UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 30 settembre 2020

DANTESCA
di Franco Toscani




Dante e "la caligine del mondo"
(a "Salvino" Dattilo e Attilio Finetti)
 
1. L'inesauribile patrimonio culturale di Dante   
rivolto all'umanità planetaria

Come vera e propria festa e compendio dello spirito umano, la Divina Commedia convoca in una possente e mirabile costruzione nel contempo poesia, narrazione, storia, politica, teologia, filosofia, scienza, arte, letteratura, immensa cultura e dottrina, fertile immaginazione, humanitas, tensione morale, virtù civili e quant'altro, elementi e aspetti tra i più disparati che sono tenuti armoniosamente insieme da una straordinaria capacità di canto e di suggestione poetica. Perciò non ha molto senso distinguere rigidamente in Dante la "poesia" dalla "non poesia", come ha fatto un pur grande critico e filosofo come Benedetto Croce ne La poesia di Dante (1921) e altrove. Essere poeti richiede per Dante, oltre che la strenuitas ingenii e l'artis assiduitas, anche l'habitus scientiarum (cfr. De vulgari eloquentia, II, IV, 9).
Il punto essenziale consiste proprio in ciò: nel convogliare in altissima poesia e con una prodigiosa varietà di mezzi espressivi l'enorme materiale di memorie e speranze, esperienze e fatti storici, incanti e orrori, piaceri e dolori, virtù e colpe, tensioni terrene e vagheggiamenti celesti di cui tratta la Commedia. Per questi motivi Dante Alighieri non è soltanto il maggiore genio poetico italiano, ma è tuttora potente luce, una delle luci irrinunciabili per l'umanità intera, per l'umanità planetaria di difficile gestazione.
Noi qui non potremo approfondire gli aspetti principali del capolavoro dantesco né svolgeremo un discorso storiografico-letterario, ma cercheremo di occuparci soprattutto della "caligine del mondo" nel grande poema, focalizzeremo dunque la nostra attenzione sulla superbia, tema che, nelle nostre intenzioni, ci farà comprendere pienamente una delle ragioni essenziali dell'attualità di Dante e del rinnovato interesse contemporaneo per la sua opera.
Il tema al centro del nostro discorso emerge già nel primo Canto dell'Inferno, allorché Dante non può raggiungere il "dilettoso monte" (cfr. Inferno, I, 77) che rappresenta la vita virtuosa alla base della felicità umana, perché è ostacolato da tre fiere (il riferimento è qui a Geremia, 5,6) - una lonza (la lussuria), un leone (la superbia), una lupa (la cupidigia) -, le quali rappresentano simbolicamente le tre disposizioni peccaminose che impediscono agli individui una conversione dei cuori e delle coscienze e minano profondamente la vita sociale, civile e politica dei popoli. Il fine etico-politico di redenzione è già qui presente, sia pure soltanto abbozzato. Il leone, simbolo della superbia, "parea che contra me venisse/ con la test'alta e con rabbiosa fame,/ sí che parea che l'aere ne tremesse" (Inferno, I, 46-48).
Altrove l'Alighieri stesso ammette di essere stato molto tentato nella sua vita dalla lussuria e dalla superbia dell'ingegno, non invece dalla cupidigia, che - come impietatis et iniquitatis genitrix (Epistulae, XI, 14) e inordinatus appetitus cuiuscumque boni temporalis, secondo la definizione scolastica - era per lui alla base della corruzione sociale e politica.
Noi qui tenteremo di seguire le indicazioni del poeta per cercare ancora una volta di imparare qualcosa da un grande classico, fonte permanente di nuova vita e di nuove possibilità per noi, per il futuro dell'umanità. Non pochi studiosi hanno già da tempo giustamente sottolineato l'importanza della dimensione profetica (o profetico-apocalittica) nella Commedia (cfr., ad esempio, Inferno, I, 100-111; Purgatorio, XXXIII, 43-45; Paradiso, IX, 139-142; XXII, 14-15; XXVII, 61-63, 142-148), tema su cui è rinvenibile un'ampia bibliografia.
Dal mero lirismo stilnovistico della fase giovanile, che pure ha dato risultati poetici eccellenti, nella Commedia la poesia di Dante si fa più complessivamente impegnata, più pronta a misurarsi col destino dell'uomo e coi problemi dell'umana convivenza e civiltà. L'intento del grande poema - come l'autore stesso chiarisce anche nelle Epistulae (XIII, 39-40) - non è tanto o soltanto lirico, contemplativo, speculativo, ma è anche e soprattutto etico-pratico e politico, per superare lo status miseriae e condurre gli uomini alla felicitas. Dante tende a oltrepassare la "selva oscura", come "selva erronea di questa vita" (cfr. Inferno, I, 1-3 e Convivio, IV, XXIV, 12), in vista di una redenzione che vuole essere sia personale, dai propri errori e peccati, sia di tutta l'umanità dal suo stato di corruzione, disordine e decadenza. Per ogni essere umano che viene al mondo vi è infatti un campo sempre aperto e problematico di donazione di senso e di azione, come ben sapeva il poeta in versi celeberrimi: "Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza" (Inferno, XXVI, 118-120).
Come si sa, i classici non valgono e non appartengono soltanto al passato, ma hanno tutto l'avvenire davanti a sé. Dante non ha bisogno di retoriche celebrazioni, ma di essere riletto e rimeditato sia per godere del suo canto sia per procedere meglio nel nostro arduo cammino di umanizzazione. Concentreremo dunque la nostra attenzione soprattutto su alcuni aspetti rilevanti dei Canti X, XI, XII, XVII del Purgatorio.

 

  

DIFFERENZE



“I serpenti strisciano per natura.
Noi, invece, per servilismo”.
Nicolino Longo
 

INDUSTRIE DI MORTE
di Antonio Mazzeo



Il governo rafforza la partnership militare con il Kuwait.
Affari in vista per le industrie di morte.
 
L’Italia rafforzerà la propria collaborazione politico-militare con il Kuwait. È quanto emerge dalla missione nell’emirato arabo del ministro della difesa Lorenzo Guerini, il 27 e 28 settembre 2020. Dopo essere atterrato all’aeroporto di Kuwait City il responsabile del dicastero si è recato in visita al Comando del contingente italiano schierato nella base aerea di Ali Al Salem nell’ambito dell’operazione multinazionale “Inherent Resolve”. Successivamente Lorenzo Guerini ha incontrato il primo ministro dell’emirato Sabah Al-Khalid Al-Sabah e il ministro degli esteri Ahmad Al-Sabah. “Da anni Italia e Kuwait sono fianco a fianco nel contrasto all’ISIS e per la stabilità regionale”, ha dichiarato Guerini. “Abbiamo ribadito al governo kuwaitiano la nostra soddisfazione per l’amicizia che ci unisce. L’impegno è quello di rafforzare la cooperazione in ambito difesa nell’immediato rifiuto. Ho inoltre inteso salutare a nome di tutti gli italiani i nostri militari presenti in Kuwait, uomini e donne che rendono le nostre forze armate protagoniste nella lotta al terrorismo internazionale e fondamentale punto di riferimento per la Coalizione anti-ISIS”.
Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa sarebbero 300 circa i militari italiani attualmente presenti in Kuwait. Oltre che nello scalo aereo di Ali Al Salem, il personale e gli assetti aerei operano anche dalle basi militari di Camp Arifajan e Ahmed Al Jaber. In quest’ultima infrastruttura sono stati trasferiti da qualche settimana quattro caccia “Tornado” del Task Group Devil dell’Aeronautica Militare. Essi hanno preso il posto degli “Eurofighter” del Task Group Typhoon, protagonisti di oltre 700 “sortite di ricognizione aereo tattica” anti-ISIS nell’ultimo anno e mezzo.
“I Tornado saranno impiegati in missioni di sorveglianza aerea - in gergo tecnico Intelligence, Surveillance and Reconnaissance (ISR) - per continuare ad assicurare alla Coalizione il contributo richiesto in termini di monitoraggio e controllo dall’alto del Teatro di operazioni, fondamentale per ottenere l’Information Superiority che ha da sempre avuto un ruolo cruciale nelle operazioni militari”, ha dichiarato lo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “Le missioni sono svolte esclusivamente sul territorio iracheno e prevedono la ricognizione fotografica di obiettivi assegnati dalla Coalizione. I contributi raccolti vengono inviati, in tempo reale, alle stazioni di terra per essere analizzati da cellule intelligence specializzate”.
Insieme ai caccia del Task Group Devil operano in Kuwait i velivoli da trasporto tattico Boeing 767 e C27J dell’Aeronautica italiana, una cellula di integrazione delle informazioni multisensore denominata “I2MEC” e un drone “Predator” MQ-9 del 32° Stormo di Amendola-Foggia. Il velivolo a pilotaggio remoto con funzioni d’intelligence è rischiarato nella base di Ali Al Salem e ha già superato le 10 mila ore di volo in teatro operativo.
In questi ultimi mesi l’Aeronautica italiana ha anche rafforzato l’attività di addestramento dei militari kuwaitiani. In particolare presso il 4° Stormo di Grosseto si svolgono corsi operativi per missioni di volo sui caccia “Eurofighter”, destinati a cinque piloti della Kuwait Air Force. Gli avieri dell’emirato hanno pure effettuato un lungo periodo di formazione a Loreto, presso il Centro di Formazione Aviation English, e a Galatina (Lecce), presso l’International Flight Training School del 61° Stormo.
Il Reparto Sperimentale Volo di Pratica di Mare con i suoi caccia multiruolo “Eurofighter” è stato ospite a gennaio del Kuwait Aviation Show, il grande salone aerospaziale che si tiene annualmente a Kuwait City. Per l’evento hanno raggiunto l’emirato anche il sottosegretario di Stato alla Difesa, Angelo Tofalo (M5S), il Sottocapo di Stato maggiore generale Luca Goretti e l’amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica, Alessandro Profumo.
“La presenza dell’Aeronautica Militare in Kuwait ha contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia nello scenario internazionale, soprattutto in questa area geografica di grande interesse, dove il nostro Paese intrattiene importanti rapporti in termini di cooperazione militare e industriale”, dichiarava il Sottosegretario Tofalo a conclusione della kermesse armiera. “L’esibizione della nostra Aeronautica ha dimostrato grandi capacità operative e tecnologiche: apprezzata in tutto il mondo essa è sinonimo di affidabilità, know-how e tecnologia”.
A Kuwait City la delegazione italiana s’incontrava pure con il Capo di Stato Maggiore, generale Mohammed Khaled Al Khader. “Nei colloqui si sono affrontate le tematiche di cooperazione internazionale che vedono le Forze Aeree delle due nazioni impegnate in stretta collaborazione e sinergia”, riportava l’ufficio stampa del Ministero della Difesa. “L’Aeronautica Militare, infatti, sostiene la Kuwait Air Force in tutte le attività propedeutiche alla consegna dei velivoli Eurofighter al governo del Kuwait in base a quanto previsto dal contratto in essere con Leonardo. Una concreta dimostrazione dell’ormai ventennale amicizia tra i due Paesi e della volontà dell’Italia di supportare efficacemente la crescita del sistema paese”.
Leonardo-Finmeccanica ha sottoscritto nell’aprile 2016 un contratto per la fornitura al ministero della difesa kuwaitiano di 28 caccia “Eurofighter”, con relative attività logistiche e di manutenzione, più l’addestramento degli equipaggi e del personale a terra in collaborazione con l’Aeronautica militare. La produzione dei velivoli da guerra è in atto nello stabilimento Leonardo di Torino-Caselle e la consegna dovrebbe concludersi entro fine del 2023. La holding punta a trasferire al Kuwait anche i nuovi caccia addestratori M-346.
 

