UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 30 gennaio 2020

GLI ZINGARI E LA MEMORIA
di Francesco Piscitello

Zingari nei lager

Caro direttore, anche quest’anno abbiamo celebrato il giorno della memoria. Una giornata importante. Tu conosci bene le ragioni che, per ragioni biografiche, rendono per me particolarmente significativa quella giornata. Ho anche ascoltato con commozione, con grande commozione, le parole di Liliana Segre al Parlamento europeo.
Però manca qualcuno all’appello. Zingari, omosessuali, disabili… Gli zingari in particolare. Seguo abbastanza l’informazione - televisione, stampa - ma non ho avuto modo di trovare costoro come oggetto di memoria, se non per vaghi accenni. La ruspa non passa, evidentemente, soltanto sui loro accampamenti. Anche come vittime non meritano particolare considerazione.
Io però voglio ricordarli. Con questi modesti versi.

Una comunità di Rom

PORAJMOS  
                                     
Poco fa, al semaforo, una zingara
insisteva ostinata
nel volermi lavare il parabrezza.
«Basta! - ho gridato infastidito - Smettila!».
E sono andato via.

Porajmos
è un’espressione della loro lingua,
non così conosciuta
come shoah:
nessun Primo Levi tra loro,
né un Simon Wiesenthal.
Quella parola, però, vuol dire
la stessa cosa.
Ne hanno sterminato
mezzo milione a Buchenwald.
E a Bergen-Belsen.
E a Dachau.
E a Treblinka.
E a Sobibor.
E a Ravensbruck.
E a Mauthausen. 
E ad Auschwitz-Birkenau…

Devo tornare di corsa al semaforo:
forse la zingara è ancora là.





LETTERA AL DIRETTORE

Papi a destra con Gaccione

Dopo il lungo saggio dedicato al movimento delle “Sardine” e pubblicato sulla prima pagina di “Odissea”, il filosofo Fulvio Papi
Ci ha inviato questa lettera aperta.

Caro Direttore,

ti ringrazio della pubblicazione del mio articolo “Eppur si muove” dedicato alle sardine. Desidererei solo aggiungere che l’esperienza di queste ragazze e di questi ragazzi deve poter crescere eticamente e politicamente per quello che è, secondo la loro relazione con il mondo, senza paternalismi, istruzioni o esempi o altro ancora del tutto indesiderabile. Se avranno un interesse della nostra storia lontana la troveranno da soli. Questi righi mi paiono una corretta interpretazione. Se poi vuoi dal vecchissimo filosofo un discorso teorico ti ricordo che da qualche tempo gli studi hanno proposto il tema “dell’etica delle generazioni future” con analisi spesso interessanti.
Tuo Fulvio Papi

L’AFORISNA


“Dopo dopo dopo… il dopo è l’inizio di una fine”
Laura Margherita Volante

IL PENSIERO DEL GIORNO


“Io, che, nella solitudine ormai regno, non ho compagnia più bella,
che quella della penna”.
Nicolino Longo


PALAZZO MARINO IN MUSICA   

Francesco Libetta
(foto di Davide Santi)

IX Edizione / Stagione 2020
Prima parte:
Nel mondo ideale. Da Canova a Beethoven
Domenica 2 febbraio ore 11.00

Libetta incontra Venere
Francesco Libetta, pianoforte
Sala Alessi - Palazzo Marino Piazza della Scala 2, Milano.
Ingresso gratuito con prenotazione.

Inaugura domenica 2 febbraio la IX edizione di Palazzo Marino in Musica con il concerto del pianista Francesco Libetta, che si esibirà in Sala Alessi di Palazzo Marino alle ore 11.00 presentando un programma pensato come un percorso su movimento, dinamismo e danza in musica. Il concerto si apre con la musica per balletto Die Geschöpfe des Prometheus, Op. 43 di Beethoven, contemporaneo di Canova e Thorvaldsen e di cui ricorrono quest’ano i 250 anni dalla nascita, per proseguire con il brano Un petit train de plaisir di Rossini. Nella seconda parte del programma Libetta eseguirà le Danze Immaginarie del compositore contemporaneo Giampaolo Testoni, scritte nel 2019 su richiesta dello stesso pianista Francesco Libetta e a lui dedicate, e il balletto Sylvia di Léo Delibes. Chiude il concerto, in prima assoluta, il balletto Venus de Miami, composto da Libetta ispirandosi alla Venere di Canova e a moderne e ibride creature che utilizzano o si compongono di protesi, simboliche o reali. Il balletto è ambientato a Miami lungo il mitico percorso di Ocean Drive e riflette, attraverso la musica, sull’aspirazione contemporanea all’ideale di bellezza.
Il concerto gratuito, organizzato da EquiVoci Musicali in collaborazione con le Gallerie d’Italia – Piazza Scala, accompagna le opere scultoree esposte nella mostra Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna, offrendo al pubblico la possibilità di compiere un percorso ideale tra scultura e musica.

Programma:

Ludwig van Beethoven (1770–1827)
Die Geschöpfe des Prometheus op. 43
Balletto di Salvatore Viganò
(versione per pianoforte del compositore)

Gioachino Rossini (1792–1868)
Un petit train de plaisir (scéne dans le style comico-imitatif) 

Giampaolo Testoni (1957) Danze Immaginarie
(con Simone Mao, pianoforte) 

Léo Delibes (1836–1891) Sylvia (ou La Nymphe de Diane)

Francesco Libetta (1968) Venus de Miami
(ou The creatures of Prosthesis) Balletto 

Francesco Libetta è stato definito dal New York Times «aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale (M. Gurewitsch) e per El nuevo País è «un caso histórico de habilidad» (R. Poleo). A. Ciccolini scrisse di Libetta: “il più dotato strumentista della sua generazione”. P. Isotta lo ha definito «profondo musicista e un pianista di cultura» per «una libertà insieme e autorità pianistica che lo fanno senza confronti al mondo» (Corriere della Sera) e «il più grande pianista vivente» (in Altri canti di Marte, Marsilio 2015). Libetta ha realizzato integrali pianistiche di Beethoven (le trentadue Sonate), Händel. Chopin, Godowsky (i 53 Studi sugli Studi di Chopin). 
Ha studiato Composizione con G. Marinuzzi a Roma e J. Castérède a Parigi. Ha scritto musica per il teatro e per il cinema, acusmatica, cameristica, orchestrale. La sua opera “L’Assedio di Otranto”, messa in scena in Puglia e a Roma, è stata da poco pubblicata in cd. Avviato alla direzione d’orchestra da A. M. Giuri e G. Zampieri, ha diretto repertorio sinfonico, operistico (Don Giovanni) e da balletto (Lo Schiaccianoci, La Bella addormentata, Carmen). Ha pubblicato saggi su storia ed estetica musicale, ricostruzioni di Madrigali e scritti sulla vita operistica nel meridione d’Italia nel Settecento e nell’Ottocento. Ha collaborato con violinisti (I. Haendel, A. Pritchin, M. Quarta, G. Angeleri); danzatori, coreografi e compagnie di balletto (da C. Fracci a Giulio Galimberti, dal Balletto del Sud a S. Ballone); cantanti (A. C. Antonacci, E. Palacio), e numerosi colleghi pianisti. È invitato da concorsi internazionali come presidente di giuria o in commissione (Porrino di Cagliari, BNDES di Rio de Janeiro, Busoni di Bolzano, Premio Venezia, Horowitz di Kiev, Livorno, etc). Docente presso la Miami Piano Festival Academy presso la NSU (Fort Lauderdale, Florida), dirige i corsi di perfezionamento di pianoforte organizzati dalla Fondazione “P. Grassi” di Martina Franca. Ha fondato e organizzato il Festival di Miami a Lecce, e i Concerti commemorativi di A. Benedetti Michelangeli in Rabbi. Ha fondato l’Associazione Nireo, attiva anche come casa discografica, con cui ha realizzato nuove produzioni e progetti culturali storici.

