UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

GROUND ZERO

Il ritorno di Alex
di Giovanni Bianchi
Alexander Langer
Alexander Langer
Presentando l’enciclica Laudato Si’ alla Casa della Cultura di Milano sostenni, a differenza di un interlocutore autorevolissimo, che l’uso della parola conversione in ambito ecologico non fosse una novità di papa Francesco, ma che doveva essere fatto risalire ad Alexander Langer, che lo aveva proposto ed illustrato alcuni decenni prima.
È infatti mia abitudine riproporre Langer come un luogo minerario al quale il pensiero politico, e non soltanto, farebbe bene a ritornare.  Alex infatti invitava ad abbandonare l’idea di rivoluzione, che storicamente si accompagnava alla teorizzazione e all’uso della violenza, per quella di conversione, che presupponeva invece l’ascolto e il dialogo con l’altro, in un’attitudine e in una prassi nonviolente.
L’idea infatti, coltivata fin dagli anni del liceo a Bolzano, di “mettersi in mezzo” tra le parti, correndone coraggiosamente i rischi – primo fra tutti quello di essere considerati traditori dalla propria parte – risultava il modo, insieme più lucido e più concreto, per proporre una ricerca che fosse progressivamente comune tra le parti in contrasto.
Vi è anche subito da osservare che, rivolgendosi alle schiere di volontari che si dirigevano verso la guerra nella ex Jugoslavia, il cardinale Martini assumeva in proprio e proponeva il medesimo concetto del “mettersi in mezzo”.

Alexander Langer

Il coraggio di fermarsi
“Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” – più veloce, più alto, più forte – che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “lentius, profundius, suavius” –   più lento, più profondo, più dolce –, e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.”
E’ il passo più celebre di Alex. E giustamente, dal momento che indica una essenziale presa di coscienza dello spirito del tempo ed insieme una chiara presa di distanze. Quel che emerge da subito è la scelta di Langer di porsi non solo come critico, ma anche come libero battitore, perché questo è il ruolo che gli consente una lettura spregiudicata del nuovo che emerge: una novità non ponderata dalla cattedra, ma indagata criticamente durante il suo farsi.
L’invito, anzitutto a se stesso, è “a non temere di osare, a cogliere il nuovo che vive.” Andando oltre l’assioma che scoraggia sollecitando a pensare che “la gente non capirebbe”, e la miopia dei finti realisti, atterriti dal coraggio di Einstein che ripeteva: “Se di primo acchito l’idea non apparirà assurda, non avrà alcuna speranza”.
Abituato a sfidare il buon senso e per nulla intimorito dall’essere in minoranza, Langer era convinto che “occorre saper leggere anche i fenomeni al momento minoritari, ma che rappresentano una risposta nuova e plausibile a bisogni emergenti, per capire dove sta andando il mondo (o la mia comunità).”


