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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
sabato 30 novembre 2024
IL TEMPO DELLA BULIMIA
Lobbies e gruppi che organizzano il commercio: prenotare, scegliere, fare contratti, comprare e vendere. Questi sono i soli verbi che si possono usare. E le ‘libere’ donne, spesso per necessità economica o d’altro tipo, sono vittime di questa speculazione preparata dagli uomini per i loro business.
Ci può aiutare come
donne, ma ci può anche distruggere. Tenere insieme Natura e Cultura, e non dimenticare il nostro Cuore, la
nostra Essenza. Questa è la nostra sfida come Donne. Saremo all’altezza del
compito o svenderemo noi stesse e le nostre creature? Sono sicura che nessuna donna lo vuole
o lo desidera. Ritengo che una società di donne e uomini veramente
democratici non possa accettare la negazione della dignità della donna, né
quella della imprescindibilità ed unicità della relazione madre-creatura. Nella
riduzione delle creature in beni da prenotare scegliere comprare, e delle donne
in contenitore, c’è la conferma di un
patriarcato più che mai presente con la sua arroganza, la sua misoginia, il
disprezzo del corpo della donna. C’è tutta una mentalità maschilista, dietro
cui si nasconde un’idea utilitaristica della vita, una cultura mercantile che
riduce tutto a merce. Una filosofia che viene da lontano, non a caso da quei
paesi che sono stati e sono ancora oggi imperialisti e colonialisti e hanno
sempre combattuto contro l’Umanesimo del Pensiero e della filosofia mediterranea.
Per questi paesi imperialisti non ci sono e non ci devono essere limiti ai loro
business, ai loro commerci, e questa è la loro nuova frontiera, è il colonialismo dei corpi. Intravedo
in tutto questo un ‘sentimento fascista’
che, come avvertiva Simone Weil, può camuffarsi annidarsi e nascondersi
dappertutto, ma che va “scoperto e
contrastato, nel singolo e nelle società, in noi e fuori di noi, sviluppando a
tutti i livelli un pensiero critico”. Mi auguro che ciò possa
avvenire.
venerdì 29 novembre 2024
SCIOPERO GENERALE E RECUPERO DI SENSO
di
Franco Astengo
Oggi
sciopero generale: fatto non usuale attraverso cui CGIL e UIL stanno tentando
non solo di porre al centro le questioni salariali, sociali, della prospettiva
industriale (come recita la piattaforma di convocazione della giornata) ma
anche un recupero di senso del loro essere soggetto di un fronte di lotta e di
prospettiva del cambiamento. Il sindacato confederale da molto tempo non riesce
ad esercitare una funzione effettiva di orientamento di massa, appunto di
"recupero di senso" della propria azione e della propria presenza in
una dimensione che è apparsa di visione sempre più ridotta nella fase
dell'immediata post-globalizzazione e dello scivolamento del Paese nella
retorica dell'antipolitica e della destra populista. Adesso si sta tentando di
invertire la rotta (CGIL e UIL si stanno trovando a fianco i sindacati di base
e non la CISL ormai palesemente tornata nell'alveo anni'50 del sindacato
governativo, magari matrice come fu allora di qualche sindacato
"giallo"): non sarà facile ma potrebbe trattarsi della strada giusta.
