UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 12 settembre 2024

MILANO PER LA PACE

 

Silvano Piccardi a destra della foto

Sabato 21 settembre 2024 in occasione della Tre giorni per la pace presso il C.I.Q di via Fabio Massimo n. 19 a Milano (fermata della Metropolitana Porto di Mare, Linea Gialla) l’attore e regista Silvano Piccardi, dalle ore 21 in poi, terrà una lettura teatrale sulla cultura della guerra. Dall’antichità fino ai giorni nostri, attraverso la parola dei poeti. Da Omero fino ai contemporanei.  



 

IL LAVORO SPORCO DEGLI USA



Per chi non fosse ancora convinto che gli Stati Uniti stanno facendo un lavoro molto sporco, mettendo a rischio il futuro dell’umanità, è consigliabile la lettura dell’intervista del già citato Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca negli anni cruciali della fine della Guerra Fredda. Si tratta di una testimonianza importante, e un’occasione per tutti per ripercorrere gli ultimi 40 anni di storia. Nella risposta alla prima domanda, tradotta con l’aiuto di Google (o meglio, da Google con il mio aiuto), c’è il giudizio conclusivo; un giudizio che il resto del racconto giustifica pienamente.
 
Jack Matlock: Ovviamente, siamo entrati in una fase molto pericolosa, perché la Russia ha attribuito alle azioni degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO intenzioni aggressive, azioni che minacciano la sua sicurezza nazionale. La Russia è una potenza dotata di armi nucleari con un arsenale, che sembra essere del tutto equivalente, se non addirittura più grande, di quello degli Stati Uniti; un arsenale molto più grande di quelli dei nostri alleati della NATO, Francia e Gran Bretagna. Mi sembra un atto estremamente pericoloso tentare quella che è, di fatto, una guerra non dichiarata contro una potenza nucleare, che percepisce, giustamente o erroneamente, che la sua sovranità e perfino la sua esistenza politica sono minacciate. Quindi penso che sia una situazione molto pericolosa. Non al punto che entrambe le parti faranno necessariamente uso delle armi nucleari. Ma penso che una situazione come questa può facilmente sfociare in uno scambio nucleare per errore. Una volta messi in posizione i missili su entrambi i fronti, e messo in allerta il loro sistema nucleare, è molto facile confondere i segnali. Queste cose sono successe diverse volte durante la Guerra Fredda, e siamo stati fortunati che in qualche modo esse non hanno avuto seguito.
Direi anche che ciò che ignoriamo nella nostra attuale guerra non dichiarata contro la Russia è che la Russia ha a disposizione molti altri mezzi per colpirci, il che sarebbe molto difficile da tollerare. Ad esempio, la loro capacità nella guerra cibernetica è certamente equivalente a quella degli Stati Uniti o di qualsiasi membro della NATO. Inoltre, non siamo in grado di stabilire con certezza l’origine di questi attacchi. In secondo luogo, la Russia ha certamente la capacità di eliminare i satelliti di comunicazione che sono essenziali per la guerra che si combatte oggi. Mi sembra quindi che correre un rischio del genere sia assolutamente folle.
 
[Traduzione di Franco Continolo]

 

DECRETO ANTI GANDHI ALLA CAMERA
di Ultima Generazione


 
Due nuovi esempi della strategia di accanimento del governo contro chi protesta.
 