Tutti elementi adatti a costruire una visione dove l’esigenza di capire il futuro è funzionale a   cambiare il presente: là dove giace la sfida per una buona politica. Una buona politica in grado cioè di agire per il cambiamento nell’interesse generale e per il bene comune: vero antidoto alla rassegnazione verso la crisi dell’etica pubblica. Una visione complessiva e che, a partire dalle tematiche ecologiche, si fa compiutamente antropologica, in rotta di collisione con le inutili scorciatoie del dispotismo illuminato.
Scrive infatti: “Se i verdi sapranno rinunciare alla tentazione intellettualistica di presentarsi come rinnovatori del mondo in nome di progetti e di principi astratti, e riusciranno invece a collegarsi a quanto di vivo e di positivo si può ricavare dall’esperienza […], il discorso verde potrebbe smascherare contemporaneamente la falsità del “conservatorismo” della destra e del “progressismo” della sinistra.”
Una via alla saggezza ecologica attraverso la pratica di una politica “sperimentale” e insieme attenta alla persona e alla natura. Un’antropologia all’altezza della domanda di nuovi stili di vita, in grado di determinare una parte del mercato e di far emergere bisogni che creano insieme domande e nuovi consumi.
Quel che Alex soprattutto apprezza ed esalta è una società orizzontale in movimento, che ha “quasi sempre l’ambiente al centro del proprio orizzonte, come atteggiamento filosofico o  etico, perché  comunque cerca di produrre o consumare con meno energia, con meno materia, con meno chilometri”. Dove, da spunti molteplici, la velocità appare – come in papa Francesco – un rischio dal quale guardarsi.
Perché e come dunque riparare il mondo? Semplicemente perché il mondo è rotto. E noi l’abbiamo rotto. E ora per ripararlo dobbiamo necessariamente fare i conti con la politica, il cui compito è di schierarsi contro il narcisismo acquisitivo e la bulimia della leadership. In quanto “la “politica prima”, quella sociale, deve trovare la possibilità di dedicarsi alle istituzioni e al loro rafforzamento come necessità della democrazia e dell’inclusione di tutte le persone alle scelte”.
 È infatti compito tradizionale e permanente della politica occuparsi delle regole dello stare insieme. Senza dimenticare che quanto alla democrazia il metodo è importante tanto quanto il contenuto.
Antropologia ed etica non sono dunque relegate nel backstage, perché “mettere in gioco il nostro stile di vita, nella relazione con gli altri, stabilirlo nei rapporti con la vita intera è necessario e bisogna farlo con la consapevolezza che la riparazione del mondo avviene con azioni semplici e ripetibili, con quello che siamo, attenti a non alimentare l’invidia e la superbia, lottando contro il cinismo e la politica come scambio di potere.”
In un orizzonte nel quale la compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione, dal momento che “situazioni di compresenza di comunità di diversa lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio saranno sempre più frequenti, soprattutto nelle città. Questa, d’altronde, non è una novità. Anche nelle città antiche e medievali si trovavano quartieri africani, greci, armeni, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli” … Una condizione che obbliga a costruire ponti, saltare muri, esplorare le frontiere.

Cosa vuol dire riparare il mondo
Per riparare il mondo è anzitutto necessario diminuirne la velocità. Scrive Langer: “Il tempo di vita che si è allungato molto sotto il profilo quantitativo non appare “liberato” e consegnato alla sovranità di chi lo vive, ma fortemente alienato e sostanzialmente determinato da altri. […]Tra le modificazioni più profonde che caratterizzano questo cambiamento progressivamente “velocizzatosi”, vi  è una di particolare gravità: vorrei chiamarla “l’impatto generazionale” di tutto ciò che noi oggi facciamo, sia a livello macro-sociale che micro-sociale”.
Resta da indagare perché nella visione langeriana antropologia ed etica si tengano strettamente. In effetti si è fatta palese la circostanza che il capitale maturo non si occupa più di cattedrali industriali, ma fabbrica e plasma antropologie, da sopra e da fuori, insinuandosi giorno e notte in tutte le abitazioni con i messaggi pubblicitari. Messaggi violenti. Della violenza stigmatizzata da Simone  Weil in Venezia salva: il violento costringe gli altri a sognare il proprio sogno. Ma cos’è allora la conversione ecologica? Essa è postulata dalla presa d’atto che la velocità della distruzione è infinitamente superiore a quella della costruzione, in un mondo di sradicati che si credono felici. In un mondo di competizioni, di violenze quotidiane e di guerre latenti o guerreggiate. In un mondo siffatto la pace è “rifiutare il nemico”. È la consapevolezza del limite, l’attitudine ad invertire un paradigma culturale egemone almeno negli ultimi due-tre secoli, nel corso dei quali si è affermata per ragioni economiche e culturali la linea del “tutto quello che si può fare, si fa”.
In quest’ottica la rapida presa di coscienza della sfida ecologica rende evidente che l’ecologia, più che un lusso dei ricchi, è una necessità dei poveri.
Tutto il complesso di queste riflessioni contribuisce a costruire una cultura di pace, in certo senso costringendo i movimenti per la pace a non improvvisare.