Ingresso gratuito con prenotazione.

80 biglietti gratuiti potranno essere riservati online sul sito www.palazzomarinoinmusica.it
a partire dalle 10.00 di giovedì 30 gennaio. 
Altri 40 biglietti saranno disponibili presso la biglietteria delle Gallerie d’Italia – Piazza Scala in Piazza della Scala 6, a partire dalle ore 10.00 di giovedì 30 gennaio. Sarà possibile ritirare fino a due biglietti a persona.
Per motivi di sicurezza, all’ingresso di Palazzo Marino sarà richiesta ai partecipanti l’esibizione del documento di identità.
 La rassegna Palazzo Marino in Musica, realizzata in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Comunale, è sostenuta da Intesa Sanpaolo ed è organizzata dall’Associazione EquiVoci Musicali. La direzione artistica è a cura di Davide Santi e Rachel O’Brien. Consulente artistico è il prof. Ettore Napoli. 

Palazzo Marino in Musica Stagione 2020,
IX Edizione Sala Alessi - Palazzo Marino
Direzione Artistica: Davide Santi e Rachel O’Brien Consulente artistico: Ettore Napoli Assistente alla produzione: Francesca Napoli Organizzazione: EquiVoci Musicali Ufficio Stampa: Giulia Castelnovo Tel. 327 209 10 89 | ufficiostampa@palazzomarinoinmusica.it
www.palazzomarinoinmusica.it
Facebook, Youtube: Palazzo Marino in Musica
Con il sostegno di Intesa Sanpaolo


Milano, 29 gennaio 2020 - Prosegue, per il terzo anno consecutivo, la felice collaborazione tra la rassegna Palazzo Marino in Musica e le Gallerie d’Italia – Piazza Scala, nella proposta di concerti che accompagnano le prestigiose mostre allestite nella sede museale di Intesa Sanpaolo. 
Palazzo Marino in Musica, rassegna organizzata da EquiVoci Musicali e giunta quest’anno alla sua IX Edizione, inaugura così la prima parte della Stagione 2020 con due concerti che si accostano e si ispirano alle opere esposte nella mostra Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna. Centrale, in entrambi i concerti, sarà la figura di Ludwig van Beethoven - di cui ricorrono quest’anno i 250 anni dalla nascita - contemporaneo di Antonio Canova e del danese Bertel Thorvaldsen. Il genio musicale incontra così i più importanti scultori neoclassici del suo tempo. Accanto alle opere di Beethoven e di altri compositori, verranno eseguite in prima assoluta due pagine musicali composte dal pianista Francesco Libetta e dal violoncellista Cosimo Carovani, ispirate alle sculture di Canova esposte nella mostra, in particolare a Venere e ad Apollino.

Domenica 2 febbraio, alle ore 11.00, si esibirà in Sala Alessi di Palazzo Marino il pianista Francesco Libetta con il concerto dal titolo “Libetta incontra Venere”: il programma è pensato come un percorso su movimento, dinamismo e danza in musica. Si apre con la musica per balletto Die Geschöpfe des Prometheus, Op. 43 di Beethoven per proseguire con il brano Un petit train de plaisir di Rossini. Nella seconda parte del programma Libetta eseguirà le Danze Immaginarie del compositore contemporaneo Giampaolo Testoni, scritte nel 2019 su richiesta dello stesso pianista Francesco Libetta e a lui dedicate, e il balletto Sylvia di Léo Delibes. Chiude il concerto, in prima assoluta, il balletto Venus de Miami, composto da Libetta ispirandosi alla Venere di Canova e a moderne e ibride creature che utilizzano o si compongono di protesi, simboliche o reali. Il balletto è ambientato a Miami lungo il mitico percorso di Ocean Drive e riflette, attraverso la musica, sul potere della tecnologia e sull’aspirazione contemporanea all’ideale di bellezza.

Domenica 3 marzo, sempre alle ore 11.00, suonerà in Sala Alessi il giovane e promettente violoncellista Cosimo Carovani insieme al pianista Stefano Ligoratti. Il duo propone un programma che si apre con il Notturno sull'acqua op. 82a di Mario Castelnuovo-Tedesco e prosegue con la Sonata n. 3 op. 69 di Beethoven e con la Sonata op. 119 di Prokof'ev. In conclusione Cosimo Carovani presenterà, sempre in prima assoluta, Elegia “di dardi e cetra”, brano ispirato ad Apollino di Canova, scultura esposta nella mostra alle Gallerie d’Italia – Piazza Scala.

 

