UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 31 maggio 2022

NON C’È PIÙ TEMPO
di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici 


Ripartiamo da Madre Terra.
 
Quanto tempo è disposto il pianeta a concederci prima di arrivare ad un punto irreversibile dell’equilibrio di vita sulla amata e disgraziata terra?
L’effetto dell’attività umana sulla terra è oramai ad un livello insostenibile.
Assistiamo ogni anno ad un anticipo dell’overshot day, cioè di quella data dove il pianeta non è più in grado di darci nulla a costo ambientale zero.
Quali azioni necessarie ed urgenti devono essere subito attivate per evitare la totale degenerazione ambientale della vita sulla terra?
Domande pesanti ma che non possono più vedere la nostra indifferenza.
Alcune azioni immediate come il consumo consapevole e ragionato delle risorse può rappresentare un punto di partenza.
Uno dei motivi che vedono una forte attività di distruzione delle foreste è la necessità di avere nuovi terreni da coltivare per soddisfare il bisogno alimentare dell’uomo.
Produrre cibo vegetale per alimentare cibo animale e successivamente alimentare l'uomo è insostenibile perché se ipotizziamo di far mangiare un chilo di carne al giorno ad ogni essere umano dobbiamo sapere che per generarlo servono 11 chili di vegetali. Contiamo che sulla terra abbiamo raggiunto la quota di 8 miliardi di abitanti, di conseguenza, la produzione giornaliera richiesta sarebbe di 8 miliardi di chili di carne e 88 miliardi di chi di vegetali. Numeri pazzeschi! Una riduzione drastica del consumo di carne sarebbe un passo avanti rispetto all’equilibrio ecocompatibile.
Riflessioni, ragionamenti, azioni per un futuro che prenda urgentemente le mosse da un passato e da un presente consci dell’importanza della tutela dell’ambiente di tutti e di cui tutti noi esseri viventi derivanti dalla cosmogenesi dell’evoluzionismo delle specie umane, vegetali, animali siamo parte integrante. Deriviamo e siamo figli della terra e di una procreazione femminile e di una cosmogenesi che è femminea e naturale. Questi concetti ricavati dalle radici del pensiero del femminismo del 1900 e dal neofemminismo ci permettono di ribadire la nostra eziogenesi da una madre terra che è appunto inequivocabilmente femmina e che esclude il pensiero di una divinità padre, maschio, onnipotente e onnipresente che è causa di deviazioni autoritarie, maschiliste e sessiste imposte dagli apparati e dalle burocrazie religiose. Il rapporto con madre terra è in parte rintracciabile negli scritti economico filosofici del 1844 del giovane Marx, che individuava un rapporto e una correlazione stretta tra uomo e natura al contrario dell’evoluzione del suo pensiero in tarda età come ne Il capitale che metteva la produttività in primo piano rispetto alle esigenze dell’ambiente e della natura. Il nostro pensiero che deriva dai miti ancestrali delle popolazioni autoctone, dalle potnie e divinità creatrici, tuttavia non prende e non prevede l’aspetto scaramantico e tradizionalista e mitologico di questi assunti collegati alle divinità ancestrali, ma il ritrovarci tutti figli di madre terra si ricollega al pensiero prettamente positivista dell’evoluzionismo della specie di Darwin. Noi siamo figli di una cosmogenesi femminile, figli delle stelle come intendeva l’astrofisica Margherita Hack e per questo abbiamo il diritto e dovere di tutelare, difendere e salvaguardare questo impianto generativo femmineo dalla distruzione a opera umana che potrebbe verificarsi anche con un inverno nucleare e con la molto probabile apocalisse atomica che potrebbe accadere anche solo per errore umano o di mezzi artificiali, informatici e macchine. Queste ultime catastrofi fanno parte delle emergenze e delle minacce che incombono sull’umanità come la gravità dei dissesti e disastri climatici dovuti alle eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. E ancora la disuguaglianza globale dove la minoranza dei "ricchi" del pianeta detiene la maggioranza dei beni comuni dell’intera umanità, causando soprattutto sperequazioni economiche e migrazioni forzate che si verificano anche a causa di conflitti e guerre in atto nel nostro pianeta. E la violenza strutturale che si declina negli stupri di massa in guerra, nella violenza contro tutte le donne che trova la sua apicalità nel femminicidio, negli atti di bullismo e violenza contro i più fragili, contro gli LGBT e i più deboli del pianeta, la violenza contro i lavoratori per cui non si può mai parlare di morti bianche, ma di autentici omicidi dovuti al neofascismo e al fascismo aziendale nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche. Il nostro pensiero che ci vede vittime di queste minacce che coinvolgono madre terra si ricollega al pensiero della complessità che prende le mosse dai grandi pensatori e partigiani da Stéphane Hessel a Edgar Morin. Il pensiero della complessità dei sistemi viventi di cui anche la donna e l’uomo sono parte nel pluriverso della coscienza planetaria che fa parte del cosmo universale. Partendo da tutti questi assunti la vera sinistra, quella ecologista e pacifista, dovrebbe elaborare un proprio pensiero laico e ateo e indipendente e autonomo dall’istituzione religiosa e prendere le mosse dal rapporto con una madre terra da cui tutti noi donne e uomini deriviamo e che abbiamo il dovere di difendere, salvaguardare e tutelare dall’estinzione.