Roma, 11 settembre 2024. In questo momento la Camera sta discutendo il DDL 1660, rinominato DDL anti-Gandhi per alcuni suoi provvedimenti antidemocratici. Visto lo spirito di accanimento di questo governo, non ci sorprende l’arrivo della richiesta di sorveglianza speciale al consulente legale e membro di Ultima Generazione Giacomo Baggio. La richiesta è: 2 anni di impossibilità di allontanarsi dal proprio Comune di residenza; coprifuoco notturno dalle 20:00 alle 7:00; obbligo di firma quotidiano; e divieto di partecipare a qualsiasi manifestazione a sfondo politico, gare sportive, concerti negli stadi e processioni religiose. Questa misura cautelare è di fatto una misura prevista dal Codice Antimafia per limitare la libertà personale dei cosiddetti "soggetti pericolosi con tenace propensione delittuosa". Nulla di più distante da Giacomo quindi che con azioni nonviolente di disobbedienza civile, il cui alto valore morale è riconosciuto da diversi tribunali e perfino dall’ONU, ha scelto di portare attenzione sul collasso climatico e sull’inazione del governo nel contrastarlo. Alla luce di questa richiesta e della probabile approvazione del DDL, la nostra domanda è: chi è invece che controlla questo governo?
Giacomo, 33 anni, consulente legale veneto: “Quando ho visto nel 2023 la prima richiesta di sorveglianza speciale per un membro di Ultima Generazione, ho pensato fosse grave. Quando ho ricevuto la mia, ho pensato che la situazione fosse surreale. Quello che ho visto non è stata l'applicazione della legge che ho studiato negli anni di università, ma qualcosa di diverso. La siccità sta facendo danni ovunque e il primo atto discusso alla Camera dopo la pausa estiva è il DDL Anti-Gandhi. Non serve essere ambientalisti per provare un senso di profonda indignazione di fronte alla devastazione sistemica del nostro territorio. Mi rifiuto di rimanere in silenzio davanti a un governo che pensa solo a silenziare l’opposizione per rimanere indisturbato al potere. Il problema non è la disobbedienza civile ma l’obbedienza davanti a questa assurdità. È anche assurda perché dovrebbe essere la Questura di Roma ad essere sorvegliata dopo il soffocamento che ho subito al Commissariato Prati, e successiva manipolazione del referto medico da parte di un agente.
Paola Bevere, avvocato di Giacomo: “Si tratta di una richiesta molto dura, il tipo di sorveglianza più limitativo della libertà personale. Questa richiesta si basa principalmente sul sospetto che questo attivista, che tra l'altro è incensurato, sia una persona pericolosa per la sicurezza pubblica. Come legali sosteniamo sempre che queste persone non possono essere equiparate ai mafiosi”.
Chi è Giacomo?
Giacomo, 33 anni, è un consulente legale e membro di Ultima Generazione. Originario di un piccolo paese di provincia nelle montagne venete, da una decina d’anni vive a Milano, dove ha coniugato la sua formazione giuridica con la sensibilità per le questioni ambientali e sociali. La presa di consapevolezza sull'urgenza e sulla gravità della crisi climatica lo ha spinto a dedicare le proprie competenze legali per difendere e informare gli attivisti sui propri diritti. È proprio per la sua formazione e il grande rispetto per i principi della nostra Costituzione il motivo per cui Giacomo ha deciso di disobbedire alla legge di fronte a una politica che, come ricorda anche il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha il piede sull’acceleratore verso l’inferno climatico e sociale.
Invece di affrontare la realtà della crisi climatica, il Governo silenzia chi si oppone.  
Non serve essere ambientalisti per provare paura davanti alle alluvioni o alla siccità. È assurdo pensare che, mentre assistiamo all'aumento di disastri climatici di ogni tipo, i politici non mirano alla sicurezza dell’Italia ma piuttosto a soffocare chi, con spirito critico, mette in discussione il potere e il non-operato di Meloni. Non si tratta solo di una repressione in più, ma di una strategia politica che usa la repressione come meccanismo principale per controllare la società, rappresentando una svolta pericolosa per la democrazia.
Chi sorveglia questo Governo?
Questa Primavera con Ultima Generazione Giacomo ha compiuto diverse azioni di disobbedienza civile nonviolenta. Il 13 maggio 2024, dopo aver partecipato ad una protesta nonviolenta per manifestare contro il collasso climatico, fu fermato dalla polizia e, in commissariato, soffocato. Il pronto soccorso emise una prima prognosi di 15 giorni, che il medico di turno, dopo aver parlato con degli agenti, ridusse a un solo giorno di prognosi. Ma non è con la repressione, gli atti intimidatori e violenti, e il carcere per gli attivisti che si rallentano gli effetti del clima; con questi si riempiranno solo ancora di più le carceri, già stracolme e in condizioni disumane, dove solo quest’anno sono stati fino al 16 luglio, 58 i suicidi di detenuti e 6 quelli degli agenti penitenziari. Mentre il governo legifera, reprime e arresta, la crisi climatica prosegue velocemente nel suo processo estintivo dell’umanità.
Cartella stampa su tutte le azioni organizzate da dicembre 2021 qui
Prossimi incontri
Online: ogni domenica sera alle ore 21:00, iscrivendosi a questo link.
Processi:
23 settembre, prima udienza predibattimentale per azione sul quadro di Van gogh presso il tribunale di Roma
24 settembre, udienza istruttoria per azione su via del Tritone, presso il Tribunale di Roma
26 settembre, prima udienza di comparizione per azione nel dicembre 2023
26 settembre, prima udienza di comparizione per blocco di Fiumicino, presso tribunale di Civitavecchia
27 settembre, udienza a seguito di richiesta archiviazione per azione agli Uffizi del marzo 2024, presso il Tribunale di Firenze
1° ottobre udienza, dibattimentale per azione alla Barcaccia
3 ottobre udienza, predibattimentale per blocco stradale sulla statale 7 Appia nell’aprile 2023
8 ottobre discussione, per violazione foglio di via presso il tribunale di Milano
10 ottobre, prima udienza di comparizione predibattimentale per azione dell’ aprile 2022 al palazzo dell’ENI
14 ottobre, udienza per richiesta di sorveglianza speciale al Tribunale di Roma

