Il ritorno di
Alex
di Giovanni Bianchi
Alexander Langer |
Alexander Langer
Presentando l’enciclica Laudato Si’ alla Casa della Cultura di
Milano sostenni, a differenza di un interlocutore autorevolissimo, che l’uso
della parola conversione in ambito
ecologico non fosse una novità di papa Francesco, ma che doveva essere fatto
risalire ad Alexander Langer, che lo aveva proposto ed illustrato alcuni
decenni prima.
È
infatti mia abitudine riproporre Langer come un luogo minerario al quale il
pensiero politico, e non soltanto, farebbe bene a ritornare. Alex infatti invitava ad abbandonare l’idea di
rivoluzione, che storicamente si
accompagnava alla teorizzazione e all’uso della violenza, per quella di conversione, che presupponeva invece
l’ascolto e il dialogo con l’altro, in un’attitudine e in una prassi
nonviolente.
L’idea
infatti, coltivata fin dagli anni del liceo a Bolzano, di “mettersi in mezzo”
tra le parti, correndone coraggiosamente i rischi – primo fra tutti quello di
essere considerati traditori dalla propria parte – risultava il modo, insieme
più lucido e più concreto, per proporre una ricerca che fosse progressivamente
comune tra le parti in contrasto.
Vi
è anche subito da osservare che, rivolgendosi alle schiere di volontari che si
dirigevano verso la guerra nella ex Jugoslavia, il cardinale Martini assumeva
in proprio e proponeva il medesimo concetto del “mettersi in mezzo”.
Alexander Langer |
Il coraggio di fermarsi
“Sinora
si è agito all’insegna del motto olimpico “citius,
altius, fortius” – più veloce, più alto, più forte – che meglio di ogni
altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà,
dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di
occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si
radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al
contrario, in “lentius, profundius,
suavius” – più lento, più profondo,
più dolce –, e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun
singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere
ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.”
E’
il passo più celebre di Alex. E giustamente, dal momento che indica una
essenziale presa di coscienza dello spirito del tempo ed insieme una chiara
presa di distanze. Quel che emerge da subito è la scelta di Langer di porsi non
solo come critico, ma anche come libero battitore, perché questo è il ruolo che
gli consente una lettura spregiudicata del nuovo che emerge: una novità non
ponderata dalla cattedra, ma indagata criticamente durante il suo farsi.
L’invito,
anzitutto a se stesso, è “a non temere di osare, a cogliere
il nuovo che vive.” Andando oltre l’assioma che scoraggia sollecitando a
pensare che “la gente non capirebbe”, e la miopia dei finti realisti, atterriti
dal coraggio di Einstein che ripeteva: “Se di primo acchito l’idea non apparirà assurda, non avrà alcuna speranza”.
Abituato
a sfidare il buon senso e per nulla intimorito dall’essere in minoranza, Langer
era convinto che “occorre saper leggere anche i fenomeni al momento minoritari,
ma che rappresentano una risposta nuova e plausibile a bisogni emergenti, per
capire dove sta andando il mondo (o la mia comunità).”
Tutti
elementi adatti a costruire una visione dove l’esigenza di capire il futuro è
funzionale a cambiare il presente: là dove giace la sfida
per una buona politica. Una buona politica in grado cioè di agire per il
cambiamento nell’interesse generale e per il bene comune: vero antidoto alla
rassegnazione verso la crisi dell’etica pubblica. Una visione complessiva e
che, a partire dalle tematiche ecologiche, si fa compiutamente antropologica,
in rotta di collisione con le inutili scorciatoie del dispotismo illuminato.
Scrive
infatti: “Se i verdi sapranno rinunciare alla tentazione intellettualistica di
presentarsi come rinnovatori del mondo in nome di progetti e di principi
astratti, e riusciranno invece a collegarsi a quanto di vivo e di positivo si
può ricavare dall’esperienza […], il discorso verde potrebbe smascherare
contemporaneamente la falsità del “conservatorismo” della destra e del
“progressismo” della sinistra.”
Una
via alla saggezza ecologica attraverso la pratica di una politica
“sperimentale” e insieme attenta alla persona e alla natura. Un’antropologia
all’altezza della domanda di nuovi stili di vita, in grado di determinare una
parte del mercato e di far emergere bisogni che creano insieme domande e nuovi
consumi.
