UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

LA LAMPADA DI ALADINO




SCRITTI IN RICORDO DI LUCIANA FORTINA
pagnini editore – firenze 2013


 QUATTRO INTERVENTI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
aula delle colonne – università di siena a grosseto – 5 luglio 2013





Gianni Bernardini, Le città del silenzio e il florilegio
Gioia Buoninconti, Cuius commoda eius et incommoda. Appunti per una revisione del sistema in materia ambientale – profili di responsabilità penale
Stefania Pietrini, L’Università di Siena: un libro per Luciana
Gioi Pinna, Introduzione alla figura di Luciana Fortina





febbraio 2014










Domani, poi già un altro, e ancora un altro domani 
si insinua a passi impercettibili, di giorno in giorno,
fino all’ultima lettera del nome
del giorno estremo previsto; e tutti nostri ieri
hanno illuminato, follemente, la strada
alla definitiva polvere. Spegniti, presto,
candela (sempre più) corta! La vita non è che un’ombra
che cammina; un povero attore che si esibisce
compiaciuto, consumando il tempo programmato
per la sua presenza sul palco: e poi si smette di sentirlo;
è un racconto affannato e roboante, declamato da un idiota:
e non ha significato.



William Shakespeare, Macbeth, Atto V, Scena V
traduzione di G. B.







 Aula delle Colonne, Università di Siena a Grosseto
5 luglio 2013
Presentazione di: AA. VV., a cura di Gianni Bernardini, Alessandra Borghi, Veronica Fanciulli, Giovanna Luzzetti, Scritti in ricordo di Luciana Fortina, Pagnini, Firenze 2013[1]



Gianni Bernardini
LE CITTA’ DEL SILENZIO           E IL FLORILEGIO[2]

Non avremmo mai voluto fare questa presentazione. L’evento che ha motivato il libro che ne è oggetto, è stato la perdita imprevista di una persona ancora giovane; un’amica la cui presenza poliedrica colmava vari spazi di iniziative felici.
Avremmo voluto Luciana tra noi, non un libro. Avremmo voluto Luciana e il libro: non un libro “in memoria”, ma un libro “in onore”.
Credo infatti che vadano onorati i vivi, non i morti. Con i “grandi” accade anche questo - p. es., tipicamente, in università[3] -. Invece, tra la “gente”, è diffusa la strana attitudine a onorare i morti, piuttosto che i vivi: anche solo andando a trovarli al cimitero; come se ce ne fosse bisogno, per ricordarli, e non fossero, comunque, sempre in noi. Naturalmente deve essere, tuttavia, riconosciuto con pietas, e perfino immedesimazione l’atteggiamento di chi ci va con la spinta sincera di una fede, del desiderio (o illusione[4]) della continuazione di un amore la cui assenza cresce ogni giorno, disperatamente; in un senso estremo di vicinanza - quasi fisico -. Ma in queste circostanze, certo coloro che sono scomparsi sono stati “onorati”, e amati in molti modi anche da vivi; situazioni alle quali sono tremendamente estranei i casi in cui si va nei luoghi, nelle città dei defunti, si partecipa ai loro riti soprattutto per sentirsi la coscienza a posto; e/o solo in ricorrenze ufficiali: come, nel cattolicesimo, la commemorazione del 2 novembre.
D’altra parte, devo dichiarare con franchezza che non ho il culto dei morti; specialmente, quasi animisticamente caratterizzato da oggetti appartenuti alle persone scomparse, o petits cadeaux postumi, deposti a incorniciare la lapide - giocattoli di bambini, maschere da sub, peluches -; o da armadietti, ciascuno corrispondente a una tomba, contenenti strumenti vari: soprattutto per tenerla pulita, e almeno curarne l’estetica (cose peraltro, queste ultime, dato che esistono i cimiteri, necessarie).
Ritengo, precisamente, che i cimiteri potrebbero anche non esistere, essere aboliti[5]; i morti rapidamente cremati, previo espianto, obbligatorio per légge, degli organi utilizzabili, e le ceneri disperse dovunque sia consentito; o (forse) meno dolorosamente,  affidate al personale dei crematòri, senza saperne più niente: perché - da quanto ho visto, e provato - è una tortura anche l’attesa della consegna dell’urna, per dare tempo al calore di dissiparsi; quindi ritirarla, e facilmente sentirne le pareti ancora calde[6].
Le persone “normali” di solito non si onorano quando sono in vita. Spesso, se è scomodo - per egoismo, pigrizia -, si smette inoltre di cercare occasioni d’incontro con amici, persone  anziane, che per noi sono (state) importanti, o a cui si deve gratitudine.
Diversamente, all’interno di molte famiglie, certi affetti sono esasperati e possono diventare patologici. Così, se i figli hanno qualche merito, questo viene eccessivamente lodato, esaltato; altrimenti inventato, anche in buona fede; in ogni caso, manifestato anche pubblicamente, sbandierato: creando (almeno) imbarazzo all’esterno della famiglia. I figli, i nipoti iperprotetti possono, tra l’altro, diventare fragili, frustrati[7]. Naturalmente, molto dipende dalla cultura del contesto familiare e amicale, dalla tendenza al realismo da parte dei genitori: che possono avere, al contrario, con i figli rapporti non in senso deteriore e potenzialmente dannoso, ma anzi, tali da metterli in grado di socializzare e sfruttare al meglio le loro capacità - sia pure nelle drammaticità dell’attuale crisi mondiale -.

Luciana Fortina è stata una grande figura di donna; che in vita avrebbe meritato un libro in onore. Ma non ci abbiamo mai pensato con una premura specifica; e può apparire comprensibile per più motivi: a partire da quello per cui lei, la morte in conseguenza della sua patologia, sembrava averla sconfitta; e a molti di noi amici - nonostante le sofferenze degli ultimi tempi; e le difficoltà delle varie fasi: ma anche la considerazione che le aveva sempre superate, in un lungo arco di anni - è giunta inaspettata. Luciana stessa, forse, ne è stata còlta di sorpresa: se è vero che alla fine della scorsa estate - cioè poco prima della sua scomparsa -, progettava di affittare per la successiva un ombrellone, e avere con sé, nella sua casa di Principina a Mare, la nipotina francese Dora per un periodo soddisfacentemente lungo - e per questo - consapevole comunque dei propri problemi - aveva inoltre “precettato” Grazia (andata in pensione) a collaborare come vice-nonna -. Diceva Alberto Moravia che se non ci si distrae, non si muore; ma non credo che Luciana si sia mai distratta da niente che valesse la pena prendere in considerazione.      
Luciana meritava di essere celebrata, e lo è stata; anche in vita ha avuto i suoi riconoscimenti, l’apprezzamento per le sue qualità e attività.
Amava intensamente lèggere, e un libro come questo le sarebbe piaciuto moltissimo: come ha dichiarato in più occasioni, con convinzione, anche una delle sue allieve predilette, Alessandra Borghi.
Riferimenti espliciti a Luciana si trovano, oltreché - come è logico, ampiamente - nella mia Premessa[8] e nella Nota biografica[9], anche in seguito nel volume collettaneo a lei dedicato. Se avesse potuto vederlo, Luciana, soffermandosi, p. es., sul saggio di Valerio Fusi, come lui stesso enuncia in nota,

non sarebbe stata daccordo su niente di quello che ho scritto qui dentro. Ma certo si sarebbe divertita molto a discuterne[10].

O avrebbe potuto, per dire così, “verificare”, questa volta a proposito del saggio di Flavio Fusi, quanto asserito dall’autore, sempre in nota:

(s)appiamo, tutti noi suoi amici, che Luciana era generosamente sensibile ai temi della mancanza di libertà e dell’oppressione (anche culturale), e amo pensare che le sarebbe piaciuto leggere questo scritto[11].