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GAZA CHIAMA




FESTA DI LIBERAZIONE




mercoledì 11 settembre 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione

 

Il Parco Alessandrina Ravizza
 
C
i si può domandare che cosa sarebbero le città senza parchi e viali alberati. Vengono i brividi solo a pensarci. Guardando le immagini di certe megalopoli contemporanee soffocate da colate di cemento, da grattacieli sempre più alti e da palazzi sempre più dilatati, si percepisce immediatamente quanto l’urbanistica sia entrata in conflitto con la natura. Hanno dovuto inventarsi terrazze piantumate forse per rimuovere un inconscio senso di colpa, o di vergogna, e le hanno spacciate per “bosco in città”. Il bosco in città c’era, ma gli urbanisti hanno aiutato amministratori e speculatori dalle diverse fogge a cancellarlo, ad abbatterlo, a farlo sparire, a mercificarlo. Porta Nuova a Milano ne è l’esempio più lampante. La cementificazione intensiva lungo lo scalo di Porta Romana, con la scusa del villaggio olimpico per le olimpiadi invernali, ne è un’altra dimostrazione da manuale. Non se ne possono ritenere assolti né le amministrazioni di centro-destra né quelle di centro-sinistra; né gli urbanisti finti progressisti né gli urbanisti reazionari. Tutti costoro appartengono ad una stessa logica e agiscono allo stesso modo: che se ne voglia prendere atto o meno.


Alessandrina Ravizza in piedi a destra

Il parco Ravizza (racchiuso tra il viale Toscana, la via Vittadini, la via Bocconi) data ai primi del Novecento. Il piano regolatore Beruto lo aveva destinato a tale uso nel 1889. Gli studenti della vicina Università Bocconi non ne sanno nulla, molti di loro sono stranieri o provengono da altri luoghi d’Italia. Se non ci fosse, se lo avessero cementificato, non potrebbero goderne né stendersi a leggere sul prato. La stragrande maggioranza di loro è convinta che l’economia sia una scienza e non lo è. Si tratta, invece, di una scelta politica, una scelta di campo, una scelta di classe. Una bestemmia, questa parola, in quell’ambiente dove l’economia si studia come una scienza neutra. 


La cucina per malati e poveri

A quel tempo di questo parco si è deciso di farne un uso pubblico, cioè di tutti, e non una merce. È per questo che ne possono ora godere anche loro, gli studenti di economia della vicina Bocconi. È probabile che non sappiano nulla anche di Alessandrina Massini sposata Ravizza: è a lei che è stato intestato il parco. Ed è stata una decisione saggia perché è stata una grande donna e una grande filantropa. La chiamavano la “Madonna dei poveri” e anche la “Contessa del brodo” – perché i poveri li soccorreva davvero – consapevole di quanto è ingiusta l’economia asservita ai ricchi i quali chiamano non abbienti coloro che hanno sfruttato e affamato per arricchire. 



È a questa donna che vogliamo rendere omaggio con questo scritto: a lei che si diede da fare in favore delle operaie milanesi attraverso l’Associazione generale di mutuo soccorso fondata da un’altra grande donna: Laura Solera sposata Mantegazza. A lei che aveva aperto nel 1879 la Cucina per malati poveri, nel 1887 un ambulatorio medico, nel 1904 una scuola-laboratorio per curare le giovani mamme e i bambini infettati di sifilide. Non paga, impegnò soldi ed energie per favorire l’istruzione popolare, dare un mestiere ai giovani disoccupati e poi ancora e ancora fino all’ultimo respiro. 



C’era mezza Milano ai suoi funerali: assieme alle autorità, i suoi diseredati e quelli che con la sua opera filantropica e solidaristica aveva riscattato. Ecco, a voi non parrà, ma questa è una lezione di economia. Di buona economia.

 

