UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 29 febbraio 2016

LA FESTA DELLE LANTERNE
di Angelo Gaccione

Angelo Gaccione con Huiya Munana (Stefania)

C’è un magnifico scritto dello scrittore svedese Stig Dagerman dal titolo “Difficoltà di genitori” scritto nel 1949 e compreso nella raccolta “Il viaggiatore” (Iperborea, Milano 1991) che inizia come un saggio e termina, sorprendentemente, come una fiaba. Lo scritto nasce dal bisogno di un genitore (Dagerman aveva tre figli) di discutere una riflessione di Swift a proposito dell’educazione dei figli, e a un certo punto ci racconta questo episodio rivelatore: un giorno, dopo aver appeso un quadro su una parete, chiede al più piccolo dei suoi figli (tre anni di età) se va bene. Il bimbo, piuttosto seccato e senza troppi complimenti, dice di no, e indica il punto dove deve essere posizionato. Lo scrittore riconosce che il bimbo ha ragione e sistema il quadro ad un livello molto più basso, ad una altezza più vicina alla traiettoria del suo sguardo, e così conclude: “Nel mondo dei bambini tutti i quadri sono appesi troppo in alto”. La lettura di questo testo mi aveva molto colpito e mi aveva fatto considerare l’importanza (per noi adulti) di prestare particolare attenzione alle esigenze dei bambini, e soprattutto ai quei risvolti apparentemente minimi della realtà, e che non vanno per nulla trascurati. Spesso l’attenzione ai dettagli minuti, di poco conto, si rivelano, ad una sensibilità che si sa mettere in ascolto, in risonanza, forieri di una profonda conoscenza di quel mondo, e perché no?, di una gioiosa felicità. Da parte mia ho imparato a non appendere quadri troppo in alto, rispetto allo sguardo dei bambini, e soprattutto a mettermi in ascolto della loro genialità. L’ho fatto anche nel freddo e luminoso pomeriggio di domenica 21 febbraio, accettando l’invito della mia amica Yaqin Jia, per la giornata conclusiva del carnevale cinese, terminato con la suggestiva “Festa delle lanterne”. lI carnevale cinese era iniziato il 7 febbraio (anno della scimmia), e rispetto al nostro, quello milanese-ambrosiano, ha una durata molto più lunga. L’appuntamento era per le 14, anche se in verità io sono arrivato mezzoretta più tardi, al “Centro Italia-Cinese Giulio Aleni” di via G. Verga, la zona che ai milanesi è più nota come la Paolo Sarpi, e che è divenuta la Chinatown di Milano. Voglio parlarvi di questa bella esperienza, non solo per la gentilissima accoglienza che mi è stata riservata, ma perché sono stato letteralmente preso in carico dai bambini, ed ho avuto, per la realizzazione della mia lanterna, eseguita con la tecnica degli Origami, una maestra di eccezione: l’abilissima, esperta e soprattutto paziente Huiya Munana (Stefania è la traduzione italiana del suo nome), una bimba di circa 12 anni, e che potete vedere nelle tante foto che con lei mi ritraggono. C’erano ovviamente diverse maestre adulte che insegnavano a costruire le lanterne, ma io ho preferito che fossero lei e gli altri bimbi a guidarmi nell’impresa; mi sono seduto disciplinatamente su uno sgabello avendo cura che la mia posizione fosse molto più bassa rispetto alla loro, e mi sono affidato alla loro sapiente manualità. Il risultato lo vedete dalla lanterna verde che reggo fra le mani, e dalle tante fotografie che ci sono state scattate. Alcune di queste foto ci ritraggono in gruppo, un gruppo comunque ristretto rispetto alla quantità di bambini, mamme, maestre, ecc., presenti nelle sale. L’incontro si è concluso con l’assaggio collettivo di una zuppa di palline di riso: tangyuan si chiama questa zuppa, e devo alla bellissima e gentile studentessa universitaria alla Bicocca Qin Yuan, le informazioni che ho appreso sul tangyua e la sua preparazione. Non c’entra nulla con il nostro raviolo, anche se per il sapore dolce può richiamare il tortello di zucca e amaretto di tradizione mantovana. Non capita spesso a un adulto (impegnato e ossessionato dal tempo) di fare un’esperienza così intensa. Ma vi assicuro che le ore passate in quella sala attorniato di bimbi, ragazzi, adulti (alcuni anche italiani) mi hanno ricondotto ad una dimensione che avevo smarrito, e quando sono uscito sulla strada mi sentivo pervaso da una sensazione di appagata felicità. Ha proprio ragione il mio amico poeta ungherese Tomaso Kemeny nel dire (lui ora non più giovanissimo) che da grande vuole fare il bambino. Ma in fondo, forse tutti i poeti restano bambini: occorre solo scoprirlo.

ALBUM FOTOGRAFICO

Angelo Gaccione con Stefania al lavoro


Angelo con Stefania e altre bimbe alla Festa
Gruppo con lanterne

Alcuni maestri. A destra Yaqin Jia

Gruppo
Lanterne colorate
Angelo fra angioletti...
Yaqin al lavoro
Qin Yuan in piedi sovrintende al lavoro
Angelo mentre costruisce la lanterna
La preparazione dei tangyuan
Stefania fa da maestra

Gli eleganti costumi del Carnevale cinese a Milano



Un ringraziamento agli autori delle foto che sono davvero tante e che custodiremo nell'archivio di "Odissea", in particolare a Yaqin Jia e a Kun Xiong.




                                           


























































PER RIMANERE UMANI

Locandina dell'incontro



Locandina dello spettacolo

domenica 28 febbraio 2016

GIURISTI DEMOCRATICI





L’ Italicum potrebbe essere incostituzionale. Trasmessi gli atti alla Corte Costituzione. Riportiamo una dichiarazione di Roberto Lamacchia presidente dei Giuristi Democratici.



“Il Tribunale di Messina ha accolto la questione di illegittimità costituzionale della legge Italicum, trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale sotto sei profili. Si tratta del risultato di una iniziativa organizzata dal Comitato per la democrazia costituzionale, cui aderiscono i Giuristi Democratici nazionali, tramite la presentazione di 19 ricorsi in 19 diversi Tribunali italiani, sottoscritti ciascuno da elettori di quel Tribunale volto a far accertare il diritto dei cittadini ad esprimere il proprio voto secondo Costituzione e chiedendo, conseguentemente, che i Tribunali sollevassero la questione di illegittimità costituzionale di quella legge; vedremo che cosa diranno gli altri Tribunali investiti dai ricorsi, che potrebbero aggiungere altri profili di illegittimità costituzionale, oltre a quelli già rilevati dal Tribunale di Messina. Attenderemo con ansia, ma con fiducia, il responso della Corte.”
COMITATO MILANESE ACQUA PUBBLICA
MM DEVE ANNULLARE L'ACCORDO CON MEKOROT

Mia dorme. La Giunta Comunale di Milano pure (Foto: Livia Corona)

MM, società pubblica che gestisce il servizio idrico della nostra città, ha firmato nei giorni scorsi un accordo di collaborazione con Mekorot, società nazionale per le risorse idriche di Israele.
Questa società è oggetto di una campagna internazionale di boicottaggio per violazione dei diritti umani. Mekorot infatti sottrae l'acqua alle falde palestinesi per poi fornirla alle colonie israeliane; nei territori occupati nega l'accesso diretto all'acqua ai palestinesi e la vende loro a prezzi proibitivi.
Anche l'Unione Europea ha denunciato come inaccettabile l'azione delle aziende israeliane che operano nei territori occupati nel disprezzo di tutte le risoluzioni ONU al riguardo.
Nel 2014 una multiutility italiana che opera anche nel settore idrico, la Acea, ha sottoscritto un analogo accordo con Mekorot, stigmatizzato da molte organizzazioni che si occupano di diritti umani e contro il quale sono state raccolte migliaia di firme.
Il sindaco, la Giunta e il Consiglio comunale sono state messe a conoscenza di questo accordo stipulato da una azienda di proprietà del Comune di Milano il quale deve dettarne le linee guida?  Non si tratta infatti di un accordo di poco conto che poteva passare inosservato.
E se ne erano a conoscenza, è molto inquietante che nessuno sia intervenuto per bloccarlo, perché stiamo parlando di acqua, diritto umano, e di una azienda che lo calpesta sistematicamente, condannata a livello internazionale per questo, ma con cui il nostro Comune sembra aver deciso di collaborare. Questa vergogna non può essere tollerata e ci aspettiamo un tempestivo intervento degli organi di governo della nostra città, che pure in passato non hanno mancato di esprimere solidarietà al popolo palestinese, perché le parole diventino fatti.











CONTRO LE TRIVELLE
Greenpeace Italia lancia questo appello che volentieri sosteniamo.

Manifestazione a Roma
Ciao angelo,
il 17 Aprile hai la possibilità di scegliere che futuro dare al Paese!
Al Referendum VOTA SÌ e unisciti ORA al movimento che chiede al governo di abbandonare subito i piani di trivellazione dei nostri mari.
Come saprai, sosteniamo da anni che trivellare i nostri fondali in cerca di petrolio è una pazzia che conviene solo a pochissimi, e in nessun modo alla comunità: il governo sta svendendo la bellezza del nostro Paese e i suoi mari per pochi spiccioli.
Il Referendum del 17 aprile riguarda tutto il Paese! Per questo ieri mattina siamo entrati in azione per dirlo forte e chiaro davanti all'Altare della Patria. Il potere di scegliere un futuro migliore ti appartiene: firma ora il tuo impegno a votare SÌ e contribuisci a diffondere la campagna!

