figlio a portare avanti la lotta, ma anche lui è in pericolo. In tutto il mondo ci sono aziende che si arricchiscono giustiziando i difensori dei diritti dell'ambiente, mentre centinaia di milioni di euro di olio di palma finiscono nei nostri supermercati.
Ma finalmente, l'Europa con una nuova legge rivoluzionaria potrebbe obbligare le aziende a rispondere delle violazioni dei diritti umani e ambientali commesse nelle catene di approvvigionamento e permettere alle vittime come Ramón di esigere giustizia nei tribunali europei!
Le multinazionali cercheranno di annacquare la legge, ma l'UE ha aperto una consultazione per conoscere l'opinione delle persone in tutto il mondo! Cogliamo questa occasione: rendiamola la più grande consultazione pubblica di sempre e facciamo passare questa legge storica! Con la partecipazione di 1 milione di noi, faremo pressione direttamente sui principali governi europei con sondaggi di opinione e annunci a tutta pagina.
 
Per firmare l’appello:
https://secure.avaaz.org/campaign/it/eu_corporate_accountability_loc/?bBAJbbb&signup=1&cl=17957968206&v=131350&_checksum=ee9cd8ae03fac8682b353d39b727f

MASCHERINE PER NON INQUINARE

 

Mercoledì 27 gennaio spedizione al Presidente del Consiglio Conte e al Commissario Arcuri delle mascherine lavabili e riutilizzabili prodotte da Zero Waste, dalla Cooperativa Sociale EtaBeta in collaborazione con l’Università di Bologna.
 
È durato alcuni mesi di intenso lavoro il percorso di progettazione e poi di realizzazione delle mascherine lavabili e riutilizzabili alternative a quelle usa e getta. Ora le mascherine della Cooperativa Sociale EtaBeta e dall’associazione Zero Waste Italy, classificate quali Dispositivi Medici, sono una realtà certificata a tutti i livelli includendo la certificazione CE dopo che il Dipartimento di Ingegneria dell'Università di Bologna ha testato in modo pubblico i livelli di sicurezza che rasentano il 100%.
Ora possiamo dire che l'alternativa alle mascherine usa e getta esiste, da utilizzare anche sui luoghi di lavoro, in residenze protette e nelle scuole. Ormai le troviamo abbandonate ovunque! Tali mascherine sono lavabili almeno 25 volte, dotate esternamente di tessuto antivirale e di un piccolo filtro (l'unica parte che dev'essere sostituita e conferita nell'indifferenziato rappresentando meno del 2,5% del peso delle mascherine in Tessuto non Tessuto da inviare, invece, in toto a smaltimento) che garantisce un livello di sicurezza sanitaria che raggiunge il 99,8%.
Non siamo a conoscenza di mascherine che raggiungano tali livelli di sicurezza e che non sia necessario smaltire nei rifiuti indifferenziati. Ecco perché chiediamo che a partire dagli Enti Pubblici si dismetta l'uso delle mascherine usa e getta e si adottino queste mascherine che coniugano sicurezza sanitaria che certamente è prioritaria con la minimizzazione della produzione di rifiuti.
Dunque, mercoledì 27 gennaio dalle ore 11 il Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori (LU), ubicato a Segromigno in Monte all'interno del Parco Scientifico del Comune in collaborazione con la fondazione Zero Waste Europe e con Zero Waste Italy spedirà dei campioni recapitati rispettivamente al Presidente del Consiglio Conte, al ministro della Sanità Speranza, al Ministro dell’Ambiente Costa, alla Ministra della Pubblica Istruzione Azzolina e al Commissario Arcuri. Ci auguriamo che tale iniziativa contribuisca a far ridurre drasticamente l'uso delle mascherine in TNT (Tessuto non Tessuto) spingendo gli Enti Pubblici e le aziende e soprattutto il Commissario Arcuri ad utilizzare questi dispositivi medici.
Al momento della spedizione saranno presenti Rossano Ercolini, per Zero Waste e Giordano Del Chiaro, Assessore all'Ambiente del Comune di Capannori.
Lo staff di Rossano Ercolini
vincitore del Goldman Environmental Prize 2013.
Contatti: 320 6352017
rossanoercolini.press@gmail.com