TRUMP FA PAURA  
di Luigi Mazzella



Luscita di Mario Draghi che, gridando, all’improvviso, una sorta di “Al lupo! ”Al lupo!” per l’Europa in caduta libera, ci esorta ad indebitarci ulteriormente con l’America (e per essa con la Finanza di Wall Street e della City) per evitare una catastrofe di cui non poteva non essere a conoscenza da tempo per i suoi alti  incarichi europei e nazionali offre lo spunto per molte considerazioni (purtroppo tristi):
a) Essa ha trovato l’immediato consenso di Fratelli d’Italia (Foti) che pure di Draghi era stata la forza di opposizione più accanita e tenace durante il periodo di tempo in cui Giorgia Meloni non aveva ancora adagiato la sua testa bionda sui capaci pettorali dello zio Sam e non si era lasciata convincere ad abbandonare tutti i suoi cavalli di battaglia (anche elettorali) per sposare le cause d’oltreoceano persino sugli scenari di guerra;
b) Essa sembra adombrare la certezza di Draghi, fedele alla linea del Partito Democratico Nordamericano, che la Harris ridens abbia poche prospettive di vittoria alle prossime elezioni presidenziali statunitensi e che le sue personali fortune e soggettive ambizioni di presunto grande statista per il Vecchio Continente siano per lui in irreversibile declino a causa dell’idea che Donald Trump ha di un’Europa non più colonizzata dagli States attraverso l’interposta Unione Europea, attualmente ancora affidata all’Ursula Von der Leyen & co;
c) Essa mette ancora una volta in luce alternativamente o 1) l’incapacità, l’improntitudine, il pressapochismo, la superficialità perniciosa, l’inconcludenza, l’arrendevolezza  oppure: 2) la mala fede, la corruzione, il tradimento dell’interesse nazionale, di una classe dirigente politica che o è incapace di “leggere” gli eventi politici e si lascia incantare da pifferai venduti a Stati stranieri o perpetua l’abitudine contratta ab immemorabili dagli Italiani, di accontentarsi di governanti di mezza tacca.   

POETI A VOGHERA PER PINELLI

 


Poiché la poesia non dimentica, sabato 14 settembre 2024 alle ore 16, ne discuteremo al Circolo “Lo Stanzone” di Voghera di via XX settembre n. 92 con Angelo Gaccione, Giuseppe Langella, Zaccaria Gallo, Cataldo Russo. Letture di Anna Rutigliano.

martedì 10 settembre 2024

BIBLIOTECA OSTINATA

Dal fallito attentato a Napoleone Bonaparte il 24 dicembre del 1800, al massacro del Bataclan il 13 novembre 2015. Un romanzo coinvolgente che apre molte questioni sull’uso della violenza e la sua legittimità. Ne discuteranno venerdì 13 settembre 2024 alle ore 18 presso la Biblioteca Ostinata di via Osti n. 6 a Milano Angelo Gaccione, Giuseppe Langella, Giorgio Riolo alla presenza dell’autore Zaccaria Gallo. Letture di Anna Rutigliano.  

 

MEMORIA. CILE 1973
di Franco Astengo


 
Finché i popoli continueranno a lottare, là ci sarà un’idea di riscatto sociale e di rivoluzione politica
 
L’11 settembre 1973 cinquantuno anni fa in Cile il golpe fascista sostenuto dall’amministrazione USA, di cui segretario di stato Henry Kissinger, col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende. Un’esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d’esempio per diversi altri Paesi del mondo. La vicenda cilena, che pure diede origine a un ampio dibattito nel movimento comunista internazionale, deve rimanere nella memoria collettiva come un esempio e un monito incancellabili, in particolare in questi tempi dove davvero si sta cancellando tutto quanto è stato fatto, tra luci e ombre, vittorie e sconfitte, per il riscatto del proletariato di tutto il mondo.
L’11 settembre 1973, il giorno della “macelleria americana” resta intatto nella nostra mente e nel nostro cuore accanto ai grandi passaggi della storia del movimento operaio internazionale: dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione d’Ottobre, alla guerra di Spagna alla vittoriosa resistenza al nazi-fascismo, alla rivoluzione cinese, cubana, vietnamita, alla liberazione dei popoli dell’Africa e dell’Asia dal giogo coloniale, alla fine dell’apartheid in Sud Africa.
L’11 settembre 1973, il giorno della caduta avvenuta a mano armata con l’assassinio del “Compagno Presidente” ricorda il giorno di una sconfitta.
Per noi che continuiamo a credere nell’ideale, è uno dei giorni di quello “Assalto al Cielo” verso il quale dobbiamo continuare a tendere con la nostra volontà, il nostro impegno, il nostro coraggio.
 