Ovviamente il quadro degli anni'70 non esiste più: mancano le grandi
concentrazioni industriali manifatturiere, la proprietà è lontana e impalpabile
mentre impazza una finanziarizzazione senza volto, il quadro internazionale
sfugge a una possibile individuazione di "terreno di scontro", lo
Stato - Nazione non funziona più da regolatore dello scambio sociale, la
società è parcellizzata percorsa dall'individualismo competitivo, in un
evidente declino dell'Occidente si sono evidenziate disuguaglianze incolmabili
nei cui interstizi si stanno infilando conflitti di cui in sostanza ignoriamo
la natura, quello che un tempo definivamo "lavoro vivo" emerso dalla
due rivoluzioni industriali adesso è minacciato dall'innovazione tecnologica e
le giovani generazioni se ne allontanano spontaneamente magari sognando
improbabili "ritorni bucolici" e "decrescite felici". Nella
difficoltà di un'Europa sociale e politica che ha perso la centralità dei
"30 gloriosi" e di cui è emblematica la crisi tedesca, Europa in
crisi anche come appendice dell'impero americano (svanito l'abbaglio della fine
della storia che avrebbe dovuto seguire la caduta del Muro di Berlino) l'Italia
conta poco, forse nulla: quindi non conta granché neppure lo sciopero generale
di oggi. Si tratta però di un segnale, oltre che di un passaggio di
riaggregazione sociale di una certa importanza: un segnale perché sembra non
trattarsi di un momento di raccolta su basi meramente corporative (come accade
in altri Paesi) ma misurato nel solco di una rimodulazione di presenza e di
orientamento. Ci troviamo nel piccolo di una dimensione ormai provinciale e di
un Paese, l'Italia, in forte difficoltà politica non soltanto perché governata
da una destra incapace di muovere un solo passo anche in direzione non gradita
dal nostro punto di vista ma soprattutto la difficoltà dell'Italia risiede
nell'essere percorsa da un forte sentimento di contrarietà all'agire politico e
che tende verso l'assolutizzazione del comando.
Dire
di no con fermezza a questa emergenza appare in questo momento il compito del
sindacato: il rischio vero è quello di un processo di sostituzione del
meccanismo democratico, cioè di un confronto diretto con il potere economico
nel quale viene meno l'intermediazione sociale e politica.
Il
centro-sinistra italiano per un certo periodo ha cullato l'illusione che la
disintermediazione avrebbe portato la governabilità all'altezza della disputa
con il potere dell'economia e della tecnica sciogliendo i "lacci e
lacciuoli" (come invocava Guido Carli qualche decennio or sono): questo
disegno che era il disegno del PD ha causato l'allontanamento sociale e
l'esplosione di un meccanismo di rifiuto della funzione politica. Un rifiuto
che si era fatto partito rotolando poi tra le spire della realtà di palazzo e
causando un trauma che ha spostato l'opinione verso il rifiuto totale o verso
la semplificazione di una destra orrenda nella realtà politica e soprattutto
nell'espressione culturale diffusa. Ecco: nella ricerca di senso da parte del
sindacato che questo sciopero generale comprende non dovrebbe esserci spazio
per una idea di sostituzione della politica e della sua organizzazione più
coerente in partiti. Abbiamo bisogno di tornare alla capacità di rappresentanza
ciascuno per la propria parte.
RISCHIO DI
GUERRA TOTALE
di Maurizio Vezzosi
Dopo oltre
mille giorni di guerra su larga scala per l’Ucraina - e quasi quattromila per
il Donbass - l’intermezzo tra la fine del mandato Biden e l’insediamento dell’amministrazione
Trump assume in crescendo le caratteristiche di una delle fasi più incerte e
più pericolose della storia contemporanea. Il via libera della Casa Bianca all’utilizzo
di missili ATACMS in territorio russo è avvenuto in questa fase con il preciso
intento di mettere nella maggiore difficoltà possibile il successore designato.