La conversione del cuore per riparare il mondo
Vi è una testimonianza che invita in modo tutto particolare a riflettere perché la tragedia non può essere racchiusa nell’interpretazione. Alex Langer, morto suicida il 3 luglio 1995 a Firenze, al Pian dé Giullari, impiccandosi a un albicocco. É d’obbligo a questo punto riprendere quel passo – scritto direttamente in italiano – della testimonianza in memoria di Petra Kelly, verde tedesca, del 21 ottobre 1992: “Forse è troppo arduo essere individualmente degli Hoffnungsträger, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”. Commenta Marco Boato in una puntuale rievocazione: “É davvero «troppo arduo», anche dieci anni dopo la morte di Alex, rileggere queste sue parole dedicate a Petra Kelly, e non ritenere che già allora egli, tanto più nello scrivere in forma impersonale, si rivolgesse anche a se stesso”. Sulla medesima lunghezza d’onda Adriano Sofri: “Le pagine di Alexander in memoria di Petra Kelly ci sembrano oggi la migliore descrizione della sua propria disperazione, e confermano come il suo gesto, così inaspettatamente sconvolgente, venisse da lontano”. Edi Rabini ha reso nota una bozza di lettera-commiato (scritta in italiano nel settembre 1993), che poi Alex decise di non diffondere: “Per ragioni personali ed interiori che non intendo rendere pubbliche, decido di prendere congedo – non so ancora se a tempo o per sempre – dall’attività politica che svolgevo, in varie forme, ma sempre con forte convinzione ed impegno, ininterrottamente da decenni, e per tredici anni anche nelle istituzioni rappresentative. Di conseguenza mi dimetto dalle funzioni politiche che mi sono state affidate, in particolare dal mandato al Parlamento europeo, dove mi subentrerà Grazia Francescato, attuale presidente del WWF-Italia, che spero avrà l’opportunità di proseguire tale mandato anche nella prossima legislatura. Ringrazio di cuore tutti coloro della cui fiducia, cooperazione e sostegno ho potuto godere, e ricordo con piacere i molti insieme ai quali ho seminato e, qualche volta, anche raccolto dei frutti”… Soltanto una bozza. E le decisioni elencate non hanno poi avuto attuazione. Ma poi il “congedo” è avvenuto. Tragicamente. Né solo dalla politica. Solo dopo la sua morte è stato reso noto un messaggio inviato il 21 ottobre 1993 per fax, scritto in tedesco, ad una sua ex-allieva del Liceo classico di Bolzano, Eva Pattis: “La mia vita si è fatta molto difficile negli ultimi mesi, sono – o mi sento – impegnato da tante parti e ciò ha portato con sé crisi e angosce… Queste e altre circostanze interne ed esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti e per quanto possibile a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi”.