Gli studi raccolti in questo reading - anche prescindendo, astrattamente, da Luciana Fortina - tendono, in ultima analisi, a corrispondere a componenti di una cultura in senso forte, o in altri termini una cultura “presa sul serio”: come si potrebbe anche dire parafrasando il titolo italiano di un libro assai noto del filosofo statunitense Ronald Dworkin[12]. E’ questa una possibile motivazione - se non la principale - del loro assemblaggio in questa sede. I vari saggi possono insomma essere, per dire così, altrettante “specializzazioni” di interessi, degli aspetti, appunto, della “cultura” di colei/colui che

ne è un professionista, che la usa come strumento di interpretazione del “mondo”, e anche per agirvi, apportarvi, per quanto in grado, cambiamenti ritenuti migliorativi; operarvi insomma “rivoluzioni” a vari livelli[13].

D’altra parte,

(a)nche in un contesto “in partenza” più unitario della sorta di antologia scientifica in cui consiste il presente volume, come p. es. quello giuridico, e in questo una materia particolare, si possono dare (…) molteplici “variazioni” su un tema; e contributi anche assai lontani e diversi dallo spunto iniziale; senza che nessuno si scandalizzi[14].

Così, nel volume dedicato dall’Università di Milano Bicocca a Aristide Tanzi - nella quale era stato ordinario di Filosofia del diritto -,

si trovano (anche) scritti che naturalmente hanno poco o niente a che fare con la filosofia del diritto, volendo appunto il volume “essere un omaggio di amici e colleghi alla figura di studioso e alla persona di Aristide Tanzi”[15].




Rapsodicamente e in modo sommario, tra (i titoli de)gli argomenti trattati si trova: Matrimoni acattolici e interconfessionali, L’opera dei giuristi compilatori del Digesto, Riconoscimento del figlio naturale da parte dell’altro genitore dopo la morte del genitore che per primo ha riconosciuto, L’interpretazione del regolamento di condominio[16].
            Il presente volume, per e non su Luciana Fortina, vuole essere quindi “rigoroso”, invece che “colorato”. Questo futuribile (ma da mie informazioni “riservate” non improbabile) secondo tipo di testo - appunto su Luciana; con sue riflessioni, spunti “esistenziali”, lezioni[17], commenti, (last but not least) ricette di cucina, ecc. -, potrebbe peraltro formare con il primo un po’ uno stesso volume composto di due parti reciprocamente strumentali.
Luciana figura comunque, attraverso i contributi che le sono stati dedicati, anche in questo libro; che resta tendenzialmente “a suo modo unitario, [anche, appunto] nella varietà dei temi toccati dagli autori”. E costituisce, “tuttavia, anche un libro ‘interdisciplinare’ ”[18].
            I contributi compresi nel volume, appunto, si propongono quindi ognuno come “un dono affettuoso da parte degli autori”, un “omaggio” a Luciana: che rappresenta tuttavia “il ‘filo rosso’ che [li] unisce e spiega”[19]; che li ha “ispirati”, purtroppo con la sua scomparsa; li ha anche resi “universalizzabili”[20]: a partire da una loro possibile discendenza “privata”[21], come ho adombrato, legata a “argomenti di suoi interessi ‘scientifici’ e ‘artistici’, che potevano benissimo richiamarsi se non legarsi”. E anche nel caso di questo libro, appare, così, “verosimile che tout se tient[22].

Il saggio iniziale - Stefano Berni e Jacopo Berti, Origini, genealogia e antropologia della cultura familistica italiana -[23], in breve, individua in sistematiche e quotidiane violazioni di obblighi giuridici, di portata anche non gravissima, quelli che sono i “vizi” attuali degli italiani, fomentati dal familismo - forse si potrebbe parlare anche di esempi di “maleducazione”, ripetuti fino a diventare abituali -. E si potrebbe affermare che appare proprio questa consuetudine di microcomportamenti illegali la “vera” infrazione. Ne sono dimostrazioni il mancato rispetto di una fila - p. es. al check-in -, lo scuotere tovaglie sui passanti, parcheggiare l’auto in spazi vietati del cortile condominiale, e lavarla con l’acqua pubblica, guidare senza allacciare la cintura, e rispondendo al telefonino, ecc. Per gli autori, peraltro, questo arrogarsi (pseudo)diritti non si manifesta improvvisamente in un vuoto, ma si spiega attraverso (l’esposizione di) un lungo percorso storico, approfondito alla luce dell’antropologia culturale: che evidenzia il sostanziale melting pot, variamente configurato, in cui è consistita a lungo - e anche attualmente - l’Italia, e motiva questa sorta, eufemisticamente, di individualismo che ne caratterizza gli abitanti.
            Anche lo studio di Valerio Fusi - Il flogisto dei diritti umani. Culture, pratiche, ideologie, mitologie e wishful thinking -[24] in qualche modo si occupa di diritti. Se nel saggio ora presentato ci si sofferma, per dire così, su “diritti” agevolati dal favorire l’infrazione[25], in quello di Fusi appare non accedersi alla plausibilità di pressoché nessun tipo di diritto, se non in un senso “ipocrita”:

quando si discute di diritti umani, è delle nostre precondizioni etiche, dei nostri princìpi (léggi, pregiudizi, imperativi) etici, dei nostri valori che discutiamo, e si sa che l’etica è un conversatore assai poco amabile e democratico, che non tollera di essere messo in discussione se non alle sue proprie condizioni.

D’altra parte, “(d)iscutere di diritti umani senza etica produce (…) uno scandalo intollerabile. Viceversa introdurre esplicitamente una discriminante etica rende inutile la discussione”. In ultima analisi, “ogni cultura definisce se stessa  e le sue caratteristiche. (…) Si tratta ovviamente di una scelta arbitraria (i confini non fanno parte della realtà -qualunque cosa essa sia - (…) )”.
            In conclusione,

(c)ome nel detto di S. Agostino sul tempo, ognuno di noi è convinto (…) di sapere perfettamente bene che cosa siano i diritti umani, ma quando tentiamo di sottoporre le nostre convinzioni a un esame più approfondito, ci rendiamo conto di quanto poco ne sappiamo veramente.

E se “i diritti umani non possono fondarsi su una legge universale”, allora “(i)l massimo a cui possiamo ambire è qualcosa di simile alla teoria del flogisto, una spiegazione convenzionale e irrimediabilmente falsa che ci consenta tuttavia di camminare sul vuoto finché sia possibile”.

Riguardo ai contributi di Alberto Conforti e di Cristina Ferrero - rispettivamente Una introduzione alla patologia generale, e Patologia comportamentale del cane -[26], mi limito essenzialmente, in questa sede, a riportare, come le ho esposte nella Premessa[27], alcune osservazioni che mi sono state provocate da un loro accostamento. Precisamente, assumo che un avvicinamento di medicina “umana” e medicina veterinaria, e quindi di animali umani e animali non-umani,

non appaia, oggi, sacrilego a nessuno (…). Si potrebbe anche dire che non stiamo parlando di due specie diverse, quanto di una sola, se non altro, anzitutto, da un punto di vista etimologico (…)[28]. Infatti l’attributo ‘umano’ che compone i due termini deriva, in ultima analisi, da humus, terra: sia come avente a che fare con ‘terrestre’ come contrapposto a ‘celeste’, sia (qui soprattutto) in quanto predicabile di ciò che è stato generato dalla terra, e si potrebbe dire, penso, fatto di terra, plasmato con essa[29]. Inoltre, ‘animale’ deriva da ‘anima’, greco (…) anemos, sanscrito (…) ātman: termini aventi entrambi lo stesso significato di ‘vento’, ‘soffio vitale’, aggiungo ‘respiro’, (l’atto di) ‘respirare’. Per cui, gli animali umani - gli uomini - e i non-umani hanno la stessa origine (terrestre), e la stessa “anima”; se si volesse intendere quest’ultima (anche) in senso trascendente, o metafisico, questo significherebbe che in caso di esistenza di un’altra dimensione, vi approderebbero sia gli esseri umani che le creature comunemente dette animali[30].