MONTICHIARI
di Federico Migliorati


Federico Migliorati

Un paese-città dalla lunga storia 
 
Quando percorro viale Matteotti scendendo in direzione del centro dal colle di San Pancrazio, il più alto dei sei che i millenni ci hanno lasciato in eredità, magari in un’ora serotina autunnale nella quale il manto di foglie giallastre colora strade e marciapiedi in un tripudio di festosi mulinelli, sono preda di una felicità soffusa e gentile: tutto, nuovamente, mi appare a fuoco, a portata di mano mentre la discesa avanza, come se certa bellezza fosse in precedenza sfuggita improvvisamente, come se si fosse diradata. Nei pressi dell’antica croce risalente al 1721, danneggiata e ricostruita nel Primo Novecento, là dove la città si erge sul punto più alto nei pressi della Pieve che affonda le radici nei secoli, imperituro segno del Romanico puro e gentile, si perdono infatti i dettagli e in compenso è possibile osservare buona parte della Montichiari urbanizzata, il paese divenuto città. Nelle giornate limpide l’occhio arriva a spaziare sino al Garda e alle Alpi, abbracciando una vasta plaga tra terra e acqua. Se lo guardo da qui, l’antico e grosso borgo che dir potrebbesi città, appunto, è proprio un conglomerato maestoso, una serie quasi ininterrotta di strade e di case punteggiata qua e là da spazi verdi. Sull’altro lato del parco è il vecchio borgo di sotto, sorto sotto le mura del castello, cuore e nucleo primigenio dell’antica Montechiaro (uno dei numerosi toponimi succedutisi nei secoli, fino all’attuale, definito nel 1877). 

Da qui, da questo paese cresciuto esponenzialmente nel giro di poco più di trent’anni, non me ne sono mai andato se non per brevi periodi: come diceva Calvino, vi sono scrittori che restano attaccati alla propria piccola patria come patelle allo scoglio, altri che girano l’universo, come fece lui, per poi ritornare all’origine. Io, che scrittore non sono, semmai un semplice e modesto scrivente, percepisco Montichiari col passare del tempo come un mondo piccolo e resiliente a certe dinamiche da città (come pure ufficialmente è, sulla carta, dal 1991) ma con l’identità ancora borghese e spesso provinciale di un paese: vizi e virtù, insomma. E allora scendendo verso il centro recupero alla memoria le antiche botteghe dell’ex Piazza Garibaldi (così chiamata in onore dell’Eroe dei Due Mondi che qui, come in millanta altre località, tenne un discorso da uno dei balconi ancora oggi presenti) gran parte delle quali ormai scomparse o qualche figura curiosa e simpatica che stazionava agli angoli della stessa pronta a sfoderare un sorriso che oggi mi appare quasi come un ariostesco viaggio nella fantasia. 


La città dalle trenta chiese, ché qui la fede è cosa seria anche se la secolarizzazione ha battuto pesantemente come ovunque, vive soprattutto nel frastuono del mercato settimanale che occupa le due piazze, compresa quella intitolata a una delle glorie illustri della città, l’industriale e mecenate Giovanni Treccani degli Alfieri, quello dell’Enciclopedia Italiana e della Bibbia di Borso d’Este acquistata e donata allo Stato Italiano e oggi custodita alla Biblioteca Estense di Modena: ogni venerdì, da quasi 3 secoli, e ancora prima di lunedì per millanta anni si commercia e si vende, si fanno affari e si chiacchiera, si polemizza e ci si scambia confidenze, sorseggiando un caffè all’ombra del campanile della Basilica Minore i cui rintocchi battono il tempo delle nascite e delle morti, delle gioie e dei dolori. 

Montibus in claris semper vivida fides, si legge sul cartiglio dello stemma, ma non si è mai ben compreso se la fides fosse la spiritualità o la fedeltà a Venezia, la Serenissima che dominò per quasi quattro secoli dopo l’epoca viscontea e malatestiana, o a Brescia, capoluogo a un passo da noi. Poco discosto dal questo “salotto buono” del centro, lungo via Cavallotti che negli ultimi anni del fascismo rabbioso il podestà intitolò a Italo Balbo, ecco la casa dei Pedini, anzi, di Pedini Mario, insigne politico degli anni Settanta, fervente uomo di cultura, finissimo intellettuale e provetto pianista il cui “Accento di paese” non è solo il titolo di un suo libro (il mio preferito e per molti il migliore) ma anche il senso di quella monteclarensità (l’Accademia della Crusca forse mi perdonerà questo neologismo improbabile e improvvisato) che, ovunque la si porti, in capo al mondo o dietro l’angolo di casa, persiste e resiste, ad onta di tutto e di tutti. 

Sulla via per Brescia, a un passo dal confine con Castenedolo, si sviluppa un’area industriale che oggi poco o nulla dice al visitatore-turista che si trovasse per caso in loco: fino ad alcuni decenni fa, tutto qua era brughiera, campi non coltivati, qualche cascina e l’aura di un tempo glorioso dove tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si svolsero prestigiosi competizioni motoristiche: il Circuito Aereo Internazionale del 1909 con l’epopea dei primi voli, alla presenza di Kafka (che vi realizzò un reportage “in gara” con l’amico Max Brod), Toscanini, Puccini, Marconi e di un D’Annunzio che non volle rinunciare a salire su uno di quegli improbabili mezzi volanti ante litteram. Nel 1921 toccò al 1° Gran Premio d’Italia: i bolidi a quattro ruote solcarono le strade tra la periferia e il centro del paese (dove i più anziani ancora ricordano via Marconi come “via del Circuito”, con l’accento rigorosamente sulla seconda i), prima che, l’anno successivo, Monza ci “scippasse” fasti e gloria. Ma è ancora il borgo di sotto che mi restituisce la bellezza che non muore, all’intero di dimore sontuose che ospitarono re e regine, uomini d’arme e autorità religiose, dall’Istituto Mazzucchelli a Palazzo Monti della Pieve presso il quale un giovane Napoleone I stabilì il quartier generale in vista della fruttuosa campagna d’Italia del 1796. 