Mao Valpiana ha scritto poco dopo la morte di Alex: “Nell’estremo gesto, nella precisione con la quale l’ha preparato, c’è qualcosa di religioso: la scelta del luogo, il libro di preghiere, la cena con gli amici qualche giorno prima, l’ordine lasciato nelle proprie cose… un atto meditato da giorni, da settimane, forse cresciuto negli anni”.
Lo stesso Valpiana ha anche aggiunto: “Eppure Alex aveva cercato, in più occasioni, di farcelo sapere: “Penso di aver compiuto un periodo di servizio sufficientemente lungo da poter desiderare un periodo sabbatico” (febbraio 1994, prima delle elezioni europee); e poi a voce si confidava: «Tutti cercano risposte da me, ma io non ho risposte nemmeno per me stesso»”.
Nell’epoca che ha storpiato il testimone nel testimonial, Alexander Langer non cessa di viversi  come testimone della ricerca continua e della politica in prima persona.
Non sembri che l’accostamento di Alex Langer ad Aldo Moro sia casuale o prodotto a colpi di pollice. Assassinio brigatista e suicidio si tengono, almeno a mio giudizio, perché tra gli esponenti della grande oligarchia democristiana Aldo Moro ebbe fra tutti più intenso il disagio di chi avverte, fino alla tentazione della fuga, il divario tra le proprie forze e la pesantezza delle incombenze che l’agire politico impone.
Ecco il testamento di Alex Langer: Die Lasten sind mir zu schwer geworden, ich derpack’s einfach nimmer… I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa mia dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. “Venite a me, voi che siete stanchi e oberati”. Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.
Continuare… É una parola. Senza bussola da così gran tempo che s’è cominciato a dubitare che un Nord esista. Eccola la “transizione infinita”. Con esponenti falsi ma non sciocchi di culture defunte. Seppellite sotto le macerie del Muro di Berlino. Finti comunisti e finti democristiani. Che citano Moro senza averlo letto. Moro è diventato il catchup dei finti democristiani. Moro che aveva l’abitudine di ripetere che il pensare politica è già per il novanta percento fare politica. A che percentuale saremo mai scesi in quest’oggi?
La crisi – giova ripeterlo – non è crisi di regole, ma di cultura e personale politico. Crisi “paretiana” classica. Chi ci traghetterà sull’altra sponda della Repubblica?


Già all’inizio del 1990 Alex Langer ha trovato traghettatore e santo protettore. Scrive (quasi confrontandosi nel genere della lettera aperta con l’insuperabile don Tonino Bello) al “Caro San Cristoforo”. Scrive in italiano:
“Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna”…
É il suo capolavoro mistico-letterario. Alex ad un certo punto si chiede:
“Perché mi rivolgo a te alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinanzi a noi”.
Le cose non sono andate per il verso giusto. Anche le vie del Signore sembrano confuse… Verso la fine del 1994, Avvento-Natale, Alex spedisce alla cerchia degli amici una lettera-circolare: “Personalmente ho passato un periodo di transizione assai travagliato, la decisione di ricandidarmi finalmente al Parlamento europeo non è stata per nulla facile, ed ho faticato anche ad accettare l’elezione a presidente del Gruppo Verde (insieme a Claudia Roth). Ancora non so dove questa transizione ci/mi porterà: il bisogno di trovare una nuova sponda per un impegno sociale  e politico, che continuo a ritenere di grande (ma non esagerata) importanza, resta più che mai aperto e non conosce scorciatoie progressiste, né rassicuranti giaculatorie verdi”.


Il limite della politica
Qui il limite della politica mette in discussione il senso stesso del fare politica. Strano paese il Belpaese. Tra tanti uomini di superficie che s’affannano nella corsa del topo in carriera, ecco uno così etico da essere schiacciato dal peso dell’etica.
Se il vivere è vivere per enigmi, secondo l’antica lezione di Niccolò Cusano, anche la politica ammette e pratica vie enigmatiche. E il suo specchio, non potendo essere Gesù il Nazareno, ma la città terrena, assai meno nitidamente rimanda le sembianze. Regno del relativo. Dove il pensiero è forte quando altri pensieri sono più deboli. Dove l’altezza rimanda alla statura dei friulani, considerati i più longilinei tra le italiche genti, per la semplice circostanza che nelle altre regioni dimorano popolazioni di statura inferiore. Confrontati in Africa coi tutsi e in Europa con gli olandesi anche i friulani apparirebbero di media statura…
Non così pensano i divoratori d’Assoluto alla Alexander Langer. E il prezzo pagato è davvero troppo alto.
C’è un modo di fare memoria che ri-seppellisce. Sotto la retorica, perfino nel gossip funerario l’amico e il compagno che ricordiamo. E invece abbiamo una disperata necessità di rammemorare e ritrovare testimoni. Perché il tempo e la vanità di questa politica disperdono. E noi avvertiamo realmente il bisogno e insieme la mancanza di maestri (tale fu Alex) e di consiglieri. Perché è carisma dei maestri liberare.
Ma sono del parere di Adriano Sofri: “Non credo, spero di averlo fatto capire, che Alex sia morto per la Bosnia”. Perché allora? Perché in quel modo? É una sorta di preghiera interrogare.
Vi è, e talvolta ci sorprende, una leggerezza  del pubblico davvero insorreggibile. Qui l’anima tesa coglie la dismisura e può soccombere. É un termine di Simone Weil dismisura: lo suggerisco come parola chiave. Alex lo interpreto così nel gesto estremo di chiudere la sua curiosissima finestra sul mondo, invitando amici e compagni a continuare. Tra fede nuda e politica sdrucita.


