UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 31 dicembre 2016

Auguri
anche se questa immagine che ci consegna
il pittore Giuseppe Denti, non è ottimista.

Composizione di Giuseppe Denti -2016-
                                                ***
MINIMA IMMORALIA


L’esistenza non obbedisce ad alcun disegno razionale,
essa procede mossa dalla pura casualità
e dall’imponderabilità assoluta dell’arbitrio.
Angelo Gaccione

[Milano 31 dicembre 2016]

                                                           ***
AMNESTY INTERNATIONAL CONTRO L’OLIO DI PALMA



Lavorare nelle piantagioni, invece di andare a scuola: Amnesty International denuncia l’operato di Wilmar, n ° 1 al mondo tra i fornitori di olio di palma per marchi importanti come Colgate Palmolive, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble e Unilever. Le multinazionali devono attivarsi per impedire il lavoro minorile.

Lettera
CA: All’industria del settore dell'olio di palma ed i suoi clienti: Wilmar e i suoi clienti Colgate Palmolive, Kellogg’s, Nestlé, Unilever et Procter&Gamble

L'industria dell'olio di palma ed i suoi clienti devono attivarsi immediatamente contro le violazioni dei diritti umani, il lavoro forzato e il lavoro minorile. Ad oggi, 27 milioni di ettari di foresta tropicale sono state distrutte per le piantagioni di palma da olio. Un'area più estesa della Gran Bretagna. La natura e le specie in via di estinzione, come gli oranghi non sono gli unici a soffrire della mancanza di scrupoli dell'industria dell'olio di palma e dei suoi clienti: anche i lavoratori delle piantagioni subiscono queste sofferenze.
L'organizzazione Amnesty International ha documentato le condizioni di lavoro nelle piantagioni di palma da olio in Indonesia nella relazione Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti.
E quanto rilevato dalla ONG è sconcertante: lavoro forzato, lavoro minorile, discriminazione contro le donne, pratiche abusive e pericolose per la salute dei lavoratori. Questo non è un caso isolato, ma parte delle pratiche sistematiche attuate dalle società controllate e dai fornitori della Wilmar, n° 1 al mondo nella fornitura di olio di palma con sede a Singapore. Bambini dagli 8 ai 14 anni sono costretti a lavorare in condizioni di pericolo costante. Alcuni non vanno nemmeno a scuola per aiutare i loro genitori per raggiungere gli spropositati obiettivi di performance imposti dai datori di lavoro nelle piantagioni, aggiunge Amnesty. L’itinerario dell’olio di palma della Wilmar e dei suoi fornitori è stato seguito da Amnesty International fino ai suoi acquirenti, multinazionali come Colgate-Palmolive, Kellogg’s, Nestlé, Unilever e Procter & Gamble. I principali marchi produttori di tavolette di cioccolato, shampoo, detersivi e altri prodotti, traggono i loro profitti da un olio di palma a buon mercato prodotto senza alcun riguardo per l'uomo e la natura.
Alli Benigni Lettori
Regalatevi un libro


POETI
FABIANO BRACCINI

Fabiano Braccini

ESPLORATORE ESIGENTE

Scopritore di melodie speciali,       
nel bosco dei violini
vo ascoltando dall’anima dei tronchi
il pulsare di suoni e vibrazioni,                  
sentendomi talvolta, per incanto,          
radice tra le altre grandi radici.

Cercatore di qualità nascoste,               
scivolo tra la gente 
che frettolosa vagola in città,                          
per scovare nel torrente dei volti        
la grazia confidente d’uno sguardo,   
un sorriso che inviti all’amicizia.                          

Esploratore attento ed esigente      
di stile e d’eleganza                                                          
mi trovo invece spesso a distillare                            
complicati concetti, ingarbugliati                        
come rami di salici piangenti
arruffati dalla furia dei venti. 
                         
Ma raramente avverto volteggiare               
un pensiero sublime,                 
un canto che si ammanti di bellezza,      
parole che disvelino emozioni:
ali leggere per volare su,
verso l’ebbrezza alta delle stelle.   


Fabiano Braccini


GHIAIA

Ragazzi scanzonati,
ricchi di fantasia,
capelli e petto al vento
a cantare la vita.
Non ci mancava niente:
nel cuore portavamo
(e tanto era il diletto!)                     
la natura ridente,
le corse incontro al sole.                  
E il profumo dei prati,                        
lo splendore del grano,
l’incanto delle stelle.

Stanchi esausti alla sera,                  
fra le lenzuola fresche,
coi sogni già eravamo                    
lanciati nel domani                         
a cogliere il sapore                             
d’amore e d’avventura.                                     

Talvolta la mattina,                                     
riposati e festanti,
per sentieri di more
scendevamo al ruscello
a scegliere con cura
e rigirarla in mano
(che senso di piacere!)
la ghiaia levigata:
per poi lanciarla via
a schizzettar qua e là
nel letto di acqua chiara
o tra la rena fina.

Braccini con Guido Oldani


TROPPO PRESTO  (arriva la sera)

Nella cenere fredda e sparpagliata
d’un caminetto spento
tento di riallacciare, inutilmente,
l’impalpabile filo
della trama ricamata nel tempo               
del mio inquieto viaggiare.                 