INTELLETTUALI E POTERE
di Giorgio Riolo



Leonardo Sciascia
 
La coscienza critica di Giorgio Galli e di Leonardo Sciascia
 
Come spesso accade, si impone di prendere le mosse da Antonio Gramsci. Il soggetto principale è l’Italia e poi, per li rami, l’articolazione di aspetti fondamentali di questo paese alquanto particolare. Qui additiamo solo due tratti distintivi di questa articolazione. Il ruolo degli intellettuali nella storia d’Italia e la decisiva nozione gramsciana di “sovversivismo delle classi dominanti”.
Dicendo subito che quest’ultima nozione non si riferisce solo al fascismo. La debolezza intrinseca e la sempre precaria condizione del consenso accordato alle classi dominanti e ai gruppi dirigenti italiani hanno fatto, e fanno, sì che, a fronte di forze politiche e sociali considerate “pericolose”, “sovversive”, di vera opposizione, la tentazione immediata è quella di ordire congiure e trame da “doppio Stato”, contemplanti anche svolte autoritarie e colpi di stato, omicidi e cadaveri eccellenti, stragi e strategie della tensione di varia natura. La casistica è veramente ampia nella nostra triste realtà italiana.
Aggiungiamo. Debolezza e mancanza di autorevolezza, e quindi di consenso, a causa del servilismo dispiegato nei lunghi secoli di dominazione straniera tra Cinquecento e Ottocento, da una parte, e a causa della modalità e dei caratteri con cui si compì l’Unità nel fatidico 1861, dall’altra.



P. P. Pasolini

I.
L’accostamento non è peregrino. Giorgio Galli è scomparso nel dicembre scorso e proprio l’8 gennaio 2021 si è compiuto il centenario dalla nascita di Leonardo Sciascia. Entrambi si stimavano ed entrambi hanno molto riflettuto e scritto sulla storia d’Italia, sulle trame e sulle imposture del potere, sul “doppio Stato”, sulla dinamica tipicamente italiana della politica, del governo e dell’ampio, multiforme, onnipresente, corrotto e corruttore sottogoverno, sulla “democrazia imperfetta”, sulla “democrazia a sovranità limitata” (Usa, Cia, Nato ecc.), sul rapporto mafia e politica, sul rapporto massonerie varie e manovalanza neofascista e via elencando.
Insomma, entrambi hanno svolto il loro dovere di intellettuali di opposizione, in un paese dove molti intellettuali, soprattutto nella realtà contemporanea, in vario modo hanno abdicato al loro compito, hanno servito e servono il potere. In molti casi non così manifestamente. Spesso indirettamente, ma nondimeno così pernicioso per la salute della nostra democrazia, della nostra cultura, della nostra etica pubblica.
Abbiamo già parlato in queste pagine del rapporto di élite e popolo, della “circolazione delle élite” ecc. In questa dinamica, il “corpo intermedio” costituito dagli intellettuali, veramente indipendenti e veramente dotati di cultura critica, è fondamentale. Al pari degli altri corpi intermedi di partiti, di sindacati, di movimenti sociali, di associazioni, di organizzazioni della società civile. La “mediazione” dei corpi intermedi non piace ai poteri dominanti.
Non piace al neoliberismo e a tutti coloro i quali vogliono esecutivi forti, decisionisti, semplificanti la dialettica politica e sociale. Fino all’invocazione dei famosi, cosiddetti, “uomini forti”. In Italia, dopo l’Unità, in vario modo e a diversa pericolosità sociale e politica, i vari Crispi, Mussolini, Craxi, Berlusconi, Renzi ecc.
Da qui la grande importanza che in questi corpi intermedi la “circolazione delle élite” venga fortemente frenata, regolamentata, ostacolata anche, non incentivata, come purtroppo spesso avviene. Costituendo gli esponenti di questi corpi intermedi una oggettiva élite a fronte delle classi subalterne.
 