Una politica debole
C’è un punto comune d’attacco al tessuto della democrazia. Un aspetto positivo. La società civile sa di essere cresciuta, e sa nel contempo che la politica è diminuita. Non si tratta del solito rapporto relativo. La consapevolezza della società civile produce uno scompenso nel rapporto che induce il ceto politico ad un arrocco parassitario: meglio controllare un territorio circoscritto che correre i rischi del proselitismo che apre i confini a nuove esperienze e li smantella alla competizione di pericolosi concorrenti. Così le oligarchie della partitocrazia senza partiti si difendono e si perpetuano. E le oligarchie, prima che di destra o di sinistra, sono anzitutto oligarchie. Su questo giudizio convergono tutte le scuole. A destra con Mosca e Pareto, a sinistra con Michels, lasciato lì a testimoniare che esiste una tradizione socialdemocratica italiana. Ma lo scompenso e la forbice non possono allargarsi all’infinito dal momento che esperienze e saperi prodotti nel tessuto civile chiedono nuova attitudine di governo ed anche nuove forme del politico. Un’esigenza di nuova partecipazione, non ulteriormente comprimibile.
Gli ultimi decenni delle cronache politiche italiane narrano questa difficile favola, dove il viaggiatore notturno del civile incalza l’esausto viaggiatore diurno del politico. Di qui o di là? La vocazione o la professione? Qui il dubbio s’insinua nei più sensibili,  e in Alex diventa tormento. Questa è la prerogativa dei testimoni, che sfondano porte e attraversano i confini, di maniera che, per dirla con Maurizio Maggiani, “quella che era una grande confusione di popoli ora è diventata una confusione di confini.”
E Alex Langer ci dice che non si può dare nuova politica senza un nuovo guadagno etico: di un’etica “meticcia”, ancorché condivisa.

Il Concilio e la pace
Discriminante l’esperienza del Concilio ecumenico vaticano II. Uno dei tanti casi di autentica ricezione. Una opportunità “generazionale”. Annota Langer in proposito: “Il primo ideale universale che riesce a convincermi e a coinvolgermi è quello cristiano. I miei genitori non ne sono entusiasti, ma non mi reprimono. Leggo, rifletto, prego. “Mi impegno”, sentendo questo impegno come cosa molto seria. Cerco di lavorare in senso ecumenico, come in quel tempo si dice: per il superamento della concorrenza tra associazioni cattoliche; per un dialogo e conoscenza reciproca con i (pochi) protestanti di Bolzano; per momenti comuni tra cattolici italiani e tedeschi. Ognuno di questi gradini presenta qualche difficoltà in più rispetto a quello precedente.”
Altrettanto trasparente l’atteggiamento sul tema epocale della pace: “Mi sento profondamente pacifista (facitore di pace: almeno negli intenti), e mi capita con una certa frequenza di partecipare a iniziative e incontri per la pace. Spesso ho l’impressione che si tratti di una pace astratta, e di un pacifismo privo di strumenti per raggiungere i suoi obiettivi. Al momento della guerra delle Falkland-Malvine penso: se questo fosse un conflitto italo-tedesco (austriaco, ecc.), saprei da che parte cominciare per contribuire a una pace concreta. Il “gruppo misto”, il ponte, il “traditore” della propria parte che però non diventa un transfuga, e che si mette insieme ai “traditori” dell’altra parte…  “la logica dei blocchi blocca la logica”, c’è scritto su uno striscione della manifestazione pacifista internazionale che teniamo il lunedì di Pasqua del 1984, sul “ponte Europa” vicino a Innsbruck. Contro la logica dei blocchi: penso di avere qualche esperienza in proposito grazie alla vicenda sudtirolese, e mi piacerebbe renderla più fruttuosa.”
La conversione è presa di distanze, kenosis, essere altrove e desiderio di trovarsi altrove. É intensità dell’esserci. Abramo che per primo ascolta la voce dell’Altissimo, che è pensabile si esercitasse da gran tempo, con continuità o ad intermittenza. Sempre mettersi in un cammino a rischio verso un paese ignoto. Voglia di un futuro diverso. Dove una posizione e il suo contrario speculare possono risultare ugualmente significative.
Diversamente interessante il passo del convertito. Diversamente interrogante il passaggio della conversione. Trasgressione e spaesamento. Addirittura classica la trasgressione delle grandi sante, al pari di Teresa d’Avila, dove la consapevolezza ante litteram dei condizionamenti femminili lavora a un linguaggio aspro, a una scrittura fuori dalle righe.