Cerco ostinatamente di trovare
un lampo di passione,                      
un fuoco ardente che mi scaldi il cuore
di giovanile ardore:                                                      
un soffio di poesia che mi dia
altri brividi ancora.

Sovente indugio a rievocare un volto,     
uno sguardo, un sorriso                            
e scorro i fotogrammi del passato
riascoltando le voci
di chi mi ha accompagnato nel percorso
della mia vita intera.

Ma troppo presto è arrivata la sera.

                         ***












AFORISMI
di Laura Margherita Volante

Chi è senza peccato?


Servilismo. Avere molto pelo sullo stomaco e accarezzare quello altrui…
In Italia i poveri mantengono i ricchi che li impoveriscono sempre più in cultura…
disorientandoli!
Chi non ha cultura si sofferma al primo strato di conoscenza sbraitando contro le nuvole.
Femminicidio. L’idea di possesso si radica in chi non possiede nulla… cultura compresa.
Tendenza. Pur di apparire si è disposti a qualsiasi fatica estetica.
Le apparenze sono uno scudo pieno di spine che feriscono l’anima e di chiodi 
che squarciano il cuore.
A chi non possiede l’oltre non può capitare di trovarsi nell’altrove…
Chi non apre il cuore alla speranza sarà disperato.
Chi è senza peccato… I giudizi lapidari sono un attentato allo spirito.
I deboli di carattere scelgono modelli comodi da seguire.
Quando il sentimento prevale apre la porta alla “fregatura”,
ma l’anima prende il volo dalla finestra libera.



venerdì 30 dicembre 2016

Alli Benigni Lettori
Segnaliamo nella rubrica Arte il nuovo scritto di Giorgio Colombo sull’artista  Anish Kapoo in esposizione a Roma.

LIBERARE LEONARD PELTIER
Musicisti per Leonard Peltier

Leonard Peltier

Credeteci, amici, è stata una decisione difficile scrivere questa lettera aperta per chiedervi il sostegno alla nostra lotta per liberare il Nativo Americano, Leonard Peltier, da molti anni in carcere. Ci conoscete, Claudia ed io, come manager di concerti Rock a Offenbach (Germania), forse anche come musicisti, come attivisti per i diritti umani e "social workers" in infiniti sforzi per dare spinta ai giovani.  (...) Come voi forse sapete noi siamo appassionati membri del Comitato di Sostegno a Leonard Peltier in Germania. Leonard Peltier, prigioniero politico nativo americano ha adesso 72 anni, chiuso da 41 anni in carcere, da molti anni gravemente malato (cecità da un occhio, diabete, aneurisma alla aorta, alta pressione…) All'inizio di dicembre di quest'anno suo figlio di 41 anni, Paul Peltier, è morto, non ha mai visto suo padre libero. È morto mentre era a Washington a chiedere la libertà per suo padre. Ai nostri occhi Leonard Peltier è innocente. Ho lavorato 4 anni per realizzare un documentario sul suo caso, ho fatto un lavoro di ricerca negli Usa e scritto un libro„ "One Life For Freedom – Leonard Peltier e la resistenza indigena" (solo in tedesco, Marzo 2016). Ora stanno trascorrendo gli ultimi giorni della presidenza di Obama. Potrebbe essere l'ultima possibilità per Leonard di rivedere la sua famiglia, i suoi parenti e amici, fuori di prigione. Obama può firmare la grazia.
Rockstar da tutte le parti del mondo hanno firmato in passato petizioni per la libertà di Peltier. Date un'occhiata su YouTube:  https://www.youtube.com/watch?v=E-td0Q3agpU o  https://www.youtube.com/watch?v=TzLckwBZ208 or https://www.youtube.com/watch?v=dzfMQBcvkJA o https://www.youtube.com/watch?v=3dJyg9-Q4sA o a questa lista di personaggi che hanno già firmato per la sua liberazione http://users.skynet.be/kola/vips.html. (Troverete i nomi dei musicisti di questa lista e della campagna  "I will" alla fine di questa lettera. Unite il vostro nome, siete in buona compagnia).
Questo ora vogliamo chiedervi: ci fate scrivere il vostro nome nella lista di musicisti che chiedono la grazia e la libertà per Leonard peltier? Se la risopsta è "Sì, lo voglio, Yes I will". Mandateci un breve messaggio email con scritto: „yes, i will“. Noi manderemo il 10 di Gennaio 2017 la lista di nomi alla Casa Bianca. Che siate world star o giovani musicisti, professionisti o "musicisti solo per passione", – ogni nome conta. Unitevi a questo vasto movimento mondiale di musicisti che chiedono la libertà per Peltier. Per favore, please, condividete questo messaggio con altri musicisti. Vi ringraziamo. In nome della giustizia e della libertà.
Mandate la vostra Email a lpsgrheinmain@aol.com, guardate il nostro website e seguite i progressi della campagna  http://www.leonardpeltier.de/tokata-lpsg-e-v/kampagne-musiker-fuer-leonard-peltier e seguiteci su facebook https://www.facebook.com/LPSGRheinMain
qui sotto, altri articoli recenti su Leonard Peltier:
https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/dec/21/leonard-peltier-clemency-obama-pine-ridge
 https://www.democracynow.org/2016/12/21/free_leonard_peltier_obama_urged_to
 WBAI- New York
 http://www.whoisleonardpeltier.info/audio/20161221wbai.mp3