LA BUONA MUSICA
AL MUSEO BAGATTI VALSECCHI


Una veduta della Casa Museo

OMAGGIO AL CLAVICEMBALO
Associazione Culturale
(a Federico Colombo)
 
Antiche note di clavicembalo
per il Museo Bagatti Valsecchi
 
Torna la collaborazione con l’associazione “Omaggio al Clavicembalo”, una collaborazione che da anni si ripete e trova nel pubblico un felice riscontro tra appassionati e amatori. Un appuntamento settimanale, la domenica pomeriggio, grazie al quale nel grande Salone del Museo Bagatti Valsecchi saranno eseguite musiche di grandi autori del ’600’ e ’700, da Frescobaldi a D. Castello, Van Eyck, Couperin, Forqueray per finire con il grande J. S. Bach, creando nelle sale del museo un’atmosfera senza tempo. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con ‘Associazione Omaggio al Clavicembalo’, realtà di clavicembalisti professionisti che dal 1980 si dedica alla diffusione del repertorio per lo strumento in Italia e all’estero. L’Associazione coniuga la grande passione per la musica antica e l’entusiasmo dei soci, creando nel tempo le felici condizioni per realizzare, in Italia e all’estero, centinaia di concerti, con le più eterogenee formazioni: da quella solista a quella combinata con più clavicembali, insieme con altri strumenti dell’epoca, voce e orchestra d’archi. Da molti anni l’attività di Omaggio al Clavicembalo è dedicata a Federico Colombo, clavicembalista prematuramente scomparso, allievo di Marina Mauriello. L’iniziativa è realizzata con il sostegno di Regione Lombardia. Il concerto è gratuito e incluso nel biglietto d’ingresso al Museo, la prenotazione è obbligatoria su museobagattivalsecchi.org
I posti a sedere sono limitati e disposti in modo da mantenere la distanza di sicurezza di un metro. All’ingresso del Museo sarà rilevata la temperatura corporea; se al di sopra dei 37°, non sarà consentita l’entrata. È obbligatorio l’uso della mascherina per l’intera permanenza all’interno del Museo.


CONTATTI UFFICIO STAMPA
Benedetta Marchesi Museo Bagatti Valsecchi
Tel. 340 5243209  
email: press@museobagattivalsecchi.org
 
Programma di Domenica
11 ottobre 2020 ore 16
“Grandi compositori francesi del ’700”
Cembalo: Ruggero Laganà
Musiche: François Couperin  
Antoine Forqueray  
Jean-Philippe Rameau

Indirizzo: Museo Bagatti Valsecchi
Via Gesù 5, Milano
Concerto ore 16 Ingresso al Museo: 10,00 euro
Riduzioni per Soci Omaggio al Clavicembalo: 7,00 euro
Ingresso gratuito per Soci e Volontari del Museo
Aperto dal venerdì alla domenica dalle 13 alle 17.45

La Poesia
Turbamento 

Opera di Vinicio Verzieri
          
Non mi turbate i colori
Essi sono le pennellate
dell'esistere...
Alcune sono brillanti
Altre sono
lo scandire del pendolo
inesorabile
finché la carica smette di
girare
la danza delle ore
fra un Bolero e l'altro.
Laura Margherita Volante 

martedì 29 settembre 2020

UNA TURCHIA SEMPRE PIÙ NERA



(Nella foto Eren Keskin. Era venuta a Milano al "Punto Rosso" subito dopo la scarcerazione di Leyla Zana dove l'avevo incontrata. Aveva seguito tutto il processo dei 4 deputati curdi in carcere.  Silvana Barbieri)  


La scure di Erdogan sul Partito democratico dei Popoli:
arrestati 82 dirigenti.