Quel
che Alex soprattutto apprezza ed esalta è una
società orizzontale in movimento, che ha “quasi sempre l’ambiente al centro
del proprio orizzonte, come atteggiamento filosofico o etico, perché comunque cerca di produrre o consumare con
meno energia, con meno materia, con meno chilometri”. Dove, da spunti
molteplici, la velocità appare – come
in papa Francesco – un rischio dal quale guardarsi.
Perché
e come dunque riparare il mondo?
Semplicemente perché il mondo è rotto. E noi l’abbiamo rotto. E ora per
ripararlo dobbiamo necessariamente fare i conti con la politica, il cui compito
è di schierarsi contro il narcisismo acquisitivo e la bulimia della leadership.
In quanto “la “politica prima”, quella sociale, deve trovare la possibilità di
dedicarsi alle istituzioni e al loro rafforzamento come necessità della
democrazia e dell’inclusione di tutte le persone alle scelte”.
È infatti compito tradizionale e permanente
della politica occuparsi delle regole dello stare insieme. Senza dimenticare
che quanto alla democrazia il metodo è importante tanto quanto il contenuto.
Antropologia
ed etica non sono dunque relegate nel backstage, perché “mettere in gioco il
nostro stile di vita, nella relazione con gli altri, stabilirlo nei rapporti
con la vita intera è necessario e bisogna farlo con la consapevolezza che la
riparazione del mondo avviene con azioni semplici e ripetibili, con quello che
siamo, attenti a non alimentare l’invidia e la superbia, lottando contro il
cinismo e la politica come scambio di potere.”
In
un orizzonte nel quale la compresenza pluri-etnica sarà la norma più che
l’eccezione, dal momento che “situazioni di compresenza di comunità di diversa
lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio saranno sempre più
frequenti, soprattutto nelle città. Questa, d’altronde, non è una novità. Anche
nelle città antiche e medievali si trovavano quartieri africani, greci, armeni,
ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli” … Una condizione che obbliga a costruire
ponti, saltare muri, esplorare le frontiere.
Cosa vuol dire riparare il mondo
Per
riparare il mondo è anzitutto necessario diminuirne la velocità. Scrive Langer:
“Il tempo di vita che si è allungato molto sotto il profilo quantitativo non
appare “liberato” e consegnato alla sovranità di chi lo vive, ma fortemente
alienato e sostanzialmente determinato da altri. […]Tra le modificazioni più
profonde che caratterizzano questo cambiamento progressivamente
“velocizzatosi”, vi è una di particolare
gravità: vorrei chiamarla “l’impatto generazionale” di tutto ciò che noi oggi
facciamo, sia a livello macro-sociale che micro-sociale”.
Resta
da indagare perché nella visione langeriana antropologia ed etica si tengano
strettamente. In effetti si è fatta palese la circostanza che il capitale
maturo non si occupa più di cattedrali industriali, ma fabbrica e plasma
antropologie, da sopra e da fuori, insinuandosi giorno e notte in tutte le
abitazioni con i messaggi pubblicitari. Messaggi violenti. Della violenza
stigmatizzata da Simone Weil in Venezia salva: il violento costringe gli
altri a sognare il proprio sogno. Ma cos’è allora la conversione ecologica? Essa è postulata dalla presa d’atto che la
velocità della distruzione è infinitamente superiore a quella della
costruzione, in un mondo di sradicati che si credono felici. In un mondo di
competizioni, di violenze quotidiane e di guerre latenti o guerreggiate. In un
mondo siffatto la pace è “rifiutare il nemico”. È la consapevolezza del limite,
l’attitudine ad invertire un paradigma culturale egemone almeno negli ultimi
due-tre secoli, nel corso dei quali si è affermata per ragioni economiche e
culturali la linea del “tutto quello che
si può fare, si fa”.
In
quest’ottica la rapida presa di coscienza della sfida ecologica rende evidente
che l’ecologia, più che un lusso dei ricchi, è una necessità dei poveri.