giovedì 29 dicembre 2016

Occidente: la riscrittura del passato
di Manlio Dinucci

La strage di Berlino

«Strage Berlino, perché il terrorista si è lasciato dietro i documenti?»: se lo chiede il Corriere della Sera, parlando di «stranezze». Per avere la risposta basta dare uno sguardo al recente passato, ma di questo non vi è più memoria. È stato riscritto dal «Ministero della Verità» che -immaginato da George Orwell nel suo romanzo di fantapolitica 1984, critico del «totalitarismo staliniano»- è divenuto realtà nelle «democrazie occidentali».
Si è così cancellata la storia documentata degli ultimi anni.
Quella della guerra Usa/Nato contro la Libia, decisa -provano le mail della Clinton- per bloccare il piano di Gheddafi di creare una moneta africana in alternativa al dollaro e al franco Cfa (franco della Comunità finanziaria dell'Africa). Guerra iniziata con una operazione coperta autorizzata dal presidente Obama, finanziando e armando gruppi islamici prima classificati come terroristi, tra cui i nuclei del futuro Isis.
Poi riforniti di armi attraverso una rete Cia (documentata dal New York Times nel marzo 2013) quando, dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, sono passati nel 2011 in Siria per rovesciare Assad e attaccare quindi l’Iraq (nel momento in cui il governo al-Maliki si allontanava dall’Occidente, avvicinandosi a Pechino e a Mosca). Cancellato il documento dell’Agenzia di intelligence del Pentagono (datato 12 agosto 2012, desecretato il 18 maggio 2015), in cui si afferma che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze che tentano di controllare le aree orientali» e, a tale scopo, c’è «la possibilità di stabilire un principato salafita nella Siria orientale».
Cancellata la documentazione fotografica del senatore Usa John McCain che, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, incontra nel maggio 2013 Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis.
Allo stesso tempo, ispirandosi alla «neolingua» orwelliana, viene adattato a seconda dei casi il linguaggio politico-mediatico: i terroristi, definiti tali solo quando servono a terrorizzare l’opinione pubblica occidentale perché appoggi la strategia Usa/Nato, vengono definiti «oppositori» o «ribelli» mentre fanno strage di civili in Siria. Usando la «neolingua» delle immagini, si nasconde per anni la drammatica condizione della popolazione di Aleppo, occupata dalle formazioni terroriste sostenute dall’Occidente, ma, quando le forze siriane sostenute dalla Russia cominciano a liberare la città, si mostra ogni giorno il «martirio di Aleppo».
Si nasconde però la cattura da parte delle forze governative, il 16 dicembre, di un comando della «Coalizione per la Siria» -formato da 14 ufficiali di Stati uniti, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Giordania, Marocco-  che, da un bunker in Aleppo Est, coordinava i terroristi di Al Nusra e altri.
Su questo sfondo si può rispondere alla domanda del Corriere della Sera: come già avvenuto nella strage di Charlie Hebdo e in altre, i terroristi dimenticano o lasciano volutamente un documento di identità per essere subito identificati e uccisi. A Berlino si sono verificate altre «stranezze»: perquisendo il camion subito dopo la strage, la polizia e i servizi segreti non si accorgono che sotto il sedile del guidatore c’è il documento del tunisino, con tanto di foto.  Arrestano quindi un pachistano, che rilasciano dopo un giorno per insufficienza di prove.  A questo punto qualche agente particolarmente esperto va a guardare sotto il sedile del guidatore, dove scopre il documento di identità del terrorista.
Intercettato per caso in piena notte e ucciso da una pattuglia presso la stazione di Sesto, a un chilometro da dove era partito il camion polacco usato per la strage.
Tutto documentato dal «Ministero della Verità»

