MODERNITÀ
DEGLI INTELLETTUALI
di Franco
Astengo
Albert Camus |
Forse, sul piano
dell’intreccio filosofico/politico in relazione alla modernità della tecnica ci
troviamo in una condizione di minorità e non possiamo far altro, a questo
punto, che allinearsi a Montale: “Ciò che
non siamo, ciò che non vogliamo”.
Non
siamo attaccati alla terra d’origine e non vogliamo abbandonare la visione
dell’universalismo dettata dall’Utopia. Universalismo dell’Utopia che dovrebbe
nuovamente essere inteso come internazionalismo della visione politica da
declinare come mezzo concreto per il riscatto umano.
È
necessario riflettere attorno a un vero mutamento di paradigma tornando ancora,
gramscianamente, a intendere la politica come tensione egemonica, recuperando
lo spirito “di parte”. Uno “spirito di parte” da porre al centro nel processo di
evoluzione storica di mutamento nell’insieme delle relazioni politiche e
sociali.
La
modernità può essere intesa partendo dalla proposizione di una concezione della
critica che raccolga le differenze (penso al pensiero femminista, ecologista,
pacifista) puntando a realizzare una sintesi progettuale raccolta in una
scansione concreta dell’insieme delle contraddizioni moderne e post-moderne. Una
nuova “sintesi del progredire umano”: questo manca alla filosofia e alla
politica. Si tratta di tornare a essere in grado, perlomeno sul piano teorico,
di porci sul terreno della proposizione di una “diversità sociale” al riguardo
dell’esistente.
Esistente
che non deve essere considerato come immutabile nell’espressione di una sorta
di pigrizia di una dominante intellettualità conformista.
Non
può esistere neutralità rispetto a questo passaggio, né arrendevolezza verso
gli estremi dell’abbandono alla logica
del potere che proprio la rilettura di Schmitt ci propone.
Torna
alla memoria, per rimanere a Gramsci, “odio
gli indifferenti”.
Essere
consapevoli di questa esigenza di non neutralità, di intervento attivo, di
rinuncia all’astrattezza e al disimpegno, ci fa tornare alla politica. Un
ritorno alla politica* da considerare quale imperativo categorico: questa la
nuova “modernità” degli intellettuali.
Un
punto di partenza per la riconnessione dell’impegno.
*Politica
intesa come umana coesistenza quando questa assume l’aspetto di una consapevole
identità collettiva, considerata dal punto di vista del Potere e del Conflitto
(dalla
voce Politica redatta da Carlo Galli
in Enciclopedia del Pensiero Politico
diretta da R.Esposito e C.Galli, editori Laterza, Roma – Bari 2005)
LE METAMORFOSI DELL’INTELLETTUALE
di Fulvio Papi
Antonio Tabucchi |
Con questo scritto di Fulvio Papi, "Odissea" riapre il discorso
sulla figura dell'intellettuale.
Sul finire del secolo
scorso si era ancora perseguitati dalla domanda chi sia e cosa debba fare
socialmente un intellettuale. Un riassunto critico e magistralmente scritto, è
il libro di Antonio Tabucchi La gastrite
di Platone (Sellerio Ed. 1998), dove lo scrittore discute con Umberto Eco,
che ha sullo sfondo la drammatica vicenda di Adriano Sofri. Per darne una
ragione non superficiale sarebbe necessario ritessere con grande cura l’insieme
delle situazioni che condussero Sofri a una condizione tragica, Eco ad una
saggezza intellettuale un poco neopositivista, e Tabucchi in una discorsività
piena di sapere, e con una capacità di problematizzazione che mostra la sua
piena partecipazione intellettuale ed emotiva alla questione. Non mi sento di
percorrere l’insieme di questi tratti perché una interpretazione apprezzabile,
nonostante i venti anni passati, non può che derivare da una presa di posizione
sui “fatti”, ultima e inutile sapienza “a cose fatte”, il cui senso è stato
chiaro a chi voleva vedere, almeno secondo la conoscenza “alla Pasolini”. Resta
invece il residuo relativo alla figura dell’intellettuale su cui cercherò di
aggiungere qualcosa alla chiusura di Tabucchi del suo prezioso lavoro: il mondo può essere una prigione, e Il mondo è una prigione, di Guglielmo
Petroni, 1948, (uno scrittore e un
intellettuale) ne è una splendida descrizione romanzesca. Ma anche uno dei
libri più belli sulla Resistenza. È questa la novità intellettuale di quel libro. Era una novità allora, può
essere una novità ancora oggi. Certo lo spazio di movimento è angusto e la
stanza un po’ all’oscuro. Non è facile far luce, e del resto, come diceva
Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è
già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo. Anche un fiammifero
“Minerva”. Il riferimento al “Minerva” è ovviamente alla rubrica di Eco su
“L’Espresso”, e devo dire che Umberto, se ha sempre saputo distinguere tra
giudizio di fatto e giudizio di valore, per quanto io possa conoscere il suo
lavoro, devo dire che la sua partecipazione personale all’orizzonte del valore
non si è mai ritirata rispetto a una eventuale intelligenza del fatto come
“sapienza dell’essere”. Quand’era il caso fu sempre dalla parte del valore.