 

IL SUICIDIO EUROPEO


Vignetta di Claudio Zanini


POETI E GUERRA


Disegno di Claudio Zanini
 
Svuotate gli arsenali
 
Svuotateli, svuotiamoli questi
Arsenali che turbano i sogni
e negano il futuro!
Svuotateli, svuotiamoli in fretta questi
arsenali di morte o non ci sarà
più vita sulla terra.
Riempiamo i sacchi di grano, le giare di olio
e le botti di vino.
Riempiamoli e dividiamoli con chi
non ne ha.
C’è abbondanza per tutti senza armi,
c’è vita e futuro senza armi,
c’è armonia e fratellanza senza armi.
Portiamo al macero i protocolli
di morte, i patti di belligeranza,
le alleanze di morte.
Il tempo è giunto per decisioni
forti che sappiano spiazzare
il comune buonsenso costruito
sull’ “occhio per occhio e dente per dente”.
 
Cataldo Russo
[Milano 2022]
 


Povero uomo


Dalla cattedra alla guerra
dalla storia all’abisso temporale
dalla civiltà al viver da bruti
Povero uomo
nomade in ricerca di virtude
colono e schiavo
bellicoso e usurpatore
Buio e luce
luce e buio
Il giorno e la notte
da due emisferi
dai ghiacci al deserto
un cammino lungo come
i tempi.
sempre più solo e
disperato
con un’arma in mano
il biondo grano
è bruciato
Povero uomo
togli il pane ai tuoi
figli
neghi l’amore la vita
per dargli la morte
Povero uomo
costruttore distruttivo
artigiano affilatore di lame
Povero uomo
di te
una larva non resta
neppure
per risorgere dalle morte ceneri.


[Laura Margherita Volante] 

 

LETTORI E GUERRA
 


Caro Angelo,
purtroppo, di armi nucleari il nostro Paese ne è pieno e c’è il rischio reale che, in casi malaugurati, si possano adoperare. Queste bombe non sono eterne e hanno una vita; dopo pochi anni diventano obsolete perché sono superate dai nuovi modelli. È giusto ciò che viene detto: non siamo in guerra direttamente, ma, inviando armi agli Ucraini, è come se lo fossimo per la prova transitiva. Fin quando parlano le armi non parlano le bocche; ai colloqui di pace si va col ramoscello d’ulivo e non con piani di minaccia o di ricatto.
 Sono certo che persone comuni, come te, ma molto assennate e ricche di argomenti, potrebbero essere la soluzione a mettere fine alla guerra. Basterebbe portare pochi articoli di Odissea, per mettere tutti a tacere. Parlare ai sordi, si perdono solo tempo ed energie; però, sarebbe più grave girare la faccia dall’altra parte e far parlare solo l’indifferenza.
Non ci resta che aspettare e sperare che il tarlo della speranza scavi profondi solchi nelle menti dei contendenti e faccia capire che la guerra non è mai la soluzione dei problemi. Potrà essere solo utile a sollevarli, ma non a risolverli con la sola forza. Gli spiriti, dei tanti morti in guerra, potrebbero andare di notte nelle case di coloro che hanno in mano le leve del potere e disturbare il loro sonno; solo guardando in faccia la morte si potrà dare un senso alla vita.
Carmine Scavello

 

FONDAZIONE NOVARO




TEATRO DEGLI OZIOSI




lunedì 30 maggio 2022

CIRCOLO CULTURALE “GIORDANO BRUNO”

 

GIOVEDI 2 GIUGNO 2022
 
Presso la Sala di Via Albertinelli n. 5 a Milano
(MM5 Segesta)
  
Incontro-dibattito:
 
La guerra russo-ucraina è anche una specie
di nuova guerra di religione?
 