mercoledì 28 dicembre 2016

DOVE SIAMO CAPITATI?
di Fulvio Papi



Dove siamo capitati? Ci si può domandare ripetendo il titolo di un celebre saggio di Enzensberger che descriveva il mondo di qualche tempo fa. La risposta è elementare: in una dimensione di storia globale che è sempre presente, ma non determina direttamente ogni evento. Sempre che si usi il concetto di causa con la necessaria intelligenza critica. In ogni caso (a proposito di critica) sono finiti i tempi in cui una metodologia empirista poteva dare scacco alle costruzioni interpretative della storia mondiale alla Splenger. Oggi, l’universale, per continuare questo parlare filosofico, non è una figura simbolica, ma una realtà materiale che condiziona i continenti, e sollecita forti trasformazioni dell’esistente sociale.
Noi siamo in un mercato mondiale dove i cosiddetti paesi emergenti hanno uno sviluppo tecnologico pari al nostro (ancora poco tempo fa veniva pensato come la nostra differenza), e un costo economico del lavoro notevolmente inferiore. Da un punto di vista genealogico l’analisi di Marx è stata esatta: mancava il “soggetto”, ma questo era ovvio per chi non fosse malato di fantasmi filosofici. La situazione attuale ha naturalmente i suoi effetti differenziati sulle economie nazionali che sono stati calcolati dagli esperti, e, rispetto ai quali, nell’area europea, noi italiani stiamo peggio degli altri. Si possono adattare misure che contraddicono l’effetto disoccupazione che è quello socialmente più rilevante. Queste misure, in una prospettiva sostanzialmente keynesiana, si possono prendere in maniera più rigorosa e più efficace, in proporzione dell’assetto economico e sociale di ogni paese. Nel caso dei paesi del Nord la loro situazione strutturale li mette in condizioni migliori e più efficienti, nel caso nostro invece nelle maggiori difficoltà, che, temo, non potranno recedere in una condizione europea dove ogni stato deve risolvere i propri problemi con le proprie risorse. Né credo che per il futuro la situazione sarà differente.
È da questo quadro realisticamente complesso che dovrebbe partire l’azione politica con provvedimenti rigorosi che “aggiustino” un paese per molte ragioni (che andrebbero conosciute) cresciuto male, al punto che oggi abbiamo, per esempio, una scarsa compatibilità tra una prassi materiale e un costume istituzionale che, proprio per la sua formazione culturale, non riesce a corrispondervi; spesso a un umanesimo ideale corrispondono sentimenti sociali di furia e di vendetta. Non sono problemi da poco che si aggiungono alla necessità di limitare l’espansione di profitti privati (più o meno leciti) e alla esigenza di contrastare la caduta economica di ceti sociali già impoveriti progressivamente  in questi ultimi anni. Il tutto senza demagogie comunicative che sempre abbassano il livello di civiltà in modo incontrollabile. I discorri che corrono sono purtroppo lontani da questa consapevolezza molto sgradevole. Inoltre ho la sensazione (ma qui gli esperti dovrebbero intervenire) che per mantenere un livello di consumo che consenta una veloce rotazione del capitale, in una situazione di impoverimento, vi sia un peggioramento della qualità dei consumi, tramite una diminuzione dei prezzi di produzione attraverso una pluralità di strategie. L’opinione comune ormai è del tutto persuasa che non tornano gli “anni felici”, ma forse non sa bene che anch’essi furono devastanti da parte di un consumismo insensato, dallo spreco, dalla incuria pubblica e privata di tutti i problemi ecologici che investono sia il continente biologico che quello artificiale come si è storicamente costituito in relazione al primo. A mio avviso non c’è “paradiso perduto”. L’ignoranza, o, meglio, la costruzione sociale dell’ignoranza, è un’atroce ideologia che impedisce di considerare realisticamente noi stessi nel contesto in cui viviamo, e, al contrario, favorisce un individualismo cieco che, quando è frustrato nei suoi desideri, deve trovare il famoso “capro” per esportare la propria delusione, il proprio risentimento, e magari costruire, in una immaginazione malata, la propria icona di salvezza. I vuoti politici in queste circostanze sono fatali.
In un articolo molto pregevole di Francesco Ciafaloni su “La Città” (che utilizza informazioni internazionali dell’ottimo giornalista Federico Rampini) si legge che la caduta permanente del reddito delle classi sociali più basse non può essere tollerata “ senza sorprese”. Non c’è un solo modo per evitare le “sorprese”. Se consideriamo in Italia i modi positivi, si può ricordare il lungo dopoguerra, quando fu il lavoro operaio a basso salario, a consentire la “ripresa”, dopo la difesa che i lavoratori fecero delle loro fabbriche come strumenti essenziali della vita collettiva. Ma allora (senza enfatizzare nulla, e ignorare l’insieme di fattori che consentirono quella situazione) vi fu una forte educazione etico-politica dei grandi partiti di massa. Risorse perdute da tempo. Nella situazione attuale le sorprese maggiori si hanno laddove il privato, cullato da quali che siano i suoi fantasmi, segretamente, può diventare pubblico, cioè nel voto che, del resto, è sollecitato dalle forze socio-politiche che ci sono. È un gioco elementare mostrare la loro insufficienza (o anche molto peggio), ma è un lusso facilissimo, purtroppo inutile. Tutto è contingente, e molto poco è al caso. Il partito laburista, a suo tempo, non nacque nel vuoto, e così la socialdemocrazia tedesca o il partito di Turati e di Matteotti. Così la disseminazione di sigle politiche, la proliferazione di telegrafiche scemenze, derivano dalle forme prevalenti di comunicazione che rendono impossibile qualsiasi analisi obiettiva, e fanno precipitare il ragionare politico a quota zero. Esiste anche qualcuno che sostiene che questa è la democrazia realizzata, ma perché non si studia le forme plurali, storiche e intellettuali, che hanno portato alla democrazia moderna? Scoprirà che vi sono condizioni sociali e anche conformazioni individuali che la rendono più efficace o meno, più conforme ai compiti politici che appartengono a un bene collettivo, oppure meno. La democrazia non è solo un insieme di regole che la rendono possibile, ma soprattutto una finalità che appartenga o meno a chi segretamente affida a un gruppo dirigente la sua attuazione in un contesto sociale conosciuto e valutato. E se questa condizione non c’è, e viene trasformata in un contesto totalmente differente o addirittura opposto a quello che storicamente ha consentito l’affermazione della democrazia? Mi fermo sull’interrogativo perché l’analisi dei fatti sarebbe penosa: ho visto persone di indubbia classe intellettuale precipitare, per conservarsi, in questo gorgo comunicativo, citrulli cui il vecchio Caprotti non avrebbe affidato un supermercato, parlare come profeti, piccoli barbari di paese mimare lessici napoleonici. Riconosco che questi non sono che esercizi lessicali, perché il grandissimo Hegel mi ha insegnato da sempre che “così va il mondo”. E se in cosiffatto spazio avessi la presunzione di essere presente, allora sarei costretto a condividere l’opinione di un illustre politologo, le cui scelte in passato non ho mai condiviso, che consiglia, oggi, sulla scena politica , di scegliere il “meno peggio”. Anche perché, senza ricorrere alla tragedia di Weimar, l’alleanza di fascisti e comunisti, anche oggi, nel loro piccolo, è, in ogni caso, uno sbaglio. Il “meno peggio” non ha nulla di trionfale, proprio no, ma chi ha la mia lunga storia sa che ne abbiamo fatto uso altre volte. E il peggio non è proprio del tutto invisibile, se non dai soliti, comprensibile nel loro sospetto, che di principio (Gemonini era un vero filosofo) non desiderano avere a che fare con il cannocchiale galileiano.  