Referendum 17 Aprile Vota Sì - Stop Trivelle

L'Italia non si trivella!
Unisciti a noi: il 17 aprile VOTA SÌ e salva l'Italia dai petrolieri!
E tu? Stai con il mare, con le energie pulite, con la bellezza e l'integrità delle nostre coste e delle nostre acque, o con le lobby fossili?
La risposta giusta è VOTARE SÌ al Referendum, e qui ti spieghiamo perché:
- la vera ricchezza della nostra penisola è rappresentata dalla bellezza dei paesaggi, dal mare, dal turismo
- il petrolio è una risorsa estremamente limitata e altamente inquinante
- nessuno può garantire la assoluta sicurezza di una piattaforma offshore e uno sversamento in un mare chiuso come il Mediterraneo avrebbe effetti devastanti per l'ambiente, la fauna marina, il turismo e la pesca sostenibile
- le trivellazioni non arricchiscono gli italiani, ma solo i petrolieri
RICORDA: per fermare le trivellazioni offshore e difendere il nostro mare c'è bisogno del tuo voto.
L'ITALIA NON SI TRIVELLA. Dillo forte e chiaro il 17 Aprile VOTA SÌ
È tempo di scegliere. Se non lo facciamo noi, lo faranno i petrolieri.
Sappiamo di poter contare anche su di te!
Grazie per quello che farai.

È possibile firmare questo appello anche in Rete.
SOSTENIAMO QUESTO APPELLO IN OGNI DOVE
di Nell Greenberg

Domani alla notte degli Oscar i delitti "d'onore" saranno sotto i riflettori di tutto il mondo! In più di 900mila hanno già firmato per mettere fine a questo crimine: firma ora e condividi con tutti, arriviamo a un milione. Saba ha osato sposare l’uomo che amava. Per questo suo padre le ha sparato in testa, ma non andrà in prigione grazie alla legge pakistana del “delitto d’onore”. Ma Saba è sopravvissuta e ora la sua storia è un documentario candidato agli Oscar. Con la premiazione domani, possiamo spingere il Primo Ministro pakistano che è già in difficoltà a cambiare quella legge. Firma l’appello in Rete e condividi con tutti:

Saba
Care amiche e cari amici in tutto il mondo,
Saba è una donna pakistana che ha osato sposare l’uomo che amava. Per questo, suo padre le ha sparato in testa e l’ha gettata in un fiume. E poi ha continuato la sua vita come se niente fosse, protetto dalla legge che permette i cosiddetti "delitti d’onore”. Ma Saba è sopravvissuta ed è diventata un simbolo di speranza. E tra 24 ore avremo l’occasione per aiutarla.
Perché la sua storia è diventata un documentario che sta commuovendo il mondo e domani sera correrà agli Oscar. In difficoltà, il Primo Ministro pakistano ha promesso che fermerà questi crimini e pare che abbia incaricato sua figlia, un’attivista per i diritti umani, di lavorare a una modifica della legge proprio in questi giorni. Ma secondo gli esperti del paese, senza una mobilitazione internazionale proprio in occasione degli Oscar non si riuscirà a superare l’opposizione in Parlamento. Raccogliamo al più presto un milione di firme a sostegno di questa riforma di legge, prima della notte degli Oscar di domani, per fare in modo che la storia di Saba abbia l’attenzione di tutto il mondo, e poi le consegneremo direttamente al Primo Ministro. Firma ora e condividi con tutti, non perdiamo questa occasione unica:

https://secure.avaaz.org/it/pakistan_end_honour_killing_loc_rb/?bhvKTcb&v=73383&cl=9565156676

Nel mondo i delitti "d’onore” uccidono ancora una donna ogni 90 minuti. In Pakistan la legge del 2004 che doveva abolirli non funziona perché c’è una assurda scappatoia: se una donna ha causato “vergogna” alla sua famiglia rifiutando un matrimonio combinato, riservando attenzioni alla persona sbagliata o anche venendo stuprata, può essere uccisa legalmente se la sua famiglia “perdona” l’assassino. Questi crimini non c’entrano niente con l’onore, nè con nobili tradizioni, sono solo la conseguenza di una società che considera le donne come degli oggetti.
Già in passato è stata presentata una proposta di legge per eliminare la scappatoia legale del perdono ma nessuno nel partito di governo l’ha sostenuta con forza. Ora il Primo Ministro, che non si era mai speso su questo tema, ha pubblicamente promesso riforme legali per fermare questi crimini. Ma Saba e tutte le donne pakistane avranno bisogno di tutto il sostegno internazionale possibile per contrastare le enormi resistenze interne e conservatrici e cambiare il sistema.
 Abbiamo 24 ore per far sentire al parlamento Pakistano tutto il peso dell’attenzione mediatica internazionale. Facciamo sì che i protagonisti alla notte degli Oscar siano Saba e la richiesta di togliere l’impunità per i delitti d’onore. Consegneremo le nostre firme direttamente al Primo Ministro e a sua figlia, firma ora e condividi ovunque:

https://secure.avaaz.org/it/pakistan_end_honour_killing_loc_rb/?bhvKTcb&v=73383&cl=9565156676

Davvero ce la possiamo fare. Quando la 15enne Malala fu assalita dai Talebani per il suo sogno di un’istruzione per tutti, il mondo si indignò. E dopo che la nostra comunità raccolse un milione di firme e le consegnò direttamente al Presidente pakistano, egli lanciò un piano di sostegno all’istruzione per 3 milioni di bambini. Questo è quello che succede quando agiamo uniti! Diamo ora la nostra forza alle coraggiose donne pakistane e aiutiamole a scrivere nuove leggi che le tutelino, società che rispettino la loro dignità e comunità che sostengano la loro libertà di decidere per sé stesse.
Con speranza e determinazione,  
Nell, Alaphia, Ari, Dalia, Ricken, Luis, Ben
e tutto il team di Avaaz

MAGGIORI INFORMAZIONI

Il Pakistan e il film-denuncia - Il premier: «Basta delitti d’onore» (Corriere della Sera)
http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_23/pakistan-contro-delitto-onore-premier-il-film-denuncia-nawaz-sharif-sharmeen-obaid-chinoy-a-girl-in-the-river-a983837c-da07-11e5-84e2-5233d26d29b4.shtml

Storie di donne coraggiose in Pakistan (Rainews)
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Storie-di-donne-coraggiose-in-Pakistan-60432ffd-3fdb-4c90-91ec-2e30c0ce9729.html

Pakistan, sposa un uomo contro il volere della famiglia, il padre le spara alla testa (Il Messaggero)
http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/cinema/oakista_delitto_onore_saba_candidata_oscar-1519679.html

Pakistan: delitto d'onore, genitori confessano decapitazione coppia (ADNKronos)
http://www.adnkronos.com/aki-it/sicurezza/2014/06/30/pakistan-delitto-onore-genitori-confessano-decapitazione-coppia_n4IpHbnaezUw8XCV5MQ5gP.html?refresh_ce


PER RIMANERE UMANI
ATENEO LIBERTARIO

Locandina del programma

Locandina del programma

sabato 27 febbraio 2016

ALLI BENIGNI LETTORI


Segnaliamo ai lettori ed alle lettrici di “Odissea”, la bellissima intervista di Laura Margherita Volante al poeta e scrittore marchigiano Alessandro Moscè nella rubrica “Biblioteca di Odissea”, e la conversazione con Lorenzo Spurio sulla poesia, nella rubrica “Officina”. Segnaliamo nella stessa rubrica, le due note di Angelo Gaccione ai libri “Il dominus e altri racconti” di Michele Di Palma e a “Le figlie del diavolo” di Bruno Perini. Buona lettura.



MILANO. FESTIVAL DELL’ESPRESSIVITÀ ALLA SOCIETÀ UMANITARIA DI VIA DAVERIO 7.

L’ASSOCIAZIONE CLINICO-CULTURALE “ARTELIER” PROPONE UNA RICCA E IMPORTANTE RASSEGNA ARTISTICA, TEATRALE, LETTERARIA, SCIENTIFICA,
CULINARIA, PEDAGOGICA, LUDICA, E NON SOLO…
DAL 4 AL 12 MARZO 2016.
UN VERO E PROPRIO EVENTO DA NON PERDERE


Aprire il pdf qui accluso per il programma dettagliato dei singoli eventi proposti.