Racconti
di Marisa Napoli

La copertina

Nota al libro di Serena Accascina,

Del libretto I racconti del maresciallo Lorusso, (Book Sprint edizioni) si apprezzano l'andamento sprint, evocato dal nome dell'edizione, che invita il lettore a leggere i racconti tutti d'un fiato. Il principio unificatore è proprio Lui, il maresciallo Lorusso che, ormai anziano, racconta ai suoi nipoti pezzi della sua esperienza di vita e professionale.
Il primo racconto, Lucero, più che poliziesco, è autobiografico e come tale è un pezzo di vita del protagonista e dei suoi rapporti familiari, sullo sfondo storico della guerra contro il nazifascismo, dei campi di concentramento, della fame di quegli anni, ma anche della liberazione con tutti gli aspetti di solidarietà tra la gente comune e di violenza, subita soprattutto dalle donne, da parte delle forze di liberazione. Il racconto stringato dello stupro subito dalla protagonista sedicenne non può non evocare le drammatiche scene della Ciociara.
La scrittura è veloce, essenziale, con efficaci cesure temporali e la Storia, quella con la S maiuscola, è colta nella sua concretezza attraverso gli occhi di chi l'ha vissuta in prima persona.
Da racconto in racconto, si delinea la figura del personaggio che fa da collante, sia che il maresciallo indaghi con mezzi moderni su omicidi dettati dalla gelosia (Colline con vista), sia che appaia solo alla fine come destinatario affidabile, garante della giustizia, nelle cui mani depositare la denuncia di violenza su minore avvenuta anni prima.
La storia di amarezze e competizione di Due ragazze si snoda nell'arco temporale della vita delle due protagoniste, sempre antagoniste, per poi concludersi nella solidarietà e nella riscoperta sorellanza tra donne, che insieme denunziano i soprusi.
I luoghi dove si svolgono i fatti cambiano continuamente, dal Sud al Nord d’Italia, ma a volte anche all’estero, in Brasile o in Svizzera, seguendo le varie sedi di lavoro assegnate al maresciallo, che sembra ambientarsi con autorevolezza ovunque si trovi, suscitando la stima e la fiducia di chi si rivolga alle forze dell’ordine.
Il suo sguardo indagatore, il suo intuito, la sua gentilezza unita all’inflessibilità, la sua onestà sono in grado di snidare gli intrighi di arroganti malavitosi o i vari soprusi sulle donne, che il bisogno o la fragilità sentimentale trasforma in facili prede, come avviene per esempio nel Racconto di soldi neri.
Spesso questioni d’interesse portano all’omicidio anche in ambito familiare, dove è più facile far passare per morte naturale un lento e strategico avvelenamento che soltanto l’acume di Lorusso può svelare (Il sonno interrotto).
L’agire di Lorusso si conforma alla pietas, quando vittime sono i minori e in ambito familiare: il maresciallo ricorre persino ad azioni ai limiti della legalità (cancella le impronte della bambina che tenta di uccidere il padre che di lei abusava), pur di non coinvolgerla nella terribile situazione di violenza, permettendo alla fine una soluzione di recupero di vita individuale, se non di unitarietà della famiglia (Delitto senza scopo).
L’autrice affronta questi temi con coraggio, pur sapendo che il genere narrativo non permette di analizzarli adeguatamente, per la necessaria velocità del racconto.
Per questo si prende la responsabilità di far tacere il Maresciallo quando la situazione prospetta un bene superiore: in Una vendetta tace sull’assassinio di Giulia da parte della sorella, tace sulla morte della selvatica Ada, scalciata da una mucca, perché tutto il paese del Trentino non può essere danneggiato nella vendita del buon latte montano, che è alla base dell’economia collettiva.
È un maresciallo sui generis Lorusso, che non disdegna di credere ai suggerimenti onirici (o forse divini) per difendere gli innocenti falsamente accusati (Suor Margherita) e di accusare i cattivi soprattutto se si trovano in posizione di potere (la madre superiora).
Ma è soprattutto buono, sensibile, onesto (Una previsione del Maresciallo) e così si presenta ai suoi nipoti che lo amano e ai quali, responsabilmente, lascia un messaggio di denunzia dei processi di disumanizzazione in atto nella nostra società e di recupero dei valori di” imperfezione e di diversità” che ci rendono veramente umani.














mercoledì 29 gennaio 2020

Libri
IL DESIDERIO D’ INFINITO
di Giancarlo Consonni

Carlo Simoni

Commento al romanzo di Carlo Simoni: 
Quei monti azzurri   
(Castelvecchi, Roma 2019)


Tra i documenti conservati a Recanati sono presenti dei quaderni di Paolina Leopardi che, per volontà degli eredi, non sono accessibili al pubblico. È forse da lì, dal desiderio di forzare quel segreto, che a Carlo Simoni è venuta l’idea di inventare un diario tenuto dalla sorella del grande poeta. Il risultato è un romanzo storico in forma diaristica: consistente in quanto in quel quaderno si immagina si sia venuto depositando nel periodo che va dal luglio 1817 al novembre 1819. Scandito mensilmente, il romanzo presenta quattro interruzioni corrispondenti all’ottobre 1817, al febbraio e al maggio 1818 e all’ottobre 1819, in cui si ipotizza che Paolina non metta mano al diario. Il libro si compone così di 24 capitoli, corrispondenti ad altrettanti mesi.
L’arco temporale non è scelto a caso: va dall’avvio dello Zibaldone per concludersi poco dopo la composizione de L’infinito. Si tratta di un passaggio cruciale anche per la vita di Paolina: corrisponde grosso modo al periodo che, per lei, va dai 17 ai 19 anni, quando, sul «limitare/ di gioventù», si manifesta «il primissimo fiore della vita».
Simoni attiva fin da subito un doppio sguardo: quello di Paolina e quello su Paolina. Nel fissare sulla pagina ogni evento, piccolo o rilevante, che interessa la vita dell’amatissimo fratello, l’autrice immaginaria del diario si trasforma nella figura alata di un osservatore/messaggero. Per suo tramite il lettore è immerso nello spazio domestico di casa Leopardi e nei suoi ancoraggi esterni (il borgo, la campagna, i luoghi delle passeggiate consentite ai soli figli maschi); ma soprattutto è “gettato” (per usare la nota espressione di Maurice Merleau-Ponty) nelle relazioni interne al nucleo familiare, regolate dall’ambizione, mista a frustrazione, del padre Monaldo e dalle chiusure bigotte e maniacali della madre Adelaide Antici. La ferma certezza di Adelaide che l’isolamento nell’universo domestico sia, tanto più per la figlia, la via salvifica dalle tentazioni mondane si salda alla convinzione di Monaldo che tutto ciò che può nutrire lo spirito possa essere ritrovato nella grande biblioteca da lui messa insieme con tenacia e passione. Orientamenti ossificati che si traducono in una chiusura possessiva nei confronti della prole (sette figli, di cui due morti in tenera età).
Il diario registra un succedersi serrato di eventi spesso minimi e apparentemente insignificanti, ma anche passaggi cruciali nella vita di Giacomo: lo stabilirsi di rapporti epistolari con Pietro Giordani, la morte di Teresa Fattorini (stroncata a vent’anni, nel settembre del 1918, dalla tubercolosi: a lei dieci anni dopo il poeta dedicherà la canzone A Silvia), l’esplodere della passione amorosa per Geltrude Cassi e, soprattutto, il suo incontro con la poesia, non solo da studioso ma da poeta.
Da subito si delineano alcuni fili conduttori che, intrecciandosi, imprimono alle memorie apocrife la vis narrativa di un romanzo. Il motivo preminente è la condizione d’isolamento in cui sono costretti Giacomo, Carlo e Paolina (i tre fratelli maggiori di casa Leopardi, nati a poco più di un anno di distanza l’uno dall’altro): una condizione che, ben presto, è da loro vissuta come una clausura. Il diario/romanzo dà conto, in un crescendo, della sofferenza che prende corpo e che culmina nel tentativo di fuga di Giacomo, miseramente fallito.
Con tocco leggero e sapiente, Simoni non manca di inserire qua e là elementi che preannunciano il dramma. Così, a evocare la prigionia, nelle prime pagine del diario sono richiamati i piccoli volatili: un canarino, un fringuello, un passero solitario -, regalati, uno dopo l’altro, ai figli del padrone dal cocchiere di casa Leopardi, Giuseppe Fattorini, padre di Teresa, alias Silvia. Anche il confronto che Paolina istituisce fra la sua condizione e quella di Teresa evoca la comparazione tra l’essere in gabbia e il poter volare in libertà.
Alla tenaglia possessiva dei genitori si oppone, come può, la resistenza che, ciascuno a suo modo, oppongono i tre fratelli. Il trio è rinsaldato da un grande affetto e da un’intesa che si spinge fino alla complicità; ma, a complicare i rapporti, interviene ben presto la disuguale caratura intellettuale: l’emergere della personalità di Giacomo introduce disparità che, anche senza volerlo, portano a ridurre il fratello e la sorella a ruoli “di spalla”: di confidenti, di allievi, di copisti e, sempre, di ammiratori. Da cui l’insorgere inevitabile di inclusioni ed esclusioni.