Tutto
il complesso di queste riflessioni contribuisce a costruire una cultura di
pace, in certo senso costringendo i movimenti per la pace a non improvvisare.
La
conversione del cuore per riparare il mondo
Vi è una testimonianza che invita in modo
tutto particolare a riflettere perché la tragedia non può essere racchiusa
nell’interpretazione. Alex Langer, morto suicida il 3 luglio 1995 a Firenze, al
Pian dé Giullari, impiccandosi a un albicocco. É d’obbligo a questo punto
riprendere quel passo – scritto direttamente in italiano – della testimonianza
in memoria di Petra Kelly, verde tedesca, del 21 ottobre 1992: “Forse è troppo
arduo essere individualmente degli Hoffnungsträger,
dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le
inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie
e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per
l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la
distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”. Commenta
Marco Boato in una puntuale rievocazione: “É davvero «troppo arduo», anche
dieci anni dopo la morte di Alex, rileggere queste sue parole dedicate a Petra
Kelly, e non ritenere che già allora egli, tanto più nello scrivere in forma
impersonale, si rivolgesse anche a se stesso”. Sulla medesima lunghezza d’onda
Adriano Sofri: “Le pagine di Alexander in memoria di Petra Kelly ci sembrano
oggi la migliore descrizione della sua propria disperazione, e confermano come
il suo gesto, così inaspettatamente sconvolgente, venisse da lontano”. Edi
Rabini ha reso nota una bozza di lettera-commiato (scritta in italiano nel
settembre 1993), che poi Alex decise di non diffondere: “Per ragioni personali
ed interiori che non intendo rendere pubbliche, decido di prendere congedo –
non so ancora se a tempo o per sempre – dall’attività politica che svolgevo, in
varie forme, ma sempre con forte convinzione ed impegno, ininterrottamente da
decenni, e per tredici anni anche nelle istituzioni rappresentative. Di
conseguenza mi dimetto dalle funzioni politiche che mi sono state affidate, in
particolare dal mandato al Parlamento europeo, dove mi subentrerà Grazia
Francescato, attuale presidente del WWF-Italia, che spero avrà l’opportunità di
proseguire tale mandato anche nella prossima legislatura. Ringrazio di cuore
tutti coloro della cui fiducia, cooperazione e sostegno ho potuto godere, e
ricordo con piacere i molti insieme ai quali ho seminato e, qualche volta,
anche raccolto dei frutti”… Soltanto una bozza. E le decisioni elencate non
hanno poi avuto attuazione. Ma poi il “congedo” è avvenuto. Tragicamente. Né
solo dalla politica. Solo dopo la sua morte è stato reso noto un messaggio
inviato il 21 ottobre 1993 per fax, scritto in tedesco, ad una sua ex-allieva
del Liceo classico di Bolzano, Eva Pattis: “La mia vita si è fatta molto
difficile negli ultimi mesi, sono – o mi sento – impegnato da tante parti e ciò
ha portato con sé crisi e angosce… Queste e altre circostanze interne ed
esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti e per quanto possibile
a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi”.
Mao Valpiana ha scritto poco dopo la
morte di Alex: “Nell’estremo gesto, nella precisione con la quale l’ha
preparato, c’è qualcosa di religioso: la scelta del luogo, il libro di
preghiere, la cena con gli amici qualche giorno prima, l’ordine lasciato nelle
proprie cose… un atto meditato da giorni, da settimane, forse cresciuto negli
anni”.
Lo
stesso Valpiana ha anche aggiunto: “Eppure Alex aveva cercato, in più
occasioni, di farcelo sapere: “Penso di aver compiuto un periodo di servizio
sufficientemente lungo da poter desiderare un periodo sabbatico” (febbraio
1994, prima delle elezioni europee); e poi a voce si confidava: «Tutti cercano
risposte da me, ma io non ho risposte nemmeno per me stesso»”.
Nell’epoca
che ha storpiato il testimone nel testimonial, Alexander Langer non cessa di
viversi come testimone della ricerca
continua e della politica in prima persona.