“Nel catalogo della vita di Langer, la colonna delle responsabilità e dei titoli accettati è lunga quanto quella dei rifiuti, delle rinunce, delle abdicazioni. Avrebbe potuto essere il leader politico, o il guru, dei verdi italiani: se ne è sottratto discretamente. Avrebbe accettato di fare il sindaco della sua città: ne è stato escluso formalmente per essersi rifiutato di aderire alle clausole “etniche” di un censimento irresponsabile. Nel momento dell’apparente affermazione delle liste verdi, ne ha paventato l’immeschinimento, e proposto lo scioglimento. Quando il Pci ha abbandonato la sua corazza monolitista e si è avviato verso uno scioglimento e una trasformazione, Langer se ne è proposto, così dal di fuori, segretario: e faceva sul serio.
Non fu preso sul serio, allora, né lo fu abbastanza mai: troppo grande era il divario fra la sua tempra e le incombenze, le abitudini, le indulgenze reciproche e le inimicizie da cortile dei bei mondi della politica e dell’informazione.”
Non era però uno sconosciuto Langer in quei mondi e salotti: era altro e considerato come tale. Un alieno di grande originalità e spessore. Un genio trasgressivo. Uomo delle periferie del sapere. Esigente ed esagerato. Fuori dall’idolatria dell’immagine. Escluso dal gossip dei telegiornali, dalla loro ordinaria banalità. Uno che si occupa del debito estero dei Paesi del Terzo Mondo, di Tuzla, del Kosovo, per sé, e non per il loro impatto sulla emotiva informazione del presente.
“Langer, che avrebbe maneggiato con maestria e profondità la scrittura, scriveva in treno, o in aereo, rubando il tempo al sonno, o al tavolo degli oratori dei convegni: bigliettini di appunti, cartoline, articoli”…  E ancora: “Minuziosamente, quando imperversavano le cronache sulle tangenti, Langer compilava e spediva il conto delle sue entrate e uscite, fino agli spiccioli.”  Non era eccentricità, neppure rigorismo. Ma l’ansia di chi si confronta con se stesso prima della comparazione con gli altri. Alexander Langer non era di quelli che battono il mea culpa sul petto del prossimo. Non due pesi e due misure. A partire da se stesso. Che è modalità del misurarsi con le questioni essenziali del nostro tempo.  