Se percorro la lunga via XXV aprile la vista del Castello Bonoris riporta idealmente le lancette dell’orologio al Medioevo: neogotica nelle fattezze, voluta da un conte danaroso e vanitoso, ma altresì attento alla solidarietà, la sontuosa dimora, acquisita al Comune solo nel 1996, è teatro di eventi ricreativi e culturali. Ma il mio è uno sguardo, come dicevo all’inizio, che spazia sull’intero borgo e non indugia troppo, perché tante e tali sono le meraviglie che sarebbe un peccato perdersi troppo qui o là: un tour a Teatro Bonoris dove di anno in anno i cartelloni accolgono fior fiore di attori e musicisti di calibro e dove un certo Celentano nel 1979 vi girò alcune scene di un film, il possente Museo Lechi adiacente, nato per volontà di benefattori insigni quali i conti Luigi e Piero Lechi (lontani discendenti dei generali di Napoleone). 

Qui vicino nacque Umberto Benedetti Michelangeli, direttore d’orchestra e nipote del pianista più geniale del Novecento, Arturo, e ancora per spostarci nello spazio e nel tempo, magari dopo una rapida sosta presso l’antico ospedale della vecchia Porta Inferi oggi moderna biblioteca-pinacoteca,  l’antichissima chiesa di Santa Cristina altomedievale dispersa nella campagna, la scenografica collina di San Giorgio con i resti dell’antico luogo di culto d’epoca longobarda per arrivare sino al fiume Chiese, corso d’acqua che dal Monte Fumo attraverso 160 km si adagia lento nell’Oglio, tra Acquanegra e Canneto concedendo lungo le sue sponde uno spazio per ritemprarsi, magari riscoprendo tra le pagine di uno storico, il compianto Giovanni Cigala, quanta feconda bellezza ci ha tramandato il “nostro” Nicolò Secco d’Aragona, il genio inquieto del Rinascimento, la cui dimora avita ahimè langue desolata e abbandonata lungo via Guerzoni. Questo rapido giro per il paese-città, lungo le strade battute dalla storia, si chiude dov’era principiato: risalgo a passi lenti il viale che riporta alla Pieve, nell’ombrosa e solitaria via che rammenta i caduti di questo o quel corpo d’armata, affratellati da sacrifici spesso vani. Mi perdo in un sogno, su una delle panchine del parco: nel tempo gentile della memoria anche l’antico tram (dei desideri?) che tagliava in due il borgo può tornare a fare capolino, solcando in lungo e in largo con lo sferragliare sui binari il paese che non si è mai convinto di diventare città.
 

 

 

lunedì 9 settembre 2024

GUERRA BATTERIOLOGICA   
di Jean Olaniszyn   


Hirohito
 
Il grande segreto del Giappone: gli indicibili crimini dell’Unità 731.
 
Circa un anno fa, nell’estate del 2023, archeologi cinesi dell’Istituto di reperti culturali e archeologia della provincia di Heilongjiang, identificarono nella Cina nord-orientale, i resti di un grande bunker del famigerato “Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito di Guandong, Gruppo dell’Esercito Imperiale Giapponese, dal suo nome ufficiale, meglio conosciuto oggi con il nome in codice usato negli anni ’30: Unità 731, guidata dal tenente generale Shiro Ishii.
Durante l’occupazione giapponese della Cina dal 1931 al 1945, un centro operativo dell’Unità 731 a Pingfang (provincia di Heilongjiang e amministrato dalla prefettura di Harbin) ospitò un laboratorio sotterraneo segreto, da allora soprannominato “il Bunker dell’Orrore”, dove i militari e gli scienziati giapponesi condussero raccapriccianti esperimenti su soggetti umani.
L’Esercito imperiale del Giappone si macchiò di crimini di guerra talmente orribili che osservatori dell’alleato tedesco lo definirono “una macchina bestiale”, riferito in particolar modo al noto “Massacro di Nanchino”.
In quel tempo Nanchino era la capitale della Repubblica della Cina caduta in mano ai giapponesi il 13 dicembre 1937. In sei settimane i soldati giapponesi uccisero oltre 300.000 persone, con torture, stupri di donne, ragazze e anziane, ma anche di bambini in tenera età uccisi per divertimento e in modi orribili a decine di migliaia dai militari giapponesi.
Già nell’agosto del 1937 l’Esercito imperiale giapponese nell’avanzata verso la “Battaglia di Shangai” fu particolarmente crudele verso i cinesi, sia militari che civili (seguendo anche le direttive dell’imperatore Hirohito che impose di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni internazionali), ciò che fa pensare che il massacro di Nanchino non sia stato un evento isolato.
Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ha calcolato che vennero stuprate più di 20.000 donne, anche bambine e anziane. Gli stupri durante il giorno spesso avvenivano in pubblico, il più delle volte di fronte ai mariti o a componenti della famiglia, che venivano immobilizzati e costretti a guardare. Un gran numero di tali atti fu frutto di un’organizzazione sistematica, con i soldati che cercavano le ragazze di casa in casa, sottoponendole a stupri di gruppo. Le donne venivano spesso uccise subito dopo lo stupro, non prima di aver inflitto loro mutilazioni o sventrando quelle incinte. Ci sono testimonianze ancora più raccapriccianti di episodi talmente orribili che in questo contesto evito di raccontarne i dettagli.