Alberto Conforti specifica sùbito il ruolo e il campo dell’oggetto del suo contributo: “(l)a patologia generale si propone lo studio dei fenomeni patologici elementari, cioè delle alterazioni degli stati di equilibrio normali del vivente”; riaffermando appunto successivamente l’autonomia e indipendenza della materia rispetto a altre “in cui alcuni pretenderebbero di scinderla”. Avverte che “qualunque tentativo di semplificare[31] lo studio della condizione patologica” può rivelarsi come “mistico o dogmatico”, in modo da non fare comprendere la stessa “essenza (…) patologica”. Cristina Ferrero - e direi pour cause - si esprime in modo simile a Conforti quando si occupa degli “stati patologici elementari[32]” a proposito dello “sviluppo comportamentale del cane”. Questo saggio “parte dalle prime tracce attendibili della presenza del cane sulla terra”[33], per approdare alle analisi dei “ ‘padri fondatori’ dello studio del comportamento, gli etologi Konrad Lorenz e Nicolaas Tinbergen”; e soffermarsi, infine, sulle terapie cognitive - tese tra l’altro, sostanzialmente, “modificando il contesto sociale e affettivo”, a diminuire la “frequenza” dei “comportamenti indesiderati” del cane -, e quelle sistemiche - che “mirano, con l’utilizzo del farmaco, a indurre modificazioni relazionali che consentiranno all’animale riequilibrato di percorrere una nuova direzione” -.
            Contributi giuridici, e “nati” in Facoltà/Dipartimenti di Giurisprudenza, sono i due di diritto positivo di Gioia Buoninconti e Antonello Cincotta - Cuius commoda eius et incommoda. Appunti per una revisione del sistema in materia ambientale – profili di responsabilità penale -, e di Gianluca Navone - Amministrazione di sostegno e consenso ai trattamenti sanitari - nell’ottica del diritto penale il primo, in quella invece del diritto civile il secondo -; nonché lo studio di Paolo Passaniti - Tra repressione e tolleranza: diritto di associazione e dissenso politico tra Otto e Novecento - non di diritto positivo ma di storia del diritto italiano -[34]. Il lavoro di Buoninconti e Cincotta è teso alla ricerca di nuove prospettive per la difesa penale dell’ambiente. In esso, tra l’altro, ci si sofferma su ipotesi di rivisitazione di misure e sanzioni specificamente previste; fino alla proposta di “ampliare decisamente la ‘categoria dei crimini contro l’umanità con talune ipotesi di crimini ambientali, (…) inserite quali fattispecie ulteriori di genocidio, non necessariamente correlate a fenomeni bellici’ ”[35]. Gli autori, nell’orizzonte di un’etica delle popolazioni, cominciano con l’esaminare le ”tendenze di un mercato dagli effetti globali sull’ambiente”[36]; inteso, quest’ultimo, quale “insieme di condizioni necessarie e presupposte non solo - o non tanto - (…) per garantire la qualità della vita, quanto piuttosto (…) per potersi vivere [e trasmettersi] la vita”. E “in una sorta di ‘ecosistema artificiale’ l’attività produttiva (…) dovrà farsi carico dell’intero ciclo e cioè tanto del prodotto delle specifiche attività d’azienda, tanto dei mezzi necessari alla sua produzione e, quanto al manufatto, anche della sua ‘demolizione’ o del suo riciclaggio-utilizzo”.
  Anche a proposito del saggio di Gianluca Navone - come ho fatto nell’accostamento tra gli studi di Conforti e Ferrero[37] - riporto soprattutto mie osservazioni suggeritemi dalla sua lettura - forse anche oltre le intenzioni del saggio stesso -. Navone si occupa della “protezione della persona maggiore d’età incapace (…) di provvedere a se stessa”; esaminata “(n)ell’originaria stesura del codice civile italiano del 1942”, e dopo la revisione legislativa del 2004. I punti che più mi hanno colpito nello scritto di Navone sono tuttavia quelli in cui si affrontano, in ultima analisi,

alcuni grandi temi bioetici di estrema attualità; forse riassumibili in quello culminante della “morte dignitosa”. Questo studio mi ha inevitabilmente richiamato (…) i molti casi odierni, oggetto di drammatiche controversie  - non solo Welby, Englaro, (…) -; e osservo con dispiacere come dibattiti tendenti a riconoscere e fare prevalere a livello legislativo e giudiziario diritti fondamentali in tragiche situazioni personali appaiono ancora “di avanguardia”, invece che su temi che dovrebbero essere ormai (…) superati. (Navone, rilevando la persistente divisione tra “la dottrina e la giurisprudenza”, cita tra l’altro, alla conclusione del suo lavoro, l’articolo (…) di Francesco Gazzoni Continua la crociata parametafisica dei giudici-missionari della c. d. “morte dignitosa”.)[38]

Il saggio di Paolo Passaniti consiste in una “intensa ‘narrazione’ di vicende italiane”; imperniandosi, tra le varie situazioni prese in considerazione, su una “doppia verità”: che risiede “da una parte ‘nel diritto di adunanza che diventa facilmente diritto di riunione, e quindi anche diritto di associazione’, e dall’altra nella ‘negazione del diritto di associazione di stampo politico fondato sulla negazione di un diritto di adunanza applicato alle lotte sindacali’ ”[39]. Mi limito infine, per darne, qui necessariamente, non più che un’idea dei contenuti, a tratteggiare questo scritto con i titoli dei paragrafi in cui è distribuito: Dal mutualismo mazziniano al socialismo; Repressione di polizia e tolleranza processuale. Due esempi: la Banda del Matese e La Boje![40]; Un mito giuridico italiano: la legge Le Chapelier[41]; “Verrà l’Ottantanove!”[42]; Dagli scioperi di Genova alla svolta giolittiana.

Lo studio di Gabriella Colletti - Dare corpo a occulte visioni. Paul Klee e il problema della tecnica -[43]

è forse il più “creativo” tra quelli compresi (…) [nel reading], nel senso di una espressività quasi poetica, e una relativa autonomia rispetto al suo stesso oggetto; non privandosi inoltre di una approssimazione a un dannunzianesimo linguistico non deteriore, che non sarebbe dispiaciuto a Luciana Fortina[44].

In esso si osserva, tra l’altro, che Klee - diversamente da Duchamp e dai Readymade - con una connotazione di questo “atteggiamento artistico” data, comunque, in ultima analisi, dalla persistenza dell’oggettualità sia pure nella eterogeneità dei contesti - non “sottovaluta l’aspetto artigianale connaturato al processo creativo”. In Klee la pittura “rende visibile l’ineffabile, l’indefinito, ciò che per sua natura sfugge (…). Suo campo è l’universo invisibile”. Non a caso Gabriella Colletti cita, al termine del suo denso lavoro - arricchito da una soddisfacente bibliografia - l’(inizio dell’)epigrafe sulla tomba di Klee:

Nell’aldiqua non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto alla creazione ma ancora non abbastanza vicino.

Quella di Flavio Fusi - Berlino nei Balcani. Una storia di Rom -[45] non è solo una “piccola storia[46]”: ma una tragedia dalla cadenza antica, l’atmosfera di una classicità greca; “gremita di personaggi disperati, nella desolazione dei paesaggi”[47]. La scenografia è data da “quella terra di nessuno di colline brulle e avvelenate che sta intorno a Mitrovica: la piccola Berlino del Kosovo, disputata tra serbi e albanesi”. Protagonista, forse, di questa tragedia - anche se è difficile, in questo contesto, effettuare una “scelta” - è un personaggio assente: una ragazzina morta, che si chiamava Gienita Mehemeti, e si trova “ ‘nel piccolo cimitero di Mitrovica, poche lapidi arrampicate tra rovi e rifiuti su un costone all’ingresso del paese’; l’unico luogo che i Rom kosovari possono spartirsi con serbi e albanesi”. Un personaggio che si vede agire è invece l’americano Paul Polanski, “il responsabile della Kosovo Roma Refugee Foundation”[48]. Fusi, tra l’altro, ne cita “piccoli libri, poesie, pensieri in forma di brevi filastrocche”; come:

I Rom nel nostro campo / amano farsi fotografare. Madri con i figli / uomini con i fratelli. Bambini con altri bambini / tutti vogliono una foto. Per vedere da soli / che sono ancora vivi.