Non
sembri che l’accostamento di Alex Langer ad Aldo Moro sia casuale o prodotto a
colpi di pollice. Assassinio brigatista e suicidio si tengono, almeno a mio
giudizio, perché tra gli esponenti della grande oligarchia democristiana Aldo
Moro ebbe fra tutti più intenso il disagio di chi avverte, fino alla tentazione
della fuga, il divario tra le proprie forze e la pesantezza delle incombenze
che l’agire politico impone.
Ecco il testamento di Alex Langer: Die Lasten sind mir zu schwer geworden, ich
derpack’s einfach nimmer… I pesi mi sono divenuti davvero
insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per
questa mia dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti.
Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno
aggravato i miei problemi. “Venite a me, voi che siete stanchi e oberati”.
Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più
disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.
Continuare…
É una parola. Senza bussola da così gran tempo che s’è cominciato a dubitare
che un Nord esista. Eccola la “transizione infinita”. Con esponenti falsi ma
non sciocchi di culture defunte. Seppellite sotto le macerie del Muro di
Berlino. Finti comunisti e finti democristiani. Che citano Moro senza averlo
letto. Moro è diventato il catchup
dei finti democristiani. Moro che aveva l’abitudine di ripetere che il pensare
politica è già per il novanta percento fare politica. A che percentuale saremo
mai scesi in quest’oggi?
La
crisi – giova ripeterlo – non è crisi di regole, ma di cultura e personale
politico. Crisi “paretiana” classica. Chi ci traghetterà sull’altra sponda
della Repubblica?
Già
all’inizio del 1990 Alex Langer ha trovato traghettatore e santo protettore.
Scrive (quasi confrontandosi nel genere della lettera aperta con l’insuperabile
don Tonino Bello) al “Caro San Cristoforo”. Scrive in italiano:
“Caro
San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo
che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna”…
É
il suo capolavoro mistico-letterario. Alex ad un certo punto si chiede:
“Perché
mi rivolgo a te alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti
siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti
richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo
compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura
possa essere una parabola di quella che sta dinanzi a noi”.
Le
cose non sono andate per il verso giusto. Anche le vie del Signore sembrano
confuse… Verso la fine del 1994, Avvento-Natale, Alex spedisce alla cerchia
degli amici una lettera-circolare: “Personalmente ho passato un periodo di
transizione assai travagliato, la decisione di ricandidarmi finalmente al
Parlamento europeo non è stata per nulla facile, ed ho faticato anche ad
accettare l’elezione a presidente del Gruppo Verde (insieme a Claudia Roth).
Ancora non so dove questa transizione ci/mi porterà: il bisogno di trovare una
nuova sponda per un impegno sociale e
politico, che continuo a ritenere di grande (ma non esagerata) importanza,
resta più che mai aperto e non conosce scorciatoie progressiste, né
rassicuranti giaculatorie verdi”.
Il limite della politica
Qui
il limite della politica mette in discussione il senso stesso del fare
politica. Strano paese il Belpaese. Tra tanti uomini di superficie che
s’affannano nella corsa del topo in carriera, ecco uno così etico da essere
schiacciato dal peso dell’etica.
Se
il vivere è vivere per enigmi, secondo l’antica lezione di Niccolò Cusano,
anche la politica ammette e pratica vie enigmatiche. E il suo specchio, non
potendo essere Gesù il Nazareno, ma la città terrena, assai meno nitidamente
rimanda le sembianze. Regno del relativo. Dove il pensiero è forte quando altri
pensieri sono più deboli. Dove l’altezza rimanda alla statura dei friulani,
considerati i più longilinei tra le italiche genti, per la semplice circostanza
che nelle altre regioni dimorano popolazioni di statura inferiore. Confrontati
in Africa coi tutsi e in Europa con gli olandesi anche i friulani apparirebbero
di media statura…
Non
così pensano i divoratori d’Assoluto alla Alexander Langer. E il prezzo pagato
è davvero troppo alto.
C’è
un modo di fare memoria che ri-seppellisce. Sotto la retorica, perfino nel
gossip funerario l’amico e il compagno che ricordiamo. E invece abbiamo una disperata
necessità di rammemorare e ritrovare testimoni. Perché il tempo e la vanità di
questa politica disperdono. E noi avvertiamo realmente il bisogno e insieme la
mancanza di maestri (tale fu Alex) e di consiglieri. Perché è carisma dei
maestri liberare.