Consonni durante il suo intervento
alla Sala del Grechetto
della Biblioteca Sormani
A sin. Simoni, al centro A. Prete

La più colpita dalle esclusioni è, manco a dirlo, la sorella, verso la quale i fratelli, a cominciare dal maggiore, tendono a replicare l’atteggiamento protettivo dei genitori. Ma Simoni sa complicare il quadro facendo intravedere un rapporto carsico fra Paolina e Giacomo: un legame basato sul mutuo cercarsi e riconoscersi simili: nel profondo dell’animo e nella sofferenza che vi si va accumulando. L’autore porta in superficie il legame in un paio di episodi: il soccorso amorevole di Paolina al fratello intirizzito da un acquazzone e l’abbraccio tra i due con cui si conclude il romanzo. Ma Simoni fa in modo che tutto il diario apocrifo sia percorso incessantemente da sguardi, cenni, mezze parole, accensioni, silenzi, scoperte, incomprensioni, precipitazioni, incantamenti, piccole e grandi disperazioni: tumulti e tremori, fatti di tutto e di niente, dove apparenze e sommovimenti profondi si saldano in una tensione restituita con grande finezza.
Carlo Simoni ha fatto rivivere nei suoi romanzi personalità come Gustav Klimt, Thomas Mann e Walter Benjamin, misurandosi con sfide da far tremare i polsi. Ma qui, nel dare vita a Paolina Leopardi, è alla sua prova più ardua. E il risultato è ancor più convincente. La sua Pilla è del tutto credibile: il ritratto a tutto tondo di un’adolescente alle soglie della giovinezza a cui è riservato un doppio destino crudele: quello di reclusa (costantemente in bilico tra il finire in un convento e l’andare in sposa a un marito che spetta ad altri scegliere) e quello di una persona a cui la sorte ha negato la bellezza fisica. Un dramma, quest’ultimo, esaltato, per contrasto, dall’essere la bellezza un riferimento cardinale per i tre fratelli, forse la più intima trama che li lega; quando invece, scrive la Paolina di Simoni, «i più» «solo vedono […] e considerano, e son capaci d’amare» «l’esteriore sembiante», «ché l’anima per bella che possa essere, non si dà a vedere…» (p. 55).
Nel 1821 (ovvero due anni dopo la chiusura del diario immaginario), nella canzone Nelle nozze della sorella Paolina - il matrimonio con Pier Andrea Peroli di Sant’Angelo in Vado, com’è noto, non andato in porto -, il poeta oserà parlare di «beltade onnipossente». Se nella formula c’è un nucleo di verità - da Giacomo direttamente sperimentato nell’invaghimento per Geltrude -, è altrettanto vero che non meno «onnipossente» può essere l’assenza di bellezza fisica, per gli effetti devastanti che può avere soprattutto per chi è «nel fior degli anni». Nella confessione/riflessione che Paolina fa sulla propria condizione - dalla ‘scoperta’ del proprio corpo fino all’autoritratto impietoso, ulteriormente ribadito dalla consapevolezza che quel corpo non ha «conosciuto le mutazioni leggiadre che fan d’una fanciulla una donna» (p. 81) - il diario apocrifo raggiunge alcuni dei suoi momenti vertiginosi.

La copertina del libro

Con l’invenzione del diario, Simoni mette in campo un efficacissimo espediente narrativo: il lettore può avvicinare gli accadimenti che interessano Giacomo per quanto è consentito a Paolina. E questo, mentre rende ancor più credibile la fictio, consente all'autore di condividere con il lettore una consapevolezza implicita: il centro attorno a cui gravita la narrazione - lo svolgersi, in quei 28 mesi, della vita Giacomo Leopardi e che ciò che matura nel suo intimo - è intuito, fatto oggetto di assidue congetture e, qua e là, persino intravisto, come si trattasse di apparizioni: di materia incandescente che però resta per lo più inaccessibile. Viene così in chiaro, tra le valenze del romanzo, anche quella filosofica. Un modo ulteriore di porsi in simbiosi con il protagonista.
Se avesse fatto ricorso alla descrizione diretta dei personaggi e degli eventi, difficilmente l’autore avrebbe conseguito un risultato altrettanto efficace. Grazie invece alla modalità adottata – una forma mediata di scrittura, che si spinge fino a un raffinato esercizio di stile che allude all’italiano cólto d’inizio Ottocento – ha potuto implicare il mistero e gestire con sapienza narrativa i disvelamenti.
A sospingere il farsi del romanzo sono, in tutta evidenza, la curiosità, il desiderio e la dedizione, nutriti da un’ammirazione sconfinati. Che sono di Paolina Leopardi - e, in filigrana, di Carlo Simoni - ma che finiscono per confondersi con quelli dei lettori che amano l’opera di Leopardi. Mentre l’acribia dello storico - è da lì che Simoni proviene - assicura solidi ancoraggi alla narrazione, ogni inezia che si deposita sulla pagina alimenta lo sviluppo di una sinfonia fatta insieme di minime vibrazioni e di un movimento largo e avvolgente, dove il tema principale lascia, qui e là, spazio a temi secondari non meno avvincenti. Finendo per identificarsi, almeno in parte, con Paolina, il lettore viene così immerso nella materia incandescente della vita.
Allo stesso tempo, poiché Giacomo, almeno secondo Simoni, non consente alla sorella (implicata per lo più come copista) di leggere tutto ciò che la sua penna fissa sulla carta, e ancor meno di condividere fino in fondo tormenti e passioni, si viene a creare una situazione che rasenta il paradosso per cui il lettore può “vedere” connessioni tra gli accadimenti e gli scritti (in varia forma) di Giacomo Leopardi che a Paolina non sono accessibili ma che pure sono innescate/suggerite dalle “sue” stesse parole. Grazie a questo, e ad altri accorgimenti, in chi legge all’immedesimazione si affianca la distanza. In tal modo l’io narrante assume ancor più lo spessore di personaggio: l’“autrice del diario” è la deuteragonista, non inferiore, quanto a valenza umana e a sottigliezza di sguardo, del protagonista, il grande, immenso Giacomo Leopardi.
Si forma così un trio - Paolina, Carlo Simoni e il singolo lettore - che dà al testo una forte connotazione teatrale.
Il passaggio sulle scene del diario/monologo comporterebbe un ovvio intervento di adattamento, ma è, mi sembra, già chiaramente delineato.
Il culmine del romanzo è la scoperta furtiva di Pilla del manoscritto de L’infinito. A ben vedere il diario apocrifo non è che una lunga premessa a questo evento. Se il commento “in diretta” di Paolina Leopardi tocca punti altissimi, l’intero libro sembra pensato per favorire l’avvicinamento del significato di questa lirica, dove l’ansia di libertà, e la sofferenza che l’accompagna, si sublimano nell’incanto e nel desiderio di un abbraccio cosmico.