“Putin non può dirlo, ma contro l’Ucraina ha voluto scatenare una guerra di religione” (Corriere della Sera 4 maggio 2022)
 

 
Interverranno:

Angelo Gaccione, scrittore
Pierino Marazzani, medico, saggista
Rolando Dubini, avv. del Foro di Milano
Mario Bonfanti, ex sacerdote diocesi di Milano
Cataldo Russo, scrittore
Giovanni Bonomo, avvocato
Giuseppe Bruzzone, obiettore di coscienza                                            

Ingresso libero con mascherina di protezione
 
Info: 331 730 2874
www.giordanobrunomi.wordpress.com

COSE TURCHE


Vignetta di Claudio Fantozzi


LA LORO GIUSTIZIA E LA NOSTRA MORTE


Assolti i manager della Pirelli responsabili della morte per amianto di 28 operai.

 
Come previsto (l’avevamo già scritto l’11 marzo) il Tribunale di Milano ha assolto in 2° grado, il 26 maggio 2022, 9 managers della Pirelli di viale Sarca (Milano), imputati di omicidio colposo per la morte di 28 operai dello stabilimento morti per patologie da amianto.
I 9 dirigenti erano già stati assolti con formula piena in 1° grado dalla giudice Annamaria Gatto perché “il fatto non sussiste” e perché “il fatto non costituisce reato”, motivazione ripresa ieri per assolverli nuovamente.
Nel tribunale di Milano - V sezione - sono stati celebrati diversi processi (Breda, Pirelli, Scala di Milano ecc. solo per ricordarne alcuni) per l‘omicidio di centinaia di lavoratori, morte causata dall’esposizione all’amianto, cancerogeno ben noto fin dai primi del ‘900 e usato nelle fabbriche a man bassa dato il suo basso costo.
Eppure nessuno è stato, nessuno è colpevole.
La V sezione del Tribunale di Milano ribadisce così che uccidere gli operai nel nostro paese NON è reato: una strage senza colpevoli in un paese che al danno aggiunge la beffa,  e soprattutto la vendetta, per aver osato “disturbare il manovratore” - in questo caso i managers di una multinazionale come la Pirelli - chiedendo uno straccio di giustizia e dove le parti civili (il nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Medicina Democratica, AIEA Associazione Esposti Amianto, Camera del Lavoro) in questo caso) si vedono condannate  a pagare le spese processuali.
Una volta di più in Italia, paese “libero e democratico” che si arroga il diritto di dare lezioni sui diritti umani, il “mercato”, o meglio il profitto dei padroni, vale di più della vita dei lavoratori, che sono coloro che costruiscono la ricchezza del nostro Paese. Sulla loro pelle e sul loro sangue: in questi primi mesi del 2022 sono già 182 i morti sul lavoro, senza contare gli “incidenti” che avvengono per il mancato rispetto delle misure di sicurezza, per l’aumento bestiale dei ritmi di lavoro, per la totale indifferenza verso la salute e la vita dei lavoratori. Salvo poi vedere le istituzioni versare lacrime da coccodrillo sui corpi senza vita e giurare che non deve succedere mai più. Eppure continua a succedere, non cambia nulla e non c’è mai un colpevole.
Questa è la giustizia dei padroni, che ribadisce che il profitto viene prima di tutto, anche della vita e della salute di lavoratori e cittadini.
Non lacrime ma lotta. Spetta solo a noi - operai, lavoratori, familiari, cittadini - gridare forte che non vogliamo più morire per il profitto di pochi; spetta solo a noi unirci, organizzarci e lottare contro questa piaga perché nessuno - e questa vicenda lo dimostra una volta di più - ci darà giustizia: la legge non è uguale per tutti e per i padroni c‘è l’impunità, ribadita ancora una volta dai tribunali dello Stato. 
Comitato per la Difesa della Salute
nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

 