Shiro Azuma col suo diario
 
Lager dell’unità 731 a Pingfang
In un tale oceano di sofferenza durante l’avanzata dell’esercito giapponese verso Nankino, la morte di circa 3.000 prigionieri cinesi e in piccola misura russi, a Pingfang, vicino ad Harbin, potrebbe essere vista come un epifenomeno. Ma nell’inferno di Pingfang, nel cuore della Manciuria, furono commessi fra i crimini più atroci della “Grande Guerra Asiatica”.
L’Unità 731 effettuò, su larga scala, esperimenti biologici e vivisezioni su cavie umane (prigionieri cinesi, coreani, russi, ma anche britannici e olandesi), testando i limiti della sofferenza umana su uomini, donne e bambini, per fornire alle forze armate giapponesi armi batteriologiche e chimiche.
Un sopravvissuto, Fang Zhen Yu, in un’intervista a ‘Le Monde’ ha raccontato: “Era il 1941. Avevo diciannove anni e lavoravo come magazziniere, prigioniero nel campo giapponese. Punito, fui rinchiuso in una cella, da dove potevo vedere i treni arrivare e scaricare come animali i poveri disperati destinati agli esperimenti; un giorno è arrivato un convoglio di vagoni merci, scesero degli uomini con le mani legate, alcuni avevano capelli biondi” () Dal magazzino portavano molto cibo al laboratorio, da dove provenivano perennemente urla strazianti di uomini, donne e bambini”.  
Il cibo era destinato per testare sulle cavie umane il miglior vettore infettivo. Le verdure furono riconosciute come le più adatte alla guerra batteriologica, in particolare quelle con molte foglie, seguivano in ordine successivo: la frutta, il pesce e infine la carne.


 
Nel piccolo museo di Pingfang, inaugurato nel 1982, un plastico ricorda quello che era l'immenso complesso (70 edifici) dell'Unità 731. Dietro il lungo edificio amministrativo a due piani, si trovava un quadrilatero formato dalla prigione e dai “laboratori”, oltre agli alloggi per i tremila giapponesi (medici, veterinari, infermieri, soldati) che gestivano gli orrendi crimini. 
All’epoca il campo di prova comprendeva anche installazioni in superficie che non esistono più, ad eccezione di una pista di atterraggio, perché nell’agosto del 1945 fu tutto fatto saltare in aria dai giapponesi per cancellare ogni traccia di ciò che accadeva nel sottosuolo, in locali destinati a contenere e controllare soprattutto la diffusione di agenti infettivi. I documenti storici hanno rivelato che nei vari laboratori (Unità 731, Unità 1644, Unità 100) del famigerato Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito Imperiale giapponese, furono almeno 12.000 cavie (uomini, donne e bambini) che furono uccise durante test con agenti batterici e malattie mortali (sifilide, antrace, colera, febbre tifoide), ma anche con altri perversi metodi: immessi in centrifughe rotanti, iniettati con sangue animale contaminato, esposti ai raggi X, al freddo, alla disidratazione, bruciati vivi con lanciafiamme. 



I disgraziati venivano anche vivisezionati, senza anestesia ovviamente. Pulci infettate da Yersinia pestis e sviluppate in laboratorio per essere particolarmente letali, causa della peste bubbonica e polmonare, venivano lanciate anche da aerei a bassa quota sulle città cinesi del Manchukuo, uno stato conosciuto come “fantoccio”, territorio della   Manciuria controllato dall’Impero del Giappone nel nord-est della Cina tra il 1932 e il 1945. L’avanzata dei sovietici in Manciuria e le bombe atomiche americane sganciate su Hiroshima e Nagasaki fermarono i folli progetti giapponesi per l’uso delle armi batteriologiche sviluppate dall’Unità 731. Tra questi il programmato bombardamento batteriologico di San Diego (California), nome in codice “Operazioni Fiori di Ciliegio nella Notte”.