RICORDO DI ANTONIO MONESTIROLI
di Jacopo Gardella
 
Antonio Monestirolo
Non sarebbe piaciuto ad Antonio Monestiroli un ricordo imbastito di pensieri retorici, di frasi struggenti, di espressioni lacrimose. Uomo serio, rigoroso, lineare gli si addicono parole semplici e sobrie e soprattutto sincere. Ed in ciò si riflette per analogia la sua architettura deliberatamente priva di orpelli, di fronzoli, di aggiunte ornamentali; e ridotta solo a ciò che è strettamente necessario.
Del rifiuto di ogni vuoto formalismo, di ogni superflua decorazione egli ha fatto il principio di tutta la sua lunga e feconda produzione ed ha seguito questo principio con costanza e determinazione. Le sue architetture sono sempre ridotte all’essenziale: lineari, nude, spoglie; geometricamente regolari e disciplinatamente ordinate.



Il suo maestro preferito e sempre fedelmente seguito è stato Ludwig Mies van der Rohe. Da lui ha preso l’esempio ed in lui ha trovato la conferma del seguente basilare principio compositivo: è la stessa struttura dell’edificio che diventa ornamento e che, esibendo sé stessa e mostrando la sua funzione statica, acquista un valore estetico e diventa forma essenziale.
Di Mies van der Rohe come di Monestiroli si può parlare di composizioni astratte: infatti a somiglianza di un dipinto astratto - formato da elementi geometrici chiari ed evidenti (linee rette, superfici regolari, angoli ortogonali) - anche le facciate delle loro opere sono composizioni astratte, cioè combinazioni pure e semplici di figure geometriche (specchiature rettangolari, linee rettilinee di pilastri e travi, spigoli ortogonali).
Nelle architetture di Monestiroli l’influenza del Maestro Mies in molti casi è evidente ed immediata: come nelle travi reticolari sovrapposte alla copertura piana dell’edificio a Rogoredo (Milano) che ripetono fedelmente quelle della Facoltà di Architettura dell’I.I.T. a Chicago; oppure nel rivestimento di preziose lastre lapidee nel progetto del Ponte dell’Accademia a Venezia ed ispirate ai setti murari rivestiti di marmo pregiato nel Padiglione di Barcellona. In altri casi l’esempio del Maestro è meno evidente e meno diretto, tuttavia è sempre fedele agli stessi principi di ordine e di disciplina in difesa dei quali entrambi, maestro ed allievo, sono sempre stati esigenti e irremovibili.


Consapevole di appartenere ad un paese mediterraneo e sentendosi erede di una civiltà classica Monestiroli introduce nelle sue opere materiali costruttivi propri del luogo: nel Cimitero di Voghera le murature sono rivestite di mattoni provenienti dalle vicine fornaci e lasciati interamente a vista: esempio di rispetto per la cultura edilizia regionale.
Oppure fa riferimento ad architetture del passato: nella Casa per Anziani a Gallarate sopra le aperture rettangolari delle finestre sporgono cornici orizzontali che alludono ai “cappelli” architravati delle finestre nei palazzi tardo-rinascimentali: esempio di competenza nella Storia della Architettura nazionale.
Seguire un maestro non vuol dire copiarlo pedissequamente ma al contrario essere capaci di imparare dal suo esempio e nello stesso tempo non rinunciare alla propria personalità.
Questo basilare imperativo didattico, proprio di chi sa essere un bravo docente, sta alla base dell’insegnamento universitario di Monestiroli e spiega la grande stima riconosciutagli dai suoi allievi, i quali ne apprezzavano la capacità didattica ma allo stesso tempo il desiderio di non imporre la propria visione, la volontà di istruire ma allo stesso tempo lo scrupolo di non causare inibizioni.


Nei rapporti con il prossimo Monestiroli ha sempre dimostrato che la Razionalità non esclude la Sensibilità cioè l’attenzione ed il rispetto per gli altri. Pur essendo deciso e severo nei suoi giudizi critici, pur censurando con franchezza e con coraggio le posizioni estetiche ed ideologiche a lui contrarie, Monestiroli manteneva sempre un atteggiamento leale ed onesto; e nei contrasti con il prossimo non si dimostrava mai fazioso ed evitava di indirizzarsi aggressivamente contro chi non condivideva i suoi giudizi.
Se volessimo usare una parola ormai obsoleta potremmo dire che Monestiroli era “un gentiluomo” cioè un “uomo d’animo gentile”, un signore di sentimenti buoni, capace di ascoltare pareri contrari al suo ma mai indotto a disprezzarli.


Alla correttezza del suo comportamento nel lavoro professionale va aggiunto il suo affetto in ambito famigliare. La solidarietà con la moglie Elena e l’appoggio dato ai figli Teresa e Tomaso sono un bell’esempio di famiglia laica, libera ed unita. A tanti amici che lo ricordano per le sue doti di architetto bravo e competente merita di essere aggiunta la nostra stima per le sue qualità di uomo comprensivo e serio.


Riceviamo e pubblichiamo
APPELLO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte

Presidente reintroduca nella trasformazione in legge nel decreto milleproroghe, come iniziativa della Presidenza del Consiglio, due emendamenti che intervengono su un argomento di grandissimo allarme sociale.
GLI EMENDAMENTI: Alcune associazioni di volontariato, le Acli, collaborando con parlamentari e con magistrati che hanno già in passato collaborato con il legislatore e che si sono resi conto che sono emersi nuovi e delicati problemi, hanno proposto per la trasformazione in legge nel decreto milleproroghe i seguenti due emendamenti: 

1. L'estensione ai professionisti delegati nominati dal giudice dell’esecuzione a norma dell’articolo 591-bis del Codice di Procedura Civile, nonché ai curatori, ai commissari giudiziali e ai liquidatori giudiziali nominati dal Tribunale nelle procedure concorsuali delle norme sull'adeguata verifica della provenienza dei capitali previste al decreto legislativo 21 novembre maggio 2007, n. 231, agli articoli 17 e seguenti;

2. L'istituzione presso il Ministero della Giustizia di una Banca dati degli offerenti, delle stime e delle vendite alleghiamo gli emendamenti completi in copia. l'approvazione di questi emendamenti è socialmente urgente per impedire il riciclaggio e la lavanderia di centinaia di milioni di euro ogni anno (la nostra è una stima prudente perché molti esperti valutano che si tratta in realtà di miliardi di euro).  Ogni giorno leggiamo sui giornali dell'attività delle varie mafie, non solo italiane, nel settore.  Basti per tutti il seguente articolo di ieri sul Corriere della Sera:  
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_gennaio_24/san-siro-limmobiliare-clandestina-case-popolari-occupate-f3e5470e-3e1a-11ea-a1df-03cb566fb1c9.shtml

La norma è stata sollecitata da importanti giornali, citiamo tra i tanti l'articolo di Fabio Savelli nella rubrica di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 25 11 2019: “Fra le migliaia di emendamenti proposti nelle norme in approvazione a fine anno, si troverà la volontà politica?” Tali emendamenti sono stati dichiarati inammissibili investendo aspetti procedurali-processuali A noi appare un’errata e frettolosa interpretazione. Il “decreto milleproroghe” è diventato un utile strumento del governo per intervenire d'urgenza su importanti problemi sociali o organizzativi dell'apparato statale che si sono manifestati e si vogliono affrontare immediatamente. Per restare agli atti compiuti dall'attuale maggioranza, nel decreto milleproroghe e nella successiva trasformazione in legge del 2018 sono stati compresi tra gli altri:
• una disposizione che di fatto eliminava per l’anno scolastico in corso il divieto di iscrizione all’asilo e alla scuola dell’infanzia per i bambini non vaccinati.
• la cancellazione del fondo per le periferie da 1,6 miliardi di euro
• Il cambiamento delle norme sugli sloggi delle famiglie in caso di esecuzione immobiliare. Come risulta evidente si tratta di norme che era importante approvare immediatamente e rendere immediatamente operative. Chiediamo quindi alla Presidenza del Consiglio di riammettere questi emendamenti e di farli suoi.