“È in atto un vero e proprio genocidio politico”, sostiene Eren Keskin, avvocato e attivista per i diritti umani, vicepresidente dell’İnsan Hakları Derneği (İHD), la prestigosa Associazione turca per i diritti umani. “Stiamo assistendo alla detenzione di massa del terzo partito più grande del paese” I calcoli del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) di Erdoğan sono chiari: per le prossime elezioni deve essere annichilito, è la logica dell’uomo solo al comando. Il presidente turco non vuole aver alcun ostacolo nelle prossime elezioni, non vuole rischiare nemmeno lontanamente di perderle, vuole essere sicuro di vincere e per esserne certo deve eliminare il partito più insidioso per lui. Se elimina dalla competizione elettorale l’HDP, stando ai sondaggi attuali, è matematica la sua rielezione. Venerdì, 25 settembre, la polizia ha fatto irruzione anche nella casa del sindaco di Kars, Ayhan Bilgen, in quella degli ex parlamentari Altan Tan e di Sırrı Süreyya Önder, uno degli esponenti storici e fondatori dell’HDP, leader del movimento di Gezi, arrestato in una camera d’albergo ad Aksaray a İstanbul dalla TEM, la squadra antiterrorismo turca.
La maxi retata di dirigenti dell’HDP è stata condotta in sette province della Turchia nell’ambito dell’indagine dell’ufficio del Procuratore capo di Ankara sulle rivolte per Kobani che si svolsero dal 6 al 12 ottobre 2014.
La roccaforte curda in Siria sul confine con la Turchia era allora assediata dallo Stato islamico e la popolazione del sudest anatolico era irritata per il rifiuto di Ankara di intervenire in aiuto di questa città.
Migliaia di cittadini dei villaggi delle province a maggioranza curda scesero in piazza per protestare contro il comportamento del governo turco considerato gravemente omissivo.
Le proteste degenerarono in scontri violenti con la polizia, lasciando sulle strade 46 morti e oltre 600 feriti; furono devastate da incendi 197 scuole, 269 edifici pubblici, 1731 abitazioni e 1230 veicoli.
Ad oggi è sott’inchiesta o agli arresti la quasi totalità della classe dirigente del secondo maggior partito d’opposizione, considerato il pericolo numero uno da Erdoğan e dal suo AKP.
Ci si chiede quale sia l’obiettivo di una simile retata.
L’opposizione non ha dubbi: l’obiettivo è impedire che alle prossime elezioni, previste per il 2023, ma che potrebbero essere anticipate, si svolgano senza l’HDP o con questo partito fortemente decimato.
Perché sono particolarmente significativi, ora, questi arresti? Perché il Partito democratico dei popoli turba il sonno di Erdoğan?
La parlamentare Meral Danış-Beştaş, vicepresidente del gruppo parlamentare dell’HDP sostiene che “non vi è alcun fondamentale legale in questi arresti. Il governo di solito fa aprire un’indagine come e quando vuole, ogni volta che ciò torna utile nella strategia mirante a delegittimare l’opposizione criminalizzandola”.
Liberare un oppositore può tornare utile in determinate circostanze, ma poi se risulta invece utile che stia in carcere, lo si arresta di nuovo affibiandogli  un nuovo capo di imputazione. E così è accaduto per Ayhan Bilgen, Altan Tan, Sırrı Süreyya Önder e per altri. Essi furono messi sotto inchiesta e arrestati poco dopo le rivolte per Kobani del 2014 e dopo si capì che essi non avevano alcuna responsabilità dei reati loro ascritti. Essi furono quindi liberati, ma ora, dopo sei anni, l’inchiesta è stata riaperta con prove inesistenti.
“Il nostro partito non ha alcuna responsabilità per gli incidenti di Kobani. Abbiamo più volte suggerito che fosse istituita una commissione di inchiesta parlamentare su quegli eventi, ma la nostra richiesta è stata sempre respinta. I responsabili di quelle morti non sono mai stati assicurati alla giustizia. Nessuno è stato processato, ma ora si vuole che il nostro gruppo ne paghi il prezzo”, ha precisato Danış-Beştaş.
Il quotidiano di sinistra Bir Gün parla di un governo turco schiacciato da una crisi economica per la quale non intravede una via d’uscita e che sta provocando una perdita di consensi sempre più consistente sia per l’AKP di Erdoğan che per l’estrema destra nazionalista, MHP, di Devlet Bahçeli. I due alleati di governo cercano una via d’uscita che consenta loro di risalire nei sondaggi e per questo mettono come sempre sotto torchio l’opposizione più insidiosa. Il giornale conservatore Karar, quotidiano dei fuoriusciti dall’AKP parla dell’attuazione di un’agenda elettorale del Partito della giustizia e dello sviluppo. L’operazione, sostiene infatti l’opposizione turca, ha origine nel palazzo e asseconda le aspettative del palazzo. Prendere di mira l’HDP non punta solo all’eliminazione fisica del partito più insidioso per la rielezione di Erdoğan, ma significa anche eliminare alcune fratture esistenti all’interno dell’Alleanza repubblicana (Cumhur İttifakı) tra l’AKP e gli ultranazionalisti degli Ulusalcı e degli ex Lupi Grigi e risanare alcune fratture anche all’interno dello stesso partito di governo, tra la corrente Pelikan che fa capo al genero di Erdoğan e ministro del Tesoro delle Finanze, Berat Albayrak, e il ministro dell’Interno Süleyman Soylu che ha promesso di sdradicare da ogni angolo del paese il terrorismo curdo entro quest’anno.
Soylu, il 13 luglio 2020, ha lanciato nelle province del sudest al confine con Siria, Iraq e Iran, nel cosiddetto triangolo del terrore di Şırnak, Hakkari e Van, l’operazione Yıldırım, (Fulmine), giunta alla dodicesima fase, concentrata nel distretto di Beşkaynak nella provincia di Bitlis, sul lago di Van. L’Operazione antiterrorismo Yıldırım-12 (Fulmine-12) sta impiegando 747 commando di forze speciali della Gendarmeria (JÖH), corpi speciali della Polizia (PÖH) e Guardie di sicurezza.
L’operazione mira a sdradicare ogni cellula del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) dal paese e ha finora “neutralizzato”, come si usa dire nel gergo militare turco, 71 presunti terroristi, 38 fiancheggiatori e distrutto 141 covi e depositi d’armi. L’operazione ha fatto seguito a quella precedente denominata Kıran, che vuol dire frantumazione, avviata nel maggio del 2018.
L’opposizione ha reagito condannando con grande decisione gli arresti.
Il leader del Partito repubblicano del popolo (CHP), Kemal Kılıçdaroğlu, ha parlato di un presidente della Repubblica che ha paura dell’opposizione e che sa di avere i giorni contati. La presidente provinciale di Istanbul, Canan Kaftancıoğlu, l’eroina del partito, braccio destro del sindaco di Istanbul, İmamoğlu, parla di una magistratura alle dirette dipendenze del capo dello Stato. E il vicepresidente della Commissione diritti umani del Parlamento turco, Sezgin Tanrıkulu, parlamentare del CHP, parla di una magistratura che ha voluto fare un regalo al Palazzo.
Birol Aydın del partito islamista di opposizione, Saadet chiede di sapere quale sia il motivo degli arresti. Kani Torun del neocostituito Gelecek Partisi, il Partito del Futuro dell’ex primo ministro Ahmet Davutoğlu ha detto che criminalizzare i partiti democratici serve solo al PKK ed è come mettere l’olio sul pane, un’espressione turca che significa fare la cosa più semplice quando non c’è più niente da mangiare. Mustafa Yeneroğlu del DEVA, il Partito della Democrazia e del Progresso dell’ex zar dell’Economia turca Ali Babacan ha detto che si tratta di una strumentalizzazione della giustizia per puri scopi personali. L’HDP aveva vinto le elezioni comunali del 2019 in 65 comuni
Ma il governo ha nominato amministratori fiduciari in 47 di queste municipalità, defenestrando e arrestando i loro sindaci eletti in libere elezioni con maggioranze schiaccianti: 22 sindaci su 47 defenestrati sono attualmente dietro le sbarre, e sono tutti dell’HDP.
Da quando è stato fondato, nell’ottobre del 2012, il Partito democratico dei popoli, ha visto decimare la sua classe dirigente: tredici parlamentari arrestati, oltre cento sindaci defenestrati, molti dei quali finiti dietro le sbarre assieme a oltre ventimila tra dirigenti e militanti.
Era dai primi anni Novanta che non si assisteva ad una simile repressione contro le organizzazioni e i partiti del movimento curdo. Quando allora vigeva lo stato di emergenza e militanti e intellettuali curdi riempivano le galere e ingrossavano le file dei desaparecidos.
L’attuale presidente delll’HDP Mithat Sancar, arabo di Mardin, ha definito la repressione in atto contro il suo partito come un colpo di stato politico, simile a quello già avvenuto il 2 marzo del 1994 quando alcuni parlamentari curdi eletti tra le file dell’allora Partito socialdemocratico (SHP) persero lo status di parlamentari e furono arrestati; tra gli altri, Leyla Zana, premio Sakharov nel 1995, colpevole di aver giurato in Parlamento in lingua curda e Ahmet Türk figura carismatica del movimento curdo.
Un colpo di stato politico, come quello avvenuto il 4 novembre 2016, quando furono arrestati i copresidenti dell’HDP, il suo leader carismatico e fondatore Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.
Il 22 maggio 2020 furono arrestati 18 attivisti politici, molti dei quali dell’HDP e dell’associazione femminista delle Donne Rosa di Diyarbakır, la più grande città a maggioranza curda della Turchia.
Agli inizi di quello stesso mese furono rinvenute alcune scatole di plastica piene di ossa di 261 persone, erano state sepolte una sopra l’altra sotto un marciapiede a Kilyos, in una località a nord di Istanbul.
Le ossa sono di coloro che furono dissepolti in un cimitero nella provincia di Bitlis nella Turchia orientale a maggioranza curda, una delle aree dove si concentrano le operazioni antiterrorismo, e sono state trasferite a Istanbul, all’insaputa delle loro famiglie.
Ossa, queste, trovate accatastate, sotto un marciapiede.
All’inizio del 2020 è stata scoperta una fossa comune a Dargeçit, nella provincia di Mardin, sempre nel sudest a maggioranza curda.
Erano teschi e ossa di 40 persone. Quaranta curdi, che furono portati via negli anni ’90, rapiti dalle loro case, strappati ai loro cari e assassinati. Anche questo rinvenimento è passato inosservato in Turchia.
Perché? Perché si tratta di curdi.
Nessuno ha chiesto chi fossero queste persone, quali vite conducessero, chi le avesse strappate ai loro cari e chi le avesse uccise, sostiene l’attivista per i diritti umani e scrittrice, Nurcan Baysal.
Giovedì, 24 settembre, un prigioniero politico curdo, Ali Boçnak, di 76 anni, ha perso la vita nella prigione di tipo L del penitenziario di Patnos, in provincia di Ağrı. Boçnak fu arrestato nell’ambito dell’operazione contro l’Unione delle comunità del Kurdistan KCK a Kars nel novembre del 2009, condannato a 7 anni e 8 mesi di carcere.
Ali Boçnak, oltre ad essere accusato di appartenenza al KCK, organizzazione ombrello che sovraintende i partiti curdi che fanno riferimento al PKK in Turchia, Siria, Iraq e Iran, è stato incriminato anche per aver cantato una canzone in curdo. La sua pena detentiva è stata confermata dalla Corte di Cassazione nel 2013. A nulla è valsa la campagna sui social delle organizzazioni per i diritti umani che chiedevano la sua liberazione essendo egli gravemente ammalato perché affetto da insufficienza renale e da molte altre patologie. croniche. Secondo il rapporto 2020 dell’İHD, in Turchia vi sono 1.564 prigonieri malati, dei quali 591 in maniera grave.
L’esercito turco è stato recentemente accusato di aver lanciato dall’elicottero due contadini curdi.
L’11 settembre due contadini curdi erano stati arrestati dai reparti speciali antiterrorismo, fatti salire su un elicottero e poi gettati nel vuoto. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano questa pratica come usuale nelle operazioni militari nelle aree rurali contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan. I pubblici ministeri turchi hanno aperto un’indagine sulle accuse secondo cui due agricoltori curdi sarebbero stati brutalmente picchiati e lanciati fuori da un elicottero militare nella provincia sudorientale di Van.
Questo caso ha ricordato gli orrori inflitti alla popolazione curda del luogo al culmine della recrudescenza delle operazioni antiterroristiche contro il PKK negli anni ’90. Le immagini dei volti insanguinati di Osman Siban, 50 anni, e Servet Turgut, 55 anni, che circolano online hanno provocato orrore e putiferio nella comunità curda. I parlamentari del Partito democratico dei popoli chiedono l’istituzione di una commissione parlamentare per indagare sulla vicenda. Turgut ora è in condizioni critiche in un ospedale di Van.
“Mio padre è in coma”, ha denunciato Huseyin in un’intervista, figlio unico di Turgut. “Ha un trauma cerebrale, 11 costole rotte, un polmone perforato e i medici dicono che le sue possibilità di sopravvivenza sono scarse. Chiediamo giustizia, ma lo stato vuole seppellire la verità, per nasconderla”, ha detto.
Siban, che è stato dimesso da un ospedale militare questa settimana, soffre di vertigini e perdita di memoria. “È assolutamente terrorizzato. Ha perso il senso del tempo e del luogo. Il suo parlare è un piagnucolio infantile”, ha detto Hamit Kocak, uno dei tre avvocati che ha presentato denuncia di tortura e di omicidio colposo. Siban si sta riprendendo dalle ferite nella sua città costiera di Mersin. Il governo respinge ogni accusa.
Gli anni ’90 stanno tornando in Turchia, quegli anni furono un periodo di feroce brutalità. Allora le forze di sicurezza fecero evacuare con la forza la popolazione di almeno 2.500 villaggi che poi diedero alle fiamme, come parte di una campagna militare da “terra bruciata” che vide lo sfollamento di oltre un milione di persone. Secondo un rapporto del 2005 di Human Rights Watch, elementi deviati dell’esercito avrebbero compiuto uccisioni extragiudiziali, rapito dissidenti e sottoposti i curdi a numerosi altri abusi nel tentativo di reprimere le rivolte del PKK.
 