LA SCOMPARSA DI EMILIO RENZI
di Gianni Trimarchi


Emilio Renzi
 
Emilio Renzi purtroppo in questi giorni ci ha lasciati.  Nato a Como nel 1937, studiò filosofia all’università di Milano, laureandosi con Enzo Paci, al quale fu legato da grande stima per tutta la sua vita.
Lavorò prima presso Il Saggiatore di Alberto Mondadori, poi alla Direzione Relazioni culturali della Olivetti e fu infine per dieci anni docente di Semiotica alla scuola del Design del Politecnico di Milano. Per molti anni fece parte del direttivo di Materiali di Estetica e di Filosofia in circolo, dove ebbe modo di esprimere ad un tempo la sua la sua profondità teorica ed il suo senso pratico.
Renzi va soprattutto ricordato per essere stato già negli anni Sessanta uno dei più significativi interpreti italiani del pensiero di Ricoeur. La sua traduzione di De l’interprétation, dopo oltre cinquant’anni, fa ancora testo, così come sono sempre citati i vari articoli da lui scritti in buona parte nello stesso periodo, tesi a definire l’identità della persona umana.
L’esperienza alla Olivetti costituì per lui qualcosa di molto significativo. Si trattava di un’attività imprenditoriale che comprendeva ad un tempo un grande impegno verso lo sviluppo tecnologico, ma anche un'attenta considerazione per i diritti dei lavoratori, intesi come persone, in tutta la complessità del termine, che egli aveva ben conosciuto nei suoi studi filosofici.
Qui una sua definizione, ricavabile dal suo ultimo testo, Persona.
La "concretezza" della Persona sta nel suo essere un plenum di pensiero ed empiria, diritti e "storti" della Storia. Persona sta nella Comunità, comunque intesa (e criticata) e nella Città dell'Uomo, che io vedo (amo vedere) come Città cosmopolita.



Così Renzi esprime in sintesi il senso del suo pensiero, ampiamente argomentato da varie riflessioni e da una serie di puntuali accostamenti ai testi. Un primo riferimento è dato dal personalismo laico di Renouvier, ma troviamo anche un passo di Bobbio, secondo il quale la persona è una conquista storica e non una sorta di 'ατομοs. Sartre diceva del resto, con efficace espressione: “L’uomo è una monade che fa acqua”. La persona infatti “è, in quanto è dentro a una storia”. Anche il relazionismo di Paci è chiamato in causa, in quanto in esso “il soggetto è persona concreta”, da vedere al di fuori delle astrazioni positiviste.
Il sottotitolo del libro tratta di Antropologia filosofica, in quanto la nozione di persona, così come nel testo viene intesa, non può prescindere dalla dimensione interculturale, con tutti i conflitti che ad essa si riferiscono. In ogni caso la soluzione, dice Renzi, non può consistere in un “Multiculturalismo, che sbocca in un vestito di Arlecchino di quartieri l'un contro l'altro, accostati, impermeabili e potenzialmente ostili”. Se la persona, come abbiamo detto, è una conquista storica, ci sarà bene un motivo storico di unificazione, valido anche oggi per noi, e legato al continuo modificarsi di ogni tradizione, che pur caratterizza la nostra epoca. “Le dure lotte” in atto in vari casi dovrebbero alla fine aprire spazio a un’antropologia nuova, capace di superare i conflitti che stanno lacerando intere nazioni.
Il suo pensiero è espresso in alcuni testi, come la voce Enzo Paci nel Dizionario biografico degli italiani dell’Istituto Treccani, Comunità concreta. Le opere e il pensiero di A. Olivetti del 2008, Enzo Paci e Paul Ricoeur del 2010 e Persona, un’antropologia filosofica nell’era della globalizzazione del 2015, 
Oltre alle opere teoriche, rimane tuttavia un grande rimpianto, in tutti quelli che hanno conosciuto Emilio Renzi, per la sua gentilezza e per la lucidità del suo pensiero.

 

 

 

RICORDATEVENE


E hanno mandato armi in Ucraina per alimentare la guerra, contro la volontà della stragrande maggioranza della Nazione. Ricordatevene bene quando andrete a votare.

domenica 29 maggio 2022

ECONOMIA DI GUERRA
di Alfonso Gianni

Disegno di Claudio Zanini (2022)

Per l’Italia non è più una metafora
.
 