MATERIALI DI ESTETICA



Segnaliamo ai lettori di “Odissea” l’uscita del nuovo numero della rivista “Materiali di Estetica” a cura del filosofo Gianni Trimarchi. Fra i tanti scritti una bella nota di Claudio Zanini su L’incendio di Roccabruna di Angelo Gaccione (Di Felice Edizioni, 2019). Ecco il link per chi vuole leggerlo.



ATENEO LIBERTARIO

La locandina dell'iniziativa


martedì 28 gennaio 2020

EPPUR SI MUOVE
di Fulvio Papi


Lettera al “Movimento delle Sardine”.

In questo saggio vorrei mettere a confronto le tesi che sono emerse dalla conferenza sul clima di Madrid, la presa di posizione molto netta che è derivata in ambito europeo e le analisi sociologiche che emergono dal lungo e prezioso lavoro di Bauman.
Il tutto dedicato alla protesta energica, preziosa, emotiva dei giovani che nelle piazze rivendicano il diritto di vivere in un mondo accogliente e non in una situazione ambientale che è percepita come generale degrado, il quale compromette le condizioni di esistenza delle giovani generazioni. Le “sardine” appunto, che oggi surrogano con efficienza, l’incredibile assenza che per decine d’anni ha caratterizzato l’insieme dei poteri pubblici su questi temi fondamentali, noti da mezzo secolo ai filosofi pensanti, affrontati invece al massimo con provvedimenti amministrativi di bassa qualità, quando proprio non se ne poteva fare a meno.
Ora, a questo riguardo abbiamo una progettazione (la forma di pensiero che il post-modern negava) la quale dovrà varcare il difficilissimo percorso dell’attuazione, dato che sappiamo bene quali sono le opposizioni, sia a livello economico, sia a livello politico - che intrattiene con il potere economico una condizione di dipendenza e di controllo sociale delle popolazioni - mantenendo, nel limite del possibile, la forma di un sistema democratico. Entro il quale tuttavia, è possibile operare per una finalità che, con parole di tradizione religiosa, si può chiamare salvezza. D’altro canto è necessario notare come la figura culturale dell’uomo nella nostra epoca, sia ben poco adatta a tutte le trasformazioni che sono necessarie per un vero ordine di sicurezza, al quale servono “virtù” che sono al tramonto.

* * *
Per quanto riguarda i risultati del convegno di Madrid mi avvalgo di ottime fonti giornalistiche che riassumono gli indirizzi fondamentali; i quali ci danno la certezza che, se non fossero realizzati, sia a livello della produzione che del consumo, ci troveremmo in una situazione talmente disastrata, da non poter essere governata da criteri che oggi ci paiono fondamentali. Cambierebbe quel mondo che noi, superficialmente, chiamiamo “il nostro mondo”, con una convinzione del tutto astratta, poiché gli equilibri sociali, economici, culturali e politici hanno già prodotto il “consumo del mondo”.
Ora riassumerò le iniziative che sono a mio avviso indispensabili:
Un ampliamento della spesa pubblica per mettere in sicurezza il patrimonio idrogeologico con tutte le conseguenze che esso comporta. A questo scopo è necessario un “fondo” formato da investimenti di natura azionaria.
Una produzione compatibile con l’ambiente e con una più ampia efficienza energetica. Una tassazione equa ma indirizzata a scoraggiare la produzione di anidride carbonica, e, al contrario, incoraggiare l’uso di energie rinnovabili.
L’abolizione dei contributi per l’uso di combustibili fossili.
Le Banche centrali devono mettere al centro della loro politica il tema dei cambiamenti climatici. Sono tutti temi validi che tuttavia richiedono una realizzazione analitica e concreta, ed è qui che avviene lo scontro con interessi, poteri e altresì costumi, abitudini, aspirazioni anche di una larga massa popolare ormai formata, nella sua stessa identità, da privilegi e consumi incompatibili con i criteri di “salvezza” che sono stati elencati.
Ed è a questo livello che deve rinascere a pieno il concetto storico di giustizia sociale con tutto il suo arco di valori, che sono decisivi per porre riparo al disastro sociale e ricostruire un mondo a misura di una figura d’uomo che la cultura della modernità aveva idealizzato e diffuso, e non una soggettività che diviene una merce come forma di scambio di altre merci (laddove finisce qualsiasi teoria del valore economico).
Sarebbe anche molto importante sapere con chiarezza quale sviluppo storico (chiamato in tutti i suoi aspetti di progresso storico, senza operare i più che necessari “distinguo”) ci ha condotto in questa situazione che esige, in tempi relativamente brevi, un révirement necessario, non solo oggettivo ma anche soggettivo; dove la nostra progressiva dotazione tecnologica, invece che darci una ragione di misura sociale e personale, di soddisfazione e di sicurezza, ci ha condotto sull’orlo di un abisso. Il che ha come possibile vigilia, una trasformazione antropologica che investe larghe zone sociali di quello che con spirito autoreferenziale (e glorioso) siamo soliti chiamare “civiltà”.
Una semplice domanda: sarà possibile realizzare le mutazioni necessarie a livello globale tramite il potere di Stati che oggi sono condizionati se non diretti dal potere di gigantesche Corporations internazionali, le quali dettano le condizioni del luogo, la relazione con l’ambiente, la dotazione tecnologica, il salario operaio? Oppure Stati che proprio dell’espansione economica di tipo capitalistico fanno lo strumento per la propria espansione politica nel mondo?
Ci vorrebbero analisi molto più rigorose, ma credo che “in generale” si possa dire che la globalizzazione economica, oltre gli effetti di cambiamento ben noti, ha favorito la configurazione sociale del mondo, nel modo che ho descritto e quindi una terapia estremamente difficile.
È come se il nostro desiderio di esistere e di trasmettere esistenza fosse imprigionato in un gioco insuperabile. Come se la forma tecnica del progettare fosse indifferente nei suoi fini al pensiero, anzi si presentasse come il solo pensiero che abbia un riscontro reale, cioè operativo, mentre ogni modalità progettante del pensiero secondo altre finalità antropiche, fossero favole che si raccontano uomini fuori dal tempo e fuori ruolo.
Ora cercherò, tramite la lettura dell’opera del celeberrimo sociologo Bauman “L’etica in un mondo di consumatori” (2008), di tentare di dare qualche ragionevole risposta ai temi della Conferenza di Madrid.
Quest’opera ha un vantaggio, dal punto di vista adottato, di riassumere temi essenziali di Bauman e di aprire prospettive di ordine generale che ci riguardano direttamente. Dal punto di vista metodologico dovrò solo aggiungere che l’oggettività presa in considerazione non è altro che l’epilogo contingente di situazioni che si sono evolute nel passato e che non rispondevano ad un ordine di necessità. Come, quasi al contrario, appare la qualità della nostra situazione, così quando adoperassi criteri controfattuali, essi appartengono alla strategia della conoscenza e non al gioco letterario delle utopie. Quasi come premessa alla lettura credo di dover dire che i dieci anni trascorsi dalla pubblicazione dell’opera, abbiano mutato alcuni orizzonti di cui bisognerà tenere conto.
La tesi secondo cui non esistono popolazioni di alcun paese che non siano “una somma di diaspore”, il che, per stare nei nostri dintorni, concorda perfettamente con la tesi di Ugo Fabietti secondo cui l’Identità etnica appartiene sostanzialmente a una strategia politica. Le identità sono fluide, e questa considerazione non solo mostra la ridicola aggressività pregiudiziale nei confronti del “differente”, ma anche la presunzione di poterne regolare l’esistenza tramite norme che appartengono alla nostra relatività. Citando Claude Dubar, Bauman conclude: “L’identità non è altro che al tempo stesso stabile e provvisoria, individuale e collettiva, soggettiva ed oggettiva […]. Questo significa che l’idea di una comunità integrante “si riferisce all’applicazione di un codice di comportamento […]”. Il che è già un criterio educativo per stabilire che cosa si dice quando si esalta un “noi”. Questo non significa - aggiungo io - che non esistano forme di appartenenza che possono essere molto diverse, sino a raggiungere forme criminali come il nazismo. Ciò che però è certo, è che oggi è morta ogni dialettica totalizzante che opponga un mondo ideale alla realtà di quello in cui ci troviamo.
La dialettica storico-umanistica aveva sostituito, nell’immanenza, “l’altra vita”, “il paradiso”. Non ci resta che la morale di tradizione cristiana, del “rispettare la reciproca unicità”. Questo criterio di moralità e di saggezza è l’obiettivo di una vita che (alla Husserl e, meglio alla Lévinas) ha compreso come, se si abbandonano i pregiudizi relativi alla nostra identità, scopriamo che la soggettività deriva dall’alterità e dal suo “essere per l’Altro”. La formula filosofica va tradotta così: la nostra soggettività ha senso morale solo in quanto è per gli altri. Criterio che ulteriormente tradotto dice: una generazione che tramite una qualsiasi ideologia consumi il mondo per sé, senza futuro per gli altri, è priva di responsabilità, segnata da un vergognoso edonismo del consumo, nel quale di esercita l’assoluta libertà individuale priva di qualsiasi senso di colpa, mentre vive solo il rapporto tra possibile e impossibile: una situazione che è realizzabile solo in quanto questo comportamento è in realtà un comando sociale.
Bauman cita James Livingston per definire in generale questa società di consumatori: “la forma merce penetra e trasforma ambiti di vita sociale fin qui esenti dalla sua logica”. Credo sarebbe corretto rifarsi alla concezione di Marx sulla circolazione veloce del capitale come criterio fondamentale per l’accrescimento del profitto. Che non è un “motore ascoso” ma il corrispettivo della formazione sociale del consumatore, sempre aperto a merci che rendano più valida quella formazione personale, la quale deriva proprio dalla relazione con le merci. Così come qualsiasi forma di imprenditorialità preferisce il “libero lavoratore” (Marx) a chi abbia impegni affettivi o sociali.
Questi temi di Bauman, a mio parere vanno proiettati per una maggiore conoscenza della loro storicità: il che non vuol dire della loro necessità, ma dell’insieme di conseguenze materiali e ideali che ne hanno consentito lo sviluppo. Del resto chiunque sa che il capitale finanziario attuale è tutt’altra cosa dalle note marxiane del 22° capitolo del III volume de “Il Capitale”.