II.


Giorgio Galli

Giorgio Galli come storico e come fine notista politico. Con i suoi numerosi libri, saggi, articoli, dibattiti ecc. e con il suo magistero nell’università, da una parte, e con i numerosi articoli di analisi politica e con la famosa e immancabile rubrica nel settimanale Panorama, almeno fino alle sue dimissioni dal periodico a causa del cambio di proprietà, per vie truffaldine, a favore di Berlusconi, dall’altra. Leonardo Sciascia come fine letterato e con la sua concezione, tipicamente illuministica, da vero philosophe, della letteratura come visione ampia, totalizzante, come smascheramento della realtà, come potenziamento delle facoltà conoscitive umane.
Entrambi hanno aiutato più di una generazione a dotarsi di strumenti culturali e politici indispensabili per chi si poneva, e si pone tuttora oggi, dal versante “antisistema”, dal versante dell’opposizione.
Per chi si faceva guidare, e si fa guidare tuttora, dalla passione civile, dalla passione politica, dalla passione per la cultura, dal porsi al servizio della comunità. Senza retorica, senza orpelli narcisistici, senza opportunismi. Come fece, tra gli altri e le altre, Pier Paolo Pasolini, per citare solo un’altra importantissima coscienza critica dell’Italia.
 

 

GLI ONOREVOLI



“Li vedi sempre in onda: Tv, radio e Porta a Porta.
Spumeggianti ed agitati, in confusa mescolanza
si sforzano a mostrarci la loro inutile portanza”.
Il Petragallensis


 ***
 
 SEGNO DEI TEMPI



“Una volta, a consumarsi erano i matrimoni.
Oggi, i patrimoni, a seguito il consumarsi
dei matrimoni”.
Il Sannicolensis
 

venerdì 29 gennaio 2021

LA POLITICA CON GLI STRUMENTI
di Nicola Labanca*

 
Nicola Labanca

Il 13 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che riporta obiettivi, riforme e investimenti che l’Italia intende realizzare con i fondi europei dell’iniziativa Next Generation EU. L’ammontare di denaro messo a disposizione per realizzare le sei missioni che l’Italia si è data in materia di innovazione, digitalizzazione, competitività, cultura, transizione energetica, infrastrutture per la mobilità, istruzione e ricerca, inclusione sociale e salute è senza precedenti.
Il piano conferma un approccio all’innovazione tecnologica comune a tutti i sistemi politici occidentali, per lo più esclusivamente concentrati nella promozione di nuove tecnologie attraverso diverse forme di incentivazione e supporto economico alle associate attività di ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione. In questi processi, sviluppo, diffusione e impatto di nuove tecnologie vengono generalmente considerati come prefigurabili ab origine e indipendenti dai contesti in cui si realizzano. Le reali potenzialità delle azioni di supporto così intraprese e i loro rapporti con le persone, la storia e la cultura dei luoghi coinvolti diventano in questo modo i grandi assenti del dibattito politico.
Una tale assenza è così macroscopica da indurre a pensare che alla sua base vi sia un rimosso di natura culturale. Credo valga la pena riflettere su come essa possa essere ricondotta a un particolare modo di intendere la strumentalità, che le moderne democrazie hanno con molta probabilità ereditato dal cristianesimo [1] e che influenza sia il modo di intendere la tecnologia, sia, più in generale, il modo di fare politica.      
La politica occidentale è infatti idealmente basata sull’assunto che le collettività dei cittadini possano esprimere una volontà comune ed esercitare questa volontà attraverso adeguati strumenti di governo. Questa visione prende concretamente forma a partire dall’idea che gli strumenti siano entità neutre attraverso cui una volontà generale può divenire effettuale. L’efficacia dell’azione è assunta derivare dal particolare modo in cui gli strumenti di governo sarebbero in grado di consentire di esprimere e trasmettere il volere di chi li usa, senza interferenze. Tale assunta proprietà connota in maniera fondamentale l’attuale idea di potere, rappresenta il presupposto per la definizione delle procedure attraverso cui la volontà collettiva si definisce e opera nei diversi sistemi politici, e viene in generale ancora oggi riferita a ogni tipo di strumento tecnologico. Supponendo che esistano strumenti in grado di realizzare gli scopi di chi opera senza alterarli, si immagina possa esistere e costituirsi una volontà individuale o collettiva in grado di controllare perfettamente gli effetti delle proprie azioni e, ancora più in generale, si immagina che teoria e pratica, pensiero e azione possano rappresentare due momenti distinti e separabili dell’esistenza.