Ma
sono del parere di Adriano Sofri: “Non credo, spero di averlo fatto capire, che
Alex sia morto per la Bosnia”. Perché allora? Perché in quel modo? É una sorta
di preghiera interrogare.
Vi
è, e talvolta ci sorprende, una leggerezza
del pubblico davvero insorreggibile. Qui l’anima tesa coglie la
dismisura e può soccombere. É un termine di Simone Weil dismisura: lo suggerisco come parola chiave. Alex lo interpreto
così nel gesto estremo di chiudere la sua curiosissima finestra sul mondo,
invitando amici e compagni a continuare. Tra fede nuda e politica sdrucita.
Una politica debole
C’è
un punto comune d’attacco al tessuto della democrazia. Un aspetto positivo. La
società civile sa di essere cresciuta, e sa nel contempo che la politica è
diminuita. Non si tratta del solito rapporto relativo. La consapevolezza della
società civile produce uno scompenso nel rapporto che induce il ceto politico
ad un arrocco parassitario: meglio controllare un territorio circoscritto che
correre i rischi del proselitismo che apre i confini a nuove esperienze e li
smantella alla competizione di pericolosi concorrenti. Così le oligarchie della
partitocrazia senza partiti si difendono e si perpetuano. E le oligarchie,
prima che di destra o di sinistra, sono anzitutto oligarchie. Su questo
giudizio convergono tutte le scuole. A destra con Mosca e Pareto, a sinistra
con Michels, lasciato lì a testimoniare che esiste una tradizione
socialdemocratica italiana. Ma
lo scompenso e la forbice non possono allargarsi all’infinito dal momento che
esperienze e saperi prodotti nel tessuto civile chiedono nuova attitudine di
governo ed anche nuove forme del politico. Un’esigenza di nuova partecipazione,
non ulteriormente comprimibile.
Gli
ultimi decenni delle cronache politiche italiane narrano questa difficile
favola, dove il viaggiatore notturno del civile incalza l’esausto viaggiatore
diurno del politico. Di qui o di là? La vocazione o la professione? Qui
il dubbio s’insinua nei più sensibili, e
in Alex diventa tormento. Questa è la prerogativa dei testimoni, che sfondano
porte e attraversano i confini, di maniera che, per dirla con Maurizio
Maggiani, “quella che era una grande confusione di popoli ora è diventata una
confusione di confini.”
E
Alex Langer ci dice che non si può dare nuova politica senza un nuovo guadagno
etico: di un’etica “meticcia”, ancorché condivisa.
Il Concilio e la pace
Discriminante
l’esperienza del Concilio ecumenico vaticano II. Uno dei tanti casi di
autentica ricezione. Una opportunità “generazionale”. Annota Langer in
proposito: “Il primo ideale universale che riesce a convincermi e a
coinvolgermi è quello cristiano. I miei genitori non ne sono entusiasti, ma non
mi reprimono. Leggo, rifletto, prego. “Mi impegno”, sentendo questo impegno
come cosa molto seria. Cerco di lavorare in senso ecumenico, come in quel tempo
si dice: per il superamento della concorrenza tra associazioni cattoliche; per
un dialogo e conoscenza reciproca con i (pochi) protestanti di Bolzano; per
momenti comuni tra cattolici italiani e tedeschi. Ognuno di questi gradini
presenta qualche difficoltà in più rispetto a quello precedente.”
Altrettanto
trasparente l’atteggiamento sul tema epocale della pace: “Mi sento
profondamente pacifista (facitore di pace: almeno negli intenti), e mi capita
con una certa frequenza di partecipare a iniziative e incontri per la pace.
Spesso ho l’impressione che si tratti di una pace astratta, e di un pacifismo
privo di strumenti per raggiungere i suoi obiettivi. Al momento della guerra
delle Falkland-Malvine penso: se questo fosse un conflitto italo-tedesco
(austriaco, ecc.), saprei da che parte cominciare per contribuire a una pace
concreta. Il “gruppo misto”, il ponte, il “traditore” della propria parte che
però non diventa un transfuga, e che si mette insieme ai “traditori” dell’altra
parte… “la logica dei blocchi blocca la
logica”, c’è scritto su uno striscione della manifestazione pacifista
internazionale che teniamo il lunedì di Pasqua del 1984, sul “ponte Europa”
vicino a Innsbruck. Contro la logica dei blocchi: penso di avere qualche
esperienza in proposito grazie alla vicenda sudtirolese, e mi piacerebbe
renderla più fruttuosa.”