Al quadro si aggiungono i nuovi pacchetti di assistenza militare appena
concessi all’Ucraina e gli intenti della Casa Bianca di installare nuovi
missili in Europa centro-orientale in funzione antirussa: intenti destinati a
riportare il continente alla crisi degli Euromissili di metà anni ottanta. La
risposta del Cremlino alle mosse dell’amministrazione di Biden si è sostanziata
nel lancio di un missile balistico sui territori ucraini - condotto per palesare
la vulnerabilità delle difese antiaeree di produzione statunitense - e nella
modifica della dottrina nucleare di riferimento: una modifica con cui si
contempla in modo esplicito il possibile ricorso ad armi nucleari tattiche in
risposta ad attacchi condotti con armi convenzionali. Questo passaggio
contribuisce ad aumentare ulteriormente il rischio di guerra nucleare in
Europa. L’Italia in particolare sarebbe particolarmente esposta ad attacchi
vista la presenza sul territorio nazionale di importanti basi militari statunitensi:
l’Europa - tutta - pagherebbe le maggiori conseguenze di uno scenario senza
precedenti. Occorre avere ben chiaro che il rischio nucleare non è un bluff:
scommettere sul contrario potrebbe contribuire a trascinare l’umanità in una
spirale di distruzione che sarebbe molto difficile interrompere. Già dal
febbraio 2022 risultava chiaro che il tempo giocasse a favore del Cremlino:
oggi questa valutazione trova una facile conferma nella situazione del campo.
Quanto l’Ucraina avrebbe potuto ottenere nei negoziati del 2022 oggi è nient’altro
che un’illusione. Per quanto le narrative sull’Ucraina abbiano subito una
evidente trasformazione negli ultimi tempi - ammettendo l’inevitabilità del
negoziato - le condizioni oggettive non possono essere certo dimenticate: il
vantaggio acquisito potrebbe portare il Cremlino a rifiutare eventuali proposte
di negoziato se queste trascurassero le condizioni sul terreno. Per questa
ragione il possibile congelamento dei combattimenti ed il delinearsi di uno
scenario coreano, non è affatto scontato. A proposito di Corea la presenza di
militari nordcoreani sul fronte di Kursk è ormai un dato di fatto: presenza
destinata a creare ulteriori problemi alle forze ucraine. Per l’esercito di
Pyongyang ed i contingenti di questo inviati sul fronte ucraino si tratta di
una svolta epocale, dal momento che ufficialmente le forze armate della Corea
del nord non partecipano a missioni di combattimento dal 1953. Ma l’importanza
del fatto in sé risulta secondaria riflettendo sul modello di mutua assistenza
militare che Mosca sta testando con la Corea del Nord. Un futuribile meccanismo
analogo potrebbe legare Mosca e Pechino per le reciproche necessità di
carattere militare: per il momento sia Mosca che Pechino hanno interesse a non
vincolarsi reciprocamente con accordi militari stringenti, ma il tempo potrebbe
far mutare questa condizione in modo significativo. Ulteriori sorprese
precedenti all’insediamento di Trump alla Casa Bianca potrebbero essere tutt’altro
che improbabili, ma come già anticipato nei mesi scorsi dall’ex consigliere
presidenziale Aleksander Arestovich, il 2025 potrebbe effettivamente essere l’anno
dell’uscita di scena di Volodymyr Zelensky. Coprire il fallimento dell’oltranzismo
e l’uscita di scena dei suoi protagonisti con il presunto rispetto della
sovranità ucraina potrebbe essere tutto sommato l’opzione meno sconveniente per
affrontare il passaggio tra il prima ed il dopo.