venerdì 26 febbraio 2016

ECO, CUGLIARI E I CRISANTEMI
di Angelo Gaccione

Umberto Eco

I lettori di questo giornale sanno quanto io ami le lingue madri dialettali, e come ne abbia preso sempre le difese sia scrivendone, sia organizzando incontri pubblici. Quanto agli aforismi, alle frasi secche e perentorie, ai detti, ai motti, ai proverbi, a lacerti, a frammenti, a riflessioni concentrate nella lunghezza di un distico, io ne sono letteralmente “ammorbato” e li vado raccogliendo da un tempo ormai lontano. Potrei citare il volume “Nero su bianco” che ho pubblicato nel lontano 2000; “Il calamaio di Richelieu” uscito addirittura nel 1989; la prima raccolta di aforismi della poetessa Alda Merini da me pubblicata e introdotta; i pensieri e le riflessioni del compianto amico scrittore Giuseppe Bonura pubblicati in un libretto della Piccola Biblioteca di Odissea; le raccolte di tanti altri autori di cui ho favorito la pubblicazione e che portano a volte la mia introduzione, a volte una secca e agile quarta di copertina a mia firma. Una raccolta di oltre 250 fra aforismi, riflessioni e pensieri, messa assieme dal 1977 al 2015 è in corso di stampa sotto il titolo “Il lato estremo” e presto sarà in circolazione. Per quel che riguarda “Odissea”, come ho dichiarato in una intervista a “Torino in Sintesi” -che è l’archivio internazionale di questo genere espressivo, oltre che il premio più prestigioso e rinomato- la nostra testata è stata in assoluto l’unico organo di stampa a tener desta in questi anni l’attenzione sull’aforisma e la riflessione breve, nell’indifferenza quasi generale. Come ben sappiamo, a volte nulla più di una frase secca, di una scheggia acuminata, di un cortocircuito, di un bagliore vivido dell’intelligenza che si condensa in una frase, in una breve proposizione, (non voglio scomodare qui né Karl Kraus né Wittgenstein), riesce a raggiungere l’efficacia e la verità di quanto vogliamo dire e significare. Di quanto vogliamo fotografare e fare imprimere nella mente e nella coscienza di chi ci legge o sta ad ascoltarci. Non stupitevi, dunque, se apro l’editoriale di prima pagina, partendo proprio da una di queste epifanie del pensiero, che ha una doppia virtù: essere riprodotta nella lingua dialettale della mia terra, e di appartenere al genere secco dell’aforisma da me tanto amato. È, come si vede, talmente chiara nella sua formulazione, che non ha bisogno di traduzione; tuttavia segnalo almeno la contrazione del verbo essere su’ (sono), per il lettore che si trovasse in difficoltà davanti a lemma su’ rimasti.

A Rosa è morta, su’ rimasti i spini: Renzi e Verdini”.

Antonio Cugliari

Ne è autore un intellettuale calabrese, Antonio Cugliari (Tonino per quelli che come me lo hanno conosciuto e frequentato), e che come noi, naviganti e sognatori di “Odissea”, non si è arreso, e ogni tanto, da vecchio leone, allunga la zampa sull’orrida e mefitica realtà che ci circonda, e prova a graffiare. Questa volta lo fa con una frase secca, sconsolata ma efficacissima, velata com’è da una amara ironia. Vediamola in dettaglio. La frase è dedicata a Umberto Eco e alla sua scomparsa. Personalmente non ero al funerale di Eco al Castello Sforzesco perché non stavo bene; ma se anche fossi stato in piena forma, non ci avrei messo piede per due ragioni. La prima, e ne ho più volte scritto su questo giornale, non amo i funerali che si trasformano in spettacolo con quella oscena passerella di Vip più o meno televisivi appartenenti alla cronaca rosa e nera. Ribadisco: ci deve essere un tempo per il dolore, il raccoglimento, il silenzio, la meditazione privata, e un tempo per la dimensione pubblica, lo spazio civile, che deve venire dopo, molto dopo. Su questa degenerazione che ha invaso ogni ambito privato per farsi spettacolo, ho scritto un duro e satirico racconto dal titolo “Siria”, e si trova a pagina 63 del libro “La signorina volentieri” uscito nel 2013. La seconda ragione è che non sopporto le Autorità che vi prendono parte, e tanto meno i loro messaggi (falsi e retorici) e le loro corone. Ai miei funerali non li gradirei. Vogliamo soffermarci sul golpe bianco dell’ex presidente della Repubblica Napolitano che affida il governo al bocconiano Monti esautorando di fatto Parlamento e corpo elettorale? Vogliamo soffermarci sullo svuotamento dei postulati resistenziali, ideali per i quali una generazione di uomini, donne e ragazzi (alcuni non avevano ancora vent’anni), si sono immolati, ad opera dei conducător della Nazione? O sull’oscena politica militare e guerrafondaia che ha dissanguato il Paese riducendo a zero l’impegno per la cultura, i beni culturali e ambientali, il paesaggio e il territorio? Che ha prodotto nel giro di un trentennio lo svuotamento di vastissime aree del Mezzogiorno, con flussi migratori di generazioni colte e istruite, e pauperizzandolo in maniera irreversibile del capitale umano, senza il quale nessun altro tipo di capitale è in grado di risollevarne le sorti? Chi ha un minimo di dimestichezza con la scrittura, i libri e le apparizioni pubbliche di Eco, sa benissimo che tutto ciò stride e fa a pugni con gli uomini che, a morte avvenuta, ne rivendicano l’accaparramento.

La Rosa a cui fa riferimento Cugliari è chiaramente “Il nome della rosa”, il celebre romanzo gotico di Eco. Con la morte del suo autore, ci vuole dire Cugliari, se n’è andato il profumo vivo della poesia, della creazione, della bellezza; la regina dei fiori, la più bella di essi, è appassita. Il suo giardino è rimasto brullo, cupo. Rovi e spine ne invadono il recinto, e sono rovi e spine nocive, mortifere, che imbruttiscono il paesaggio. Perché a dominare sono rimasti personaggi come Renzi e Verdini; l’accoppiata toscana vincente, gli emblemi del trasformismo e della menzogna; delle lobbies che si sono accaparrate le leve che contano e se ne servono bene. Anche Renzi è un prodotto “tossico” di Napolitano (l’amerikano, il nobile senza blasone, il suddista che non ha mosso un dito per il Sud e per questo sarà ricordato. Con lui presidente, le ferrovie meridionali sono tornate a com’erano prima dei Borbone): un presidente eletto da nessuno che modifica la sua maggioranza inglobando il gruppo inconsistente di voltagabbana di un bancarottiere che nasce berlusconiano e finisce renziano, senza che Mattarella batta un ciglio e ne chieda conto. La Rosa è morta, resta solo il lezzo dei crisantemi.  
LIBERTARI A BELLINZONA

La locandina dell'evento

UE: fermate l’importazione di legname illegale
di Salviamo la foresta

L’importazione illegale di legname finanzia la guerra civile in Africa 
Le vaste e rigogliose foreste della Repubblica Centrafricana sono in pericolo. La guerra civile fomenta l’abbattimento illegale di alberi e l’esportazione del legname verso l’Europa per il finanziamento delle milizie locali. La UE deve porre fine alle importazioni con il paese centrafricano.

Un camion trasporta legname illegale Foto © Global Witness 

Situata in prossimità del Bacino del Congo, una delle più grandi zone forestali del pianeta, la Repubblica Centrafricana è un paese estremamente povero. Le sue risorse naturali, come ad esempio i diamanti, gli hanno portato soltanto miseria.
Il paese è devastato a causa di una violenta guerra civile. Le coalizioni armate terrorizzano la popolazione. Dal 2013, oltre 5.000 persone sono state uccise e centinaia di migliaia sono state sfollate violentemente.
L’organizzazione Global Witness ha accusato alcune compagnie europee importatrici di acquistare legname dai gruppi armati centrafricani, contribuendo quindi a finanziarli. Secondo la ONG, i gruppi armati avrebbero guadagnato in questo modo 3,4 milioni di euro, solo nel 2013. Attualmente i miliziani estorcono denaro imponendo posti di blocco, offrendo in cambio la loro “protezione” armata. Quello che fanno, invece, è terrorizzare la popolazione in particolare nella zona forestale nel sud-est del paese.
La politica della UE ha fallito nella lotta contro il legname illegale.
La guerra non sembra importare ai commercianti di legname. Grazie ad una telecamera nascosta, Global Witness, ha registrato quanto dice un membro della compagnia francese Tropica –Bois: “Questa è l’Africa. [La Guerra] è talmente una prassi che non ci fa più neanche caso…”
Francia e Germania sono particolarmente implicate nel commercio di legname centrafricano: il 20% delle esportazioni vanno verso la Francia, il 32% verso la Germania. Le compagnie Johann D. Voss e Tropica-Bois respingono le accuse sulla provenienza illegale del legname che commerciano.
L’UE deve impedire l’importazione di legname proveniente dalla Repubblica Centrafricana. Il regolamento contro il commercio di legname illegale a livello nazionale ed europeo deve essere rinforzato.
IL BUON SAMARITANO.
“Chi si prende cura è il sale della terra”
                                                           A.G.

Chi parte da una condizione svantaggiata, chi ha un'infanzia difficile rischia di diventare un adolescente borderline, di non avere prospettive. Si chiamano “bambini senza”, senza libri, senza vacanze, senza cinema, senza… La nostra sfida è educativa e contrasta la povertà sociale e culturale di un gruppo di minori che vive nel quartiere Molise Calvairate di Milano

Tombolata

Allons Enfants! è un'associazione di volontariato iscritta all'Albo delle ONLUS della Regione Lombardia (iscrizione: numero progressivo MI-652). Da tre anni svolge azioni di supporto scolastico gratuito (in modo continuativo nel tempo sulla base di un progetto educativo e formativo individualizzato). Si rivolge a minori, italiani e stranieri, iscritti alle scuole elementari della zona, Istituto Tommaso Grossi, che vivono in un contesto svantaggiato, che fanno parte di quei “bambini senza”, fonte Save the Children, l'Atlante dell'infanzia (a rischio). Bambini senza. Coordinate e cause delle povertà minorili. Gli iscritti, al momento sono 12, per lo più inviati da UONPIA, Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza del distretto di zona (viale Puglia).  Sono bimbi dalla seconda elementare in poi e vengono seguiti individualmente garantendo continuità, condizione indispensabile per costruire relazioni affettive e di fiducia. E' nostra intenzione seguirli sino alla fine delle medie inferiori, nella speranza di arginare la possibilità di un loro abbandono scolastico (oggi lo 0,2%degli scritti non finisce le medie, fonte MIUR).
La condizione di subalternità sociale, culturale, economica provoca esclusione, difficoltà comportamentali, sofferenze, problemi di relazione, insuccessi scolastici.  La nostra attività mira a prevenire e contenere il disagio e la dispersione scolastica. Operiamo nella convinzione che la costruzione di relazioni positive conduca a processi di integrazione e interazione, di convivenza fra le diversità. Inoltre, la costruzione di una rete che coinvolge soggetti diversi e strettamente collegati come scuola (Istituto Comprensivo Tommaso Grossi Via Montevelino 24 di Milano) UONPIA, Servizi Sociali, Sistema Song per la Lombardia- con nucleo sperimentale a scuola che conta diversi bimbi iscritti al doposcuola- famiglie rende possibile l'incrocio di informazioni per un costante ed effettivo monitoraggio, utile a individuare i blocchi scolastici e le relazioni critiche che sfociano in disagio comportamentale.