PIAZZA D’ARMI


Cliccare sul manifesto per ingrandire


INCENDI, PANDEMIE, GUERRE, STUPRI…


San Nicola Arcella in fiamme

“Per le stronzate di certi uomini di merda,
siamo costretti a vivere una vita di merda”.
Nicolino Longo

UNIONE SINDACALE ITALIANA



FILOSODIA DI UN “NATO AL MONDO”



-Sessione 3/13 maggio 2016, OEWG Ginevra
Riunione Stati non nucleari con Società Civile,
Palazzo Nazioni Unite
-Olanda, Paese N.A.T.O. chiede interdizione armi nucleari

Mi stavo chiedendo se anch’ io, sostenitore della responsabilità individuale in pace e in guerra in questi tempi nucleari, potevo avere la dignità di rivolgermi alle nostre istituzioni e, idealmente a quelle internazionali, per parlare di Pace e di invitarle alla firma di un Trattato che, primo, nella vita della politica mondiale, parla chiaramente del divieto di possesso e trasmissione delle armi nucleari e della realtà che singoli uomini usando la loro intelligenza, nelle varie circostanze  di certi avvenimenti,  hanno scelto di pensare in proprio, evitando disastri immensi a tutti.
Certo bisognerebbe che a queste richieste seguissero, compatibilmente con la situazione sanitaria esistente, azioni che ricordassero il problema e non ci si limitasse alla sua sola esplicazione. Azioni, per carità, nonviolente, che dovrebbero coinvolgere il maggior numero di gruppi pacifisti, per l’obiettivo prefissato.  
Circa la dignità di rivolgermi alle istituzioni è chiaro che dovrei avere l’aiuto di chi può farlo conoscere, almeno, attraverso i giornali on-line. È a loro che mi rivolgo, consapevole della loro libertà di scelta, che spero non escluda, chi come il sottoscritto, ha preso direzioni allargate anche alla propria vita personale, non solo a quella della sola pace in sé.
In allegato c’è la mia assunzione ufficiale della mia violenza, senza delega allo Stato, nel maggio 2016. Saluto e come sempre, grazie.
Giuseppe Bruzzone


Giuseppe Bruzzone

Chi scrive è un "nato al mondo" sul finire dell'anno 1942. Nato al mondo perché frutto dell'incontro di un uomo e di una donna. Cioè frutto della specie umana. Che poi sia nato in un certo Stato, in una città piccola o grande, lo ritengo meno importante che non il dato di fatto di cui sopra. Senza nulla togliere all' impronta, che pesa, che si può ricevere, nascendo in un posto, anziché in un altro. Ma il concetto di Specie sovrasta quello di Stato. Non ci fossero i frutti di essa, lo Stato non esisterebbe.
Rivendico quindi una mia libertà di pensiero che va oltre quella cultura, quell' atteggiamento verso i problemi che si riceve in una realtà oppure in un'altra.
A maggior ragione, nel periodo storico che stiamo vivendo, in cui i gruppi umani, nella permanente conflittualità contro altri gruppi, nella costante evoluzione del pensiero scientifico, hanno prodotto armi, che se impiegate, potrebbero distruggere la nostra stessa Storia sul Pianeta che abitiamo.
Ritengo, come osservato da diversi studiosi, che nel nostro modo di rapportarci con altri gruppi, ci sia molto del comportamento di altre specie animali sociali come le formiche. Cioè ci sia una componente animale che nel periodo storico attuale giudico deleteria. Le formiche non sanno quello che fanno. Fanno e basta. Noi, umani, dovremmo invece sapere le conseguenze dei nostri atti, proprio perché umani. E se usassimo certe armi faremmo solo opere di reciproca distruzione, non di conquista o difesa di valori o raggiungimento di obiettivi "geo-politici", come qualcuno continua a pensare non volendo accorgersi del periodo "atomico" attuale. Parlare del non uso di certe armi non vuol dire che se ne possono usare altre di tipo diverso. Vuol dire accorgersi che la nostra violenza che le ha prodotte, oggi è arrivata al massimo della sua espressione. E che occorre cambiare verso, se si vuole continuare la Vita nel suo insieme, sulla Terra. È la nostra Storia Umana che ritengo sia giunta ad un bivio. Per il Clima e la situazione conflittuale tra gli Stati, quelle politiche di accordi generali, economici e politici per contenere e isolare gli avversari ad oriente e occidente, senza lasciare loro troppe scelte; per la proprietà contestata di alcune isolette del Pacifico presa magari a pretesto per scontri generalizzati (considerato che, in quell'area, è presente un'imponente forza navale spostata dall'Oceano Atlantico per contrastare un potenziale "nemico").
Ebbene oggi riaffermo il ritiro della mia delega allo Stato italiano (già ritirata, nei fatti, decenni fa per non aver voluto compiere diverse volte il servizio militare) responsabilizzandomi della mia violenza all'interno e all'esterno del mio Stato, non accettando condotte di furberie e dominio verso chiunque. Lo Stato siamo noi cittadini che lo componiamo, nel senso pieno del termine, senza deleghe, alla pari, uomini e donne, perché non possano esserci scelte di guerra che potrebbero distruggere le vite di tutti. Ci si accorgerebbe allora che un'altra vita è possibile, proprio come, mi pare, dica una canzone. Ci fossero difficoltà economiche, i soldi da spendersi per eventuali armamenti, potrebbero essere dirottati a beneficio dei cittadini, senza il cogente rispetto della "sovranità statale". Perché la loro vita è oggi e solo oggi, non domani, e si preserveranno le modalità perché possa continuare per i nostri figli e nipoti perché questo è il senso "umano" della vita che continua. Non siamo numeri, formiche, e le nostre vite non dovrebbero essere a disposizione di altri, ma nel pieno rispetto di tutti.
Questa è appunto una filosofia: la mia. Gli amici "Disarmisti esigenti", dal titolo del libro di Hessel e Jacquard, propongono strade più dichiaratamente sociali e di gruppo e, forse, più facilmente raggiungibili nel tempo breve. Non ho intenzione di rinnegare nulla e nessuno me l'ha chiesto. Ma è l'espressione di un me stesso, che dal cornicione di una scalinata di scuola a Genova, pensava come avrebbe vissuto la vita che aveva davanti e questo mi rende contento. Grazie.

Giuseppe Bruzzone
[Milano, 18 maggio 2016]

 

           

La Poesia
Hai conosciuto la mano   

Opera di Vinicio Verzieri
                 
Hai conosciuto la mano
che tocca innocenza
e quella mano che lascia
i lividi sulla pelle.
Il tatuaggio fiorito nell’anima è
sangue
non rugiada.
Il sorriso sulle labbra
è il regalo degli occhi
per ogni tuo compleanno.
Laura Margherita Volante 

 

sabato 26 settembre 2020

DISTRUGGERE ARMI E MILITARISMO
di Giuseppe Natale



26 Settembre: Giornata contro le armi nucleari
 
Il 26 Settembre è la Giornata contro le armi nucleari istituita dall’ONU. Con la scelta di questa giornata, alla vigilia della ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, si vuole ricordare Stanislav Petrov, militare sovietico addetto al controllo del sistema di difesa antimissilistica, che il 26 settembre 1983 salvò l’umanità dalla catastrofe nucleare. Non avvisò il comando superiore quando sul suo computer apparvero tracce che sembravano di missili americani. In effetti si trattava di riflessi di onde elettromagnetiche e non di attacco nucleare. Con questo gesto, l’“uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto”, rischiando pesantissime sanzioni, evitò la guerra nucleare totale per errore.
Il rischio persiste sempre e, oggi, ci troviamo nella situazione in cui le maggiori potenze nucleari non vogliono firmare il Trattato di messa al bando delle armi atomiche, mentre sono in aumento le spese militari. Addirittura si vuole affidare a tecnologie sofisticate di “intelligenza artificiale”!, come i 5G, l’uso militare della cosiddetta “deterrenza nucleare”, che dissuaderebbe aggressioni nemiche. Qui siamo alla follia pura: si continua a pensare che per evitare la guerra, addirittura anche quella atomica, occorra armarsi sempre di più, per giunta affidandosi a strumenti tecnologici che possono sfuggire al controllo umano. La spada di Damocle della catastrofe nucleare per errore pende sulla testa dell’umanità.
Un appello dei Disarmisti esigenti, mette in evidenza che “un altro passo sciagurato che abbassa la soglia nucleare è quello di ammodernare e potenziare le armi nucleari tattiche, che servono per la guerra ‘di teatro’ in Europa.”
E l’Italia che fa? Si accoda alla politica militare degli USA e della Nato, mentre l’Unione Europea non riesce (non vuole?) a scegliere la strada dell’autonomia e dell’indipendenza piena, l’unica adeguata ad avviare un processo di superamento dei vecchi blocchi militari adottando una strategia lungimirante per la pace e la solidarietà tra i popoli.
La bussola deve essere l’art. 11 della nostra Costituzione:L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Purtroppo sono tante le volte in cui i governi italiani hanno violato e violano il dettame di questo lapidario articolo pacifista (interventi a fianco degli USA e della Nato in Iraq, Afganistan, ex Iugoslavia…).


 
Anche altri articoli della Costituzione vengono violati quando le classi dirigenti del nostro Paese dimostrano di non tutelare la piena indipendenza dell’Italia e contribuiscono assai poco a una necessaria e urgente politica europea autonoma. Ad es. non ha senso ed è assai pericoloso continuare ad ospitare basi militari ed ordigni nucleari americani sul nostro territorio; è riprovevole che l’Italia non abbia ancora firmato il Trattato internazionale di messa al bando delle armi nucleari. Gridano vendetta le enormi spese militari del nostro bilancio statale (che Trump ha la spudoratezza di chiederci di aumentare): 100 milioni al giorno, 36,5 miliardi all’anno. Anziché autoridursi (o auto castrarsi) il Parlamento sapeva dove poter risparmiare!


 
In piena crisi ambientale, sociale e sanitaria è arrivato il momento per le classi dirigenti (almeno per una parte di esse) di interrogarsi sul triste primato di essere tra i maggiori Paesi produttori ed esportatori di armi. La invocata e spesso ipocritamente proclamata riconversione economica per uno sviluppo sostenibile non può non prevedere anche la riconversione dell’industria delle armi in azioni e produzioni di pace. È certo che il necessario cambiamento radicale può avvenire, non tanto o soltanto se migliora la classe politica, ma soprattutto se si rafforzano e si diffondono al maggior numero possibile di persone, in quanto società civile e cittadinanza attiva, la consapevolezza e la volontà di partecipare al governo del Bene comune. In questa direzione va la ripresa dell’impegno civile contro il riarmo e per il disarmo e la pace, di cui sono protagonisti periodicamente i diversi movimenti che si sono succeduti nel corso degli ultimi settant’anni.