Chiara Nencioni - Assaggi filologici: λιμός e λοιμός. Una analisi del rapporto linguistico-concettuale tra i termini ’carestia’ e ‘peste’ nella letteratura greca -[49] ha compiuto una consistente rassegna sulle ricorrenze di ‘carestia’ e ‘peste’ in testi greci dall’VIII secolo a. C. al XIV d. C., con una “particolare attenzione alle opere più antiche, fino al II sec. d. C.”.

La vicinanza tra peste e carestia è assai presente nella letteratura greca, a livello terminologico - per la “forte affinità fonica dovuta alla comune etimologia” - ma anche semantico - appartenendo a “quella serie di catastrofi particolarmente temute dagli antichi (…)”; viste come “mali inviati dagli dei contro gli uomini” per loro colpe: (…) “in contesti mitici o magico religiosi, tanto pagani quanto ebraici e cristiani, spesso in associazione ad altre sciagure di tipo bellico o fisico-meteorologico (…)” (…) -[50].

E’ la peste che sembra seguire la fame, nella letteratura greca come latina; se ne trovano tentativi di spiegazioni “scientifiche”[51], come nello scrittore romano Curzio Rufo[52]. Ma si dà anche l’opposto, per cui è la peste a provocare la carestia, come negli storici Dionigi di Alicarnasso e Giuseppe Flavio: greco il primo; romano-ebraico il secondo: ma che scrisse le sue opere ugualmente in greco. Tuttavia “la spiegazione ‘scientifica’ più chiara del perché la carestia sia spesso conseguenza della peste la troviamo all’interno della letteratura latina, in Livio”[53]. In Appiano, peraltro, “peste e carestia sono viste l’una come conseguenza dell’altra, in una sorta di circolo vizioso”[54].

Prima di concludere, vorrei tornare brevemente su Luciana Fortina; su quella “universalizzabilità” di sue tematiche “private” a cui ho accennato[55], e che ha sostanzialmente fatto nascere il presente “florilegio”. Vorrei farlo, tuttavia, non utilizzando ancora aspetti “culturali”: quanto “personali” di Luciana; come delle “rifiniture esistenziali”, che sono tuttavia altrettante “fonti” di questo volume. E mi servirò, per questo, di “spunti espressivi” tratti dalla Nota biografica[56]. Dunque - “a spizzico”[57] -: Luciana “(h)a sempre saputo farsi rispettare e ascoltare (…). La sua voglia di coinvolgere gli allievi la portava spesso ad ampliare i programmi ministeriali, proseguendoli fino alla contemporaneità, (…) e verso tutte le forme di arte”. “(S)pesso le sue classi assistevano a varie rappresentazioni teatrali, soprattutto se era in scena un’opera di Pirandello; autore che (…) amava moltissimo. Luciana ha infatti partecipato per molti anni ai convegni pirandelliani ad Agrigento, e tenuto conferenze su questo autore”. “Almeno una volta all’anno andava a Parigi, che considerava la sua seconda casa; e qui amava girare per i mercatini sperando di trovare un disco o un ‘filmato’ inedito del suo cantautore preferito: Jacques Brel”. “L’amore per la cultura l’ha fortemente inserita nella vita reale; l’ha sempre portata a impegnarsi nel sociale, soprattutto in difesa delle donne; e nella lotta politica: senza mai perdere quella passione e coerenza che la conduceva a battersi per quella che lei considerava la vera sinistra”. “La cosa che più di ogni altra mi ha affascinato di Luciana però è la sua umanità, la sua apertura verso gli altri; e come persone tra loro diversissime (allievi, colleghi, intellettuali, vicini di casa, compagni di partito, medici curanti) diventassero poi suoi amici per sempre”.

Marina di Grosseto, ottobre 2013

Pubblicato anche, in una stesura leggermente diversa, nella rivista elettronica “Odissea” (www.libertariam.blogspot.it)





Ave Gioia Buoninconti[58]
CUIUS COMMODA EIUS ET INCOMMODA.
APPUNTI PER UNA REVISIONE DEL SISTEMA IN MATERIA AMBIENTALE - PROFILI DI RESPONSABILITA’ PENALE

Ho avuto il privilegio di conoscere Luciana Fortina soltanto per poche ore. Il mio collega, Antonello Cincotta, coautore del contributo agli Scritti in ricordo, invece, non l’ha mai conosciuta. Tuttavia entrambi siamo stati affascinati non solo dall’idea di rafforzare la sua memoria attraverso uno scritto, ma anche uniti dalla fortissima volontà di partecipare alla  lotta  “sopravvivenza versus  morte”, in un percorso ascendente che dalla tomba conduce agli ideali. L’evocazione è evidentemente foscoliana.
Il ricordo di chi non c’è più vorrebbe essere aere perennius, secondo la nota espressione oraziana[59], sebbene il poeta riconosca solo alla poesia il potere di conferire l’immortalità.  Il mio collega e io avremmo voluto, allora,  essere dei poeti e non modesti artigiani del diritto per ricordare Luciana. Abbiamo voluto, però, ugualmente “reificare” in un manufatto il nostro ricordo.  Di certo, al di fuori del campo artistico, la capacità del ricordo di essere espresso si riduce fortemente: e lo studioso del diritto con la sua arte come può perpetuare una memoria, aldilà del meramente evocativo? Tantopiù, in una materia come quella del diritto, estremamente contingente, e legata a filo doppio con il sociale; ancora più, nel caso di un ambito giuridico settoriale e specialistico. Quindi, perpetuare la memoria con il diritto è estremamente arduo se non addirittura una vera e propria contraddictio in terminis.
E’ maturata così la nostra scelta di parlare di ‘ambiente’. Il tema è di certo cronologicamente trasversale e rappresenta una costante, un perpetuum della storia della vita dell’uomo. Basta pensare, icasticamente, alla Genesi, o a nuove e antiche forme di sfruttamento e di offesa alla natura[60]; sebbene la percezione di esso nei termini attuali è “interamente figlia dell’età postmoderna e della fine della fiducia nella crescita economica illimitata come panacea dei difetti del mondo”[61]. Secondo il carme foscoliano, “a egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti”. Così, l’ambiente del quale si vuol trattare non è solo quello delle risorse - limitate - che condizionano l’umana “sopravvivenza”: ma è l’ambiente come sinonimo di vita. E’ il complesso di condizioni favorevoli, tanto biologiche quanto “esistenziali”, per “viversi” e “trasmettersi” la vita. 
‘Ambiente’, però, può significare anche morte: è l’ambiente, in sé, ostile, evocante una sorta di natura-matrigna che è diventata ancora più ostile e infida per l’impoverimento da sovrasfuttamento delle risorse, o per l’inquinamento da sovrapproduzione. Si impone perciò la necessità di conseguirne la “sostenibilità” applicando norme che hanno in comune una elementare quanto costante regola d’oro. Come affermava Giannini, poiché l’opera dell’uomo è continua creazione e continua distruzione[62], è assolutamente necessario riaffermare con forza quel principio di responsabilità risalente, e tuttavia sempre attuale, del cuius commoda eius et incommoda - che dà il titolo al nostro contributo -, versione probabilmente interpolata e volgarizzata rispetto al principio di Paolo L. (10 dig de reg. iur, 50, 17), che, nell’espressione originaria poneva lapidariamente l’accento sulla conformità all’ordine “naturale” delle cose: secundum naturam est commoda cuiusque sequi quem secuntur incommoda. Questo principio, applicato al nostro argomento, sta a significare che a ogni attività dell’uomo, costruttiva e distruttiva - come sopra richiamato - sia egli semplice cittadino o a capo di una impresa, corrispondono conseguenze delle quali deve farsi carico; e non certo come sola e mera monetizzazione della responsabilità (chi inquina paga). L’ottica preventiva e ad ampio respiro, esprime la necessità di un approccio totalizzante, che deve dunque farsi carico delle conseguenze dell’agire sull’ambiente; tanto in senso temporale, coinvolgendo le generazioni future, quanto in senso spaziale, vista appunto la sua portata globale.  Insomma, il senso non può che essere quello dell’etica ambientale, nuova frontiera del pensiero morale contemporaneo.
Propositivamente: in considerazione che l’ambiente è senzaltro un bene di livello costituzionale, ancorpiù all’indomani della modifica del Titolo V della Costituzione, e segnatamente con l’introduzione dell’art. 117 Cost., II co., lett. s) - che, esplicitamente e per la prima volta, introduce in Costituzione il termine “ambiente” -, si rende imprescindibile - proprio per la collocazione - la sua traduzione in “azione”[63]. “Azione” che auspicabilmente dovrebbe interessare in primo luogo l’apparato statale. Per il nostro Paese, che rappresenta un esempio unico al mondo di ambiente-paesaggio-museo-a-cielo-aperto, la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo di cui al predetto art. 117 Cost., devono di necessità procedere in maniera assolutamente sincrona e organica. Il primo passo per la concretizzazione - che ormai dovrebbe rappresentare una consapevolezza largamente condivisa - sarebbe quello di riunire in un unico dicastero le competenze degli attuali ministeri dell'Ambiente, dei Beni culturali e delle Infrastrutture e trasporti, coordinando le rispettive politiche con il ministero degli Affari regionali, il turismo e lo sport e il ministero dello Sviluppo economico. Detto “riordino”, oltre a rispondere a una migliore efficacia ed efficienza dell’azione, potrebbe riservare inoltre dei risvolti positivi in termini generali di economicità, tanto di contenimento che di razionalizzazione dei costi della macchina statale.
Dovrà cambiar pelle anche la tutela che l’ambiente riceve dal diritto penale, emancipandosi dall’impronta essenzialmente bagatellare-amministrativa di norme strutturate essenzialmente come norme “di chiusura” a favore di una tutela di extrema ratio, effettivamente punitiva di condotte offensive dell’ambiente. Di conseguenza la pena dovrebbe tornare a svolgere le funzioni che dovrebbero esserle proprie: e inoltre, per limitare il vulnus all’ambiente, potrebbero essere favorite condotte resipiscenti di rimessione in pristino[64]. Ugualmente, un potente strumento di lotta alla criminalità potrebbe essere rappresentato dall’istituto della responsabilità amministrativa degli enti da reato (introdotta dal D.Lvo n. 231/2001), previa revisione dell’attuale nucleo dei reati-presupposto a favore di un altro  ma con reati di maggiore profilo offensivo - anche se magari meno nutrito.
Ed ecco che noi così, attraverso un breve scritto di diritto su un tema emblematico,  abbiamo inteso contribuire a perpetuare la memoria di Luciana Fortina; nella struggente, e nel contempo dolce consapevolezza che  “(n)on vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de’ suoi?”