Laboratorio di scrittura creativa


Gli interventi messi in atto non sono casuali, discendono dalla formazione per i volontari (20), affidata ad una equipe di esperti del Laboratorio per la prevenzione dell'insuccesso scolastico, (www.laboratoriolapis.com). Per questo organizziamo gratuitamente attività formative di primo livello per i neo volontari. Gli argomenti trattati prevedono sia una parte teorica che pratica, con la creazione di materiale e/o attività fruibili nella pratica quotidiana e supervisione in itinere. L'esperienza della scorsa formazione ha contribuito alle promozione di tutti gli iscritti. Il corso avanzato, destinato a chi ha già frequentato il primo livello, consolida il patrimonio di conoscenze e  auspica il coinvolgimento  attivo dei genitori al progetto educativo del proprio figlio. Inoltre, le attività formative si rivelano per i volontari come percorsi di promozione del sé e del ruolo sociale che svolgono.
MILANO. 8 MARZO ALLA PALAZZINA LIBERTY

Per ingrandire cliccare sulla locandina

POETI ALL'OFFICINA
Sabato 27 febbraio ore 18,30
all'Officina Coviello
Via Tadino 20 -Milano
La locandina dell'incontro


Al via la prima mostra del progetto Ruotando Art&Show
“Fascino, passione, follia”
che porta l’arte visiva in luoghi inconsueti e fa incontrare pubblici diversi.
Dal 03 al 20 marzo 2016, Teatro LinearCiak, Milano
mostra d’arte contemporanea ispirata al musical
“Notre Dame de Paris”

Inaugurazione
Giovedì 03 marzo 2016 ore 18,30

La locandina dell'evento


L’arte visiva approda in posti inconsueti e incontra pubblici nuovi con la prima tappa del progetto Ruotando Art&Show che nel giorno del suo debutto ufficiale, giovedì 3 marzo, metterà in mostra, nella galleria del foyer al Teatro LinearCiak di Milano, una serie di opere contemporanee liberamente ispirate al musical “Notre Dame de Paris” (in scena dal 3 al 26 marzo).
Musica, poesia ed arte visiva troveranno così nuova linfa e una sinergia reciproca, completandosi in una rappresentazione del reale fortemente emozionale.
Il progetto Ruotando Art&Show che inizia la propria esperienza con questa intensa esposizione, si propone di aiutare l’arte in un nuovo cammino fuori dai circuiti tradizionali e spesso autoreferenziali e di accompagnarla là dove altre arti si muovono, a incontrare il grande pubblico e a scoprire nuovi mondi, in un cammino di cambiamento e modernizzazione.
 “Ruotando è punto di arrivo di molte esperienze artistiche e culturali- dichiara  Vanna Mazzei, operatrice culturale e mente del progetto insieme a Barbara Pietrasanta- rappresenta per me un nuovo modo per sperimentare, scoprire e conoscere realtà, per fare, diffondere e comunicare arte nel presente in continuo cambiamento”
 “Oggi assistiamo a uno stagnamento della fruizione dell’arte contemporanea, troppo spesso chiusa tra le pareti di luoghi autoreferenziali” afferma Barbara Pietrasanta, artista ed esperta di comunicazione. “Ruotando vuole riavvicinare il grande pubblico alla comprensione dei messaggi dell’arte, facendola vivere in luoghi nuovi e dialogare con altre forme di espressione”
Mario Bernardinello, Rita Bertrecchi, Loredana Corallo, Isa Di Battista Gorini, Grazia Degani, Ezio Foglia, Galleria Rossini, Daniela Gilardoni, Matteo Lausetti, Fiorella Limido, Lydia Lorenzi, Loredana Marinelli, Alfredo Mazzotta, Massimo Nesti, Barbara Pietrasanta, Daniela Quaglia, Gianluigi Serravalli, topylabrys, Gabriella Torchio, sono gli artisti di questa prima mostra, selezionati per i loro differenti linguaggi “poetici” e per rappresentare, quindi, un’ampia visione sul panorama dell’arte contemporanea. In omaggio a Alberto Ghinzani, sarà poi  proposta un’opera del grande scultore scomparso un anno fa.
L’inaugurazione di giovedì 3 marzo 2016,  alle ore 18,30, sarà accompagnata da una performance del laboratorio di circo “quattrox4” e da un raffinato rinfresco, con le creazioni gastronomiche di Enrico Rizzi.
Questo è solo l’inizio di un lungo cammino verso nuovi orizzonti per l’arte contemporanea, RUOTANDO verso nuove scoperte.

Mostra d'Arte Contemporanea
Fascino, passione, follia
dal 03 al 20 marzo 2016
in contemporanea con lo spettacolo
Notre Dame de Paris
Inaugurazione
Giovedì 03 marzo 2016 ore 18,30
Teatro LinearCiak
Viale Puglie/Via Tertulliano – 20137 Milano

lunedì 22 febbraio 2016

NOVARA. ARCHIVI E “TENTAZIONI”
di Giulia Marchina
Chiara Pasetti 

È possibile risvegliare un archivio notarile, seppur molto affascinante nella sua austerità e nella traccia dei secoli che si porta con sé, dal fiero silenzio delle sue carte, e farne un centro propulsore di riflessione culturale, anche solo per una manciata di ore? A Novara sembra proprio che questo possa avvenire: non solo, da un po’ di tempo a questa parte, grazie anche a finanziamenti di persone generose e sensibili, che non desiderano nemmeno in alcuni casi essere segnalate o indicate con i propri “loghi”, e all'attività dell'Associazione “Le Rêve et la vie”, rappresentata dalla Presidente Chiara Pasetti, i sogni sembrano, come è scritto nel nome stesso dell'associazione, tramutarsi in realtà! Proprio l’Archivio di Stato novarese di Corso Cavallotti ha ospitato il 19 febbraio «Le Tentazioni di Sant’Antonio», una feconda giornata dedicata alla particolare esperienza estetica (ed estatica) che coinvolse a Genova il giovanissimo Gustave Flaubert, permettendogli di legarsi per il resto della sua vita alla magnifica opera pittorica attribuita a Pieter Brueghel il Giovane e da cui proprio quest’evento prende a prestito il titolo (e che ora si trova nuovamente nel capoluogo ligure, nella splendida Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, dove si era tenuto nel novembre del 2015 per la prima volta un pomeriggio di studio a cura della stessa Chiara Pasetti, con lettura teatrale a seguire, su questo tema così ricco di stimoli, con grande successo di pubblico e critica, e sotto la superba orchestrazione della Direttrice della Galleria, Farida Simonetti). A partire da quel dipinto cinquecentesco Flaubert scrisse la prima versione, del 1849, mai pubblicata in vita, una seconda riduzione nel 1856 (pubblicata su L'Artiste), e un'ultima versione, la sola pubblicata, nel 1874. Davvero, come lui stesso scrisse, l'opera di tutta la sua vita, “camera segreta del suo spirito”, secondo le sublimi parole di Baudelaire.

Uno scorcio del magnifico Archivio di Stato di Novara. 
Nella foto Chiara Pasetti e Mauro Manica

Davanti a un pubblico numeroso oltre le aspettative (fin troppo, tant'è vero che le sedie in sala non erano sufficienti a far sedere tutti, e qualcuno ahimè è rimasto in piedi, poiché il posto poteva accogliere non più di 90 posti a sedere, quando gli ingressi hanno senza dubbio superato questa cifra! Meno male però che anche in una piccola provincia come Novara eventi di tale qualità risvegliano tanto interesse), il momento di conferenze si è aperto alle 16.30 con l’intervento di Chiara Pasetti, cui si deve l’idea di valorizzare e celebrare, a distanza di oltre un secolo e mezzo (Flaubert scoprì il dipinto durante un viaggio in Italia nel 1845), questa affascinante congiuntura artistica. La relatrice ha ripercorso gli episodi essenziali della biografia flaubertiana citando alcuni passi dalla Correspondance e dagli scritti giovanili (in cui si radica la Tentazione), e dando particolare attenzione alla genesi e alla lunga gestazione di quell’opera sublime, eppure quasi del tutto dimenticata dalla critica italiana, che è La Tentazione di sant’Antonio, un’officina aperta per l’autore, dalla quale è potuta nascere anche l’idea del romanzo Madame Bovary.
A seguire il Dottor Mauro Manica, psichiatra e psicoanalista, autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue (si ricorda in particolare il suo ultimo lavoro, Intercettare il sogno. Sviluppi traumatici e progressione onirica nel discorso psicoanalitico, edizioni Borla 2015), ha passato in rassegna, proiettando molti dipinti, i motivi che hanno determinato a partire dal XV secolo una così ricca tradizione pittorica (quasi “un’ossessione transgenerazionale” nel caso dei vari Brughel che hanno scelto di dipingere le Tentazioni di sant'Antonio) delle visioni del celebre anacoreta vissuto nel deserto egiziano tra i III e il IV secolo d. C. Per spiegare quella sorta di sindrome di Stendhal all’ennesima potenza che è valsa a Flaubert l’ispirazione di una vita, il dottore ha scandagliato la mente e i traumi dello scrittore francese, facendo riferimento, in termini sartriani, alle tappe del suo percorso da “idiota” a “poppante saggio” a “genio”. Una prospettiva che, prendendo spunto da Sartre e da psicoanalisti suoi contemporanei, fino ai giorni nostri come Massimo Recalcati, giunge a esiti decisamente più nuovi, efficaci e convincenti nell'interpretare sogni, malattie, disturbi e soprattutto affinità tra il giovane Brueghel, il giovane Flaubert e il santo.