Accanto e in alleanza con i movimenti per la giustizia sociale e contro le disuguaglianze, per la giustizia ambientale e contro la distruzione dell’habitat naturale, deve rinascere il movimento per la pace e per il disarmo contro tutte le guerre e la catastrofe nucleare. In questa direzione va la Rete Italiana Pace e Disarmo, nata dalla unificazione delle due Reti storiche, quella per il disarmo (2004) e quella per la pace (2014), a cui aderiscono diverse associazioni e comitati di cittadinanza attiva. Si impone - si legge nella nota di presentazione (22 settembre scorso, Giornata ONU per la Pace) - un’azione congiunta in uno scenario internazionale preoccupante di imponente crescita degli armamenti e degli strumenti di morte che sottraggono enormi risorse per le opere di pace e per gli interventi contro la povertà.

L’ANTICONFORMISMO DEL’900
di Franco Astengo

Juliette Gréco

Rossana Rossanda, Juliette Gréco: in una settimana abbiamo subito la perdita di due persone arrivate a noi da quel secolo lungo e breve che così si chiude (quasi) definitivamente. Se ne va l’anticonformismo del ‘900.
Ci resta la memoria di quella diversità e quell’ “essere contro” che non rappresentavano mode o atteggiamenti ma stavano pienamente dentro al flusso intellettuale dell’avanguardia. Si rappresentava una prefigurazione dei tempi nella politica, nel costume, nel modo di intendere la vita.
Non fu dovuto al caso che Rossana tentasse di mettere in contatto Sartre con Togliatti. Togliatti le aveva affidato il compito di rendere la cultura del PCI adeguata a ciò che stava accadendo nel profondo delle viscere dell’epoca.
Bisognava tenere assieme avanguardia e tradizione avendo sempre davanti il domani. Togliatti agiva con la prudenza della “langue russe”, Sartre cercava impaziente le ragioni dell’impegno che superasse “la nausea del vivere”.
Rossana e Juliette si trovavano ai confini di quella temperie proponendo la realtà e muovendosi rispetto ad essa in direzione ostinata e contraria cercando, ciascuna a suo modo, di rivoluzionarla.
La loro vita è stata segnata da quell’idea e per una strana combinazione se ne sono andate assieme lontane dal loro tempo.
Ci troviamo così in questo stupido “nuovo” dell’omologazione culturale, del peso dei modelli imposti dall’alto accettati perché è ormai subito senza combattere lo spavento della disuguaglianza.
Siamo diseguali prima di tutto nell’espressione del pensiero ormai quasi posto ai limiti dell’umano. Restiamo attoniti al ritorno spaventoso del dèmone di un richiamo a quella differenza negativa che pensavamo di essere capaci di estirpare dalla storia. Aver lottato contro quel demone con il pensiero e la poesia ha accomunato la storia di due persone come Rossana e Juliette così diverse dallo stare dalla stessa parte (verrebbe da aggiungere “della barricata” ma non è proprio il caso).

L’AFORISMA



“Le menti più elementari sono le più imprevedibili”.
Laura Margherita Volante
 

INCENDI
di Nicolino Longo


L’Italia brucia, ma il Governo non se ne cura.
 


Ogni anno l’Italia brucia. Ad ogni estate criminalità organizzata e singole luride merde, riducono in cenere paesaggio, ambienti naturali, pezzi importanti di economia. Nessun governo se ne è mai interessato, compreso questo. Eppure, Partito Democratico e brandelli di quello che resta del Movimento Cinque Stelle avviatosi inesorabilmente verso la sua ingloriosa fine, non fanno che ripeterci che devono investire nell’economia verde, ambientalista e sostenibile. In Calabria, nella mia Calabria resa schifosa da schifosissimi escrementi indegni di chiamarsi uomini, ogni estate viene scatenata una vera e propria guerra civile ai danni della collettività nel suo insieme. Il bilancio degli incendi finisce poi nei rapporti annuali dettagliati di Legambiente, di cui puntualmente chi governa non si cura. Possediamo strumenti di controllo di ogni sorta, ma non vengono colpevolmente impiegati. Nessun uso di droni, nessun controllo del territorio permanente. Eppure abbiamo centinaia di migliaia di soldati di ogni tipo e di ogni grado nelle caserme, o mandati in missioni estere. Abbiamo ogni estate la guerra del fuoco in casa, ma i soldati vengono mandati all’estero. Cani e porci sanno che esiste un’industria del fuoco, ma Governo e Parlamento non se ne curano. Questi incendi, da un capo all’altro della Penisola, sono veri e propri atti terroristici, ma Governo e Parlamento non muovono un dito. Non ci risulta che il Ministero degli Interni abbia mai infiltrato suoi uomini in quegli ambienti, fra i forestali infedeli, fra quanti, a vari livelli, hanno interessi che il fuoco divori. Zero su zero. Lo Stato non si sogna neppure di gestire in proprio e con propri mezzi tecnici gli incendi. Ha demandato tutto ai privati, come per lo smaltimento dei rifiuti che le mafie bruciano puntualmente nei capannoni di stoccaggio o disperdono sul territorio. Quando poi qualcuno viene sorpreso sul fatto, se la cava con una semplice denuncia a cui quasi mai segue una pena adeguata. Eppure gli incendi creano danni per centinaia e centinaia di anni ai territori, molto più gravi di quelli del crollo del ponte di Genova. Fanno sparire specie naturali, desertificano e inaridiscono terreni, accentuano frane e crolli, distruggono case e immobili, cancellano unità produttive, bloccano le produzioni, mettono in ginocchio il turismo, provocano interruzione dell’energia elettrica persino negli ospedali, a servizi essenziali come: comunicazioni, trasporti, scuole, ecc. Aumentano l’inquinamento di ogni tipo, aggravano l’innalzamento delle temperature, aiutano a peggiorare il clima. Davanti a tutto questo il Governo giallo-sporco non ha emesso un solo vagito. Come tutti gli altri che lo hanno preceduto; come il pecorume che siede negli scranni delle due Camere, luogo che meriterebbe gente più degna e davvero onorevole. La lettera (in realtà è un messaggio inviatoci via WhatsApp dal poeta calabrese Nicolino Longo da San Nicola Arcella), ci dà il senso di cosa è accaduto, e abitualmente accade. Ma oramai, come ho scritto in una spigolatura del 20 agosto scorso, la vergogna è un sentimento tramontato. [A.G.]


 

San Nicola Arcella 17 Settembre 2020
Complice il vento, stanotte, abbiamo rischiato di morire arrostiti in tanti. Sono andate a fuoco tutte le pinete. In più, cinque contrade, pari a diversi chilometri quadrati. Un vero e proprio inferno, dalla montagna fino al mare, dove sono rimasti carbonizzati locali balneari e alcuni parcheggi. Da me, le fiamme sono arrivate verso le tre di notte, alte un centinaio di metri, tanto da lambire la mia abitazione, dove ero rimasto solo, essendo mia moglie, rossa in viso come non mai vista, e gridando come una pazza, è scappata a casa di mia sorella, dove anche lì le fiamme ne avevano lambìto alcune fiancate, ma che un mio nipote, Antonio De Leo, ed i Vigili del Fuoco erano riusciti a domare. 



Io, questa volta (quando ci fu l’aeromoto andai in tachicardia) sono rimasto tranquillo, sapevo che, come negli anni passati, una volta bruciata tutta la vegetazione sotto casa, il fuoco sarebbe, per forza di cose, dovuto cessare. Se le fiamme non fossero state un po’ contrastate dal grecale, sarei, comunque, morto carbonizzato, da solo, dal momento che anche i Vigili del Fuoco, intervenuti soltanto in tre, mi avevano abbandonato, perché chiamati su un fronte più sensibile. Nella mattinata, poi, anche se con parecchie ore di ritardo, sono intervenute altre squadre, dai paesi limitrofi e dalla Basilicata, come mi ha riferito, stamattina, chiamandomi, il vicesindaco, dottoressa Concetta Sangineto, che, assieme al sindaco Barbara Mele, era rimasta, per tutta la notte, a monitorare le varie operazioni di spegnimento. In mattinata sono sopraggiunti per lo spegnimento degli ultimi focolai, lungo un fronte di decine di chilometri, anche Canadair ed elicotteri. 



Uno scempio ecologico, quello di stanotte, mai verificatosi prima a San Nicola Arcella. Sono andati a fuoco pinete, vigneti, uliveti; scoppiate bombole nei rifugi della Forestale. Botti come cannonate lungo la rete elettrica attraversante le pinete e le varie contrade. Un vero e proprio disastro ambientale e sociale che ha costretto parecchia gente ad abbandonare, nottetempo, le proprie abitazioni, attorno alle quali sono andati a fuoco anche orti e rifugi per animali, morti carbonizzati. Sicuramente i telegiornali riusciranno a dare un quadro più dettagliato e completo della situazione. 


Intanto, caro Angelo, dalla mia stanza dove giaccio allettato per lombosciatalgia e varie ernie discali da circa tre mesi, e sotto il rombo assordante dei Canadair, vi ringrazio di ogni cosa ed abbraccio fortemente.