SÌ, È GENOCIDIO
di Amos Goldberg
Sì, è un genocidio. È difficile e
doloroso ammetterlo, ma non possiamo più evitare questa conclusione. La storia
ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino per il “più orribile
dei crimini”, che non potrà essere cancellato. È così che sarà considerata nel
giudizio della Storia per le generazioni a venire. Gli obiettivi militari sono
quasi obiettivi incidentali mentre uccidono civili, e ogni palestinese a Gaza è
un obiettivo da uccidere. Questa è la logica del genocidio. Sì, lo so, quelli
che lo dicono «Sono tutti antisemiti o ebrei che odiano se stessi». Solo noi
israeliani, con la mente alimentata dagli annunci del portavoce dell’IDF ed
esposta solo alle immagini selezionate per noi dai media israeliani, vediamo la
realtà com’è. Come se non ci fosse una letteratura interminabile sui meccanismi
di negazione sociale e culturale delle società che commettono gravi crimini di
guerra. Israele è davvero un caso paradigmatico di tali società. Ciò che sta
accadendo a Gaza è un genocidio perché livello e ritmo di uccisioni
indiscriminate, distruzione, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia,
esecuzioni, cancellazione delle istituzioni culturali e religiose,
disumanizzazione generalizzata dei palestinesi creano un quadro complessivo di
genocidio, di un deliberato e consapevole annientamento dell’esistenza
palestinese a Gaza. La Gaza palestinese come complesso
geografico-politico-culturale-umano non esiste più. Il genocidio è
l’annientamento deliberato di una collettività o di una parte di essa, non di
tutti i suoi individui. Ed è ciò che sta accadendo a Gaza. Il risultato è senza
dubbio un genocidio. Le numerose dichiarazioni di sterminio da parte di alti
funzionari del Governo israeliano e il tono generale di sterminio del discorso
pubblico indicano che questa era anche l’intenzione.
*Professore di
Storia dell’Olocausto al Dipartimento
di Storia Ebraica dell’Università
Ebraica di Gerusalemme
LIBRI
Contro le armi
Gli scritti pacifisti e antimilitaristi di Carlo
Cassola, una delle voci più alte che si siano opposti alla guerra fra gli
intellettuali del Novecento.
Pubblicato per la prima
volta nel 1980 con la piccola casa editrice Ciminiera, Contro le armi è un
appello appassionato e lucidissimo contro la follia della guerra, scritto in un
periodo di conflitti e tensioni internazionali durante il quale Carlo Cassola
era divenuto una delle voci più autorevoli del pacifismo italiano. Questo libro
è un manifesto di speranza e un invito all’azione per tutti coloro che credono
nella pace e nella dignità umana.
Carlo Cassola (Roma 1917 - Montecarlo, Lucca, 1987) è stato uno degli scrittori
più importanti e amati del Novecento italiano. Fra le sue opere più note, Fausto
e Anna (1952), Un cuore arido (1961) e,
soprattutto, La ragazza di Bube (1960).
Editore: Rogas
Collana: Gli
irregolari
Genere: saggistica
Pagine: 168
Prezzo: 15,70 €
Codice EAN: 9791281543164
SCAFFALI
Per la Casa Editrice
“La Scuola di Pitagora” di Napoli debutta Fendinebbia, la Collana dal titolo:
Laboratorio di poesia civile, a cura di Giuseppe Langella. È uscito il primo
volume antologico Sfilata d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari.
Per
scampare a quell’invisibile genocidio di massa i cui sintomi sono lo
stordimento fisico, la catalessi morale e il sonno della ragione, la società
odierna ha più che mai bisogno di modelli di riferimento a cui guardare, da cui
trarre esempio e sprone. Sfilata d’alti modi risponde a
questo bisogno inespresso di modelli, di valori incarnati, offrendo una
carrellata di ritratti esemplari, ciascuno dotato di un suo speciale, prezioso,
carisma. Raccogliendo una simile schiera di testimoni, si può immaginare questa
antologia, col permesso di Dante, come un’edizione aggiornata del castello
degli spiriti magni, trasformatosi frattanto in un più variegato e popoloso
condominio, dove ciascuno, affacciato a una finestra o dal balcone, racconta, quando
è il suo turno, cosa ha fatto nella vita e chiede di essere ascoltato, perché
la sua storia è istruttiva e ha parecchio da insegnarci. Sfilata d’alti
modi vuol essere, insomma, una sorta di alfabeto dei valori su
cui fondare la nostra città dell’uomo. [Giuseppe Langella]
Testi di: Lino Angiuli, Alberto
Bertoni, Stefano Carrai, Davide Chindamo, Tiberio Crivellaro, Claudio Damiani,
Vito Davoli, Eugenio De Signoribus, Roberto Deidier, Tania Di Malta, Elisa
Donzelli, Alessandro Fo, Angelo Gaccione, Antonietta Gnerre, Giuseppe
Grattacaso, Vivian Lamarque, Giuseppe Langella, Gianfranco Lauretano,
Alessandro Magherini, Marco Marangoni, Renato Minore, Massimo Morasso, Nina
Nasilli, Rita Pacilio, Alessandra Paganardi, Gianni Antonio Palumbo, Elio
Pecora, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Paolo Ruffilli, Lidia Sella, Andrea
Temporelli, Ida Travi.