Se c’è ancora qualcuno che si domanda per quale ragione il cosiddetto piano italiano per la pace sia stato accolto dalle parti in causa e nell’ambito internazionale con reazioni oscillanti fra il disinteresse e il disprezzo, può forse trovare una delle risposte più plausibili in quanto sta accadendo in queste ore. L’artiglieria pesante italiana è entrata in azione del Donbass. Si tratta dei cannoni FH70, esito di un progetto tedesco, inglese e italiano, capaci di sparare tre colpi al minuto centrando obiettivi situati a 25 chilometri di distanza. Fanno parte delle armi letali che il nostro esercito ha consegnato alle forze armate ucraine in attuazione dei tre decreti interministeriali del governo Draghi su cui, essendo segretati, il Parlamento italiano non ha potuto mettere lingua. È evidente che la credibilità di un piano di pace, al di là degli specifici punti in esso contenuti, è minata alle fondamenta dal sempre maggiore coinvolgimento, attuato senza dichiararlo, del nostro paese nella guerra in atto fra Russia e Ucraina. Le armi italiane si aggiungono a una dotazione bellica già alimentata da tempo in particolare dagli americani e dagli inglesi. Esattamente un mese dopo l’invasione russa, si è tenuta a Roma una riunione, passata quasi sotto silenzio, dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) che risponde direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri ed ha il compito di ricercare e fornire tutte le informazioni su quanto si muove al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia. Nel corso di quella riunione si sottolineava come i russi avessero incontrato difficoltà impreviste anche per il vantaggio ucraino negli armamenti, dal momento che per ogni tank russo vi sarebbero 11 armi anticarro in dotazione agli ucraini. Infatti, parlando agli inizi di maggio ai lavoratori della Lockeed Martin - protagonista cinquant’anni fa di un famoso scandalo nelle relazioni con l’Italia - Biden era andato sul pesante, celebrando la produzione dei missili anticarro Javelin, di cui 5.500 inviati in Ucraina, e commentando con scarso senso del ridicolo che i genitori ucraini chiamavano i neonati Javelin e Javelina in onore di quella manna piovuta dal cielo a stelle e strisce. Davanti al nuovo pacchetto di aiuti di 40 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina, il New York Times il 19 maggio si interrogava seriamente se l’obiettivo di Biden non fosse in realtà quello di destabilizzare e mortificare la Russa piuttosto che salvare gli ucraini. E il vecchio Kissinger ammoniva quanto tale obiettivo fosse sciagurato, dati i rischi concreti di una guerra nucleare. Ma la spinta bellicista e riarmista ha oramai invaso l’Europa. Lo abbiamo visto nelle scelte del nuovo governo tedesco in aperta controtendenza con quelle praticate nel dopoguerra da quel paese. Lo vediamo nitidamente anche da noi. Il pregevole lavoro degli analisti della Rete italiana Pace e Disarmo ha condotto a significative correzioni del Rapporto annuale al Parlamento sull’export di armi, mettendo in luce che nel 2021 si è verificato il record storico di esportazioni effettive e definitive di materiale bellico (oltre 4,7 miliardi di euro) rimanendo alte le nuove autorizzazioni (per 4,6 miliardi). In totale gli Stati del mondo verso cui sono state autorizzate nell’anno scorso vendite italiane di armamenti sono stati ben 92. Il nostro paese si presenta come un hub della produzione militare, tanto per quantità che per qualità distruttiva. Progetti in sé non nuovi traggono alimento da questa rinnovata spinta alla produzione di armi. Riappare il tormentone di una fusione fra Leonardo e Fincantieri. Così sono state intese le parole di Giorgetti, ministro dello sviluppo economico, durante la sua recente visita alla Fincantieri di Monfalcone, dove ha avanzato l’ipotesi di costruire “un polo militare italiano”. Il governo è azionista di riferimento sia di Leonardo (partecipata dal Mef al 30%) che di Fincantieri (che Cdp industria controlla con il 71.32%). La sua è dunque la voce del padrone. Ma non ha finora trovato consensi tra gli Ad delle due imprese e neppure nel mercato. La reazione negativa di Profumo, Ad di Leonardo, ha subito fatto risalire le quotazioni azionarie dell’azienda, proponendo in alternativa di fare di Leonardo il polo di aggregazione per un gruppo europeo dell’elettronica della Difesa. Altri centri finanziari si sono dichiarati contrari alla fusione. Eppure l’ipotesi resta in campo, più forte che nel passato, in un curioso braccio di ferro tra politica e finanza. Infatti Giorgetti ribadisce che la domanda di difesa in Europa crescerà e quindi il nostro paese deve mostrarsi all’altezza. Come a dire che non abbiamo ancora dato il peggio di noi stessi.

  

REFERENDUM
di Franco Astengo
 


La diserzione dalle urne come scelta politica di difesa delle istituzioni repubblicane.
 