Le domande
Gettati nell’esistenza senza petrarchismi… Con domande debordanti la politica, del tipo: ci sarà consentito di fare esperienza nell’aldilà? Come si combinano cose ultime e penultime e terzultime e quartultime per il credente?
Esiste questa razza “zingara” di Hoffnungsträger anche in Italia. E Alex la rappresenta al meglio. Non a caso la già citata Lettera a San Cristoforo, autentico midrash cristiano. Si tratta di un santo la cui icona è presente nel frontone di tante chiesette rupestri, dove la mole del traghettatore ignaro tra i flutti di un torrente in piena contrasta con l’apparente levità del divino Bambino accucciato sulle sue spalle.
Scrive Alex Langer: “Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che dopo aver militato – rispettato e onorato per la tua forza e per il successo delle tue armi – sotto le insegne dei più importanti signori del tuo tempo, ti sentivi sprecato. Avevi deciso di voler servire solo un padrone che davvero valesse la pena seguire, una Grande Causa che davvero valesse più delle altre. Forse eri stanco di falsa gloria e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare – grazie alla tua forza fisica eccezionale – i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella Grande Causa della quale – capivo – eri assetato. Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai “al di sotto” delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante come te e avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per riuscire ad arrivare di là. Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a che fare, e avevi trovato il Signore che valeva la pena servire”… (Il più intenso midrash della letteratura politica italiana.)
Commenta Gianfranco Bettin: “La traversata difficile che, secondo Alex, si doveva fare, seguendo l’esempio di Cristoforo, era quella che conduceva dalle false cause, dai falsi valori alle cause giuste e ai valori buoni del nostro tempo. La sua idea di ecologismo, alla quale si è dedicato precocemente e che l’ha assorbito fino all’ultimo, racchiudeva tutto questo, rovesciava i principi e gli obiettivi della società che, sul motto olimpico, si era modellata per essere più veloce, più alta, più forte, in una corsa folle e autodistruttiva.


Per invertire questa rotta, per realizzare un modello alternativo – che Alex, in opposizione appunto al citius, altius, fortius, voleva ispirato al lentius, profundius, suavius, al “più lento, più profondo, più dolce” – “non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà”. Ci vorrà, diceva, scrivendo al santo traghettatore, “una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita e un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della “conversione ecologica” oggi necessaria ».
Ecco la parola chiave: conversione, attraverso la via ecologica. Conversione è termine iniziale di un cammino del quale si ignora lo sbocco, di una traversata della quale è impossibile prevedere gli esiti. Il peso grava inaspettatamente sulle spalle di Cristoforo e ne rallenta visibilmente il cammino. Conversione è disposizione iniziale, soprattutto al cambiamento, laddove Servizio è tirocinio e abitudine lunga (e troppo lunga). Chi è disponibile a convertirsi si incammina per passi ignoti, non misurabili in partenza. Chi serve si affida a tecniche sperimentate. Chi si converte lo fa in nome di una chiamata la cui fonte non gli risulta sempre chiara né pienamente attingibile.
Abramo (è davvero esistito?) sente la voce che lo strappa a una terra conosciuta. Abramo ascolta quella voce. Ma chi ci assicura che quella voce non avesse già parlato? Che altri al posto di Abramo avesse già fatto orecchio da mercante… É una scommessa la conversione: Pascal ha ragione. Talvolta – con gli anni di Abramo – un azzardo.
Si dà anche il caso di chi messosi in strada, in mezzo al guado di Cristoforo, non coglie e non chiarisce la propria vocazione specifica. É il caso paradossale di Benedetto Labre, che muore povero e barbone per le strade di Roma, almaccando intorno al proprio destino, la cui drammatica vocazione è di non trovarne una. Quasi che un’eco beffarda rispondesse: convertirsi a che? Non c’è un poco di questo scacco defatigante nella depressione di Alex Langer suggellata dal suicidio?