L'attore Andrea Gattinoni nell'interpretazione
del testo di Chiara Pasetti 
Alle ore 19 la bella sala dell’Archivio di Stato si è tramutata in una buia e suggestiva caverna, in cui ha risuonato la voce di Andrea Gattinoni, attore e regista che ha magistralmente interpretato il testo della Tentazione di sant’Antonio di Flaubert, nella splendida veste che Chiara Pasetti ha saputo dare con la sua opera di intera ritraduzione e riduzione drammaturgica. Gattinoni è riuscito da solo, senza alcun bisogno di cambi o pause di sorta, a creare un vero e proprio caleidoscopio di voci che rifrangendosi (grazie all’abile uso che ha fatto a computer delle distorsioni audio) hanno annullato il tempo e lo spazio, regalando agli spettatori la rara e preziosa esperienza della visione (Flaubert avrebbe detto dell'allucinazione artistica). Pochi prima si erano cimentati e nessuno in Italia (una sola messa in scena della Tentazione di sant'Antonio era stata realizzata nel 1967 a Parigi, all'Odéon, per la regia di Maurice Béjart): un motivo c’è ed è a mio avviso che la densa materia del sogno flaubertiano richiede non soltanto uno studio profondo e appassionato, non solo un’affinata capacità attoriale di sapersi calare nei meandri di quest'opera complessa, “cafarnao pandemoniaco della solitudine” secondo le parole di Baudelaire, potendo interpretare di volta in volta sant’Antonio, la Regina di Saba, il Diavolo, la Lussuria, nonché l'autore stesso, Flaubert… ma credo necessiti di una cifra personale, ed è quella di una maledetta visionarietà, caratteristica che certamente accomuna Flaubert, Brueghel, sant'Antonio. E certamente Chiara Pasetti e Andrea Gattinoni.
Attendiamo i prossimi appuntamenti dell'Associazione “Le Rêve et la vie”, sperando che il pubblico sia sempre così caldo e numeroso, e che la prossima volta ci siano sedie sufficienti per tutti, senza che i vigili del fuoco possano fare multe a “folli sognatori” (Angelo Gaccione li ha giustamente così battezzati) che realizzano, o assistono, a eventi culturali di tale pregio!
[Per essere informati sulle prossime iniziative: www.lereveetlavie.it]
Per Giuliano Zosi scomparso ieri, 20 febbraio 2016
di Adam Vaccaro

 Come preannunciato, vi comunico ore e luoghi relativi alle fasi della cerimonia funebre di domani:
- Alle ore 9,45 il feretro partirà dalla Casa Funeraria San Siro, Via Amantea 2, Milano (Baggio).
- Alle ore 11 saremo alla Sala Polifunzionale del Cimitero di Lambrate, per l'ultimo laico saluto al carissimo Giuliano. Ringraziamo con affetto coloro che potranno partecipare (e sono a disposizione per eventuali ulteriori informazioni).
Adam
A destra della foto il compianto Giuliano Zosi con il suo caro amico
il poeta e critico Adam Vaccaro 

Giuliano Zosi è stato un esempio di artista e di poeta che non poteva concepire alcuna azione creativa senza passione antropologica e civile, che rifiutava la povertà di sensi di ogni gesto autoreferenziale e appagato di sé, entro un orizzonte personale o di esercizio tecnico di questa o quella forma espressiva. Difficile, molto difficile, per me sarà constatare l'assenza di Giuliano, dopo tanti anni di contatti, scambi creativi e umani, dentro e fuori Milanocosa, di qualità così rara nel mondo d'oggi. Giuliano è stato per me un fratello e una fonte di energia insostituibili.
Riporto e gli dedico qui un testo nato da uno dei nostri scambi, dopo l’ascolto di un suo brano, suonato in casa al pianoforte per avere le mie impressioni. Dopo di che scrisse su tale testo un’altra composizione, che venne inserita ed eseguita in Canti e Discanti, tre giornate di Milanocosa al Cam Garibaldi, giugno 2008.
Fu una esperienza straordinaria, che Giuliano ha poi narrato in diversi sui scritti, non ultimo nel suo libro “Musica / Poesia, Mitologia di un’esperienza”, Sedizioni, Milano 2014.


 Sconfinata landa

Sconfinata deserta landa di luce uccisa
d’uccelli vorticanti e cavalli scalpitanti
d’insolenti campane che agitano il silenzio
di fanciulle e fiori
d’acuminati feroci infuocati strali
sulla pelle che geme arcaica
sonata estratta da dolci lampi
della nostra miseria sacrato raccolto
sul lembo che copre candido
la pietra in sangue d’innumerevoli
sacrifici consumati dal tempo
e tu che qui risuoni ancora cercando aprendo
Adam Vaccaro
(27 novembre 2006)

domenica 21 febbraio 2016

È MORTO IL MUSICISTA E POETA GIULIANO ZOSI

Giuliano Zosi
Cari tutti,
il percorso umano di Giuliano Zosi si è concluso ieri sera.
Il carissimo amico e socio vitale di tante iniziative di “Milanocosa” ci ha lasciati.
Superfluo dire il dolore che proviamo.
Il corpo è esposto alla Casa Funeraria San Siro, via Amantea 2, Milano.
Per quanto riguarda il funerale, sappiamo per ora che sarà nella mattinata di martedì, presso il cimitero di Lambrate.
Comunicherò, non appena disponibili, dati e orari precisi.
Adam Vaccaro
PER UMBERTO ECO
RAGIONARE ALLA POE
di Fabrizio Amadori

"Credo però di avere subito la mia esperienza aristotelica decisiva
leggendo la Philosophy of Composition di E. A. Poe",  

Umberto Eco (Da: Sulla letteratura, Bompiani, 2002, p. 256)

In onore di Umberto Eco, e per ricordarne la scomparsa avvenuta ieri a Milano, pubblichiamo questo lungo scritto di Fabrizio Amadori dal titolo “Ragionare alla Poe”. Eco considerava “Filosofia della composizione” di Poe un testo “straordinario”, lo scrive lui stesso in “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, (Bompiani, 1994, p.57). Eco tornerà anche altrove su questo testo di Poe. Grave perdita per la cultura italiana ed internazionale, Eco aveva assunto il ruolo di coscienza critica soprattutto durante gli anni berlusconiani. Crediamo tuttavia poco al cordoglio espresso dai politici e dalle istituzioni italiane: basti pensare al ruolo marginale a cui la loro insipienza ha costretto la lingua italiana (la lingua usata dal narratore e intellettuale Umberto Eco), fra le più ricche e letterariamente più valide esistenti. Non l’hanno difesa in nessun consesso internazionale, tant’è che i documenti del Parlamento Europeo non vengono più neppure tradotti nella nostra lingua. Lo aveva denunciato a suo tempo la scrittrice Gina Lagorio sull’edizione cartacea di “Odissea”, e più volte ce ne siamo occupati.    

Umberto Eco

Scrive Poe in un suo famoso saggio, Filosofia della composizione, non molto conosciuto per la verità in Italia dal grande pubblico: “Preferisco iniziare con la considerazione di un effetto. Tenendo sempre presente l’originalità… io anzitutto mi chiedo: fra gli innumerevoli effetti, o impressioni, di cui il cuore, l’intelletto, o (più generalmente) l’anima è suscettibile, quale devo scegliere nel caso presente?”
Poi Poe si chiede come mai un articolo sui procedimenti che hanno portato un autore a terminare una composizione non sia mai stato scritto. Egli crede che ciò sia dovuto alla vanità.
“I più degli scrittori, infatti, preferiscono far credere che essi compongono con una specie di sottile frenesia… e certamente rabbrividirebbero di permettere al pubblico di vedere dietro la scena le elaborate e vacillanti crudezze del pensiero.”
Così Poe decide di scriverlo lui questo articolo. E sceglie Il Corvo per farlo, ossia una poesia.
“È mia intenzione dimostrare che nessuna parte di essa fu dovuta al caso o all’intuizione, che l’opera procedette, passo passo, al suo compimento con la precisione e la rigida conseguenza di un problema matematico”.
“Le prime considerazioni furono sull’estensione. Se un’opera letteraria è troppo lunga per essere letta in una sola seduta, noi dobbiamo rinunciare all’effetto, immensamente importante, che è dato dall’unità d’impressione, perché interferiscono nella lettura le faccende del mondo e, così, ogni cosa in quanto totalità è subito distrutta.”