Marx aveva ben chiara l’autonomia dell’economico, e oggi sulla trasformazione del capitalismo globalizzato possiamo fare ipotesi differenti, e tuttavia il fatto che oggi il dominio di questa forma di riproduzione sociale abbia condotto alla soglia della trasformazione del pianeta, è una conoscenza (possibile 50 anni fa), ora diffusa e più che comprensibile ragione di ansia e terrore sociale per le generazioni viventi. Tanto più che questa conoscenza si riferisce all’”armento” dell’Occidente, ed ha come sfondo la valorizzazione di un’epoca della libertà nella comunità, del consumo nel bisogno, della responsabilità, della possibilità politica di intervenire sul processo dell’economia di mercato potendo usare strumenti di differente natura.
Non era il “mondo della sicurezza” di Zweig, ma di certo quello “solido” di Bauman.
Posso aggiungere che la visione di una realtà sociale liquida di Bauman, oggi mostra qualche differenza sia nell’Occidente che nel resto del mondo globalizzato, la quale richiede nuove indagini e nuove sintesi.
La figura la cui psicologia è prevalentemente determinata dalla forma sociale del consumatore, elabora la propria identità secondo un sistema di diritti che investono radicalmente l’etica sociale, la morale individuale, la devozione religiosa, la dignità nazionale, il valore ideale della cultura. Si tratta di un personaggio che può anche assumere l’abito del valore che ho richiamato, ma essi sono regolati sempre dall’assioma della psicologia dominante, quando, facilmente, il suo atteggiamento idolatra nei beni del suo consumo, non sia tanto abile da sortire la simulazione e la finzione.
A questo modo di costituisce una quantità di individui singoli che sono una falsa comunità, solo in quanto forza collettiva la quale esige il riconoscimento come pubblica legislazione di quelli che suppone siano i suoi diritti, i quali non possono avere altro fondamento, se non quello che un soggetto “corrotto” retroflette su se stesso. È una prospettiva che insieme alla altre di cui ora daremo cenno, nasconde il passato come una eredità di cui è necessario liberarsi per rendere insuperabile la forma sociale del presente, che annulla qualsiasi programmazione per il futuro.
Nel libro di Bauman troviamo la configurazione di una oggettività che ristruttura del tutto i valori che si sono sviluppati nel nostro mondo dalla Rivoluzione Francese in poi. Portiamo alla luce quelli che ci paiono più rilevanti. La fine della politica come rapporto tra reale e l’ideale. Si riduce all’amministrazione dei diritti che la collettività degli uomini-consumatori ritiene propri. La parità dell’atteggiamento nei confronti del consumo fa scomparire le disuguaglianze economiche. La rete non è una struttura etica, è piuttosto dominata dall’improvvisazione: la rete nasce dalla rete. A livello personale non c’è più il valore della promessa. La felicità si afferma solo come autocompiacimento. Anche senza procedere in questa fenomenologia dell’esistenza che arriva ad Adorno ed Horkheimer, possiamo dire che siamo caduti in un luogo dove il capire, al di là di una microprassi, non ha alcun valore di libertà e la ragione tramonta come un costume la cui moda è terminata, che abbiamo ricevuto: “Subordinare la creatività culturale ai parametri e ai criteri del mercato dei consumi significa chiedere alle creazioni culturali di rispettare il prerequisito di tutti gli aspiranti prodotti di consumo, e cioè legittimarsi in termini di valore di mercato (il valore di mercato corrente, naturalmente) o perire” (Bauman). Forse non così radicali, ma queste parole ricordano direttamente la posizione rigorosamente critica che assunse Adorno al tempo del suo lungo esilio a proposito della cultura “popolare” americana. Questo per dire che la circostanza descritta da Bauman ha già provocato una sua selezione di scopi e indirizzi, di tecniche.