La diserzione dalle urne nel referendum in materia di giustizia che si svolgerà domenica 12 giugno va sostenuta come chiara indicazione di scelta politica. In alcune città si voterà anche per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale e vale ancora la pena insistere nel giudicare come una vera e propria forzatura istituzionale l'abbinamento tra le due diverse consultazioni.
Le ragioni della  diserzione dalle urne risiedono, prima di tutto in alcune considerazioni di merito: il raggiungimento del quorum del 50% dei partecipanti e l'eventuale la vittoria del sì infatti introdurrebbe nuovi problemi, come nel caso del quesito sulle misure cautelari la cui applicazione renderebbe molto difficile intervenire sui reati di violenza di genere, inoltre i quesiti referendari intervengono su aspetti tecnici e parziali, al riguardo dei quali l'esigenza cui corrispondere dovrebbe essere quella di una riforma di carattere generale.
È il caso allora di richiamare, ancora una volta, le necessità di recuperare un protagonismo parlamentare.
Protagonismo parlamentare che, dopo l'inopinata riduzione nel numero dei componenti le assemblee elettive, si sta cercando di ridurre al minimo per seguire la via populista e dell’affidamento della produzione legislativa alla propaganda o all'imposizione governativa piuttosto che all'agire della mediazione politico-istituzionale. A rafforzamento dell'indicazione riguardante l'esigenza prioritaria di seguire la via parlamentare è ancora il caso di chiarire come tre dei cinque quesiti che dovrebbero essere sottoposti al voto riguardano la vita interna all'ordinamento giudiziario: come sono eletti i magistrati nel loro organo di rappresentanza (il Consiglio Superiore della Magistratura); come sono giudicati per gli avanzamenti di carriera e i ruoli che possono rivestire tra inquirente e giudicante. La diserzione dalle urne e il conseguente fallimento del quorum si impongono così come scelta politica. Una scelta politica che indichi la via parlamentare come quella idonea per affrontare la complessità di questioni così tecnicamente specifiche.
Da tener in conto che la prova referendaria rende complicato mobilitare grandi masse di elettrici ed elettori e un esito favorevole ai quesiti attraverso l'espressione di una maggioranza di ridotte dimensioni renderebbe comunque difficile la formazione di un consenso forte e convinto come sarebbe fondamentale si affermasse su temi di così grande importanza e delicatezza.
In sostanza, al di là del merito di ogni singolo quesito, un'affermazione del fronte abrogazionista assumerebbe il significato di un ulteriore indebolimento delle istituzioni rappresentative e di conseguenza dell'intero sistema politico italiano, già così fragile e percorso da tensioni che pericolosamente stanno reclamando un vero e proprio restringimento dell'azione democratica.
In questo caso tensioni che debbono essere fermamente respinte con una chiara espressione di non presenza ai seggi che assuma l'indicazione di una forte domanda di ritorno alla centralità delle istituzioni.
 

LE BASI NATO SONO ILLEGALI



 
Un autorevole parere giuridico commissionato da 22 associazioni pacifiste afferma l’illegalità della presenza di armi nucleari in Italia.
 
Dal 26 maggio 2022 è in libreria il volume Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia (185 pp., Multimage) redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo, di IALANA Italia, indiscutibilmente tra i più competenti in materia. Fondata nel 1988 a Stoccolma, IALANA (International Association of Lawyers Against Nuclear Arms) è un’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con status consultivo presso le Nazioni Unite. Decise a strappare il velo di silenzio sul pericolo atomico che gli italiani corrono ogni giorno a causa degli ordigni nucleari custoditi nelle basi NATO di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia), Abbasso la guerra e altre ventuno associazioni pacifiste territoriali e nazionali si sono rivolte agli avvocati Lau e Giangiacomo per chiedere uno studio sui possibili rimedi giuridici ben prima che l’invasione russa dell’Ucraina e il profilarsi di uno scontro tra superpotenze rendesse la minaccia di distruzione atomica un argomento sempre più concreto, nominato e persino banalizzato. Ma se le minacce reciproche delle superpotenze hanno riportato alla luce le fosche dottrine della deterrenza, la presenza del nucleare statunitense in Italia resta un tabù, circondato dal segreto di Stato. Per questo motivo, il Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia assume oggi una potenzialità straordinaria: mostrare l’insipienza e le convenienze di un potere istituzionale che negli anni non ha tenuto in alcun conto la sicurezza dei cittadini, nascondendo e minimizzando la presenza a 85 chilometri da Milano, nel caso di Ghedi, a 95 chilometri da Venezia, nel caso di Aviano, del più grande arsenale atomico europeo dispiegato dagli USA. Due luoghi del tutto ignorati dai media, dove le attuali bombe nucleari B61-3 e B61-4 sono destinate a essere sostituite entro qualche mese dalle più sofisticate B61-12, dotate di quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a dire una potenza superiore a tre bombe di Hiroshima. Lo studio motiva l’illegalità della presenza su territorio italiano di almeno quaranta ordigni nucleari, in violazione del Trattato di Non Proliferazione ratificato dal nostro Paese nel 1975 e di altre norme nazionali e internazionali, e non nasconde la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria e un conseguente ordine di rimozione. Ma le azioni possibili sono numerose e hanno necessità di essere sostenute da una larga consapevolezza. Secondo un recente sondaggio condotto da YouGov, il 74% dei cittadini è a favore della rimozione delle armi atomiche statunitensi dislocate in Italia. Posizioni distantissime da quelle del potere politico e istituzionale. La speranza è che questo studio serva a promuovere non solo un’azione legale, ma un capillare lavoro di conoscenza che ci renda cittadini e cittadine consapevoli, capaci di riaffermare la centralità dei territori e l’inviolabilità delle vite che li abitano. Il volume, con un’introduzione di Elio Pagani e Ugo Giannangeli (associazione Abbasso la guerra) e una prefazione di Daniela Padoan (associazione Laudato Si’) e Patrizia Sterpetti (Women's International League for Peace and Freedom - WILPF) sarà presentato in anteprima il 4 giugno 2022 nell’ambito di EireneFest, il Festival del libro per la pace e la nonviolenza, che si terrà a Roma tra il 2 e il 5 giugno. 
Per contatti: 
abbassolaguerra@gmail.com
331 - 3298611
Abbasso la Guerra OdV
Sede Operativa , c/o Castello Missionari Comboniani,
Venegono Superiore (Va)