E. A. Poe

Così Poe decide di scrivere una poesia non più lunga di cento versi. In questo in realtà Poe segue Aristotele, che ne La poetica scrive: “(…) Come i corpi e gli esseri viventi debbono possedere una grandezza che si possa ben percepire, così le favole debbono avere un’estensione che possa venir tutta ben compresa nella memoria”.
“Mi preoccupai subito dopo della scelta dell’impressione, o effetto, che dovevo produrre; e qui posso osservare che, in tutta la costruzione, tenni fermamente presente il proposito di rendere l’opera universalmente apprezzabile…”
E poiché: “quando gli uomini parlano di Bellezza non intendono precisamente una qualità, come si suppone, ma un effetto” è evidente che tale effetto Poe doveva raggiungere.
Poe continua così:
“Considerando dunque come mio fine la Bellezza, mi proposi subito di determinare il tono della sua più alta manifestazione, e ogni esperienza ha dimostrato che questo tono è quello della tristezza. La Bellezza di ogni specie, nelle sue più alte manifestazioni, invariabilmente muove alle lacrime l’anima sensibile. La malinconia è dunque il più proprio di tutti i tono poetici. Avendo determinato la lunghezza, il fine ed il tono, ricorsi al comune metodo induttivo, allo scopo di trovare qualcosa di artisticamente piccante che potesse servirmi come nota fondamentale nella costruzione della poesia, qualche perno su cui potesse girare l’intera struttura. Pensando accuratamente a tutti gli usuali effetti artistici -o più semplicemente trovate, in senso teatrale- non mancai di scorgere immediatamente che nessuno era stato così universalmente usato come il refrain. Nel suo uso comune, il ritornello non solo è limitato alla poesia lirica, ma dipende anche per il suo effetto dalla forza della monotonia – sia riguardo al suono che al pensiero (grassetto d.A.). Il piacere è derivato soltanto dal senso di identità – di ripetizione. Io decisi di variare, e così accrescere, l’effetto, mantenendo, in generale, la monotonia del suono e variando continuamente il pensiero: vale a dire, decisi di produrre continuamente nuovi effetti variando l’applicazione del ritornello – il ritornello stesso restando, per lo più, invariato. Il ritornello stesso doveva essere breve, dato che qualsiasi frase lunga avrebbe presentato insormontabili difficoltà nelle frequenti variazioni di applicazione. La facilità della variazione sarebbe stata naturalmente proporzionata alla brevità della frase. Queste considerazioni mi indussero subito a prendere un’unica parola come il miglior ritornello.”
Adottando il ritornello la poesia, ovviamente, doveva essere divisa in stanze: il ritornello doveva chiudere ognuna di esse.
“Non c’era dubbio che una tale chiusa, per avere efficacia, doveva essere sonora e capace di una sonorità prolungata; furono queste considerazioni che mi indussero, inevitabilmente, ad adottare l’o lunga, come la vocale più sonora, in unione alla r, come la consonante più prolungabile.”
Quale parola conteneva entrambe? La prima che venne in mente a Poe fu nevermore (mai più).
“Il successivo desideratum fu un pretesto per il continuo uso della sola parola nevermore. Considerando la difficoltà che subito trovai nell’inventare una ragione sufficientemente plausibile per la sua continua ripetizione, non mancai di accorgermi ch’essa nasceva unicamente dal preconcetto che la parola dovesse essere così continuamente o monotonamente ripetuta da un essere umano, non mancai di accorgermi, in breve, che la difficoltà consisteva nel conciliare questa monotonia con l’uso della ragione da parte della creatura che ripeteva la parola. A questo punto, mi nacque immediatamente l’idea di una creatura non razionale e tuttavia capace di parlare; e dapprima, molto naturalmente, pensai ad un pappagallo; ma subito lo sostituii con un corvo, come ugualmente capace di parlare e infinitamente più adatto per mantenere il tono stabilito.”
Ricapitolando: abbiamo adesso un corvo, un uccello di cattivo presagio, che ripete una sola parola, nevermore, alla conclusione di ogni stanza di una poesia di tono malinconico e della lunghezza di circa cento versi. A tal punto Poe si chiese quale fosse l’argomento malinconico per definizione. La Morte. E quando tale argomento diventa massimamente poetico? Quando è legato alla Bellezza. Quindi la morte di una bella donna è l’argomento più poetico del mondo. Ma le labbra più adatte per trattare tale argomento sono quelle dell’amato (non quelle di un corvo, animale privo di ragione  e di cuore). Ricapitolando ancora una volta, adesso bisogna unire le due idee, di un amante che piange la sua donna morta e di un corvo che continuamente ripete la parola nevermore.
“E dovendo unirle senza mai dimenticare l’idea di variare, ogni volta, l’applicazione della parola ripetuta, pensai che l’unico modo intelligibile per una tale unione fosse quello di immaginare che il corvo usi la parola come risposta alle domande dell’amante (la forma guida la scelta dei contenuti insomma, n.d.A.). E fu qui che vidi subito l’opportunità che m’era offerta di ottenere l’effetto su cui avevo contato – cioè, l’effetto della variazione di applicazione (rimanendo uguale il ritornello, n.d.A.). Compresi che potevo far proporre la prima domanda all’amante – la prima domanda alla quale il corvo avrebbe risposto nevermore –, e che essa avrebbe potuto essere una domanda banale, la seconda meno, la terza ancora meno, e così via, finché alla fine l’amante, atterrito e scosso dalla sua primitiva nonchalance, dal carattere malinconico della parola stessa, dalla sua frequente ripetizione e dalla considerazione della sinistra fama dell’uccello che la dice, è preso da superstizione e fa tutto agitato domande assai diverse; domande la cui risposta gli sta profondamente a cuore e che fa parte per superstizione e parte per quella specie di disperazione in cui si gode a tormentare se stessi – non le fa cioè perché crede alla natura profetica o demoniaca dell’uccello (che, come la ragione lo rassicura, non fa che ripetere una lezione meccanicamente imparata), ma perché prova un piacere frenetico nel formulare le sue domande in modo da avere dall’atteso nevermore quel dolore che è il più delizioso perché il più intollerabile.Vedendo l’opportunità che così mi era offerta – o, più esattamente, che così mi si imponeva nello sviluppo della costruzione – stabilii innanzitutto nella mente il climax, o la domanda finale – quella domanda alla quale per l’ultima volta sarebbe stato risposto nevermore – quella domanda in risposta alla quale questa parola nevermore avrebbe comportato il massimo immaginabile di dolore e disperazione. Si può dire che la poesia abbia avuto il suo inizio a questo punto – cioè alla fine, dove ogni opera d’arte dovrebbe incominciare (così come, ripeto, furono considerazioni circa aspetti formali - cos’altro sono infatti quelle che riguardano l’effetto [il ritornello corto fu scelto per l’effetto, ma una parola ha anche un significato]? - a determinare i contenuti) – poiché fu a questo punto delle mie considerazioni preliminari che cominciai a scrivere componendo la stanza finale:
“Profeta,” dissi “creatura del male! Profeta tuttavia,
[sii tu uccello o demonio
Per il cielo che s’incurva su di noi, per il Dio che
[entrambi adoriamo
Di’ a quest’anima oppressa dal dolore se nel lontano
[Eden
Abbraccerà una santa fanciulla che gli angeli chiamano Leonora,
Abbraccerà una radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Leonora.”
Disse il corvo: “Mai più”.


Poe aggiunge:
“Se nel comporre il resto fossi riuscito a costruire stanze di maggiore efficacia, le avrei, senza scrupoli, indebolite di proposito, così da non perdere l’effetto della stanza culminante.
E ora posso parlare brevemente della versificazione… L’originalità (in questo campo, n.d.A.) non è per nulla una questione d’istinto o di intuizione, come alcuni credono. In genere, per raggiungerla bisogna laboriosamente cercarla, e, benché valore positivo della più alta specie, a conseguirla si richiede meno l’invenzione che la sua negazione.”
Ora, ciascuno dei versi de Il corvo singolarmente preso è già stato usato, e tutta l’originalità della poesia “consiste nella loro combinazione nella stanza”. Altro punto da esaminare era l’ambiente. Dice Poe: “Mi è sempre sembrato che una precisa circoscrizione dello spazio sia assolutamente necessaria all’effetto di un avvenimento isolato: essa ha l’efficacia di una cornice per un quadro. Essa possiede un indiscutibile potere morale nel mantenere concentrata l’attenzione… Decisi quindi di porre l’amante nella sua stanza.”
Una stanza riccamente arredata per dare il senso di quella Bellezza di cui si parlava prima. Poe termina così: “Dovevo quindi introdurre l’uccello – e il pensiero di farlo entrare dalla finestra era inevitabile. L’idea di far sì che in un primo momento l’amante supponga che lo sbattere delle ali dell’uccello contro l’imposta sia un bussare alla porta, nacque dal desiderio di accrescere la curiosità del lettore col prolungarla e dal desiderio di sfruttare l’effetto incidentale che si ha quando l’amante spalanca la porta, trova tutto buio e allora fantastica che sia stato lo spirito dell’amata a battere la porta. Feci la notte tempestosa, anzitutto per giustificare il fatto che il corvo cerca di entrare, e, in secondo luogo, per ottenere un effetto di contrasto con la serenità (materiale) che c’è dentro la stanza. Feci che il corvo si posasse sul busto di Pallade, pure per l’effetto di contrasto fra il marmo (bianco, n.d.A.) e le penne (nere, n.d.A.). Essendo sottinteso che l’idea del busto fu assolutamente suggerita dall’uccello, basterà aggiungere che fu scelto il busto di Pallade anzitutto come il più adatto all’erudizione dell’amante, e, in secondo luogo, per la sonorità del nome Pallade.”