 Stefania Pietrini[65]
L’UNIVERSITA’ DI SIENA: UN LIBRO PER LUCIANA[66]

Desidero anzitutto spiegare la mia presenza a questo incontro. Quando l’iniziativa di scrivere un libro in memoria di Luciana Fortina ha mosso i suoi primi passi, io ero presidente del Comitato per la didattica del corso di laurea in Giurisprudenza presso la sede di Grosseto: in queste aule di via Ginori si svolgevano le nostre lezioni, e ancora si tengono i nostri esami.
Oggi tale Comitato non esiste più, essendo ormai stato disattivato quel corso di laurea; e tuttavia la mia partecipazione è rimasta nel programma di questa giornata: sono qui dunque a rappresentare l’istituzione Università di Siena cui appartengo. E l’Università è qui oggi presente per un duplice motivo: un docente senese è il primo curatore del libro, e docenti dell’università di Siena sono anche due degli autori dei contributi che lo compongono. In secondo luogo, la pubblicazione del volume è stata finanziata con fondi di ricerca dell’Università di Siena.
Il mio saluto a tutti voi potrebbe terminare qui, col compiacermi sinceramente di questo bel progetto: infatti, ho conosciuto appena Luciana. L’incontro è avvenuto in occasione di una delle splendide cene organizzate da Giovanna nel giardino della casa di Marina, e l’impressione è stata quella di una stupenda persona. Di lei, peraltro, ho sentito parlare molte volte da Gianni: non so se, come fa con tutti noi suoi amici, anche in quelle circostanze egli ha abbondato nelle lodi di Luciana: gli amici di Gianni, stando a sentire lui, sono tutti dei grandi ‘scienziati’; molto belle sono state le parole che egli ha pronunciato sulla figura di Luciana in Consiglio di Dipartimento in occasione dell’approvazione del contratto di edizione del libro.
Ebbene quei racconti, quelle parole mi hanno davvero colpito. Io sono una storica del diritto e dunque ho una frequentazione più o meno quotidiana con le fonti antiche. Ecco che vorrei condividere con voi forse nulla più che una suggestione che mi ha suscitato la lettura di una delle Variae di Cassiodoro Senatore; si tratta di una epistola (dell’anno 533) che mi è capitato di leggere nei giorni in cui mi si diceva di Luciana.
Scorrendo la descrizione della regina ostrogota Amalasunta, l’impressione è stata quella di sentir raccontare di lei. Nulla più, ripeto, che una suggestione: solo i molti di voi che hanno conosciuto Luciana senzaltro meglio di quanto io l’abbia conosciuta, potranno dire se la mia impressione ha un qualche fondamento. Si tratta di Var. 11.1; il linguaggio è quello cancelleresco del VI secolo; la traduzione è di Lorenzo Viscido:

A ciò si aggiunge, come fosse straordinario diadema, un’inestimabile conoscenza delle lettere … Ma pur godendo di tanta perfezione linguistica, ella è così tacita quando agisce pubblicamente da apparire neghittosa … opera in silenzio per gli interessi della comunità. Non si sentono annunciare misure da adottarsi apertamente, e con mirabile condotta lei porta a termine, di nascosto, quel che a suo giudizio dev’essere fatto senza perdere tempo … se volessimo entrare negli atri della sua pietà, a mala pena potrebbero bastarci “cento lingue e cento bocche”; uguali sono in lei giustizia e volontà ... Diciamo dunque piccole cose circa i suoi grandi meriti, poche cose per quel che riguarda i suoi moltissimi pregi … Che dire, or dunque, della sua fermezza d’animo, che ha superato quella di celeberrimi filosofi? Dalla [sua] bocca, vengono fuori parole benefiche e promesse in cui si ha fiducia.

Questo è il mio piccolo omaggio a Luciana.

(Ricevuto a Marina di Grosseto) 30 luglio 2013



 
Opera di Marina Previtali


Gioi Franco Pinna[67]
INTRODUZIONE ALLA FIGURA DI LUCIANA FORTINA[68]