 

venerdì 25 settembre 2020

LETTERATURA E POTERE
di Massimo Pamio




Prolegomeni a una teoria critica dello statuto letterario
 

L’ immaginario letterario
Da quando Thomas Nagel si è interrogato sulla possibilità di immaginare sé stessi in una coscienza che non sia la propria, l’uomo ha compreso che forse non saprà mai come egli si sentirebbe ad essere un pipistrello o un leone. Si tratta di un limite che coarta anche l’immaginazione letteraria?
La potenza sprigionata dalla fantasia degli scrittori sembrerebbe contraddire le conclusioni di Nagel. Luciano che si trasforma in asino, Gregorio Samsa che si risveglia coricato sul suo dorso, impossibilitato a muoversi, divenuto scarafaggio, il burattino che indossa i panni di un bambino e viceversa, la moglie che diviene Melampus, cane fedele, nel romanzo di Flaiano, e Mefistofele, Frankestein, Mr. Hyde, Nosferatu, sono solo alcuni degli esempi che riguardano la capacità dello scrittore di attribuirsi - forse impunemente - esistenze inaccessibili, grazie alle metamorfosi e alle trasformazioni dei personaggi frutto della sua fantasia.
Nell’approssimarsi all’elaborazione di un romanzo, gli scrittori saggiano esperienze che estendono i confini del sistema percettivo e mentale, mediante veri e propri stati di sospensione del pensiero e dell’io, che romanticamente vengono definiti ispirazione o atto creativo. Grazie alla capacità di concentrarsi e di astrarsi, essi inventano storie dal nulla, con cui dimostrano di aver varcato soglie che ai comuni mortali non è concesso, se non ricorrendo all’uso di sostanze psicotrope. L’audacia di coloro che si sono messi nei panni di coscienze diverse dalla propria è pari solo a quella di altri ardimentosi che hanno compiuto abissali incursioni nella propria. Marcel Proust ha osato avventurarsi nei meandri della mente riuscendo ad anticipare scoperte scientifiche che avrebbero approvato le basi della sua concezione funzionale della memoria; Joyce, con lo stream of consciousness, ha illuminato un aspetto in ombra del pensiero, Kafka ha descritto, penetrando anche negli alveoli del sogno, gli arcani simbolici che governano intimamente la coscienza quando si pone di fronte a paure ancestrali pervenute ai contemporanei sotto mutate, nuove configurazioni: quelle dell’angoscia, degli stati di dissociazione, della mania di persecuzione.   
Individui particolarmente dotati di spirito di osservazione, di sensibilità per la parola, ma anche provvisti della qualità specifica di lasciarsi avviluppare nei gangli della propria interiorità e di perdersi laddove nessuno riesce: di sentirsi, almeno per un’ora, pipistrello o leone, ecco, gli scrittori.          
Assodato che l’esperienza è personale, pertanto intrinsecamente irriproducibile e irriferibile, lo scrittore si impegna, per mezzo della parola, a offrire un contenuto a stati di vera e propria trance, di estasi mentali, di pericolosi abbandoni dell’io in plaghe ancora insondate. La creatività artistica è l’effetto di una pratica interiore assimilabile a quella vissuta dai mistici durante le “uscite dal corpo” o da alcuni ricercatori della scienza nel corso della massima concentrazione mentale, allorché intuiscono nuove ipotesi o nuove formule: ristretta serie di stati inusuali di esperienze intime che potrebbero aprire le porte di una dimensione inesplorata, l’ultima zona geografica non ancora raggiunta dalle sfrontate esplorazioni umane, quella in cui l’uomo sembra superare i limiti della propria coscienza, per accogliere il mistero e la complessità del mondo.



Letteratura e potere
A partire dall’analisi di questi stati, si potrebbero chiarire molte questioni riguardanti l’interpretazione dei testi, schiudendo nuove prospettive teoriche o di lettura del fenomeno letterario. L’avvalersi di questa diversa prospettiva potrebbe indurre a ripensare i confini stessi della letteratura, le classificazioni e i generi, a riflettere su quanto di errato e di limitato (e di limitante) alberghi e sia albergato nelle codificazioni, nelle gerarchie di valore o nella redazione di ristrette liste di maestri di stile e di scuole e di movimenti stabilite dai critici e dagli storici della letteratura. C’è da avvertire molto rammarico nell’immaginare di quali e quante splendide pagine non si sia conservata alcuna memoria, estromesse dalle antologie e dalle storie della letteratura pregiudizialmente volte a stabilire in base al principio di autorità il “canone” della letteratura dei vari paesi, mediante l’imposizione di generalizzazioni storiche e dei loro inconsapevoli esponenti, con l’esclusione e la censura di autori e di opere che avrebbero meritato miglior sorte. Il discorso sulle forze che irretiscono l’immaginario letterario allora non riguarderà più i limiti della coscienza, ma quelli indotti dall’ideologia dominante.
La letteratura potrebbe essere interrogata dal punto di vista del contributo all’immaginario e al ripensamento dei canoni sociali e culturali dell’uomo (si pensi alla fantascienza, al fantasy, alla letteratura fantastica in genere, al noir, ecc.), per scoprire come abbia elaborato in modo criptico un controcanto delle forme in cui si sono cristallizzate le civiltà offrendo una visione alternativa a quella che gli uomini hanno stabilito dei fatti, appellandoli sotto il nomignolo di storia. Sarebbe lecito chiedersi di liberare la letteratura al fine di liberare le verità che da sempre sono state occultate, rimosse, mascherate, censurate, vituperate. Per esempio, potrebbe essere utile analizzare la zona grigia in cui la storia e la letteratura si sovrappongono o si contrappongono in modo netto.
Non si può affermare che la letteratura sia esente da travestimenti, esclusa dallo sterminio delle verità. Entrambe, storia della letteratura da una parte e storia dell’uomo dall’altra, scritte dai vincitori, da quelli che si sono affermati con l’esercizio del loro potere sugli altri, possono essere accusate di aver manipolato fatti, avvenimenti, vicende in funzione dei propri interessi, l’una e l’altra costrette ad assecondare la sussistenza di una vero e proprio corpus di antiverità sociali, fondamenti di una cultura, di quella congerie di rapporti di forze che garantiscono un patrimonio condiviso, un comune rispecchiarsi in miti e norme che ordinano un “buon vivere”, ossia il rispetto di quel patto sociale teso a occultare, a nascondere, più che a svelare, costruendo barriere e mura intorno a tabù, a nuclei originari e fondanti di violenze e sopraffazioni, di negazioni di altre identità e di altre culture. Nel caso della letteratura, di essere stata specchio dell’ideologia egemone (sovraideologia culturale, secondo Gramsci) e di aver cancellato le opere di innumerevoli scrittori ostili al regime di turno.



Insomma, l’uomo non può concepire che cosa sia essere un pipistrello, ma neanche che cosa significhi vivere in un’altra cultura, in un’altra civiltà, dovendo per convenzione sociale aprioristicamente escludere tale ipotesi.
A una medietà (o mediocrità) che rispetta l’ideologia letteraria dominante si deve ispirare ogni scrittore se vuole emergere e farsi conoscere, rispettando l’uso linguistico, i temi affrontati, i generi più frequentati di quel periodo.
Da questo punto di vista, si potrebbe tacciare la letteratura di inautenticità, di non essere libertà di espressione svincolata da ogni preconcetto, qualità di comporre e immaginare mondi, quanto piuttosto di consistere in una parodia di sé stessa, di essere celatamente e sordidamente ancella del potere. Lo scrittore, in quanto uomo egli stesso, non sfuggirebbe alla legge secondo cui il fine ultimo di ciascun esemplare umano non si identificherebbe nell’appassionarsi alla ricerca della verità della propria condizione bensì si tradurrebbe nella volontà di esercitare il potere oppure, come nel caso del letterato, nel rendersene silenziosamente complice.
La letteratura sembra acconsentire alle mene di un manipolo di potenti che vuole a ogni costo giustificare l’uso del dominio, e che divide il mondo in alto e basso, in superiore e inferiore, in mente e corpo, in maschi e femmine, in ricchi e poveri, in bianchi e negri, ovvero in tutta una serie di opposizioni di una logica discriminatoria che contribuisce a ordinare il funzionamento del convivere: di quale convivere, se appunto pregiudizialmente ci sono distinzioni che favoriscono e privilegiano l’esistenza di alcuni rispetto ad altri?

F. Kafka
Il presente
Ai nostri giorni, l’ipocrisia è il vero sentimento universale che uniforma e globalizza gli uomini. Tutte le culture ossequiano una gerarchia mondiale di superpotenze e multinazionali, fissando parametri e perfino modi di pensare e di agire, di giudicare (il pregiudizio è sempre orientato e tende a normare). Il pregiudizio, in tutte le sue coniugazioni (le fake news e il politicamente corretto ne sono nuove implicazioni), è divenuto il fondamento della società umana. Non ci sono più sacche che permettono di esercitare un giudizio critico, un meditato ripensamento dei fondamenti culturali; la censura opera non solo all’interno della società, ma perfino nella mente d’ogni individuo. Insieme con i loro vessilli, sono scomparse le forme e le idee della libertà e dell’utopia, estinte per sempre le avanguardie, i profeti del nuovo, annientati da una planetale corsa sfrenata che ne anticipa e spegne le velleità, in virtù di un continuo costante stato febbricitante delle società integralmente proiettate verso il nuovo ed impegnate a generare una produzione seriale degli oggetti di consumo che si è evoluta in una continua e ininterrotta proposizione di novità. Questa dinamica rende improponibile il pensiero critico, abbisognevole di presenze reali, di oggetti da smascherare e non di feticci volti a sostituirsi, a  negare loro stessi da un giorno all’altro, in un movimento alienante che rende impossibile la verifica di una qualsiasi forma di opposizione all’esistente, a un presente reso instabile e senza centro, sovrappopolato di simulacri che sono replicanti ready-made del volto sfuggente del potere, il quale, smarcatosi rispetto al tempo e allo spazio, si è reso irreperibile proprio perché impensabile in questo suo mostrarsi sempre nuovo, in forza di un volto in perenne mutazione. Un volto proprio del trasformismo (o travestitismo) facciale o del lifting che lo rifà diverso ogni giorno, un volto che è sempre lo stesso ma via via più irriconoscibile, e appiattito, privo dei lineamenti originari. Il potere si è reso democraticamente accessibile a tutti: proprio nel volto-feticcio, che, essendo senza rughe e senza lineamenti riconoscibili, può essere copiato e incollato sul proprio mediante il lifting, in una costruzione collettiva anticipata del giorno ultimo, quello del Giudizio, in cui il volto è diventato unico, uguale per ognuno, maschera di gomma e di silicone, che rende democraticamente tutti invisibili e senza una vera connotazione. Il potere diventa assoluto facendo perdere le tracce del proprio volto o disseminandosi nell’infinita produzione di oggetti che lo presentificano e lo vivificano grazie al desiderio di coloro che ne sono eccitati. In virtù del rinnovamento quotidiano di cose, l’esistenza diviene una cerimonia rituale atta a ripetere sé stessa all’infinito in cui tutti i senza-volto si possono riconoscere. L’irruzione compulsiva del nuovo rende sempre più nevrotici e inaffidabili gli esseri umani, sottoposti a liturgie che mirano al raggiungimento del piacere propagandato dai mass media impegnati a mantenere vivi gli appetiti delle masse. Le masse sono divenute corpo unico globale desiderante, privo di coscienza e di alcuna identità, privo di volontà.