sabato 24 dicembre 2016

Una riflessione in versi del poeta
Alberto Figliolia su questo Natale
di consumo e di dolori.



Vigilia di Natale

Che amara ironia in questo Natale...
Che cosa è divenuto il Natale, ogni Natale
che ci viene elargito,
che ci viene imbonito,
che ci viene imbandito?

Ancora ieri c'è stata una strage
e Cristo non era ancora nato
se non nello sguardo di una bambina
che si trascinava carponi:
in cerca di un sorso d'acqua
nell'assurda orba levità del giorno
che si levava e calava
come vendicatrice spada.

Alle spalle del grappolo di stracci,
oltre la geografia delle ossa,
oltre la disfatta della pelle rugosa
in cui la bambina era mutata,
grumo di dolore senza più rancore,
un avvoltoio e un fotografo,
ambedue pronti a carpirne
l'immagine mortale.

Cristo è nello sguardo di quella bambina,
in quell'ultimo sguardo.

[Alberto Figliolia]
UNA POESIA DI MARIO SODI
PER I LETTORI DI “ODISSEA”

Con gli occhi di un bambino

Mario Sodi



Un bambino cammina nella mia vita.
Lo precede un soffio di vento
che apre ogni porta.
Lo segue un raggio di sole
che fa splendere  d'oro le mie stanze.

Quando mi guarda
mi sento bello come un albero,
e tenendomi per mano
mi insegna antichissime strade.

Quando non è con me
io sono in lui:
nelle mappe che mi disegna
sulla vuota parete
per seguire la nostra giusta rotta.

Quando per troppo tempo non lo cerco,
la sua ombra vivente abita il sogno:
lascio cadere le vesti pesanti
che mi opprimono
ed entro nella magia del suo giardino.
Voliamo le nostre festose contrade,
sprizziamo liberi dalle fontane
ci confondiamo in un ventaglio d'ali
verso una grande luce, sempre più grande:
dove si perde
ogni umana sapienza  
ed una Voce, come soffio, chiama.

Con gli occhi di un bambino
cammina la mia anima.
[Mario Sodi]

venerdì 23 dicembre 2016

Ai lettori di “Odissea
gli auguri più cari.

 
Opera di Giuseppe Denti
Dopo Referendum.
Prosegue il dibattito.

Il voto ha indicato una rotta,
attrezziamoc auna lunga marcia
di Gaetano Azzariti  


Il No deve essere interpretato come la volontà di riaffermare i principi della Costituzione, determinazione espressa con uno spirito tutt’altro che conservatore.

Abbiamo evitato il peggio. E ora? Nessuno si illuda, la strada è ancora in salita. Se non vogliamo cadere non possiamo star fermi, dobbiamo continuare ad arrampicarci. Soprattutto evitiamo d’inciampare. Non lasciamo che una nobile e non scontata vittoria della democrazia costituzionale, da noi così faticosamente costruita, sia ricondotta alle miserie della cronaca, per poi svanire nel nulla. Il rischio è di ritrovarci, tra qualche anno, ancora sotto assedio, di nuovo a difendere i principi costituzionali da un sistema politico che da tempo si mostra insofferente ai limiti che le leggi supreme pongono ai sovrani di turno. I primi commenti, dopo il referendum, sono tutti orientati a valutare le ripercussioni politiche immediate; concentrati sulla crisi di governo, sui nuovi equilibri all’interno delle diverse forze politiche, sul futuro personale di Renzi. Molti partiti cercano di cavalcare la vittoria, per ottenere un successo fulmineo, andando alle elezioni. Persino il partito responsabile della débâcle referendaria tenta di risorgere dalle ceneri, mettendosi il più rapidamente possibile alle spalle la questione della costituzione e della sua riforma, per ripresentarsi agli elettori come se nulla fosse accaduto. C’è un gran bisogno di qualcuno che guardi più in là se si vuol far sì che il referendum abbia un seguito non effimero. Una decisione popolare sulla costituzione deve intervenire sul corso della storia politica e sociale di questo paese che da oltre vent’anni arretra: può legittimare un cambiamento radicale. Arrestare il lungo regresso, è questo il compito ampio, ambizioso, ma ineludibile, che la cesura espressa dal voto popolare ci affida. Un’impresa che non può essere semplicemente delegata ai partiti, perlopiù screditati e compromessi; un obiettivo che non può essere barattato neppure con la vittoria alle prossime elezioni. Sarebbe probabilmente una vittoria di Pirro, che condannerebbe comunque i vincitori ad operare entro un sistema istituzionale e culturale compromesso a tal punto da rendere assai probabile il fallimento. Inutile nasconderlo: dobbiamo attrezzarci ad una lunga marcia. Per cambiare finalmente strada, muovendosi nella giusta direzione, bisogna anzitutto comprendere il senso profondo del voto che si è espresso contro la riforma Renzi-Boschi. 