Questa generale idea di strumentalità, operante nei sistemi politici e nell’imaginario culturale della modernità, può forse spiegare la presenza di un rimosso di ampissima portata. Solo una fede indiscussa nell’idea che gli strumenti tecnologici operino sotto il totale controllo di chi questi strumenti impiega e concepisce può probabilmente giustificare l’ampiezza dell’attuale carenza di filtri sulle interazioni che possono generarsi tra nuove tecnologie e società. Solo l’idea della possibilità di una volontà che pre-esiste alle sue azioni e che agisce infallibilmente creando strumenti che trasmettono fedelmente le sue intenzioni può probabilmente giustificare l’attuale scarsa attenzione per le modalità attraverso cui le nuove tecnologie possono entrare nella vita di moltitudini di persone. 
Esistono tuttavia chiare evidenze per cui questo tipo di visione può essere oggi messo in discussione, e questa messa in discussione potrebbe portare a una nuova idea di politica, ancora tutta da scoprire e inventare.
Gli strumenti non sono mai neutri o neutrali. La loro diffusione, soprattutto se su larga scala, non può generalmente essere tenuta sotta controllo e comporta dei cambiamenti nelle relazioni sociali che devono essere trattati e studiati come se gli strumenti fossero portatori di una volontà propria, non riducibile a quella di chi li usa o li concepisce. La diffusione su larga scala di automobili ha comportato una totale riorganizzazione delle società occidentali durante il secolo scorso. Per quanto entità non umane, le automobili sono quindi state e ancora sono degli attori politici nei nostri paesi. La diffusione di elettrodomestici è stata accompagnata dalla generazione di nuove pratiche sociali riguardanti la preparazione, la conservazione e il consumo di alimenti, l’igiene e la pulizia della casa, degli abiti, ecc. Biciclette, motori elettrici e a combustione, calcolatori elettronici, internet, ecc. hanno cambiato o stanno cambiando i nostri stili di vita e contribuiscono quindi a fare politica.
Basta guardare alle molteplici negoziazioni che hanno luogo tra persone e nuove tecnologie per comprendere come, attraverso questo tipo di negoziazioni, si svolga un genere più ampio di politica che non è fatto soltanto da persone. Come Bruno Latour ha fatto rilevare da un certo numero di anni [2] gli artefatti umani sono portatori, nella loro forma e nei lori principi di funzionamento, di una serie di intenzioni e persino di una morale che possono essere più o meno decifrabili, più o meno espliciti e più o meno riferibili a volontà di specifiche persone o gruppi di persone.