La
conversione è presa di distanze, kenosis, essere altrove e desiderio di
trovarsi altrove. É intensità dell’esserci. Abramo che per primo ascolta la
voce dell’Altissimo, che è pensabile si esercitasse da gran tempo, con
continuità o ad intermittenza. Sempre mettersi in un cammino a rischio verso un
paese ignoto. Voglia di un futuro diverso. Dove una posizione e il suo
contrario speculare possono risultare ugualmente significative.
Diversamente
interessante il passo del convertito. Diversamente interrogante il passaggio
della conversione. Trasgressione e spaesamento. Addirittura classica la
trasgressione delle grandi sante, al pari di Teresa d’Avila, dove la
consapevolezza ante litteram dei
condizionamenti femminili lavora a un linguaggio aspro, a una scrittura fuori
dalle righe.
“Nel
catalogo della vita di Langer, la colonna delle responsabilità e dei titoli
accettati è lunga quanto quella dei rifiuti, delle rinunce, delle abdicazioni.
Avrebbe potuto essere il leader
politico, o il guru, dei verdi italiani: se ne è sottratto discretamente.
Avrebbe accettato di fare il sindaco della sua città: ne è stato escluso
formalmente per essersi rifiutato di aderire alle clausole “etniche” di un
censimento irresponsabile. Nel momento dell’apparente affermazione delle liste
verdi, ne ha paventato l’immeschinimento, e proposto lo scioglimento. Quando il
Pci ha abbandonato la sua corazza monolitista e si è avviato verso uno
scioglimento e una trasformazione, Langer se ne è proposto, così dal di fuori,
segretario: e faceva sul serio.
Non
fu preso sul serio, allora, né lo fu abbastanza mai: troppo grande era il
divario fra la sua tempra e le incombenze, le abitudini, le indulgenze
reciproche e le inimicizie da cortile dei bei mondi della politica e
dell’informazione.”
Non
era però uno sconosciuto Langer in quei mondi e salotti: era altro e
considerato come tale. Un alieno di grande originalità e spessore. Un genio
trasgressivo. Uomo delle periferie del sapere. Esigente ed esagerato. Fuori
dall’idolatria dell’immagine. Escluso dal gossip dei telegiornali, dalla loro ordinaria
banalità. Uno che si occupa del debito estero dei Paesi del Terzo Mondo, di
Tuzla, del Kosovo, per sé, e non per il loro impatto sulla emotiva informazione
del presente.
“Langer,
che avrebbe maneggiato con maestria e profondità la scrittura, scriveva in
treno, o in aereo, rubando il tempo al sonno, o al tavolo degli oratori dei
convegni: bigliettini di appunti, cartoline, articoli”… E ancora: “Minuziosamente, quando
imperversavano le cronache sulle tangenti, Langer compilava e spediva il conto
delle sue entrate e uscite, fino agli spiccioli.” Non era eccentricità, neppure rigorismo. Ma
l’ansia di chi si confronta con se stesso prima della comparazione con gli
altri. Alexander Langer non era di quelli che battono il mea culpa sul petto del prossimo. Non due pesi e due misure. A
partire da se stesso. Che è modalità del misurarsi con le questioni essenziali
del nostro tempo.
Le domande
Gettati
nell’esistenza senza petrarchismi… Con domande debordanti la politica, del
tipo: ci sarà consentito di fare esperienza nell’aldilà? Come si combinano cose
ultime e penultime e terzultime e quartultime per il credente?
Esiste
questa razza “zingara” di Hoffnungsträger
anche in Italia. E Alex la rappresenta al meglio. Non a caso la già citata Lettera a San Cristoforo, autentico
midrash cristiano. Si tratta di un santo la cui icona è presente nel frontone
di tante chiesette rupestri, dove la mole del traghettatore ignaro tra i flutti
di un torrente in piena contrasta con l’apparente levità del divino Bambino
accucciato sulle sue spalle.