I “cittadini comuni”
Rivolgersi ai “cittadini comuni”. Partire dalla dimensione locale perché in essa vivono le scelte degli individui e delle persone e da essa scaturisce l’associarsi dei piccoli gruppi affini. Il recupero della “quotidianità”, prima della professione, anche se la quotidianità è il luogo dei saperi. Il primato della vocazione. Lontano dall’ossessione identitaria, perché le identità vanno ricostruite. Si illude di averne una chi la trascina dal passato come la corazza di una vecchia testuggine. Tant’è che il viaggiare è fuga da noi stessi. Stranieri tra stranieri: inizio di una fratellanza nel mondo globale che produce apolidismo. Traditori e transfughi che fanno comunella con altri traditori ed altri transfughi, in attesa di fare comunità. Dove la scommessa è ridiventare cittadini una volta resi apolidi nel consumo, che è consumo anzitutto di noi stessi. Il credente può fare riferimento a un testo della metà del secondo secolo dopo Cristo: La lettera a Diogneto. Vera magna charta di una condizione di radici senza radici, di un abitare sentendosi nomadi in viaggio. Di chi ha patria ma è come non l’avesse. Non per razza e neppure per inesplicabile destino, bensì per vocazione. Non aspettando miracoli, come i giudei. Non inseguendo sapienza, come i greci.
Così pure viaggiare non è immorale né crudele. É occasione. Pone, come la casa, le circostanze del fare esperienza e del mettersi in gioco.
C’è in Alexander Langer un approccio alla politica nell’ansia di fare esperienza. Il mettersi in gioco come frontiera dell’esistere. Giocarsi sul serio la vita. Con problemi a monte e problemi a valle. A monte, l’identità contrastata e contraddetta: la problematicità dell’etnos e del confine. A valle, la sfida della seconda metà del ventesimo secolo, che è “formare una nuova cultura ecologicamente orientata che utilizzi il meglio del passato.”


Direbbe Mario Tronti: “La politica contro la storia”. Anche se in Alexander Langer passo e atteggiamento assumono andatura e profilo più dolce: lentius, profundius, suavius
Anche se la posta non è descrittiva, perché si tratta di convertire il mondo ricco convincendolo a mutare i comportamenti personali, ad abbandonare sviluppo e ideologia dello sviluppo per de-crescere, secondo l’indicazione di Serge Latouche. Laddove il fare esperienza politica e l’assumere la politica come esperienza muta non soltanto la prospettiva, ma incide le carni dell’esistenza. Starei per dire: la politica come esperienza al posto della politica come professione. Per questo il mettersi in situazione nella dimensione locale, perché “senza il tessuto di tante scelte parziali… di sperimentazioni… le scelte globali difficilmente potranno maturare.”
Con implicazioni imprevedibili. Ne fa testimonianza la polemica del 1986, quando Alex Langer firma con altre 21 persone di area verde, tra cui tre donne, un testo che dialoga con il documento sulla bioetica elaborato dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Joseph Ratzinger.
Si tenga conto delle semplificazioni della stampa, quasi inevitabili. Al centro di quel documento “c’era il rifiuto di ogni forma di manipolazione genetica e l’appello alla Chiesa cattolica perché estendesse la sua sensibilità anche alle piante e agli animali.”
Alexander Langer chiedeva inoltre alle istituzioni scientifiche cattoliche di rifiutare la vivisezione…

Potremmo citare all’infinito. Ma il cuore del pensiero di Alex può essere già colto e in certo senso sintetizzato. L’attraversamento delle scienze e delle tecniche lo ha ricondotto ogni volta al centro di un’esperienza nel suo farsi. La quotidianità – e il politico quotidiano – come luogo delle contraddizioni da sciogliere, dei semi da cogliere, delle prospettive da inaugurare. Senza dimenticare la presenza dello Spirito che anima la vicenda storica.
Il politico non può non essere insieme militante e testimone. Ripresa di un mantra di Paolo VI più ripetuto che interpretato Non per enfasi ideologica, ma per vocazione irrinunciabile. Una vocazione che non nasce con lui e ogni volta lo supera. Perché anche la politica a misura umana non può mai far tacere il proprio dover essere, che in ogni stagione e in ogni circostanza la spinge oltre se stessa.
Questa appare, con tutti gli inevitabili costi del beneficio d’inventario, la cifra di Alex, il suo approccio ostinatamente e creativamente antropologico alla politica. (Un precursore di papa Francesco.)




                                                                                                  
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