L’impiego diffuso della rete informatica per la realizzazione di forme di politica partecipata cambia la democrazia [3].
L’installazione su larga scala di grandi pale eoliche da 5 MW porta con sé una certa organizzazione della produzione e del consumo che implica la presenza di grandi proprietari distributori di elettricità. L’installazione di piccole pale da 50-100 KW può invece essere realizzata a livello di singole o piccoli gruppi di abitazioni, può avvenire a spese degli utilizzatori dell’elettricità che esse generano e risultare quindi in linea di principio più equa, partecipata e confacente ai luoghi interessati.
Come osservato da un esperimento immaginario condotto dal Massachusset Institute of Technology (MIT) [4], la guida automatica porta con sé possibili scenari di sviluppo in base ai quali un software installato sulle automobili potrebbe, in caso di guasto e conseguente inevitabile collisione con un gruppo di pedoni, portare a selezionare il pedone su cui dirigere l’auto in base a qualche principio morale o di convenienza prestabilito dai programmatori.
Persino i piccoli dossi artificiali installati dalle pubbliche amministrazioni per limitare la velocità degli autoveicoli contribuiscono a mettere in atto una certa forma di morale che, in quanto punisce l’infrazione di un limite di velocità con il danneggiamento dell’auto, risulta nella fattispecie violenta e intimidatoria. 
In generale, le dinamiche di interazione che si realizzano tra persone e strumenti tecnologici, sia al momento del loro concepimento, sia al momento del loro impiego, comportano sempre dei processi, più o meno prevedibili, di mutuo adattamento che possono modificare sia la forma delle interazioni sociali, sia la forma, sia il livello di diffusione degli strumenti stessi [5]. Queste negoziazioni sono a tutti gli effetti delle negoziazioni politiche che portano alla generazione e progressiva stabilizzazione di nuove pratiche sociali di cui gli strumenti tecnologici sono parte attiva e integrante. Le nuove tecnologie, certo, non determinano da sole l’evoluzione delle pratiche sociali di cui entrano a far parte. A questa contribuiscono in egual misura competenze, significati e valori simbolici che, insieme con gli strumenti, queste pratiche costituiscono [6].
Se, tuttavia, si prendesse atto del ruolo attivo svolto dagli strumenti e della possibilità tutt’altro che remota che i processi di innovazione attraverso essi generati possano sfuggire al controllo sociale, si potrebbe forse pensare a come sviluppare una discussione politica intorno alle loro modalità di concepimento e di utilizzo. Al momento sembra infatti che i processi di innovazione tecnologica su larga scala possano essere soltanto accettati o rifiutati in toto. Quando si pensa ad esempio alla progressiva informatizzazione dei servizi nella pubblica amministrazione, approcci temperati per cui si possa mantenere e riconoscere il valore umano di funzioni non automatizzate svolto da persone (funzioni di cui potrebbero certamente beneficiare non solo anziani e altre categorie di persone con scarsa familiarità con le tecnologie informatiche) sembrano avere sempre meno spazio. 



Se tuttavia le negoziazioni politiche con gli artefatti materiali che sono alla base dell’innovazione tecnologica fossero trattate e discusse come tali, ci si potrebbe facilmente rendere conto anche di un altro fatto fondamentale.
Questo tipo di politica interviene sia durante lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie, sia, più in generale, nei processi attraverso cui la tecno-scienza e la scienza sperimentale avanzano. I fondamentali progressi rappresentati dalle teorie e dai prodotti della ricerca scientifica si realizzano attraverso continue negoziazioni che coinvolgono attori umani e non umani. Il fatto che il metodo scientifico richieda l’obiettività assicurata dalla ripetibilità degli esperimenti, non toglie a questi esperimenti nulla del loro carattere di costrutto sociale [7] e al fatto che le soluzioni attraverso essi sviluppate modifichino e siano modificate da contesti sociali ben più ampi dei laboratori nei quali vengono concepite.
Principi stabiliti in un determinato campo della conoscenza scientifica tipicamente migrano verso altri campi attraverso metafore spesso costruite con il contributo attivo degli stessi scienziati. I combustibili fossili e i principi della termodinamica stabiliti studiando le macchine termiche nei primi decenni del XIX secolo hanno portato, e portano ancora oggi, a misurare il lavoro umano contando il numero di ore speso all’interno di un ufficio, seduti su una sedia, attaccati a un computer o ad altro macchinario. Tali principi sono con molta probabilità il frutto di processi di circolazione d’idee e di mutuo rinforzo avvenuti tra gli ambiti della fisica, della biologia e dell’economia [8]. Questi processi di circolazione hanno portato a identificare l’uomo a un motore [9] facendo sì che principi stabiliti studiando le macchine termiche potessero essere applicati alle persone e all’economia trasformando il lavoro umano in una risorsa scarsa che può essere misurata e scambiata sul mercato in termini di unità di tempo consumate [10].



