FIORI A PERDERE
di
Roberto Taioli
Elisabetta Violani
Senz’altro
una autobiografia, Fiori a perdere,
di Elisabetta Violani (Echos Edizioni, 2023), ma nel profondo
anche un romanzo di formazione che scandisce i tempi e gli spazi di
un’avventura adolescenziale e delle sue tappe felici e tormentate di un gruppo
di giovani, tra cui l’autrice, in una Genova che comincia ad avvertire i primi
segni della modernità e di una non sempre equilibrata crescita edilizia. All’inizio
prevalgono i sogni, le illusioni, i giochi semplici e rituali dei bambini sulle
alture della città, un luogo dove il mare si vede come una aspirazione, una
meta, un miraggio. L’autrice ci restituisce con realismo il paesaggio ove il
gruppo si muove, abita, frequenta la scuola. E le lunghe estati assolate e vuote
su quelle alture “ove l’asfalto nero rimanda un calore soffocante e le case
tutto intorno sono di cemento arroventato” (p. 12). Soni i casermoni che
trasformano le colline genovesi in un serpentone grigio e che altereranno a
poco a poco la vita quotidiana delle frazioni e della vita delle persone. Qui
vediamo, in un quadro tra i più efficaci del romanzo, il gruppetto di ragazzi
affaccendarsi per raccogliere il legname per il falò di San Giovanni, il
patrono della città. Si tratta di una vera e propria impresa che impegna le
forze di tutti per trovare la soluzione. Una caratteristica del gruppo è la sua
compattezza, in esso vige la legge non scritta della solidarietà e dell’aiuto,
senza secondi fini né gelosie. E sullo sfondo le famiglie, gli ultimi negozi di
alimentari, la merceria che attrae le ragazzine più grandi alla ricerca di
smalti e rossetti, il lattaio, l’edicolante che vende le mitiche figurine. Cosi
si cresce in questo micro mondo che pare autosufficiente e non finire mai.
La copertina del libro
Il
tempo pare fermarsi tra le colline, la strada a curve, percorsa dagli autobus,
unico raccordo tra le frazioni e la città, unica striscia che salva
dall’isolamento. La strada è un altro elemento importante di questo romanzo,
poiché su questa si vive e anche se sconnessa e tortuosa, veicola le novità, i
nuovi arrivi, e sugli autobus si tessono relazioni, contatti, progetti. Lassù
nella campagna in via di cementificazione, il tempo pare non passare mai, anche
se si mangia generazioni di ragazzi e di adolescenti, un tempo immobile, da
estate ad estate, scandito dalla fine e dalla ripresa della scuola. Il mare è
un sogno, troppo costoso frequentarlo e raggiungerlo se non per brevi ma felici
momenti di estasi. Perché i ragazzi devono tornare su tra le sterpaglie e la
vita di sempre. Ma il tempo intatto a poco a poco si rompe, arrivano i
cambiamenti perché anche nel gruppo si attuano trasformazioni, avventure, crisi
dettati dall’età e dalle aspirazioni di ognuno. Il “progresso” porta con sé
anche l’arrivo della droga che sconvolge qualcuno e destabilizza il gruppo. La
crescita divide alcuni di loro, la spensieratezza lascia il passo all’amarezza,
alla nostalgia. L’autrice ci consegna un documento esistenziale pieno di
sfumature, con uno stile letterario, secco, asciutto ma efficacissimo, privo di
orpelli, come è nella sua personalità e nella sua scrittura.
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GLI AFORISMI DI VERGATI
Cesare Vergati |
Conversazione tra Giampiero Neri e l’autore.
Giampiero Neri. Intenderei l’aforisma principalmente come verità, come verità morale. Per questo, personalmente, mi sono dedicato a capovolgere i detti abituali, che sono peraltro degni d’attenzione. Il fatto che il capovolgimento funzioni è un segno della loro validità. Una verità fondata sull’esperienza personale e che rappresenta la parte più nascosta, vorrei dire quindi l’espressione individuale, interiore dell’uomo; e al contempo anche quella più mimetica della parte esteriore. Scherzosamente si usa dire per esempio: “Piccolo, brutto e cattivo”. Una verità naturalmente non soggetta ad alcuna ideologia esteriore quale si mostra per l’appunto sotto forma di sistema chiuso, d’un apriori. Una verità non concepibile sotto forma di volontà eteronoma, legata evidentemente a un interesse di parte, bensì concepibile come urgenza interiore, intima alla persona: infine una necessità dentro l’uomo.
Cesare Vergati. L’aforisma suscita del tutto naturalmente quanto ricco, ampio dibattito. Diverse infatti le letture di questo particolare fatto letterario. Arte sì antica, che traversa quanti secoli; già in era greca, in ambito di temperie medica (l’epoca in ricerca di sana mescolanza d’umori, d’elementi d’animo) Ippocrate (in primo aforisma) scrive che: ὁ βίος βραχύς, ἡ δὲ τέχνη μακρή, Vita brevis, ars longa/ La vita è breve, l’arte lunga. Karl Kraus osserva, tra il serio e il faceto, che “Der Aphorismus deckt sich nie mit der Wahrheit; er ist entweder halbe Wahrheit oder anderthalb” (“L’aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo. L’aforisma verosimilmente importa il senso del complesso, nella sua intrinseca costituzione chimica: costituita sì da più materie. Non un dire facile; offre al contrario una suggestiva, singolare ricchezza d’espressione tale da discostarsi comunque da massima, sentenza, precetto ecc., componenti quest’ultime tendenzialmente volte a formulare giudizi di valore. Sembrerebbe un organismo autonomo, inviolabile in sua intima natura, inafferrabile: tale da andare molto oltre la visione uniforme, lineare della comune percezione del reale. Sarei incline a pensare quindi che abbia indole variegata, afflato iridescente; per cui l’occhio del lettore secondo, a intendere (personalmente) i tanti riflessi cangianti, a più tinte, a più voci: nell’enunciazione così come nell’interpretazione, in carattere di polimorfe sfumature. Alla fonte si ritrova forse certa coesione d’elementi in pensiero e poesia. Spesso mette a disagio perfino convenzionali constatazioni, apparenti evidenze. Pare non assomigliare peraltro nemmeno a proverbio; quest’ultimo infatti abitualmente si presenta in abito di saggezza di pochi ovvero di molti l’intento di proporre una norma magari utile in pratica di vita. In ultimo non concede (nient’affatto) alcun toccasana, alcun talismano (amuleto buono per tutte le stagioni) all’ insegna chissà di maestri o sotto l’egida di seguaci. L’aforisma sembrerebbe stare a proprio agio (per caso la qualità in qualche misura dell’inconscio) in compagnia di contraddizioni in termini, di irrequieti controsensi, di considerazioni apparentemente illogiche, d’osservazioni tali d’evocare un senso di spaesamento, d’ originali definizioni indefinibili: in veste d’incisivo stile insieme rigoroso e plastico.