Non penso vi siano parole sufficienti per Luciana. Non è un modo di dire o una convenzione (…). Ben consapevole di come lei non avrebbe voluto alcun clamore, alcuna cerimonia, sento di avere il dovere di usare con assoluta misura le parole: certo che, almeno di questo, mi sarebbe grata.
            Era solita dire [che] c’è troppa gente che scrive e poca che legge; io aggiungo [che] c’è troppa gente che parla e troppo poca che ascolta. È un monito severo e insieme [una] testimonianza principe di un carattere di assoluta riservatezza. Sentimenti tanto profondi, quanto contenuti nella loro esternazione; spesso celati dietro una maschera di un’ironia e di un’autoironia, che non di rado spiazzava l’interlocutore; disegnando di se stessa quella Luciana che lei in quel momento voleva fosse. Lo spaesamento dell’interlocutore, specie se occasionale, era una inevitabile quanto ricercata acquisizione di approccio.
            Avere la sua amicizia era insieme un privilegio e una micidiale responsabilità: quella di non dover mai tradire le sue aspettative, che (…) non erano mai omologanti, o omologabili alla mediocrità qualunquista dei nostri giorni; al contrario, rispondevano a una visione netta della verità, che non si nascondeva dietro al terrorismo di tanta italica borghesia (?), ma si rigenerava nella coerenza di un pensiero, di una decisione; (≠) la capacità di assumersi il peso delle proprie responsabilità, e talvolta anche il lusso un po’ bohémien di épater le bourgeois.
            “Hai impegni stasera?” “No, non ne ho.” “… quasi una tua coetanea. Mi farebbe molto piacere che tu la conoscessi. Verresti a cena con noi?” Solo qualche decina di giorni dopo, mi accolse, suo ospite, a Pian del Ballo. Poi[69], non ci siamo più lasciati.
            Carattere certamente spigoloso, si nutriva di una dimensione storica che le ha permesso di vivere ogni attimo della sua vita come [fossero] (…) anni (?)[70], in cui solo uno spirito forte e caparbio come il suo può resistere (?); di godere e di far godere la sua prorompente vitalità alla famiglia e agli amici; di cui aveva cura e premura, senza, per questo, mai venir meno al suo spirito di indipendenza.
            Molteplici i suoi interessi. Nel suo ruolo di docente ha saputo coniugare il rigore di un approccio sempre filologicamente identificato, con il più complesso ruolo di educatrice schietta (…); [la cui] capacità di ascolto (…) ha lasciato, della professoressa Fortina, non solo il ricordo ma la testimonianza del modo di essere che l’allievo riconosce al suo maestro. Prova ne è la moltitudine di ex-allievi che hanno popolato negli anni la sua casa, l’hanno seguita nei viaggi e negli interessi. Ora, fanno parte di quella sorta di famiglia di elezione che continua a frequentare Rino e gli amici comuni.
            Testimonianza della poliedricità di Luciana è la sua iniziale attenzione al giornalismo; poi sopita proprio da un conformismo clientelare che finiva per premiare i più docili, i più disposti a accettare di attaccare il carro dove vuole il padrone (?). È facilmente intuibile come esso (?) non fosse certamente un ruolo al quale si sarebbe piegata Luciana; e quindi, con assoluta coerenza, lasciò cadere tutto per rifugiarsi in quella che - penso - sia stata la sua più intima e coinvolgente delle passioni culturali a tutto tondo, il teatro. (In fondo, l’aria che si respira in una scuola, se si hanno particolari sensibilità percettive, è decisamente favorevole alla dinamica trascinante della drammatizzazione.)
            Complice un “personaggio” molto noto, e non solo nell’àmbito di Grosseto, che pure proveniva da una precedente esperienza scolastica - come insegnante prima, come preside poi -, il professor Mario Sermoni, Luciana si immerge in modo diretto e vivo nel mondo del teatro.
            Mario Sermoni aveva sempre coniugato due interessi profondi (?): la scuola, e l’altra sua vera passione, il teatro; al quale era tornato, con grande trasporto, dopo essere andato in pensione. Da attore e regista esperto, aveva formato molti giovani, ottenendo soddisfazioni in tutta la Toscana; e fu dunque naturale che diventasse il maestro di Luciana; l’uomo che la guidò nei suoi passi di attrice, e insieme di attenta indagatrice del mondo del teatro. Prima,  (…) parti amatoriali (?), poi la partecipazione, con la regìa dello stesso Sermoni[71], a una molto caratterizzata versione di Sei personaggi in cerca d’autore di [Luigi] Pirandello.
            Pirandello: un autore amato, indagato, studiato, analizzato [da Luciana Fortina] per pressoché tutta la sua esistenza. Una passione dal drammaturgo siciliano trasmessa proprio nella (?) poliedricità dei suoi personaggi, e nella (?) capacità di fargli rivestire (?)[72] ruoli mai in se stessi conclusi; e di aprirli a una visione multiforme, magmatica, problematica, inquieta; senza verità precostituite.
            Luciana mi ha fatto un regalo bellissimo, venendo a tenere, proprio sul ruolo dell’attore nel teatro di Pirandello, una conferenza agli studenti del liceo che ho diretto fino a un anno fa. Un incontro dove è riuscita a tenere insieme l’emozione (?) di un pubblico di adolescenti e[73] il fascino, a tratti inquietante, certamente non semplice della (…) [drammaturgia] (?)[74] pirandelliana. Ne sono testimonianza gli applausi finali e le numerose domande a lei poste[75]. Sono state (…) ore[76] di scuola vera, una scuola che quando vuole costruire sa bene come farlo, sa bene quali risorse andare a cercare. Basta che l’insegnante si ricordi di saper osservare e ascoltare, di saper essere di guida, di entrare in relazione,  di comunicare e di contestualizzare (…).
            Luciana e la sua incrollabile fede negli ideali. Luciana che - parafrasando le parole di [Francesco] Guccini in Don Chisciotte - sapeva bene che il “ ‘potere’ è l’immondizia della storia degli umani”; così come sapeva di essere un romantico rottame: ma non per questo ha mai smesso di sputare “il cuore in faccia all’ingiustizia, giorno e notte”[77].
            Non si tirava mai indietro: mai davanti alla malattia; mai davanti alla vita: vissuta sempre con pienezza, con un’intensità e una vitalità uniche; fino a poche ore prima che il male finisse con il prendere il sopravvento. Senza mai lamentarsi, senza mai dare un segno del suo cedere (?) (…)[78].
            Grazie, Luciana, grazie della tua lezione; e grazie (…), Rino[79]: per il tuo[80] modo di continuare a vivere cercando di riavere quella piccola, grande famiglia allargata, di cui mi onoro di far parte; quel calore[81] e quella sana capacità dissacratoria; e [per] quell’(…) amore per la vita, che hanno (?) caratterizzato sempre il modo di essere tuo e di Luciana.
           
           
     