Scrive
Alex Langer: “Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di
fare, che dopo aver militato – rispettato e onorato per la tua forza e per il
successo delle tue armi – sotto le insegne dei più importanti signori del tuo
tempo, ti sentivi sprecato. Avevi deciso di voler servire solo un padrone che
davvero valesse la pena seguire, una Grande Causa che davvero valesse più delle
altre. Forse eri stanco di falsa gloria e ne desideravi di quella vera. Non
ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso
fiume per traghettare – grazie alla tua forza fisica eccezionale – i viandanti
che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile
servizio che non doveva apparire proprio quella Grande Causa della quale –
capivo – eri assetato. Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con
modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai
“al di sotto” delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo
dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante
come te e avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo
aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più
gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo,
per riuscire ad arrivare di là. Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a
che fare, e avevi trovato il Signore che valeva la pena servire”… (Il più
intenso midrash della letteratura
politica italiana.)
Commenta
Gianfranco Bettin: “La traversata difficile che, secondo Alex, si doveva fare,
seguendo l’esempio di Cristoforo, era quella che conduceva dalle false cause,
dai falsi valori alle cause giuste e ai valori buoni del nostro tempo. La sua
idea di ecologismo, alla quale si è dedicato precocemente e che l’ha assorbito
fino all’ultimo, racchiudeva tutto questo, rovesciava i principi e gli
obiettivi della società che, sul motto olimpico, si era modellata per essere
più veloce, più alta, più forte, in una corsa folle e autodistruttiva.
Per
invertire questa rotta, per realizzare un modello alternativo – che Alex, in
opposizione appunto al citius, altius,
fortius, voleva ispirato al lentius, profundius, suavius, al “più lento, più profondo, più dolce” – “non basteranno la paura della catastrofe
ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà”. Ci vorrà,
diceva, scrivendo al santo traghettatore, “una
spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita e un senso diverso
e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di
metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della “conversione
ecologica” oggi necessaria ».
Ecco
la parola chiave: conversione,
attraverso la via ecologica. Conversione è termine iniziale di un cammino del
quale si ignora lo sbocco, di una traversata della quale è impossibile
prevedere gli esiti. Il peso grava inaspettatamente sulle spalle di Cristoforo
e ne rallenta visibilmente il cammino. Conversione è disposizione iniziale,
soprattutto al cambiamento, laddove Servizio è tirocinio e abitudine lunga (e
troppo lunga). Chi è disponibile a convertirsi si incammina per passi ignoti,
non misurabili in partenza. Chi serve si affida a tecniche sperimentate. Chi si
converte lo fa in nome di una chiamata la cui fonte non gli risulta sempre
chiara né pienamente attingibile.
Abramo
(è davvero esistito?) sente la voce che lo strappa a una terra conosciuta.
Abramo ascolta quella voce. Ma chi ci assicura che quella voce non avesse già
parlato? Che altri al posto di Abramo avesse già fatto orecchio da mercante… É
una scommessa la conversione: Pascal ha ragione. Talvolta – con gli anni di
Abramo – un azzardo.
Si
dà anche il caso di chi messosi in strada, in mezzo al guado di Cristoforo, non
coglie e non chiarisce la propria vocazione specifica. É il caso paradossale di
Benedetto Labre, che muore povero e barbone per le strade di Roma, almaccando
intorno al proprio destino, la cui drammatica vocazione è di non trovarne una.
Quasi che un’eco beffarda rispondesse: convertirsi a che? Non c’è un poco di
questo scacco defatigante nella depressione di Alex Langer suggellata dal
suicidio?