Esso deve essere interpretato come la volontà di riaffermare i principi della costituzione, determinazione espressa con uno spirito tutt’altro che conservatore. Solo la retorica del potere poteva far credere che si era contro questa riforma perché soddisfatti dello stato di cose presenti. Nessuno ha difeso l’odierno bicameralismo agonico, né l’attuale regionalismo caotico, in caso s’è compreso che la riforma avrebbe peggiorato la crisi. Il rifiuto ha riguardato la pretesa di accentrare il potere, contrapponendo un’altra idea di costituzione. Un voto arrabbiato, in caso, ma non certo arreso. Tant’è che contro la riforma si sono espressi soprattutto i più giovani e i meno abbienti, da sempre il motore del cambiamento. 


Ma, si potrebbe replicare, anche i fautori della riforma intendevano «cambiare». È vero: la riforma avrebbe indubbiamente prodotto una profonda trasformazione dell’assetto istituzionale definito in costituzione. Dunque, a ben vedere, si sono scontrati due diversi modi di intendere il rapporto tra governanti e governati, diverse visioni di democrazia costituzionale. Da un lato, coloro che ritengono essenziale semplificare la complessità sociale e rendere autoreferenziale il sistema politico e le istituzioni rappresentative (seguendo il modello classico della democrazia d’investitura), dall’altro chi crede si debba estendere la partecipazione e legittimare i conflitti sociali, rendendo le istituzioni rappresentative il luogo della composizione e del compromesso politico (secondo un diverso e altrettanto tipico modello di democrazia pluralista e conflittuale). La prima prospettiva è quella perseguita negli ultimi vent’anni non solo in Italia. La seconda ha vinto il referendum.
Entro questo secondo schema dovremmo dunque lavorare, non sarà facile dare forma e sostanza al modello indicato. D’altronde, non può pretendersi che il rifiuto del 4 dicembre si trasformi come d’incanto in un progetto costituzionale inverato. Sta a noi costruirlo. Un viatico però c’è, ed è la costituzione, che non a caso esprime proprio quel certo modello di democrazia pluralista e conflittuale che da tempo si vuole sterilizzare. Sono dunque i suoi principi che ci indicano la rotta. Tutti coloro che in questi anni si sono adoperati per favorire un cambiamento contro la costituzione avranno difficoltà a comprendere che essa possa oggi rappresentare la leva della trasformazione radicale della realtà. Ma non può invece stupire chi conosce la forza prescrittiva (“rivoluzionaria”) che i testi costituzionali hanno espresso nella storia. E che ancora possono dispiegare. 


Certo per impegnarsi in questa direzione diventa necessario recuperare una solida cultura costituzionale. Essa sembrava essere scomparsa, affogata nella retorica del revisionismo costituzionale dominante. E invece l’abbiamo ritrovata, anche con qualche meraviglia, nei tanti incontri che hanno caratterizzato questa lunga, interminabile campagna referendaria. In fondo un merito grande dobbiamo riconoscerlo ai nostri improvvidi revisionisti. Grazie a loro di costituzione abbiamo discusso per mesi e il popolo ha risposto non solo nelle urne, ma anche nelle piazze. In giro per l’Italia sono sorti comitati, si sono impegnati in riflessioni, né facili né consuete, gruppi sociali, associazioni, singoli individui. Una riscoperta del valore della costituzione c’è stata. Se questo è il quadro, qual è l’agenda? Quali, in concreto, le rivendicazioni possibili? Quali i cambiamenti pretesi? Non è difficile indicarli, anzi lo abbiamo già fatto in tutti i nostri incontri prima del referendum.
La riforma sepolta voleva ridurre ulteriormente l’autonomia e il ruolo costituzionale del parlamento a favore di una idea distorta e impropria di stabilità dei governi. Noi abbiamo rilevato la necessità di recuperare la centralità dell’organo della rappresentanza politica e quella delle persone concrete. 