Poe fa ancora alcune considerazioni, ma secondo me queste bastano a rendere bene l’idea di cosa significhi badare all’effetto, ossia alle reazioni del lettore, e cioè, in ultima analisi, alla psicologia.
Si tenga comunque presente che ci vollero tre anni a Poe per portare a termine il suo capolavoro poetico, ed è molto probabile che abbia tratto ispirazione da un altro poema di quel periodo per il famoso ritornello nevermore. Ecco un tentativo semplice di come adottare il metodo di Poe per la prosa.
1) Ho intenzione di creare un giallo.
Qual è il linguaggio più comprensibile? Quello televisivo. Esso infatti è costituito di battute brevi e secche.
2) Voglio creare un rapporto di confidenza e di simpatia tra il mio lettore ed il poliziotto. Desidero infatti che il lettore stia dalla sua parte.
Capisco subito, però, che il lettore sta sempre dalla parte dell’investigatore. Ma per renderlo più simpatico decido di usare una tecnica collaudata, quella che determina appunto il tono della confidenza: la prima persona. Essa crea un filo diretto tra protagonista e lettore e così ogni occasione è buona per evidenziare il carattere di chi parla. Il lettore infatti, trattandosi di un giallo, a maggior ragione non si perderà una parola del protagonista: decido perciò di fargli dire delle cose simpatiche e gentili. Il mio protagonista, insomma, non deve sembrare un poliziotto.
3) Non avendo letto molta narrativa del genere decido di rivolgermi ai film.
4) Comprendo subito che il film del genere più amato e che meglio si presta ad una versione letteraria è la serie televisiva Colombo.
La bellezza di tale serie risiede innanzitutto nella capacità di indagine del protagonista, una capacità che definirei logica (quella di Derrick è invece piuttosto intuitiva, e sfrutta molto le caratteristiche psicologiche degli indagati).
Decido di togliere la prima parte, quella in cui nel film si vede agire l’assassino: questo per allontanarmi dal mio modello ed impedire un troppo facile e pericoloso (1) accostamento con esso.
Il modello non deve essere evidente ma devo seguirlo per avere successo: decido così di non fare parlare il mio poliziotto col tono di Colombo, ma di conservarne solo il metodo.
5) Levare la prima parte, dicevo: in tal modo però impoverisco doppiamente il mio lavoro. Innanzitutto perché lo privo della prima parte; e poi perché lo privo di un effetto che la presenza della prima parte (quella, ripeto, in cui si vede agire l’assassino) determina: la sottile guerra psicologica, espressa mirabilmente nel dialogo, tra il tenente e l’indiziato (2).
In verità il lettore del racconto, concentrandomi io su uno o due personaggi al massimo (oltre all’investigatore), capisce comunque che uno di loro è il colpevole: la guerra psicologica non è quindi scomparsa del tutto. Si è indebolita semplicemente, essendosi indebolito uno dei fronti. Il botta e risposta tra investigatore e colpevole, infatti, è più efficace di quello tra investigatore e uno che è solo un indiziato. Le sue risposte ci coinvolgeranno meno di quelle di uno che sappiamo con certezza essere l’assassino. Il lettore distribuirà l’attenzione che sarebbe stata meglio concentrare su un unico personaggio su due. Quello che si perde in forza da una parte dei due fronti in guerra, lo devo riacquistare dall’altra. Le battute dei due indiziati dovranno recuperare quell’attenzione del lettore che hanno perso in parte per la ragione suddetta: dovranno cioè essere particolarmente efficaci.
6) Il metodo di Colombo non rappresenta ai miei occhi un elemento sufficiente a far individuare con certezza il modello: l’efficacia e la popolarità del suo metodo consiste infatti nel procurare nello spettatore una reazione la cui natura è troppo generale e universale perché un prodotto cinematografico o letterario possa pretenderne l’esclusiva.
7) Pensando ai vari episodi della serie televisiva Colombo intuisco che lo scopo di indicare subito l’assassino non può essere ovviamente quello di togliere allo spettatore il piacere di scoprire lui il colpevole; ma nemmeno soltanto quello di permettere di far nascere, come dicevo prima, una guerra psicologica tra Colombo e l’assassino, perché l’effetto positivo di tale fenomeno riequilibrerebbe appena il dispiacere di non aspettarsi alcuna sorpresa finale sull’identità del colpevole.
Lo scopo, secondo me, è quello di dimostrare che ogni ragionamento del tenente volto a mostrare una contraddizione nella tesi dell’avversario è doppiamente efficace perché non solo segue una logica che capiamo e condividiamo (“Sì”, pensiamo ogni volta, “è giusto. Sì, il punto è proprio questo”) ma che è vera, perché noi vediamo che ha di mira il vero colpevole.
Da questo punto di vista non è neppure corretto, ripensandoci, quanto ho detto prima: una sorpresa finale sul personaggio non c’è, in effetti, ma di sorpresa finale si può comunque continuare a parlare. Non riguarda più l’identità del personaggio, ma di un ragionamento: quale sarà, cioè, il ragionamento finale che incastrerà il colpevole? La suspence, come si vede, non è stata affatto eliminata.
8) Pensando ai vari episodi della serie televisiva, mi rendo conto che sebbene io veda agire l’assassino non capisco tutto ciò che egli fa. L’ammirazione per Colombo da parte mia è dovuta alla sua capacità di comprendere ciò che ha fatto l’omicida, nonostante che egli, a differenza di me, non l’ha visto agire. E di spiegare le cose a me, a me che pure ho visto, ma non ho capito.
Capita spesso che non basta vedere agire una persona per comprendere cosa stia facendo, è vero: a maggior ragione, però, è difficile capire cosa stia facendo, o cosa abbia fatto, se non la si vede o non la si sia vista. Lo sceneggiatore (in realtà gli sceneggiatori) della serie, comunque, cerca sempre di rendere difficoltosa la comprensione dei gesti iniziali dell’assassino perché certo non è conveniente che noi capiamo le cose prima che le risolva Colombo.
È indubbio che Colombo come investigatore sia molto più in gamba di me: questo è il risultato a cui si vuole arrivare, e questa è in effetti la sensazione che tutti noi proviamo vedendo le puntate del telefilm. Ma il rischio che tale constatazione susciti la nostra antipatia è eliminato dal fatto che egli è estremamente modesto, impacciato, simpatico. Non è un intellettuale: egli si avvale solo della logica.
Ma, a parte questo, ho deciso di togliere la prima parte, quella cioè dove appunto osservo l’assassino mentre agisce. In tal modo, però, i ragionamenti del mio investigatore risveglieranno un’impressione inferiore rispetto ai ragionamenti sviluppati da Colombo proprio perché elimino il contrasto di cui parlavo prima: il contrasto, cioè, tra la capacità di Colombo, che pur non avendo visto alla fine capisce, e la mia (la mia di telespettatore).
Ma tale è il prezzo da pagare per non rivelare il mio modello.
9) Così, anche i ragionamenti del mio investigatore dovevano essere particolarmente efficaci, come quelli dei suoi avversari.
10) E poiché per valutare un ragionamento, come qualsiasi altra cosa nella narrativa, devo partire dall’effetto, escludo tutti quei ragionamenti magari intelligenti e complessi che però per la loro difficoltà non ne avrebbero uno buono. In questo caso io, nel mio piccolo, come Poe parto dalla fine: egli è partito dalla fine della poesia, io di volta in volta dovrò partire dalla fine del ragionamento, cioè dal suo effetto, per decidere quale scegliere di due o tre che mi vengono ad un certo punto in mente.
Più in generale.
Incomincio a pensare all’effetto. Ma non nel senso di Poe che ve ne sono innumerevoli di cui lo spirito è suscettibile e il problema è di capire quale debba scegliere in una certa circostanza, bensì nel senso che, per quanto riguarda la costruzione della trama poliziesca, misuro la bontà di un passaggio con un metro psicologico e non logico. Se, ad esempio, mi trovo a dover scegliere tra due passaggi che a me paiono egualmente logici, scelgo di sicuro quello che mi pare maggiormente verosimile, o quello che mi ispira di più per il proseguo del racconto. Infatti ognuno di noi è stuzzicato da un particolare tipo di logica piuttosto che da un'altra, ma questo non ha nulla a che vedere con la bontà delle rispettive logiche. Spesso ho notato che ne esistono alcune preferite ad altre non per la loro forza intrinseca – che anzi, a ben guardare, non ne hanno molta – ma per la capacità che posseggono di affascinare il lettore, e di convincerlo della propria validità. Che tale validità, però, sia discutibilissima è suggerito dagli esperti, i quali giurano su tutti i santi che la logica dei delitti reali è molto lontana da quella descritta in parecchi buoni racconti polizieschi. Lo scrittore però sa che il lettore è portato a proiettare in un mondo immaginario gli eventi descritti, in un mondo che è simile a quello reale solo nell’aspetto esteriore, nella forma, ma completamente diverso nella sostanza. Le leggi che regnano in tale mondo non sono quelle reali neanche nel caso di quelle semplici della fisica, per cui noi possiamo addirittura violare quest’ultima senza pregiudicare alcunché, se tale violazione è stata fatta rispettando le leggi psicologiche che sono dentro di noi, e che reggono tale mondo immaginario. È come se, trattandosi di un mondo immaginario, ossia di un mondo inventato dalla nostra mente, di un mondo dentro di noi, noi ci potessimo prendere tutte le libertà nei confronti di quello esterno, di cui però non ci possiamo completamente sbarazzare per i limiti della nostra mente di ricreare un mondo immaginario da zero, e una simile odiosa difficoltà rappresenterebbe appunto la ragione del volerci noi prendere tante libertà nei suoi confronti.