M. Proust

Tutti sono tesi verso le isole del divertimento aperte ad hoc, tutti rinchiusi dentro casa per evitare la pandemia, tutti in fila per acquistare l’ultimo modello tecnologico, l’ultimo chip da inserire per il proprio controllo e ricevere un biglietto che permette di partecipare al concorso con cui si vince l’accesso alle isole del divertimento aperte ad hoc.
Le masse sono sciami che si liberano verso le isole del piacere, e mutano il volo ogni volta, quando le isole cambiano effigie, in un rito collettivo preorgiastico, il cui fine è quello di rispettare la direzione del primo. È necessario, per il potere, mantenere desto il desiderio, alimentato dai mass media, dalla scienza al soldo della tecnologia, ed è funzionale ed anzi fondamentale proiettare in un simbolo universale riconoscibile e uguale per tutti il mezzo attraverso cui ottenere l’accesso al desiderio: il denaro. Senza denaro, non si ha diritto di appartenere allo sciame. Si corre il rischio di essere reietti, invisibili, inesistenti, vecchi, pensionati parassiti, barboni, emarginati, disoccupati cronici, malati, disabili, senza casa, clandestini, senza documento, emigrati da terre inabitabili, si espia la propria colpa venendo allontanati dal diritto al desiderio ma anche, espulsi dallo sciame in volo, si finisce per costituire la giustificazione all’idea dell’esistenza di una non-umanità, di un nonluogo dell’umano, di quella zavorra che si elegge come ciò (e non come coloro) che nessuno vuole.
Il meccanismo infernale è quello di un accumulo energetico della forza unica del capitale in vista della emanazione-produzione infinita di oggetti sostitutivi del piacere verso i quali le masse-sciame s’involano, attratte come insetti dal nettare dei fiori. Le immagini pubblicitarie giocano un ruolo importante, costituiscono il profumo e il colore che ciascun elemento della massa percepisce eccitando il proprio movimento all’interno dell’equilibrio di volo rapido che lega l’uno all’altro, in cui bisogna mantenere la stessa velocità per non perdere il passo e per non andare a sbattere contro quello che insegue dietro oppure restando fuori dal disegno di bellezza che tutti insieme definiscono. Piacere e bellezza sono il vero estetico del capitale, che adopera tutti i mezzi dell’elevazione culturale per addomesticare i corpi fondendoli in uno, nella massa, appunto, materia grossolana del capitale, sistema che mira a sostituire la materia con strumenti più sofisticati, in funzione di un’immortalità del desiderio e dei desideranti.
 

J. Joyce

La letteratura e il piacere
Come si inserisce il discorso sullo statuto letterario in un contesto in cui il potere tende alla trascendenza di sé stesso mediante un processo autorigenerante?
La letteratura è un fenomeno speculare, che ricalca in qualche modo la follia onnipotente e trascendente del capitale. All’interno di essa, la parola prende linfa dalla vita, si abbevera al desiderio assoluto e unico dell’esistenza, per essere rigenerata in una dimensione immaginaria, senza passare per la prova dell’esperienza, ma solo toccando le corde della sensibilità del possibile lettore. È autorigenerarsi di un movimento apparentemente libero in cui ogni parola è oggetto del desiderio del lettore, stimolato a seguirne il volo in modo appartato, partecipe del sentimento dello scrittore, astro di riferimento.
La qualità che garantisce tali processi è costituita dal piacere, da una forma della natura del piacere che, derivata da una legge dettata da un codice universale, si manifesta in un vero e proprio sviluppo d’un movimento orbitale reso effettivo e operante, diventato fine e non più mezzo (o impulso) della stessa vita. Occorrerebbe dunque individuare i meccanismi di tale circuito del piacere, probabilmente legato a una specie di matrice, per comprendere come si siano sviluppati paradigmi dotati di componenti basali riproducibili, interpretati sotto forme di numeri, di forze e leggi fisico-chimiche, di dinamiche culturali, e che orientano ogni specie di relazioni e di rapporti.
Il piacere del possesso del reale - il governo dell’esistente - è il potere, una delle dinamiche osmotiche attorno a cui si stabilisce la logica stessa della società umana, se si basa sul contrapporsi delle forze all’interno del gruppo. Si esplica nel sentimento dell’onnipotenza da parte del capo, il quale concentra il movimento desiderante del piacere attorno alla sua persona, degna di essere consacrata e desiderata, scegliendo anche i simboli e i feticci del suo corpo, quali sostituti dell’oggetto del desiderio. Tutto il moto è rivolto al Corpo e ai Nomi e alle Effigi del Capo, in un vortice desiderante che lo rafforza: l’energia centripeta spinge verso la sua Immagine, origine e scopo della vita sociale.  
Il Capitale per mezzo del Denaro muove vorticosamente gli oggetti-merci attorno a sé, in una corsa sempre più sfrenata, che però rischia di risucchiare e travolgere tutto e tutti, “nel punto del vortice in cui la pressione è uguale a meno infinito (cito Giorgio Agamben, da Il fuoco e il racconto, 2014, a p. 62).
Attorno al Corpo dello Scrittore divenuto Letteratura e Vita ruotano i desideri dei lettori, per assorbirne i sentimenti e per riconoscersi in lui, fine ultimo del ripetersi infinito della Narrazione. Fino a che esisteranno lettori, il corpo dello scrittore vivrà, donandosi nella sua infinita bontà fatta dei sentimenti racchiusi nella narrazione. Il piacere si trasmetterà per sempre attraverso la parola, mezzo e non più fine della Letteratura. 
Che il piacere sia lo scopo di ogni dinamica del vivente, è per il semplice motivo che ogni specie, per sopravvivere, deve replicarsi. Probabilmente, il piacere è stato aggiunto in seguito alla necessità della replicazione, come un di più, che però ha rivestito di sé ogni dinamica, fino a pervenire a una condizione di necessarietà o di onnipresenza. Accanto al godimento, occorre citare il gusto estetico, divenuto aspetto portante della società umana. Piacere e bellezza rivestono alcune delle componenti più rilevanti mediante cui la specie umana organizza le sue tecniche di sopravvivenza. Fino a che la letteratura contribuirà a formare l’idea della bellezza e del piacere (dei sentimenti) essa sopravviverà.


J. L. Borges

Per una critica dello statuto del piacere
Da queste argomentazioni basate su un programma teorico di cui sono state delineate solo le principali componenti, è possibile ricavare una critica dello statuto letterario e, indirettamente, una critica dello statuto del piacere? La questione è complessa, perché, come ai più attenti lettori sarà apparso, le leggi della vita e del Capitale si sono pericolosamente specializzate e annodate, in un abbraccio mortale per la specie umana, a causa di una complessità che proviene da lontano, da scelte compiute nel tempo dalla coscienza operante all’interno dei sistemi viventi complessi, nell’interazione con l’ambiente. Diviene difficile per il pensiero critico intervenire su quello che si è pericolosamente incarnato nelle forme stesse e nelle regole del vivente, ostico perfino a quel pensiero ecologico o biocentrico, che da Arne Naess in poi si è impegnato, più rigorosamente di ogni altro, ad affrontare il problema e a proporre possibili alternative (una studiosa estremamente dotata è Serenella Iovino, autrice di opere di cui consiglio vivamente la lettura, Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, del 2004, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, del 2004, Ecocriticism and Italy: Ecology, Resistance, and Liberation, del 2016). Che cosa ritenere, che la letteratura sia stata sempre un divertimento solipsistico per pochi, un approccio tra lettore e scrittore, un gioco erotico basato sul consenso dell’immaginario, una folie à deux?  E che cosa pensare della storia, se non che gli uomini primitivi si siano strutturati in gruppi non solo per la loro propensione socializzante e per procurarsi cibo più facilmente, ma anche e soprattutto in funzione della garanzia sessuale e del piacere, nel condividere l’atto sessuale in gruppo, liberamente, senza vincoli? E che già da allora il più forte provvedeva a ordinare questa esigenza, imponendo il proprio corpo, come luogo privilegiato del piacere?Potrebbe consistere in questa rivendicazione personale del possesso da parte dell’autorità, la forma di una prima vera e propria rivoluzione sociale, che sarebbe stata generata dall’abbandono dell’idea di un gruppo di eguali in favore di una società basata sulla discriminazione e sul dominio di un solo componente? Sarebbe un atto di primaria violenza o di affermazione del dominio personale sugli altri in nome del piacere a segnare la nascita del principio del diritto del più forte, del possesso personale, della nascita della proprietà privata? Ne troviamo tracce nella mitologia di tutte le civiltà, a partire da quella greca che proietta l’idea del più forte in Zeus, riconoscendogli il diritto di possedere tutte le donne, le dee, le ninfe, le umane.