Michel Foucault |
Questa
considerazione probabilmente ci consente di aprire il discorso sul tema
dell’intellettuale. Tutti sanno che all’origine vi fu la radicale posizione per
Dreifus dello scrittore francese Zola. Questo atteggiamento giusto e coraggioso
non fondò affatto la figura dell’intellettuale come fosse un’essenza, ma
stabilì che chi possedeva strumenti di analisi, di giudizio e di valutazione
morale, requisiti più facili per un uomo di lettere che, poniamo, per un
droghiere, poteva e doveva prendere posizione nei confronti di un tema che
coinvolgeva, nel suo insieme, il rapporto dei poteri e della libertà e onestà
delle persone in una qualsiasi società. Anche se non comunemente adoperiamo la
parola “intellettuale” in una logica classificatoria (fu anche il caso di
Gramsci), uno studioso, un poeta, uno scrittore, uno storico, un filosofo diventa un intellettuale quando fa uso
del suo sapere per intervenire secondo giustizia in cause sociali molto più
ampie che non siano la limitata cornice della sua professione. Sebbene questa
sia l’origine morale dell’intellettuale, la storia della parola è passata ad
indicare genericamente un uomo di lettere o anche di cultura scientifica,
qualora il suo discorso abbia un rilievo sociale che va oltre l’idioletto della
sua professione teorica.
Poiché
che piaccia o non piaccia (“non lo amo il mio tempo, non lo amo”, scriveva
Sereni) la nostra capacità di riflettere, anche nei casi più clamorosi, porta
sempre sulle sue ali la polvere di una terra, viene da chiederci che cosa sia,
o possa essere, oggi l’intellettuale: le decisioni morali mutano perché mutano
le condizioni del giudizio se anche mutano i ruolo, le condizioni, le
valutazioni per cui si pietrifica un concetto.
Carlo cafiero |
Comincerei
con una riflessione sociale che non deriva dal pensiero di alcuno, ma di come
“sono andate le cose”. Credo che intellettuali possono essere considerati
coloro che lavorano in istituzioni culturali e/o educative. Anche qui bisogna
essere “critici”, saper distinguere tra il ricercatore dedito al suo spazio di
verità, e colui che ha assunto un compito didattico poiché era il solo spazio
sociale che poteva raggiungere in una situazione di verità. In ogni caso
entrambi, se ne hanno la sensibilità (che è il “fondamento”) possono assumere
il ruolo connesso con una rivolta intellettuale quando socialmente o
politicamente si stia commettendo qualcosa che confligge con un’etica
intellettualmente condivisa.
Intellettuali,
ma di una specie diversa (almeno così pareva) erano coloro che dirigevano sia
la pubblica informazione che le valutazioni relative: giornalisti, opinionisti,
commentatori. Costoro avevano un esercizio della intelligenza tutto impegnato
alla contemporaneità. E qui bisogna intendersi. Ci può essere una
contemporaneità che si consuma in un linguaggio che ha poco più di un orizzonte
quotidiano, e c’è una contemporaneità che tende a riconoscersi in uno spazio
storico di più ampia dimensione. Pure con queste differenze si tratta sempre di
intellettuali. E tuttavia, molto più potenti delle nostre definizioni di natura
concettuale, sono gli elementi tecnici che consentono la comunicazione
pubblica. Sono essi che dettano la forma dell’intelligenza, il modo della sua
diffusione e il riconoscimento dell’autore (quasi la sua esistenza). La
comunicazione televisiva (per la verità quasi incapace di un minimo di
chiarezza intellettuale) e, soprattutto, la incredibile babele di Internet,
hanno praticamente svuotato di senso e di efficacia qualsiasi intervento
intellettuale che sarebbe di quasi nulla intelligibilità e privo di qualsiasi
prestigio pubblico. Non che non si interroghino medici, fisici, astronomi,
ambientalisti, ma ciascuno parla da competente del suo “oggetto” (il mondo è
una prigionia, il concetto è “una concrezione mal posta”). Quella voce
manchevole è proprio quella dell’intellettuale che sa portare un problema in
uno spazio di relazioni che ne mostrino la verità etica. Se le cose stanno
così, l’intellettuale è affondato come gli antichi velieri o, più lugubremente,
è sepolto laddove i camposanti ricordano che una volta c’era stato un mondo.
Antonio Gramsci |
E
siamo alla traduzione russa del “che fare”? Noto, per lo più, solo per lo
scritto di Lenin del 1902, ma che durava da decenni. Non credo che abbia molto senso firmare
manifesti in cui si afferma che c’è un cretino, un volgare estremista, un
ignorante e lontano fascista, dei parassiti della loquela gratuita, ecc. Questa
della chiacchiera vana è un circuito solido e solidale che è riuscito
magistralmente a dissociare il significato delle parole dalla prassi in cui
esse hanno senso, e a farne un mondo autonomo, dove ognuno può decidere la
parte che gli si addice di più, attraverso un consumo e un ossequio che
l’educazione politica non può non riservargli. Se si prende questa strada
scompare del tutto l’intellettuale e anche la politica. Che cosa diceva
Diderot? E tuttavia vorrei tornare al fiammifero che, nel testo dal quale ho
iniziato questo discorso, è passato da Eco a Tabucchi e a Montale. Può passare,
(si parva licet) anche a me. Penso a quel Foucault che mostrava come siano
possibili luoghi sociali dove si può resistere e contrastare decisioni di
poteri molto forti ma, in fondo, legittimati male. Ciascuno con il fiammifero
che magari sarà il privilegio di uno straccio di intellettuale (attenti a non
scambiare però l’illuminismo per la tecnocrazia!). Il mondo annulla
intellettuali e senso intellettuale del fare politico. Ma si può sempre
ricominciare con un po’ di buona volontà.