 
Il governo giapponese cercò sempre di nascondere l’esistenza e i crimini dell’Unità 731. Catturati dalle truppe americane al termine del conflitto, il comandante Ishii e il suo stato maggiore, Darkum Neik, Masaji Kitano, Yoshio Shinozuka, Yasuji Kaneki, ottennero l’immunità in cambio della consegna all’OSS (precursore della CIA) di tutte le informazioni delle loro ‘ricerche’ sulla guerra batteriologica. L’accordo avvenne con il beneplacito del generale Douglas MacArthur che ricevette istruzioni di garantire ufficialmente la piena immunità agli scienziati dell’Unità 731. All’infuori del Giappone, solo gli USA avevano quindi le prove dei crimini dell’Unità 731 in Cina, ma furono sottaciute. I crimini contro l’umanità commessi in Manciuria dai giapponesi, a quanto pare, non avevano responsabili. L’Unione Sovietica protestò veementemente, senza alcun risultato tangibile.
Anche altri scienziati coinvolti nell’Unità 731 ricevettero nel 1946 l’immunità da ogni accusa dal Tribunale internazionale per l’Estremo Oriente (Tribunale di Tokyo), avendo fornito agli Stati Uniti tutti i dati - definiti dall’allora segretario alla Sanità Usa “inestimabili” - della loro criminale attività.
La documentazione e gli archivi dell’Unità 731 furono trasferiti sul continente americano, più precisamente a Fort Detrick, il famoso centro biomedico militare americano, dove furono utilizzati per sviluppare armi batteriologiche. I criminali giapponesi trasferiti negli Stai Uniti furono utilizzati in vari laboratori, sia su territorio americano che in altri paesi, ovviamente sotto il controllo del Pentagono.

Il documento rinvenuto nel 2023

Nel 1976 negli Stati Uniti andò in onda un programma d’inchiesta che rivelò delle inedite dichiarazioni di venti ex dipendenti dell’Unità 731 accolti su suolo americano. Lo scossone riaccese il caso, anche agli occhi dell’opinione pubblica, che ne volle sapere di più, ma il governo mise tutto a tacere. La politica perseguita da Washington nei confronti dei criminali di guerra giapponesi non è stata dissimile da quella tenuta nei confronti di quelli tedeschi. Basti pensare all’Operazione Paperclip, che proseguì fino al 1973, con la quale oltre 1.600 scienziati, tecnici ed ingegneri tedeschi nazisti vennero portati in America a lavorare per il governo statunitense. Anche se alcuni studiosi americani avevano documentato le attività dell’Unità 731, il loro lavoro era stato “oscurato” o rimasto confinato fra gli specialisti.
Nel 1987, Shiro Azuma, un militare che aveva partecipato al massacro di Nankino, pubblicò il proprio diario sui crimini compiuti dall’esercito giapponese in Cina che gli procurarono denunce per diffamazione dal governo giapponese, mentre il governo cinese gli fu grato per il suo gesto.


Shiro Ischii

Dopo queste rivelazioni spuntarono “dal nulla” altri indizi ed elementi dal valore probatorio e molti storici iniziarono a chiedere informazioni ai governi giapponese e americano, ma solo nel 2018, gli archivi nazionali giapponesi pubblicarono i nomi di 3.607 membri dell’Unità 731, su richiesta di Katsuo Nishiyama, professore all’Università di Scienze Mediche di Shiga (Giappone), il quale aveva dichiarato che “la lista è una prova importante che supporta le testimonianze delle persone coinvolte e la sua divulgazione è un passo importante verso la rivelazione di fatti tenuti nascosti per troppo tempo”.
Nel settembre del 2023, Seiya Matsuno, uno storico giapponese, ha scoperto presso gli Archivi nazionali del Giappone dei documenti che registravano le informazioni di base dei medici militari dell’Unità 731, nonché la loro affiliazione, adeguamento, smobilitazione e alcune altre informazioni dopo il 1944. Ufficialmente, tuttavia, molto resta secretato, anche in relazione al complesso rapporto del Giappone con Washington. Come sintetizzato in modo eloquente da Daniel Barenblatt, autore di “A Plague upon Humanity: The Hidden History of Japan’s Biological Warfare Program” (2005), il “segreto dei segreti” del Giappone è diventato il “grande segreto dell’America”. 

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