  

ANZANO DI PUGLIA




SOLIDARIETÀ 




BOGLIASCO




GENOVA. BIBLIOTECA BERIO





sabato 28 maggio 2022

SCRITTI CONTRO LA GUERRA
di Giovanni Bonomo*

La copertina del libro
 
Ricordo che l’impegno di Angelo Gaccione per il disarmo dura da molti anni. Egli è stato una delle voci tra altri autorevoli intellettuali, come Carlo Cassola e David Maria Turoldo, che predicavano l’abolizione degli eserciti, che avevano cioè memoria, a differenza dei più, delle due guerre mondiali, di cosa avevano significato in termini di vite umane, anche di quelle dei sopravvissuti egualmente distrutte, e che avevano coscienza delle altre guerre nel mondo di cui poco o per niente si parla. Ma soprattutto perché avevano già capito, dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, quanto fosse disumanamente distruttiva l’arma nucleare e quanto sconsideratamente idiota fosse continuare a costruire armamenti bellici e armare gli Stati, sottraendo risorse per la ricerca scientifica, costruttiva per la salute e per l’ambiente, invece che distruttiva per l’uomo e per il creato. Erano istanze pacifiste che poi vennero in parte recepite anche in politica internazionale con il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari ratificato il 20 settembre 2017 da 53 Stati ma rimasto poi lettera morta e inattuato. Ovviamente in occasione di questa sciagurata guerra in corso, l’istanza pacifista si ripropone in tutta la sua drammatica e impellente urgenza, soprattutto perché è una guerra che viviamo quotidianamente, per ora e per fortuna, solo da telespettatori.



A fronte dei bombardamenti si pone allora il bombardamento buono di articoli sul disarmo che Angelo Gaccione edita ogni giorno tramite la sua rivista ODISSEA, parte dei quali sono stati raccolti in questo piccolo ma potente pamphlet, tanto agevole nella lettura quanto profondo nel propugnare il principio pacifista. Principio pacifista che per essere veramente tale non tollera né sema, non sopporta le deroghe e i tanti tradimenti, perché le norme delle Costituzioni degli Stati e dei trattati internazionali ad esso si ispirano solo nella forma e non nella sostanza. Anche l’art. 11 della nostra lungimirante Costituzione, che pure inizia con una espressione forte come “ripudia la guerra”, precisa di seguito che l’Italia acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale stabilito con i trattati. Viene così in gioco, in particolare, l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede il “diritto naturale di autotutela individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Paese membro delle nazioni Unite” secondo le determinazioni del Consiglio di Sicurezza. Del resto a fare da contrappeso al principio pacifista formalmente espresso nell’art. 11 Cost., è l’art. 78, il quale prevede che le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari. 