Opera di Marina Previtali
      







[1] Del libro, e di Luciana, hanno parlato: Stefania Pietrini, Università di Siena; Sara Pagnini, titolare della casa editrice Pagnini; Gioi Franco Pinna, dirigente scolastico; Gianni Bernardini, Università di Siena; Gioia Buoninconti, Università di Roma La Sapienza; Flavio Fusi, giornalista e saggista; Valerio Fusi, saggista e operatore culturale; Pier Giorgio Londini, direttore U. O. C. Ortopedia e Traumatologia Grosseto. Ha moderato Laura Luzzetti, docente in istituti superiori a Grosseto.
Il volume - che fa parte della Collana di Filosofia e Scienze sociali presso l’editore Pagnini, diretta da Stefano Berni - è stato pubblicato con fondi di ricerca universitaria del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Siena. Il video della presentazione, realizzato da Leonardo Moggi, regista e art director di TVedo.tv, è in YouTube. Vi si può accedere digitando sulla finestra (Google, o altro motore di ricerca): scritti in ricordo di luciana fortina youtube. (O anche solo: luciana fortina youtube.) Altro risultato: segg. steps: www.unisi.it → Biblioteche → Sistema bibliotecario di Ateneo → Sito → Strumenti: SBS, clic → digit.: scritti in ricordo di luciana fortina, e clic su: Vai → sotto - Link (crea) -, clic su: Crea un set per i record collegati = spoglio (dettaglio di ogni contributo). Inoltre (temporaneo): www.unisi.it, clic su: Unisinforma on line (spazio grigio in basso, a ds. inizio prima colonna) → lo spazio dei libri: clic su segnalaz. libro = dati (e indicazioni acquisto, ecc.).
[2] G. B. par lui-měme: intervento Il libro effettuato alla presentazione, e qui rivisto.
[3] Come, sempre a titolo di esempio, è stato fatto nel 2008, presso la Facoltà (ora Dipartimento) di Giurisprudenza dell’Università di Siena, per il Prof. Marco Comporti e il Prof. Emerito Remo Martini; con i volumi appunto, rispettivamente: AA. VV., a cura di Stefano Pagliantini, Enrico Quadri, Domenico Sinesio, Scritti in onore di Marco Comporti, Giuffrè, Milano 2008; e: AA. VV., Studi in onore di Remo Martini, Giuffrè, Milano 2008.
[4] (Un tentativo di) rimozione di una perdita, piuttosto che una (sorta di inizio di) elaborazione del lutto.
[5] Contra, tra gli altri, Armando Torno, citando Émile Cioran, che “ha lasciato una frase in L’inconveniente di essere nati (…): ‘Sui frontoni dei cimiteri si dovrebbe incidere: “Niente è tragico. Tutto è irreale” ‘. Parole inattuali in un mondo che rimuove continuamente l’idea della morte e che considera i cimiteri un problema urbanistico, avendo perduto il senso del sacro”. Armando Torno, L’arte di passeggiare tra i grandi, “Corriere della Sera”, 20 agosto 2013 (corsivo mio. L’occhiello è I personaggi famosi raccontano in un libro i “simboli del ricordo”); recensendo: Valeria Paniccia, Passeggiate nei prati dell’eternità, Mursia, Milano 2013. Alla conclusione: “(i) morti parlano più dei viventi (…). Lo fanno indirettamente, con segni e tracce, ma i loro discorsi si attaccano all’anima. Forse perché nessuno di loro osa contraddire quanto Čechov scrisse in Biancafronte: ‘La morte non vuole gli stupidi’ “. (E contra, foscolianamente, anche  Gioia Buoninconti: se ne veda l’intervento in questa breve raccolta.)
[6] Anche una lettera a “il manifesto” - a proposito delle “esequie di Erich Priebke”, ma senza (che sia ritenuto, in quell’intervento, di) entrarne direttamente nel merito - conferma (almeno crudamente, per un punto di vista che non è il mio) queste mie osservazioni: “(o)ccorre forse ricordare (…) che gli atomi, aggregati nelle strutture proteiche che costituiscono il nostro corpo, sono del tutto indistinguibili da quelli presenti in Natura? Solo la macabra cultura tramandataci da una religione, che fonda il suo consenso sul terrore della morte e su tutti i simboli a essa collegati, ci condiziona a conservare cadaveri in putrefazione, nascondendoli alla vista sotto qualche metro di terra [o dietro a pochi centimetri di marmo e cemento], o esponendoli nei luoghi di culto”. Marco Bertinatti, “il manifesto”, 16 ottobre 2013 (“le lettere”). (Assumo che quanto riportato sia schematizzabile nell’espressione: [aspetti, componenti di] tanatofilia utilitaristica della chiesa cattolica. Non si può escludere che l’orientamento nuovo [almeno] linguistico, verbale e non, di papa Francesco - fino a questo momento, in cui sto scrivendo - sia indicativo, tra l’altro, di strumenti che vadano a incidere - nonostante le esitazioni della chiesa finora - anche su questo carattere non solo [anti]estetico del cattolicesimo. [Se non altro incentivando, nel modo più esplicito, appunto le cremazioni.])
[7] Cfr. - in: AA. VV., a cura di Gianni Bernardini, Alessandra Borghi, Veronica Fanciulli, Giovanna Luzzetti, Scritti in ricordo di Luciana Fortina, Pagnini, Firenze 2013 (d’ora in avanti,  a meno che vi sia una diversa specificazione, le indicazioni delle pp. si riferiranno a questo volume) - lo studio di: Stefano Berni, Jacopo Berti, Origini, genealogia e antropologia della cultura familistica italiana, pp. 29-43, specialm. pp. 33-4 pass.
[8] Pp. 7-23.
[9] Di Alessandra Borghi. Precisamente: Luciana Fortina. Nota biografica, pp. 25-8.
[10] P. 121.
[11] P. 111.
[12] Ronald Dworkin, I diritti presi sul serio, 1982. (Taking Rights Seriously, 1977.)
[13] Pp. 9 ss.
[14] P. 12.
[15] P. 13. Cfr.: AA. VV., Saggi in ricordo di Aristide Tanzi, Giuffrè, Milano 2009. Tra virgolette, Mario Jori nella Presentazione.
[16] Pp. 12-3 - per gli autori di questi e altri saggi del libro dedicato a Tanzi -.
[17] Come quella del suo ultimo intervento pubblico: La dimensione dell’attore nel teatro pirandelliano. Pp. 25-6.
[18] Pp. 9-13.
[19] Ibid.
[20] V. anche  note 12 e 13 e riferimenti testuali.
[21] Gli ultimi tre sintagmi tra virgolette si trovano in questo scritto Le città del silenzio e il florilegio, non nell’intervento originale.
[22] Pp. 9-13.
                Vi sono, peraltro, antologie, per dire così, dall’impianto del tutto “libero”: in modo che i saggi che le compongono - a differenza anche del presente volume - non tendono “premeditatamente” a apparire in nessun modo correlati tra loro; seguendo le raccolte altri criteri - tuttavia avendo, ovviamente, questi tipi di readings pieno diritto di cittadinanza -. E’ il caso - recentemente, per tutti - di: Tiziana Andina (ed.), Filosofia contemporanea. Uno sguardo globale, Carocci, Roma 2013. Si tratta della “raccolta di saggi di giovani brillanti studiosi che hanno già offerto contributi di prestigio internazionale, ma condannati in Italia alla precarietà o all’emigrazione”. Mario De Caro, Così si rinnova il pensiero (l’occhiello è Giovani filosofi italiani), “Il Sole 24 Ore – Domenica”, 27 gennaio 2013. Una cosa completamente diversa, quindi - per scomodare, p. es., “classiche” sillogi di filosofia del diritto -, da: Uberto Scarpelli (ed.), Diritto e analisi del linguaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1976 - dove gli scritti potrebbero anche, a prima vista, apparire eterogenei: ma il contesto, comunque, li “unifica” -; o da: Riccardo Guastini (ed.), Problemi di teoria del diritto, il Mulino, Bologna 1980 - campo unificante, ancora (comunque la si chiami) la filosofia del diritto -. Invece Filosofia contemporanea è costituita da saggi, appunto, “scelti in libertà” (detto con non più che una nuance ossimorica), “dall’esterno” - quindi palesemente senza individuazione e esplicitazione di riferimenti a possibili motivazioni interne ai testi, né “metodologiche”, tali da spiegarne la giustapposizione -; studi di filosofia senza complementi di specificazione: il cui unico “legame” è dato, in ultima analisi, solo dalla precaria situazione personale degli autori.
[23] V. nota 7.
[24] Pp. 121-37.
[25] “L’espressione ‘favorire l’infrazione’, molto diffusa a Napoli, che si usa quando qualcuno o molti  guidano contromano, vuol dire (…): visto che la maggioranza guida contromano, tanto vale lasciarli passare altrimenti si blocca definitivamente il traffico e nessuno passerà più. (…) Lungi dall’essere un comportamento esclusivamente napoletano, quello di ‘favorire l’infrazione’ si è diffuso in tutto il territorio italiano”. Gabriella Turnaturi, Vergogna. Metamorfosi di un’emozione, Feltrinelli, Milano 2012, pp. 68 ss.
[26] Pp. 95-8, e 99-110.
[27] V. nota 8.
[28] Il corsivo in questo Le città del silenzio e il florilegio.
[29] Corsivi, come i successivi, nella Premessa.
[30] “Infine, brevemente, con un notevole salto di livello, va ricordato come anche in Italia le esistenti figure di reati di maltrattamenti a animali non sono state depenalizzate, e le sanzioni, anzi, inasprite (anche se questo, con i numerosi casi, tra gli altri, di torture e soppressioni sistematiche, ancora legali, di animali, non ha certo potuto soddisfare le associazioni animaliste e tutti coloro che ne hanno a cuore la salute)”.
[31] Corsivo nel testo di Conforti.
[32] Cors. in Le città del silenzio.
[33] Citaz. dalla Premessa.
[34] Rispettivam. pp. 45-74, 139-48, 167-83.
[35] Premessa, p. 16. I corsivi sono nel testo di Buoninconti e Cincotta.
[36] Pp. 48 ss.
[37] V. note 27-30 e riferimenti testuali.
[38] Pp. 16-7.
[39] Pp. 17-8 (corsivo mio).
[40] Al centro di insurrezioni che si conclusero in entrambi i casi “con l’assoluzione degli imputati”; dalle “vicende processuali” notevoli per la “valenza simbolica che hanno avuto nella nascita del movimento operaio italiano”. Pp. 173 ss.
[41] “(I)ntesa come fondamento dell’ordine liberale”. Pp. 176-9.
[42] Era questo “il grido dell’anarchia”. P. 179.
[43] Pp. 75-94.
[44] Premessa, p. 21. V. anche la Nota biografica.
[45] Pp. 111-20.
[46] “(U)na piccola storia di vittime dimenticate”.
[47] Premessa, pp. 21 pass.
[48] “Un sessantenne massiccio e deciso, barba brizzolata e modi spicci, che da anni si muove tra Kosovo, Serbia e Macedonia, a bordo di un vecchio camper che è casa, ufficio, e laboratorio”. P. 112. La citaz. successiva è dalla p. 120.
[49] Pp. 149-65.
[50] Premessa, pp. 22-3 (ovviamente i brani  riportati sono, come sempre, tra virgolette).
[51] Pp. 161 ss. Le virgolette sono dell’autrice.
[52] Nella Historia Alexandri Magni.
[53] Pp. 161-4.
[54] P. 165. “(N)arrando le disastrose  condizioni in cui versa l’esercito di Mitridate nel 73 a. C. (…), lo storico afferma: (…) ‘gli altri [sic] si ammalavano mangiando erba. E i morti, gettati senza sepoltura gli uni sugli altri, aggiunsero una pestilenza alla carestia’ ”.
[55] V. supra, nota 20, e riferimento testuale.
[56] V. n. 9.
[57] Si ricordi, di Karl Popper, questa terminologia appunto usata a proposito della sua “tecnologia a spizzico”.
[58] Intervento rivisto e corredato di note.
[59] Hor. III, 30.
[60] In argomento, in chiave storica, v.: Luigi Labruna, Note minime sui danni all’ecosistema nell’esperienza romana (in corso di pubblicazione).
[61] Labruna,  Note minime cit., p. 1 dattiloscritto.
[62] Massimo Severo Giannini, Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. trim. dir. pub., 1971, 1122.
[63]  La prospettiva è chiaramente evolutiva: da un’interpretazione estensiva del paesaggio (art 9, II co., Cost.) che ha consentito di qualificare l’ambiente come “valore costituzionale” (più ampiamente in termini v.: Marco Betzu, sub Art. 9 Cost., in: Sergio Bartole - Roberto Bin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 76), al riconoscimento di un’ ”azione” corrispondente - tanto in senso giurisdizionale che in senso amministrativo (in generale sul rapporto tra riconoscimento del “diritto” e “azione” v.: Filippo Patroni Griffi, Tutela nazionale e tutela ultranazionale delle situazioni soggettive nei confronti dei pubblici poteri, in http//www.federalismi.it ,  3 e ss.) -; sempre in questa direzione è di grande rilevanza l’introduzione dell’ambiente all’interno del Titolo V della Costituzione, Titolo che, oltretutto, per la prima volta richiama esplicitamente alla dimensione comunitaria. Cosicché, in un contesto nel quale la sovranità è sempre più erosa dalla sovranazionalità o relativizzata dalla globalizzazione, si atteggia diversamente ed in maniera del tutto nuova quel risalente binomio libertà del singolo-autorità dello Stato, binomio che oggi deve confrontarsi con la realtà di istituzioni multilevel e con un bene sempre più “comune” come l’ambiente.
[64] L’idea è quella del vigente art. 181, 1-quinquies, del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio: “La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1”.
[65] Prof.ssa associata di Storia del diritto romano e di Diritto penale romano all’Università di Siena. [N. d. C.]
[66] Intervento (senza titolo) effettuato alla presentazione di Scritti in ricordo di Luciana Fortina, Università di Siena a Grosseto, 5 luglio 2013. [N. d. C.]
[67] Dirigente scolastico Liceo Linguistico Chini di Lido di Camaiore (fino al 2012). [N. d. C.; come le successive in cui, per non appesantire, non appare più questa specificazione.]
[68] Contributo trascritto direttamente dal video della comunicazione orale effettuata alla presentazione del libro, senza correzioni dell’autore. Sono qui  segnalati: dubbi: (?); inserimenti (effettuati anche in passi  non chiari): [ ]; lacune (non solo di una, ma anche più parole di seguito): (…); (presunti) “salti”: (≠). Tuttavia, è ugualmente possibile che la presente trascrizione non corrisponda con assoluta precisione all’intervento svolto.
Ovviamente, la punteggiatura e gli ‘a capo’ sono stati desunti dalla stessa esposizione orale. Sono state inoltre tolte le ‘d’ eufoniche; e rese alcune parole in corsivo; come altre sono state inserite tra parentesi (che sono sempre un “segno” di punteggiatura); e tra virgolette. Nelle note si trovano, poi, altre integrazioni e chiarimenti. Da avvertire, infine, che alcune “ricostruzioni” del testo (interpolazioni, omissioni, cambiamenti, ecc.) non sempre sono state segnalate.
[69] Nel discorso: “(e) poi”.
[70] La relazione, qui, è stata così ricomposta perché scorresse in qualche modo: ma il testo orale è probabilmente piuttosto diverso.
[71] Testo: “con la regia di Mario Sermoni”.
[72] Testo: “(u)na passione che il drammaturgo siciliano ritrasmetteva (?) proprio nella (?) poliedricità dei suoi personaggi, e nella (?) capacità di fare rivestire (?) loro ruoli mai in se stessi conclusi”.
[73] Testo: “con”.
[74] Il termine è stato escogitato appositamente per questa trascrizione: apparendo la pronuncia di quello orale, pure nella sua incomprensibilità, assai diversa.
[75] Il testo orale dell’intervento ha (almeno) una costruzione leggermente diversa.
[76] Oralmente, con ogni probabilità: “tre ore”.
[77] Il riferimento di Gioi Pinna, come si sarà riconosciuto, è al pezzo di: Francesco Guccini, Don Chisciotte, dal disco Stagioni, 2000. In altra versione si trova, tuttavia: “anche se siamo soltanto / due romantici rottami [questa  parte è cantata insieme dallo stesso Don Chisciotte (Guccini) e da Sancho Panza (interpretato da Juan Carlos Biondini)] / sputeremo ancora in faccia / all’ingiustizia giorno e notte” (l’avverbio in corsivo, qui, per evidenziarne appunto, la sostituzione di “il cuore”).
[78] Nel testo orale, forse: “senza mai dare un segno del suo cedere; non certo per il dolore”. (Ma anche questa ipotesi non appare soddisfacente.)
[79] Testo: “a Rino”; e anziché “per il” - come qui riportato -: “al suo modo” (qui, appunto: “per il tuo”; v. nota seg.).
[80] Testo: “suo”; ma si è apportata questa modifica per  renderlo in qualche modo sintatticamente coerente con quanto segue.
[81] L’esposizione orale, a differenza di questa trascrizione, non sembra fare avvertire interpunzioni.