Più che a identificare principi e paradigmi universali, gli studi interdisciplinari oggi tanto di moda dovrebbero a mio avviso servire a stabilire come i limiti di applicabilità di modelli, teorie e tecnologie sviluppati in alcuni ambiti possano essere travalicati e con quali conseguenze per persone e società.
Se i combustibili fossili e i principi della termodinamica hanno trasformato l’universo in una macchina termica, la diffusione su larga scala delle tecnologie a energie rinnovabili sta avvenendo secondo un immaginario e in un contesto scientifico e culturale che sostituisce alla macchina termica il processore di informazioni. Se nell’età dei combustibili fossili le attività di produzione e consumo sono organizzate sulla base della creazione di scorte di risorse materiali, umane e di conoscenza, nell’età delle energie rinnovabili si assume che produzione e consumo possano essere organizzati minimizzando le scorte e in un contesto di variabilità di risorse materiali ed energetiche grazie a una progressiva integrazione di queste attività all’interno di sempre più vaste reti di informazioni. Questo contesto fornisce i presupposti per una progressiva riorganizzazione del lavoro e delle attività umani improntata a criteri di crescente delega a sistemi automatizzati, flessibilità e mobilità di persone e cose.
Queste trasformazioni e tendenze, è bene sottolinearlo, non portano necessariamente a regimi di maggiore sostenibilità delle attività umane. Alla loro base vi sono ancora circolazioni di idee e tecnologie e processi di mutuo rinforzo che coinvolgono società e campi di ricerca quali la biologia, la fisica, l’economia, le scienze dell’informazione [11].
Sul piano teorico e concettuale, queste circolazioni sono per esempio state stabilite attraverso l’idea, sviluppatasi inizialmente in ambito cibernetico, che macchine, persone e animali funzionino attraverso sistemi di controllo assimilabili a dei processori d’informazione. Sul piano materiale, i computer e le reti informatiche forniscono invece alcune delle principali tecnologie attraverso cui questi comuni sistemi di controllo sono studiati e artificialmente ricreati.
Come potrebbero le istituzioni politiche e la società civile pensare d’intervenire attivamente in questi processi e sui cambiamenti sociali che si generano con gli strumenti che la tecno-scienza mette a disposizione? E con quali criteri?
Non penso che questa questione possa essere affrontata soltanto pensando a un generale maggiore coinvolgimento e partecipazione dei cittadini nei processi d’innovazione [12]. La questione deve essere più specifica e strutturata. Si tratta di avere bene in mente che la diffusione su larga scala di nuove tecnologie è sempre esposta alla generazione di fenomeni inattesi. Si tratta di realizzare interventi basati su un diverso modo di concepire la strumentalità e la delega; interventi mirati a seguire, ricostruire e immaginare le diverse relazioni che le persone possono stabilire con nuovi artefatti materiali a seconda della loro funzione, frequenza, modalità e contesto d’impiego, livello di diffusione, ecc.  
Per quanto questo possa apparire un programma irrealizzabile che condanna la politica delle persone a inseguire più che a condizionare, il solo fatto di uscire dall’incantesimo generato da chi oggi tende a presentare ogni nuovo gadget come la soluzione dei problemi del nostro paese e del mondo può forse servire a creare le condizioni per un suo avviamento.
Se è vero che gli strumenti sono in qualche modo portatori di una propria intenzionalità, è allora anche vero che vi sono strumenti che generano problematiche che più di altre sfuggono al controllo delle persone e dei processi democratici.