E allora, dice Gaccione, come si fa a non rendersi conto che è il concetto stesso di difesa armata, nell’attuale epoca nucleare, ad essere sbagliato, perché non garantisce la sicurezza di nessuno, né dello Stato aggredito né dello Stato aggressore, essendo la via più certa verso l’annientamento e la catastrofe totale. E fa anche una proposta de jure condendo che consiste, oltre che ovviamente nell’abrogazione dell’art. 78, nella riformulazione dell’art. 52 (trovate la sua proposta nel penultimo articolo del libretto): “Poiché l’epoca nucleare ha reso impossibile qualunque difesa [armata] per la salvaguardia e l’incolumità dei cittadini e dei beni della nazione, la Repubblica italiana vi rinuncia e la sostituisce con la negoziazione pacifica e l’arbitrato internazionale”.
Si tratta di 16 brevi articoli che stimolano la riflessione contro la guerra con pathos estremo, ognuno dei quali si potrebbe analizzare per trarne un insegnamento morale prima che politico. Ma il mio intervento non vuole essere una recensione quanto piuttosto un elogio alla passione civile dell’autore. Mi limito quindi a richiamare la frase che più mi sembra significativa e che forse ci incoraggia un po’ tutti nell’amor patrio, nonostante l’indignazione al pensiero su chi ci governa: “Mi auguro che sia la mia Patria a dare questo esempio luminoso al mondo. La nazione con la tradizione culturale più profonda e vasta e dalle mille bellezze. Se questo passo verso il disarmo lo facesse l’Italia, avrebbe un impatto straordinario e altri Paesi ci seguirebbero. La perversa catena della guerra si spezzerebbe
”.
 
*Avvocato, Centro Culturale Candide

COME FRATELLI
di Lorenzo Buggio

 

Una delle parole centrali nel mondo odierno, come ho già presentato nel mio precedente articolo, è la parola fratellanza. Oggi però vorrei concentrarmi su un altro aspetto di questa parola, ovvero su che cosa ci rende veramente fratelli? Devo confessarvi, prima di continuare, che purtroppo o per fortuna, questo non sta a me deciderlo, sono figlio unico. Ammetto quindi di aver sempre vissuto il rapporto fraterno da semplice osservatore.
Questa posizione però forse mi ha permesso di indagare più a fondo gli aspetti centrali di tale tematica. Una domanda che ha sempre accompagnato questa mia osservazione è che cosa permette ai fratelli e alle sorelle di litigare, insultarsi e così via in un momento e nel momento successivo invece abbracciarsi o aiutarsi a vicenda. Penso che una possibile riposta a questa mia domanda sia che i fratelli riescono a strutturare un rapporto di questo tipo perché sotto a tutte quelle litigate c’è l’amore. Più precisamente, amore del diverso, ovvero volto al riconoscimento di un altro. In altre parole, il rapporto tra fratelli ci permette di vedere come una prima e fondamentale forma di amore sia il rispetto delle differenze. Un caro amico mi diceva una volta riguardo al rapporto con suo fratello: “Certo che a volte non lo sopporto, ma non per questo lo odio è semplicemente diverso da me ecco tutto”.



Nella semplicità di questa affermazione è presente un punto però di fondamentale importanza che la società moderna sembra aver dimenticato.
Oggi, infatti, si pensa che dire di essere fratelli significhi che siamo tutti uguali e questo è almeno per quanto mi riguarda un ragionamento sbagliato.
Difatti, dire di essere tutti uguali significa anche affermare l’esistenza di un prototipo di persona. Purtroppo, però un prototipo, ovvero un ideale, non può esistere all’interno di un mondo concreto e reale come il nostro.
In sintesi, riprendendo l’affermazione del mio amico è facile immaginare come la sua idea prototipica sarà sicuramente diversa da quella di suo fratello, quindi una ricerca di totale uguaglianza porterebbe soltanto ad una forma di scontro tra le due parti. Lo scontro in realtà può essere a volte però fautore di fratellanza. Ciò mi è stato svelato durante un incontro a Sarajevo. Difatti, una sera del mio viaggio ho avuto la possibilità di incontrare alcuni terziari francescani con i quali ho parlato della loro esperienza di minoranza religiosa durante e dopo la guerra. È stato proprio uno di questi francescani ad un certo punto della nostra chiacchierata a dire: “Durante la guerra si era più uniti e vicini (...)”.
Riprendendo poi questo punto quello che è emerso è che di fronte ad una difficoltà comune, quelle stesse differenze che normalmente sembrano insuperabili, come ad esempio il proprio credo, scompaiono permettendo così alle persone di riconoscersi più facilmente come fratelli.
È quindi necessario ricordarci che essere fratelli non significa essere uguali e che un discorso basato sull’estrema uguaglianza è paradossalmente un discorso volta a dividere le persone piuttosto che ad unirle.



In questo mi pare possa essere utile richiamare alla nostra memoria il celebre discorso di Shylock nel mercante di Venezia di Shakespeare: “Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?
Penso infatti che se iniziassimo a chiederci più spesso che cosa ci differenzia effettivamente così tanto da un altro diverso da noi scopriremmo di essere più simili a lui di quanto pensiamo.

 

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