Innumerevoli sarebbero i riferimenti. Esemplare è la storia ovidiana della ninfa Io, che, posseduta da Giove, viene trasformata in giovenca per sfuggire alle gelosie di Giunone, pronta a sequestrare l’animale per affidarlo alla stretta sorveglianza di Argo dai cento occhi, il quale viene proditoriamente fatto addormentare da Mercurio al suono della siringa, e cioè con l’ausilio dell’arte, presentata come espediente ingannevole al servizio del potere: le implicazioni sarebbero troppe, per affrontarle in questa sede.   
Parimenti, la prima vera letteratura non è forse quella epica, la narrazione orale delle gesta degli eroi, prima propaganda di regime, volta a conferire valore al corpo del capo e dei suoi aiutanti, al fine di una pianificazione sociale, della codificazione della normativa basata sulla legge del più forte e del suo “corpo” di guardia, di coloro che, in suo nome, portano al di là dei confini il suo desiderio di possesso di nuove terre e nuove donne? Enea non è il potente che, perduta la guerra in casa, andrà a compiere altrove l’esercizio del dominio? Se la volontà di potere nasce dall’affermazione del diritto unico del capo al piacere, non è forse vero che la guerra tra i greci e i troiani avviene a causa della contesa di Elena, di una donna? E i romani non rapiscono le sabine come primo atto di esercizio del dominio al di fuori della propria terra? Penelope non rappresenta forse l’oggetto del desiderio che i potenti si disputano e che compete solo al più forte, Ulisse?  
 


La letteratura come voce del singolo e dell’ultimo
Un’altra caratteristica che collega il potere alla letteratura risiede nella affermazione della singolarità. È il singolo che vuole affermare il dominio sugli altri, che intende imporre agli altri il disagio della sottomissione e ribadire il diritto unico di possesso estendendo il suo desiderio, soverchiando e anzi annullando quello dei suoi concorrenti. Similmente, lo scrittore si rifugia nella sua individualità per creare un mondo immaginario in cui egli possa esercitare liberamente il suo potere, da comunicare poi ai suoi sottoposti che non sono i personaggi del romanzo, bensì i senza-parole dei lettori, consenzienti muti del subdolo possessore della narrazione.
Fin qui, le concomitanze, da sottoporre a verifica, se è vero che reggano tutta l’impalcatura di un processo teso a singolarizzare il dominio in un corpo solo, quello del monarca o dello scriba.
È il caso di tentare di inquisire le ardite peripezie mentali dello scrittore. Nell’elaborare una storia, lo scrittore si pone questa domanda: “Se fossi vissuto in un altro tempo, come mi sarei comportato? Vivo in un luogo dove non ci sono conflitti da un po’, ma mettiamo che fossi nato prima, quando il mio paese è entrato in guerra, sarei stato interventista o anti-interventista? Avrei tentato di darmi alla fuga magari riparando in esilio all’estero o mi sarei arruolato? E avrei disertato di fronte agli orrori oppure avrei combattuto fino all’ultimo?”
Gli scrittori sono decisi a tutto pur di incarnare i loro personaggi. Per questo, devono moltiplicare la loro sensibilità, fino a negare l’identità e a uscire dalla propria coscienza, dalle proprie convinzioni, dal proprio sistema di pensiero, dalla propria sessualità. È questo, forse, il motivo per cui molti scrittori sono omosessuali. La loro sensibilità è sollecitata a tal punto da varcare i limiti dell’esperienza, perfino sessuale, per tentare approdi diversi. Essi, inoltre, si caricano della memoria del passato, travalicano i limiti che spazio e tempo definiscono, mutano in persone d’altri secoli, di altri luoghi: e tutto questo attraverso l’esercizio di una individualità che si estende oltre le parole e le regole del proprio mondo civile e culturale. Essi fanno rivivere lo spaccato di un altro secolo a cui affidano la possibilità di esprimere un giudizio postumo su sé stesso o, ancor più intrigante, nei confronti del presente, oppure si gettano nel futuro parodiando il presente, generando una aperta critica nei confronti della contemporaneità.
Lo scrittore si fa, anzi, è memoria linguistica intimamente abitata da una sensibilità emotiva non comune che trascende spazio e tempo: ecco perché in qualche modo egli può ergersi a giudice del suo tempo ed ecco anche perché quell’ambiente magistralmente descritto nel romanzo appare al lettore così lucido e lancinante, tanto da palesarglisi in una luce densa e avvolgente che simula il reale, un reale abbagliante, che resta inciso come una ferita, come un vessillo mai sbiadito, uno stendardo alto nel cielo, sogno vissuto a occhi aperti, palpitante, sprigionante una luce diversa: quella del tempo. Un sogno rivissuto, ricostruito e a volte trasformato dalla sensibilità del lettore. Il romanzo è una macchina del tempo su cui il lettore sale, per magia, per restare incantato, sospeso, rinchiuso nel desiderio del racconto.
Interprete di una sorta di capacità di redenzione insita nelle vicende e nelle cose quando si sposano in una balbettante rivelazione dei segreti affetti e dei collegamenti intimi volti a illustrare un barlume della verità e a restituire le coordinate dell’identità, lo scrittore torna all’origine del proprio dirsi, del proprio avvoltolarsi con l’esterno per fondare l’illusione dell’io, quella sostanza che regge come un filo il tempo dell’esistenza facendone un’esperienza irripetibile e comunicabile, esprimibile, affinché si possa percepire e godere il piacere dell’illusione dell’eternità - un piacere quanto mai bizzarro e astruso.

 
La letteratura è dunque lotta del singolo in nome della specie contro l’angelo del tempo, per irretirlo e costringerlo a rivelare la sua essenza, la sua verità, che è quella di un misterioso avvicendarsi di esistenze di creature che forse, se potessero essere trascritte tutte insieme (la Biblioteca di Babele di Borges) riuscirebbero a riempire l’intera geografia del mondo, fino a coincidere con esso. È il sogno di riappacificarsi e di coincidere con la natura, con ciò che da sempre è stato e sempre sarà, è un messaggio in bottiglia spedito nell’eterno replicarsi dell’universo, in fondo alla enigmatica coscienza del vivente, al prodursi e riprodursi della Natura nella forma della vita, di un’energia che ruba sostanza al tempo, allo spazio, alla massa e contribuisce alla pacifica dissoluzione del tutto. 
Quel che conta, in fondo, per la letteratura, è la ricostruzione intima della vita, per operarne una riduzione dentro la cartina al tornasole della scrittura, un’interpretazione, una ridonazione del mondo al mondo, una rigenerazione che però porta con sé il marchio e la dimensione del singolo: il mondo deve fare i conti con l’ultimo, se vuol essere tale, e farsi strappare per trovare qualcuno che ne ricuci i lembi fino a renderli veri, effettivi, funzionali. La letteratura contribuisce a rendere fruibile il mondo.
Se la letteratura è fatta della stessa sostanza dei meccanismi della specie, essa pone l’uomo però di fronte a una nuova concezione del possesso, a un nuovo rapporto con il mondo, contribuendo a negare lo statuto stesso su cui si fonda. Dotata di una forza che non solo contribuisce a negare il proprio essere, ma anche e soprattutto a negare la singolarità come espressione di un’autenticazione del potere e dunque a criticare le fondamenta funzionali dello statuto uomo, la letteratura si configura come intrinsecamente rivoluzionaria, nella pratica creativa e ispirativa che la fonda, contraddittoria e ambigua, proprio perché consente a tutto, e si apre a ogni elemento, pronta a scavare nel fondo alla ricerca della più umile pietra per riscattarne il destino.
La caratteristica sostanza dell’immaginario letterario risiede nella essenza, propria dell’uomo, della creatura che dalla sua conformazione può trarre la potenza insita nel silenzio, nella coercizione, nella indifferenza. Egli può sviluppare la propria differenza, la parola, il pensiero, la fantasia, può concretizzare il suo essere-aperto, il suo essere-libero, il suo poter negare la sua appartenenza alla vita e alla Natura, proprio perché chiuso nei recinti della vita e della Natura.
Alla letteratura, che si configura quale nutrimento della rivolta del singolo contro le costrizioni della società, rivendicazione della complicità dell’altro (il lettore) per comunicargli esotericamente il messaggio di sovversione che il suo statuto contiene, espressione della rivincita dell’ultimo della specie, ribellione silente e pacifica, paragonabile ma anche in contrasto con quella dell’eroe, ebbene alla letteratura bisognerebbe chiedere un ultimo definitivo atto: di sospendersi, di interrompere la sua produzione, per elevare una protesta senza pari, che comporti una risposta alla tragica corsa dell’umanità verso il baratro dell’autoestinzione.


Ultime riflessioni
Contrariamente a quel che ritiene Severino, uno dei più importanti filosofi del nostro tempo, la forma più potente di dominio non è costituita dalla scienza (e nemmeno dalla tecnologia), in quanto capace di adeguarsi al divenire, bensì dal Capitale, che determina l’esperienza e lascia irrompere quel che incomincia ad essere, e lo accoglie per metterlo alla prova (cfr. Emanuele Severino, Legge e caso); se un oggetto vale la pena di mercificarlo, viene accolto, altrimenti respinto, annullato. È chiaro che il Capitale orienta anche la ricerca scientifica e tecnologica, organizzando il “loro divenire”, la loro azione, che viene influenzata dalla ricerca e dalla creazione di “oggetti” (invenzioni, brevetti, vaccini, antibiotici, ecc.) in funzione delle esigenze del Mercato, e cioè della Volontà e del Divenire del Capitale.
Il Capitale non è invincibile. La pandemia non solo ha arrestato il mercato facendo crollare il movimento desiderante degli “oggetti-feticcio”, ovvero, in termini economici, determinando la caduta del PIL e delle borse, ma anche e soprattutto pericolosamente rievocando, nelle popolazioni, i fantasmi della solidarietà e del sentimento della non-necessarietà (o dell’inutilità) degli oggetti-feticcio. Il Capitale è riuscito a difendersi, comunque, invocando il bisogno di un vaccino che costituirà il più grande affare economico di tutti i tempi.      
Si tratterà allora di vibrare un altro colpo al Capitale. L’autore di questo saggio propone uno sciopero generale di tutti gli uomini della cultura scientifica e umanistica. Per 6 mesi ricercatori, scienziati, scrittori, poeti, medici, antropologi, sociologi, matematici, psicologi, chimici, fisici, matematici statistici, ingegneri, architetti, ed altri dovrebbero incrociare le braccia e rifiutarsi di compiere qualsiasi attività. Un fermo culturale biologico di 6 mesi che cosa potrebbe provocare al Capitale? Che cosa comporterebbe l’eclissi semestrale del nuovo, dell’emersione di nuovi oggetti-feticcio?     
       
 
 
  
 
 
  
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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