 


La teoria della morfologia sociale di Leopold Kohr [13] mette per esempio assai bene in evidenza come la maggior parte di queste problematiche sono generate da questioni di dimensioni e di scala.  Nello stesso modo in cui un cavallo o un essere umano non potrebbero sopravvivere se le loro dimensioni caratteristiche aumentassero di due o tre volte, [14] le istituzioni sociali, le infrastrutture di servizio e gli strumenti tecnologici che queste istituzioni costituiscono non possono sopravvivere a lungo se troppo grandi rispetto alla scala umana in quanto finiscono per generare problemi che non possono essere risolti dai propri membri.
Forma e principi di funzionamento degli strumenti tecnologi, loro impatti economici, ambientali e sociali e loro livello di moltiplicazione sono in un rapporto di reciproca influenza con gli strumenti di governo che possono essere sviluppati nei contesti in cui le tecnologie sono adottate. Strumenti di governo basati su un’organizzazione centralistica dello stato o sul libero mercato finiscono per favorire la diffusione di soluzioni tecnologiche standardizzate su larga scala il cui impatto locale è spesso indeterminabile e imprevisto. Tecnologie e beni comuni che possano essere gestiti in maniera autonoma e condivisa [15] da piccoli gruppi di persone possono favorire lo sviluppo di strumenti e regole di governo locali basati su principi di auto-organizzazione che possono essere più facilmente adattati alle situazioni specifiche e variabili dei diversi contesti in cui le persone operano.
Pensare ad esempio che gli attuali problemi ambientali globali possano essere risolti dagli stati limitandosi a promuovere la pur necessaria diffusione su larga scale di pannelli fotovoltaici, auto elettriche, pompe di calore, reti intelligenti, ecc. senza tenere conto di come la transizione alle rinnovabili necessiti di una nuova politica di governo delle tecnologie da parte delle persone significa essere destinati a generare effetti sistemici che sfuggiranno in maniera crescente a ogni forma di controllo. Vi sono ragioni molto fondate per ritenere, ad esempio, che le sempre più frequenti crisi finanziarie e la stessa pandemia in corso altro non siano che la manifestazione estrema dello stesso paradigma che al momento sembra informare la transizione alle rinnovabili e che comporta un crescente numero di scambi e interconnessioni all’interno delle moderne catene globali di fornitura di energia, merci, servizi, persone e informazioni che costituiscono il mercato.



La transizione alle rinnovabili implica una completa revisione del rapporto con la terra e del ruolo del lavoro svolto dai corpi delle persone.
L’energia generata da fonti rinnovabili è molto più diffusa, molto più variabile e più difficilmente stoccabile rispetto a quella generata da combustibili fossili. Se volessimo sostenere con energie rinnovabili gli attuali stili di vita ad alta intensità energetica ed elevata delega alle macchine, dovremmo occupare superfici vastissime con i necessari impianti di produzione [16]. Per quanto non sia possibile delineare in maniera precisa le implicazioni di queste differenze rispetto ai combustibili fossili per la vita delle persone, da esse deriva che il tipo di riorganizzazione sociale che deve accompagnare una transizione alle rinnovabili deve essere orientata a nuovi stili di vita a basso consumo, a un nuovo rapporto col territorio e deve comportare una rivalutazione del lavoro svolto dal corpo, a partire dal lavoro svolto con la terra dagli agricoltori.  
Le diverse tecnologie e le forme di governo che queste contribuiscono a costituire possono dischiudere scenari di transizione assai diversificati. Specifiche configurazioni di reti informatiche intelligenti e reti energetiche costituite da pannelli fotovoltaici, pale eoliche e quant’altro potrebbero contribuire a realizzare un’economia ancora più estrattiva dell’attuale in cui pochi privilegiati sfruttano risorse naturali ed umane al riparo dei loro schermi e senza poter aver nozione delle implicazioni degli automatismi attivati dai loro più piccoli gesti. La diffusione di altre configurazioni ispirate a principi di non appropriazione delle risorse, condivisione, località, autonomia, integrazione tra spazi urbani e aree rurali potrebbero essere accompagnate da ricadute completamente diverse sulle persone e sui territori. 