Ed ora esaminiamo brevemente la situazione internazionale in cui cade questo tramonto dell’Occidente che, nella competizione con le altre culture, ha trascinato la vita sul pianeta terra in un servizio per un dominio tragico.
Bauman cita Kapùscinskj e la sua analisi del declino dell’Europa dopo circa 5 secoli di dominio mondiale: “L’Europa non è più il sito prioritario. La “presenza europea” è sempre meno visibile, sia fisicamente che spiritualmente.” Denis de Rougemont: “L’Europa ha scoperto tutte le terre del pianeta, ma nessuno ha mai scoperto l’Europa”.
Le famose “esplorazioni” comportano il dominio, lo sfruttamento delle risorse, il trasferimento dei sistemi giuridici. Dal punto di vista di un’Europa in decadenza abbiamo considerato gli Stati Uniti come un impero in espansione mondiale. Ma è una prospettiva esagerata: il debito pubblico americano (cioè l’acquisto di denaro) è elevatissimo per sostenere il livello della produzione “dei consumi”, la spesa per l’armamento e quindi per la potenza militare, di gran lunga la più potente, ha un suo valore occupazionale interno, ma l’effetto imperiale è di molto calato. Anzi, l’esercito americano può procurare più danni di un qualsiasi attacco terroristico compiuto da un armamento il cui costo è irrisorio. Questa circostanza trasforma la vita delle città in luoghi di conflitto con quasi invisibili “eserciti”.
Ci sono dunque le condizioni economiche e politiche perché gli USA debbano abbandonare il sogno di dominio del mondo: “anzi vi sono consistenti motivi per presumere che questa superpotenza potrebbe diventare una delle cause principali della mancata prevenzione del disastro”. Bauman ritiene che l’Europa, nonostante il suo declino, possa offrire al mondo la via culturale che conduce alla “allgemeine vereinigung der menschheit” di tradizione kantiana. Se l’Europa non si attrezzerà per realizzare questo compito, sarà la sua fine storica. Ma è una prospettiva reale? Sarebbe necessario, alla Habermas, rendersi conto che le nazioni – Stati attuali non hanno alcuna fondazione propria, ma derivano da complessi rivolgimenti storici, e quindi l’Europa attuale definisce se stessa proprio in quanto assume la sua cultura come fattore possibile di coesione mondiale e di salvezza collettiva. Tuttavia la scena politica dell’Europa oggi è dominata in misura non indifferente misura da parte di popolazioni che, nella loro autoreferenzialità, possono essere individuate come volgari plebi idolatre, le quali non hanno niente a che vedere con la nozione etica di popolo. È il timore di perdere anche una sola briciola dei privilegi di cui ora dispongono, ad alimentare queste paure difensive che chiedono per sé, soprattutto la sicurezza. Quindi la proliferazione di muri e di separazioni che possono dare un’identità pericolosa proprio per il loro stesso equilibrio.  Poiché nessun muro protegge dall’invasione globalizzata dell’economia, dai costi sociali di produzione, dalla concorrenza sul mercato mondiale. Si tratta di popolazioni la cui struttura statuale è poi quasi - non sempre - paralizzata (se non per modeste operazioni) da un debito pubblico che mette in difficoltà qualsiasi vasta decisione di trasformazione necessaria dello spazio antropico, in un mondo che, così com’è, diventerà vivibile in condizioni che, dal punto di vista ecologico nella nostra storia (non in quella dell’Universo) non hanno precedenti. È ovvio riconoscere che una china di questa natura necessariamente renderà obbligatorio un impoverimento senza regole, il quale aumenterà il disagio sociale e le sue conseguenze. Questi temi li ho aggiunti io stesso, ma sono coerenti con le analisi di Bauman. Egli infatti riassume la situazione in una semplice dicotomia: “Una è la logica dell’arroccamento locale, l’altra è la logica della responsabilità e delle aspirazioni globali”.
Teniamo presente che la scelta dell’arroccamento non è nient’altro che la ripetizione distruttiva della tendenza che, nell’epoca moderna, ha condotto alla formazione degli Stati.
Niente è “essenziale”, tutto è storico: tutto quindi è soggetto al mutamento che può essere regolato da tecniche razionali o che cercano almeno di limitare i danni del mutamento naturale ed economico. O esso viene abbandonato alla gestione statale, residuo storico di altre epoche, o quindi vi saranno conflitti, comunque giocati, di natura locale tra Stati territoriali. Uscire da questa situazione, aggrava oggi dalla forma tradizionale della crescita economica della Cina e della sua politica di espansione finanziaria, senza parlare dell’India, richiede una politica globale che solo può tener testa al dominio mondiale della potenza economica. È la tesi di Bauman-Habermas, non priva di una tonalità utopistica che, quando fu formulata, non teneva conto di una cauta espansione capitalistica sull’“economia verde”, intorno alla quale non abbiamo dati sufficienti per formulare un giudizio. Quanto all’aura utopica sappiamo da una sociologia di 50 anni fa, che esiste una utopia letteraria vana: ed esiste, al contrario, un’utopia che è l’orizzonte ideale di obiettivi conseguibili i quali danno il senso della propria azione, e quindi anche il senso di se stessi.
Questa seconda e utile utopia crea le proposte di indirizzo che sono note a livello europeo, così riassumibili:
La tassa sul carbone nella prospettiva di una “economia verde”. Lo stesso provvedimento per chi raggiunge vantaggiosi costi di produzione mediante salari bassi attraverso i quali deriva questa posizione. La Web Tax contro l’evasione fiscale, che porta l’utile da qualsiasi attività produttiva nei cosiddetti “paradisi fiscali” - prospettiva che Trump, sempre in linea contro qualsiasi forma di giustizia sociale, ha già cercato di contrastare con il sistema dei dazi.
Ora, ciascuna di queste prospettive, pure nel quadro che ho fatto con Bauman, è politicamente perseguibile con mezzi democratici e del tutto pacifici, quali, per esempio, una ristrutturazione dei consumi, cosa assolutamente possibile, se, eticamente, trasformiamo il “consumatore” il quale appartiene ad un mercato capitalistico finalizzato da una qualsiasi forma di profitto, con un mercato “deciso” dai cittadini.
Una modificazione di questo genere comporta uno stile di vita molto più sobrio, privo di sovrabbondanza e di sprechi. Uno stile che valorizza altre forme di identità e di finalità.
Come si vide la prospettiva di “salvezza” (per usare questa forma metaforica molto forte) dipende anche del nostro modo di essere nel mondo. Siamo in uno spazio - di cui non sappiamo la consistenza - sempre difficile, poiché il tempo gioca quasi sempre a favore dei poteri, che nella teoria può identificare ancora l’etica con la politica.

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