I “cittadini comuni”
Rivolgersi
ai “cittadini comuni”. Partire dalla dimensione locale perché in essa vivono le
scelte degli individui e delle persone e da essa scaturisce l’associarsi dei
piccoli gruppi affini. Il recupero della “quotidianità”, prima della professione, anche se la quotidianità è il luogo dei
saperi. Il primato della vocazione. Lontano dall’ossessione identitaria, perché
le identità vanno ricostruite. Si illude di averne una chi la trascina dal
passato come la corazza di una vecchia testuggine. Tant’è che il viaggiare è
fuga da noi stessi. Stranieri tra stranieri: inizio di una fratellanza nel
mondo globale che produce apolidismo. Traditori e transfughi che fanno
comunella con altri traditori ed altri transfughi, in attesa di fare comunità. Dove
la scommessa è ridiventare cittadini una volta resi apolidi nel consumo, che è
consumo anzitutto di noi stessi. Il credente può fare riferimento a un testo
della metà del secondo secolo dopo Cristo: La
lettera a Diogneto. Vera magna charta
di una condizione di radici senza radici, di un abitare sentendosi nomadi in
viaggio. Di chi ha patria ma è come non l’avesse. Non per razza e neppure per
inesplicabile destino, bensì per vocazione. Non aspettando miracoli, come i
giudei. Non inseguendo sapienza, come i greci.
Così
pure viaggiare non è immorale né crudele. É occasione. Pone, come la casa, le
circostanze del fare esperienza e del mettersi in gioco.
C’è
in Alexander Langer un approccio alla politica nell’ansia di fare esperienza.
Il mettersi in gioco come frontiera dell’esistere. Giocarsi sul serio la vita.
Con problemi a monte e problemi a valle. A monte, l’identità contrastata e
contraddetta: la problematicità dell’etnos e del confine. A valle, la sfida
della seconda metà del ventesimo secolo, che è “formare una nuova cultura
ecologicamente orientata che utilizzi il meglio del passato.”
Direbbe Mario Tronti: “La politica contro la
storia”. Anche se in Alexander Langer passo e atteggiamento assumono andatura e
profilo più dolce: lentius, profundius,
suavius…
Anche
se la posta non è descrittiva, perché si tratta di convertire il mondo ricco
convincendolo a mutare i comportamenti personali, ad abbandonare sviluppo e
ideologia dello sviluppo per de-crescere,
secondo l’indicazione di Serge Latouche. Laddove il fare esperienza politica e
l’assumere la politica come esperienza muta non soltanto la prospettiva, ma
incide le carni dell’esistenza. Starei per dire: la politica come esperienza al
posto della politica come professione. Per questo il mettersi in situazione
nella dimensione locale, perché “senza il tessuto di tante scelte parziali… di
sperimentazioni… le scelte globali difficilmente potranno maturare.”
Con
implicazioni imprevedibili. Ne fa testimonianza la polemica del 1986, quando
Alex Langer firma con altre 21 persone di area verde, tra cui tre donne, un
testo che dialoga con il documento sulla bioetica elaborato dal Prefetto
dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Joseph Ratzinger.
Si
tenga conto delle semplificazioni della stampa, quasi inevitabili. Al centro di
quel documento “c’era il rifiuto di ogni forma di manipolazione genetica e
l’appello alla Chiesa cattolica perché estendesse la sua sensibilità anche alle
piante e agli animali.”
Alexander
Langer chiedeva inoltre alle istituzioni scientifiche cattoliche di rifiutare
la vivisezione…
Potremmo
citare all’infinito. Ma il cuore del pensiero di Alex può essere già colto e in
certo senso sintetizzato. L’attraversamento delle scienze e delle tecniche lo
ha ricondotto ogni volta al centro di un’esperienza nel suo farsi. La
quotidianità – e il politico quotidiano – come luogo delle contraddizioni da
sciogliere, dei semi da cogliere, delle prospettive da inaugurare. Senza
dimenticare la presenza dello Spirito che anima la vicenda storica.
Il
politico non può non essere insieme militante e testimone. Ripresa di un mantra
di Paolo VI più ripetuto che interpretato Non per enfasi ideologica, ma per
vocazione irrinunciabile. Una vocazione che non nasce con lui e ogni volta lo
supera. Perché anche la politica a misura umana non può mai far tacere il
proprio dover essere, che in ogni stagione e in ogni circostanza la spinge
oltre se stessa.
Questa
appare, con tutti gli inevitabili costi del beneficio d’inventario, la cifra di
Alex, il suo approccio ostinatamente e creativamente antropologico alla
politica. (Un precursore di papa Francesco.)