Sarebbe molto utile e innovativo se una parte cospicua del denaro reso disponibile dall’iniziativa Next Generation EU potesse essere impiegata in Italia per generare più consapevolezza su questi aspetti e creare le condizioni per cui comunità di persone avessero la possibilità di verificare e modulare gli effetti della diffusione di nuove tecnologie sui loro territori creando nuove forme di governo con gli strumenti.
Le tecnologie e la tecno-scienza non costituiscono necessariamente “la soluzione”. Si tratta di rivedere una nozione ormai obsoleta di strumentalità, di provare a comprendere i cambiamenti che le tecnologie portano nell’organizzazione sociale dei vari contesti dove operano e come questi cambiamenti possono essere auspicabilmente governati dalla politica delle persone facendo fiorire la diversità di forme di vita che sempre si genera quando le culture non sono sopraffatte dalle idee dominanti di cui la standardizzazione tecnologica può farsi portatrice. 
 
*Nicola Labanca è un fisico che svolge attività di ricerca nel campo delle politiche per l’efficienza e la sostenibilità energetica da 19 anni. Dal 2012 al 2020 ha lavorato per la Commissione Europea presso CCR di Ispra.
 

Note
[1] Su come la descritta concezione di strumento si sia sviluppata in seno al cristianesimo si veda ad esempio Agamben, G. (2018). Homo Sacer. Edizione integrale a cura di Quodlibet. Si vedano in particolare le pagine 695-696 e 1082-1091.
 [2] Si veda ad esempio Latour, B. (2015). Non siamo mai stati moderni. Elèuthera
 [3] Si veda Davies, W., (2019). Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo. Giulio Enaudi editore. Traduzione di Maria Grazia Perugini.
 [4] Si veda l’articolo intitolato “Il dilemma etico delle auto senza guidatore” come disponibile all’indirizzo https://www.lescienze.it/news/2016/06/27/news/dilemma_morale_veicoli_autonomi-3141085/
[5] Si veda ad esempio Bijker, W.E. and Law, J. (Eds) (199s). Shaping technology/building society. Studies in sociotechnical change. MIT Press.
[6] Si veda ad esempio Shove, E., Pantzar, M., Watson, M., (2012). The dynamics of social practices: everyday life and how it changes. Sage, London.
[7] Si veda ad esempio Shapin, S. and Shaffer, S., (1994). Il Leviatano e la pompa ad aria. Hobbes, Boyle e la cultura dell’esperimento. La Nuova Italia.
[8] Si veda ad esempio Mirowski, P., (1989). More heat than light: economics as social physics, physics as nature’s economics. Cambridge, Mass.; New York: Cambridge University Press
[9] Si veda Rabinbach, A., (1992). The Human Motor. Energy, fatigue and the origins of modernity. University of California Press. I processi di circolazione in questione sono generalmente rintracciabili anche nelle teorie valore-lavoro di Marx, Adam Smith, Ricardo.
[10] Si veda ad esempio Perulli, A., (1996). Il tempo da oggetto a risorsa. FrancoAngeli Editore.
[11] Si veda ad esempio Labanca, N. (2017). Complex systems: the latest human artefact. In Labanca, N., (Ed.) (2017) Complex systems and social practices in energy transitions. Framing energy sustainability in the time of renewables. Springer
[12] Si veda a questo proposito il concetto di “scienza dei cittadini” come descritto ad esempio in https://www.scienzainrete.it/articolo/citizen-science-scienza-di-tutti/valentina-meschia/2016-03-10
[13] Si veda ad esempio Kohr, L., (1957). Il Crollo delle Nazioni. Edizioni di Comunità
[14] Si veda la storia del cavallo poliploide come descritta in Bateson, G., (1979). Mente e natura. Adelphi. Pag. 80-81.
[15] Si veda l’esempio del Regolamento sulla Collaborazione tra Amministrazione e Cittadini per la Cura dei Beni Comuni adottato per la prima volta a Bologna nel 2014 (https://labgov.city/commonspress/bologna-dove-decolla-la-pooling-economy-un-intervista-al-professor-christian-iaione/).
[16] È stato stimato che generare, con pannelli solari e pale eoliche “onshore”, soltanto l’elettricità che l’Europa attualmente consuma richiederebbe una superficie approssimativamente uguale a quella del Portogallo. Si veda Tröndle, T., (2020). Supply-side options to reduce land requirements of fully renewable electricity in Europe. PLOS One Journal.
 

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