La filosofia salverà il Mondo? 
Le foto sono di Livia Corona
Gli aforismi di Laura Margherita Volante                              


Milano- RipaTicinese (foto liviaci)
Il poeta-filosofo itinerante Aldo Monticelli
e la sua 'folle' idea di salvare il Mondo

LE PULCI
Laura Margherita Volante

Onestà
“Come va?”
“A testa alta”.

        *
 Piani alti: infelici, inquieti
e fuori come i coppi…

            *
I conti non quadrano e i politici
fanno quadrato intorno ai privilegi
degli incompetenti.

             *
 I soldi fanno andare anche l’acqua in su,
ma spesso si trasforma in tempesta.

             *
Gallina vecchia fa buon brodo
col vantaggio che non lascia peli
fra i denti.

               *
Plusvalore
Oggi la vita di un cane
vale più di una da cane;
se hai un cane la gente
si ferma a parlarti.


















Milano, via De Amicis  
Ti porto il girasole impazzito di luce!

                *
Chi non può più mordere lecca.

               *
La cecità è la serratura dei cuori chiusi.

               *
Meglio combattere contro i mulini a vento
che contro i propri mostri.        

               *
La bontà fa paura.

               *

Caldi colori dell'autunno
Milano - Parco delle Basiliche

                    *
Molte teste sono piene di bagarozzi.

                     *
Non governo dalle larghe intese,
ma dalle storie tese…
Quando si tira troppo la corda,
le vite si spezzano.



A volte accade che un passato non ci appartenga
da persone libere, ma marchiato a fuoco da un periodo
di schiavitù.
                                
                                  *

 


                                               







                                               

                                                                    



 



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