Se veramente vogliamo invertire la rotta non rimane che mettere in pratica le misure necessarie: una legge elettorale che permetta ai diversi soggetti sociali di trovare una rappresentanza istituzionale e che ricolleghi l’elettore all’eletto, senza cedere all’eccesso di frammentazione (ovverosia un sistema proporzionale uninominale con sbarramento); il rafforzamento degli istituti di partecipazione diretta che si affianchino alle istituzioni di democrazia rappresentativa (non si tratta solo di ripensare i referendum, ma anche dare contenuto agli strumenti d’iniziativa popolare che devono essere discussi dagli organi della rappresentanza, come una semplice modifica dei regolamenti parlamentari potrebbe garantire); nuove regole di discussione parlamentare (il che vuol dire riscrivere i regolamenti parlamentari, abbandonando le attuali logiche “decidenti”, per adottare nuovi principi che assicurino, da un lato, alcune prerogative della maggioranza, dall’altro, la possibilità delle opposizioni di partecipare a pieno titolo alla decisione garantendo l’esame approfondito delle proposte di tutti); la limitazione dell’invasività del governo in parlamento (basterebbe impedire, sempre per via regolamentare, la possibilità di proporre maxiemendamenti e limitare l’abuso delle richieste di fiducia sui disegni di legge, si dovrebbe inoltre dare applicazione alla normativa e alla giurisprudenza costituzionale esistente per limitare la decretazione d’urgenza); la ridefinizione dei ruoli costituzionali del legislativo e dell’esecutivo (con una riduzione del numero delle leggi grazie ad una legislazione solo di principio e una semplificazione della fase di attuazione della normativa da affidare ai governi); 
la razionalizzazione dei rapporti tra Stato centrale e enti territoriali, in base ad una coerente scelta di sistema (che può portare alla abolizione del Senato e alla riorganizzazione della Conferenza Stato-autonomie, ovvero alla definizione di un equilibrato regionalismo solidale). 


Questo è un primo incompleto elenco delle possibili innovazioni con riferimento all’organizzazione dello stato, quella su cui si voleva intervenire con la riforma sconfitta. Possibili cambiamenti in nome della costituzione, opposti a quelli che si volevano imporre contro di essa. Ma, il nostro riformismo radicale non può certo accontentarsi di riorganizzare lo Stato-apparato: non abbiamo mai creduto alla favola della costituzione fatta a fette. La prima parte sui diritti intangibile e buona di per sé, la seconda sui poteri liberamente modificabile e nella totale disponibilità del revisore. Un modo per sterilizzare la costituzione nel suo complesso. Il rilancio della cultura costituzionale deve voler dire anche abbandonare queste mistificazioni. Una migliore organizzazione dei poteri serve in primo luogo per dare effettiva attuazione ai diritti costituzionali. È da qui che possiamo partire. Non sarà facile vista la drammatica assenza di una rappresentanza politica a sinistra. Ciò non toglie che ciascuno dovrà fare la sua parte ed assumersi le proprie responsabilità. Soprattutto a sinistra.
Stop alla fusione delle multinazionali
Bayer-Monsanto
di Elisa Norio*


Care amiche e cari amici di Salviamo la Foresta, Bayer acquista Monsanto: con 66 miliardi di dollari di investimento nasce la più grande industria agrochimica e di sementi del mondo, che controlla più di un quarto del mercato mondiale.
La multinazionale dominerà il commercio globale di sementi e pesticidi – a scapito dei contadini, del cibo, e dell'ambiente. L'unione delle due società porterà ad un aumento nell’impiego dei veleni transgenici nei campi.
Con questa petizione che potete firmare in Rete, chiediamo alle autorità della UE di evitare questa fusione che si completerà a fine 2017 mettendo a rischio la sicurezza alimentare del mondo. Grazie per mantenervi informati, per sostenere le nostre petizioni e per diffonderle tra le reti dei vostri contatti.
[*Salviamo la Foresta]
L’enigmatica Adorazione
di Claudio Zanini

L’Adorazione dei Magi
presso il Museo Diocesano di Milano, fino al 5 febbraio 2017


A. Durer "Adorazione dei Magi"

L’Europa è in subbuglio, il vento della rivolta protestante spira impetuoso e sta diffondendosi in Germania; il pittore Albrecht Dürer, come molti artisti coevi, apprezza le idee di Lutero. Nel 1504 porta a termine un olio su tavola: L’Adorazione dei Magi, che possiamo ammirare presso il Museo Diocesano di Milano, in tutto il suo mirabile splendore cromatico. Nel dipinto appare evidente come, dopo i diversi viaggi in Italia, il linguaggio fiammingo di Dürer s’arricchisca di decisivi apporti desunti dalla pittura del Rinascimento italiano.
Sebbene la struttura dell’opera riprenda uno schema iconografico tradizionale, con i tre Magi a rappresentare le tre età dell’uomo e le tre diverse etnie bibliche Sem, Cam, Iafet), l’influenza italiana è visibile nella monumentalità della composizione e nell’imponenza delle figure, dove l’asprezza fiamminga è come attenuata, mentre il colore esibisce lucentezza e toni veneziani. Sullo sfondo d’un paesaggio italiano, sono presenti rovine classiche, un borgo con castello turrito arroccato su un picco, d’ispirazione mantegnesca, e un azzurrissimo lago. Alcuni cavalieri turchi, che ricordano L’Adorazione dei Magi di Leonardo, sono sul punto di sfidarsi in un torneo; un grillo e un cervo volante sono indaffarati per fatti propri, due farfalle – simbolo della resurrezione - sostano in posa, un paio di colombe bianche volitano nell’azzurro. Tutti elementi, questi, raffigurati con nitore raro e sapienza naturalistica; come, d’altra parte, nella resa delle vesti sontuose dei Magi e, soprattutto, dei preziosi e raffinati contenitori dei doni, di squisito sapore fiammingo (il padre dell’artista era un importante orafo di Norimberga).
La scena, tuttavia, è immersa in un’atmosfera sospesa, strana. La sacralità dell’evento appare come prosciugata; mentre sorprendenti sono gli atteggiamenti dei personaggi: l’anziano Turcomanno chino guarda la Madonna da sotto in su e il Moro pare indifferente a ciò che accade; il Re biondo, chiaramente un tedesco (in realtà I’autoritratto del Dürer) si volge, altero, sconsolatamente altrove, e sembra fissare il servo che fruga in una borsa. Anche la Madonna dà l’impressione d’esser come assente; lascia che il Bambino giochi con lo scrigno di Melchiorre il quale, unico tra tutti, implora la sua attenzione; lei, invece, preda d’un dolce sbigottimento, pare guardi verso la sfera del Moro, o meglio, il vuoto oltre ad essa.  
La natura intorno, come s’è già detto, minuziosamente raffigurata, d’altro s’occupa nel suo puro esistere, estranea all’evento divino.
Si ipotizza che l’opera fosse stata realizzata su commissione di Federico il Saggio per la Cappella Palatina della sua residenza di Wittemberg. Strana coincidenza! nel 1517, dopo una decina d’anni, Martin Lutero affigge sul portone della cattedrale di Wittemberg le sue 95 tesi.
Azzardo un’ipotesi fantasiosa, suscitata da un’intuizione improvvisa. La figura imponente e altera del Re biondo che fissa, particolare enigmatico, la figura del servo - guardingo come se temesse d’esser sorpreso -, il quale sembra frugare in una borsa altrui, parrebbe suggerire la denuncia dello scandalo del commercio delle indulgenze. Il Re tedesco, dunque, che ostentatamente si disinteressa della Madonna (è noto che il culto di quest’ultima e dei santi sarà soppresso dal Luteranesimo), sembra quasi voltare sdegnato la schiena alla Chiesa romana, rappresentata dal vecchio re prostrato e sofferente.   