Ma parliamo di nuovo della logica da me preferita. Essa si sviluppa nella discussione.
Se l’osservazione di un indagato sembra poco convincente potremmo pensare (noi che scriviamo) di non permettere all’investigatore di prendersi alcun merito particolare allorché la critica con efficacia, e di rinunciare così a creare nel lettore l’ammirazione che è una condizione necessaria perché il protagonista di un giallo abbia successo. Ma poiché sono io a scriverlo, il giallo, sono avvantaggiato sul lettore che appunto lo può solo leggere (e nulla sa dell’opinione dell’autore circa tale osservazione), ed essendo ben disposto nei confronti di un libro che ha preso per distrarsi, considererà addirittura necessaria la seconda considerazione (quella dell’investigatore). Con questo avremo momentaneamente conquistato la sua stima per il protagonista.
Ciò che si considera necessario, in realtà, non lo è su un piano assoluto: infatti di lì il racconto avrebbe potuto prendere un’altra direzione, e l’osservazione rivelarsi a posteriori un errore, magari l’unico, dell’investigatore, magari quello attorno a cui ruota tutto l’ingranaggio del giallo.
Non c’è dubbio che l’osservazione appare necessaria in prospettiva, alla luce di ciò che deve ancora venire: infatti l’investigatore è destinato a vincere, e chi vince ha sempre ragione. Per tale motivo le sue considerazioni sono “per definizione” quelle giuste, e anche quando noi ne avanziamo un’altra altrettanto convincente ma contrapposta ad essa, e lo facciamo per bocca di un personaggio diverso, essa viene messa da parte a favore di quella proposta dall’eroe, osservazione che ha il potere di farci sentire particolarmente stupidi se essa è completamente diversa da quella che avevamo immaginato.
Ma, a ben guardare, si tratta di un circolo vizioso in quanto l’osservazione appare ottima perché è destinata al successo – il successo dell’investigatore (= risoluzione del caso) – ma si tratta di un successo fondato su cause psicologiche, non logiche, sul fatto cioè che un successo sia già stato preparato e che quindi le considerazioni che portano a esso appaiono più logiche e necessarie di quanto non siano in realtà, e poco importa se la componente logica sia meno forte di quanto quella psicologica riesca a far credere. Poco importa cioè se quella che si suppone addirittura la necessità logica dell'osservazione non sia dovuta a ragioni logiche, bensì psicologiche: quello che conta è che tale osservazione appaia la più logica al lettore. Detto questo, è evidente che di logica per i ragionamenti scelti arbitrariamente da noi si debba comunque parlare, ma si tratta di ragionamenti che non devono avere alcun merito particolare se non quello di soddisfare le aspettative del lettore. E poiché le aspettative del lettore non sono mediamente molto alte noi non dobbiamo dare più di quanto non venga richiesto: a parte in qualche caso, che con un po’ di fortuna possiamo ottenere a soddisfazione di un pubblico più esigente (= critica).
Il mio primo pensiero è quello di trovare un modo per rendere accattivante la logica che sento di poter esprimere in un poliziesco, e suppongo che potrei renderla tale appunto nella discussione, facendo competere continuamente tra loro i protagonisti. Ovviamente a prevalere, per la ragione suddetta, deve essere l’investigatore, e anche quando non sembra del tutto convincente, né convinto lui stesso di ciò che dice, non permetto che l’altro lo superi contrapponendo un ragionamento migliore del suo (cosa vi ricorda ciò? Vedi Poe e climax, le stanze precedenti non devono essere migliore dell’ultima).


Il secondo motivo della mia scelta del dialogo come mezzo per esprimere la logica, oltre al fatto che nella competizione tra avversari coinvolgo maggiormente il lettore, è appunto la familiarità dello strumento, il dialogo appunto: anche se potrei dire pure il contrario, ossia che non è vero tanto che metto a disposizione della logica il dialogo, ma che appunto perché io ho familiarità con esso, e con il tipo di logica che lì vi si esprime, e che io stesso solitamente vi esprimo, sono costretto a sceglierlo come mezzo per creare il mio poliziesco.
Quindi, per ricapitolare, io ho sempre saputo quale logica è alla mia portata per creare un poliziesco, che non è tanto quella che si esprime sulla lunga distanza nell’intreccio, bensì quella espressa nei discorsi diretti dai protagonisti, quella espressa da me stesso più o meno quotidianamente nel dialogo con le persone, e mi sembra valido per il giallo ciò che Poe ha detto in sostanza per un altro genere, ossia che esso altro non è che una successione di “scoperte” più modeste, e cioè le osservazioni efficaci dell’investigatore, prima della scoperta finale.
È evidente che tale scoperta finale deve essere la più importante, essendo quella definitiva; e per fare più impressione deve arrivare da più lontano. Per un simile motivo almeno una scoperta dell’investigatore non deve stuzzicare (solo) le esigenze psicologiche del lettore (abbiamo detto che egli deve dirsi spesso “sì, è così”), ma deve impressionarlo su un piano più profondo, deve essere veramente efficace sul piano logico.
È perciò chiaro che se uno manca della capacità di riuscire in questo non potrà mai aspirare a diventare un buon autore di gialli – almeno del tipo da me descritto, che pur essendo per lo più semplice da comporre richiede però un’intuizione logica che compensi tanta facilità, come non avviene in lavori dove sin dall’inizio la logica espressa è ragionevolmente solida, essendo maggiormente collegata con l’intreccio -.
Messa in calce la scelta della logica da adottare, nel mio caso quella che si sviluppa nel dialogo tra i protagonisti, senza mai perdere di vista la necessità di un’intuizione più profonda che lì per lì so di non poter avere, mi domando quale stile adottare per il mio poliziesco.
Anche la sua scelta non è dovuta al caso: trattandosi, nelle intenzioni, di un giallo molto logico, ho bisogno di uno stile che non esalti l'azione, ma appunto la riflessione. Scartato per forza di cose il facile behaviourismo letterario, adotto uno stile che frena l’azione ma non al punto da ostacolarla – si tratta pur sempre di un poliziesco – e quindi decido di adottare uno stile dalle frasi ampie senza però risultare barocco.
Una volta scelto il tipo di logica, desidero far fare al mio investigatore bella figura mettendogli in bocca le osservazioni migliori. Esse non devono essere complesse ma facili da capire per il lettore, in conformità con la semplice logica da me adottata.
Chiarito ciò penso che sia importante dare profondità ai miei personaggi. Infatti capisco che se non lo facessi essi sembrerebbero dei semplici strumenti a fiato per i miei ragionamenti, senza alcuna carica di umanità. La scelta dell’uso della prima persona, che crea in genere il senso di intimità, ha proprio questo scopo, quello di farci sentire più vicini all’investigatore, la voce narrante. Così il risultato principale è stato raggiunto perché è indubbio che lo scopo primario di tale umanizzazione sia il protagonista.
Ora il problema è di conferire umanità agli altri personaggi. Ovviamente non posso far fare loro lunghi discorsi volti a delineare aspetti importanti del proprio carattere, ma intuisco subito che non è necessario, perché la vitalità ad un personaggio viene data nel dialogo non da un particolare tipo di contenuti, ma dalla espressione da parte sua di frasi sensate ed argomentate con lucidità, la qual cosa non può non avvenire in un poliziesco. La vitalità deriva semplicemente dalla sensatezza e dal rigore (il personaggio è come una macchina: se essa dà risposte meccaniche e prevedibili nulla di strano, non è un uomo reale – però, al contrario della macchina, il suo scopo è quello di sembrarlo, la macchina ha invece altri scopi -, non riuscendovi ci delude e non leggiamo più la sua storia. Se sembra “intelligente”, invece, ci piacerà). Penso che questo non significhi dare profondità alla loro personalità: un conto infatti è rendere vivo un personaggio, un conto è esprimere il suo io profondo. Ma in un poliziesco non è assolutamente il caso di rendere i personaggi più complessi di quanto non venga richiesto dal genere letterario, che privilegia il ragionamento e l’azione rispetto all’annotazione psicologica.
Nonostante ciò, desidero aggiungere qua e là una nota psicologica legata ai protagonisti. Poiché nel dialogo non posso, preso come sono a esprimere il ragionamento, e nell’azione nemmeno, trattandosi di un giallo piuttosto statico, penso di riuscirvi nel gesto quotidiano.
Ad esempio, dopo aver fatto parlare la seconda indiziata potrei scrivere:
“(…) E concluse con una nota di soddisfazione nella voce. Che fosse soddisfatta era chiaro anche dal modo in cui, dopo aver parlato, accavallò le gambe”.

Il saluto di Umberto Eco
Note
1. Nel senso che un confronto non si potrebbe concludere che a mio sfavore, all’inizio è sempre meglio fare professione di umiltà.
2. Infatti soltanto quando si conosce sin dall’inizio con certezza il colpevole si pongono le basi per un confronto serio - una guerra appunto - con l’investigatore, la cui posta in gioco è la difesa della giustizia.


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