OLTRE LA DIFESA DEL NO
di Francesco Piscitello

Matteo Renzi

L
’articolo di Fulvio Papi del 6 dicembre scorso sembra dettato da un’inquietudine: quella che la classe politica non realizzi “in un tempo ragionevole provvedimenti (non finzioni) che appartengano al clima intellettuale e morale delle linee che la rivista (Odissea, ndr) ha indicato”.
L’inquietudine di Papi ha un che di profetico: non sapeva, quando la stava scrivendo, che pochi giorni, quasi poche ore, dopo la sua riflessione ci saremmo trovati di fronte una compagine governativa simile a quella soffiata via da uno stentoreo NO. Cosa dico simile? Identica: i ministri del precedente esecutivo sono quasi tutti lì. Se ne sono anzi aggiunti altri, entusiasti fautori della deprecata riforma. E hanno anche giurato sulla quella Carta che avevano tentato di scardinare.
Antonio Ingroia, su Il Fatto Quotidiano del 22 dicembre, invita il popolo del NO a riunirsi in comitati permanenti per l’attuazione della Costituzione. Odissea, se è partecipe delle inquietudini di Papi, deve aderire all’invito di Ingroia, ne apprezzi o meno il pensiero e la prassi politica: su questo tema non si può dissentire. È tempo, io credo (e il tempo stringe!), di farlo. Perché quel NO non venga vanificato, umiliato, tradito. Ricordiamo le parole di Giorgio Gaber: libertà è partecipazione. Non siamo donne e uomini liberi se assistiamo inerti allo stravolgimento della nostra democrazia. Se stiamo alla finestra.
Non basta indignarsi. Odissea formi un comitato, al quale fin d’ora assicuro la mia adesione, per difendere i valori, i principi, l’idea di etica, di giustizia, di solidarietà, di libertà, quella temperie morale, insomma, quell’atmosfera emozionale interna dei milioni di cittadini che hanno pronunciato il loro NO.
Non credo però che tutto si debba esaurire nella difesa di quel voto. Per corruzione nella vita pubblica, per evasione fiscale, per malaffare e non solo mafioso siamo il paese leader d’Europa. Lo eravamo anche prima della riforma alla quale abbiamo detto NO. Siamo ai massimi livelli di disuguaglianza economica. Lo eravamo anche prima. L’attacco reiterato alle pensioni dei comuni cittadini non conosce sosta come non conosce sosta la difesa di stipendi e vitalizi della classe politica. Era in atto anche prima. Le nostre istituzioni soffrono di una cronica disfunzionalità. Succedeva anche prima. Gli interventi pubblici di solidarietà sociale - si pensi ai pazienti di malattie croniche fortemente invalidanti, come la sclerosi laterale amiotrofica, le cui famiglie sono lasciate vergognosamente sole - sono di entità pressoché irrilevante. Anche questo avveniva già prima.
La carica di delusione, di preoccupazione, di indignazione per i tentativi di restaurazione che già s’intravvedono- di cui il governo-fotocopia è eloquente paradigma -deve essere utilizzata non soltanto per difendere il sacrosanto diritto a non veder vanificato un voto ma anche per avviare, sostenere, spingere un processo rigenerativo (morale soprattutto) di questo nostro paese del quale si sente fortemente il bisogno. Dirò subito che, a questo proposito, vedo ragioni, tante ragioni, troppe ragioni, che non incoraggiano certo l’ottimismo. Ma non è un buon motivo, questo, per fermarsi. È piuttosto un motivo per accrescere l’energia, lo sforzo necessari.
È ora di smettere di essere un popolo bue. Riprendiamoci, amici, quel paio di cosette che il bue ha perduto.
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