Autori Vari
Sfilata
d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari
Antologia a cura di Giuseppe Langella
La Scuola di Pitagora Editrice
Pagine: 120
€ 14
Anno: 2024
ISBN 979-12-5613-001-6
Formato: 12,5 x 19,5 cm
Collana: Fendinebbia.
Laboratorio di poesia civile
giovedì 28 novembre 2024
LIBRI
di
Gianluca Paciucci
Giancarlo Micheli
Pâris Prassède (Monna Lisa Edizioni, 2023) è un
romanzo anche corporalmente forte, come i romanzi di Volponi (Le mosche del
capitale e altri), esplicito riferimento dell’autore. Un’immaginazione
potente, quella di Giancarlo Micheli. Il titolo ci indica il protagonista,
l’eroe eponimo, il quale attraversa tutta la narrazione con la forza e anche la
prestanza fisica di un personaggio vorticoso in un romanzo vorticosissimo che
si situa sicuramente nell’ambito del romanzo storico, così come è stato
definito dalle riflessioni di György Lukács e Eric Auerbach. Certo, il romanzo
storico, in Italia, è quello che ha introdotto la maggior parte della
popolazione alla letteratura, innanzitutto grazie all’esperienza scolastica: i Promessi
sposi di Manzoni, che alcuni dicono inflitto agli studenti e quindi
fatto non amare. In realtà, in qualche elemento di libera costrizione può
esserci una dose di sanità, perché una persona a modo non andrebbe mai a
leggersi Manzoni da adulto, se non fosse costretto… Con quel minimo di
costrizione, però, si può guadagnare l’accesso a un mondo straordinario, un
mondo robusto, conflittuale, con un narratore onnisciente che conosce i più
intimi pensieri dei suoi personaggi e con un autore che ha fondato, in Italia
almeno, la storia di questo genere letterario, arrivando fino ai nostri giorni.
Giancarlo Micheli |
Nonostante queste origini in grande
della nostra letteratura moderna, ci sono state diverse fasi in cui, da noi e
non solo, le mode editoriali hanno privilegiato una scrittura votata al
frammento, alla prosa d’arte, alle storie minime e minimali, conseguendo a
volte anche risultati di grande bellezza. Dagli anni Novanta del secolo scorso
fino all’inizio del nostro, però, si ricominciò a sentire il bisogno di grandi
narrazioni, di cui la fase post-moderna pareva aver decretato la fine
lasciandoci in mano a un pensiero debole, a un romanzo debole, a una poesia
debole, che non potevano nutrirci e quasi imponevano di rassegnarci ad un
presente senza alternativa, alla fine delle speranze collettive. In particolare
all’inizio di questo secolo abbiamo così avuto una rinascita narrativa (il
romanzo Q del collettivo di scrittura Luther Blissett, uscito proprio
nel 2000, ne è stato un segnale), riemersa dal desiderio di tornare a respirare
in grande, perché - lettori/autori - abbiamo bisogno di questo, di una
grandezza che certo non sia basata sul fanatismo, quanto piuttosto spinta da
alta passione, quella della vicenda degli esseri umani nella storia. E Pâris
Prassède è un romanzo di grande passione, che tratta argomenti importanti,
epocali. Non aspettiamoci dunque microstorie, sebbene alla narrazione di grandi
accadimenti storici l’autore affianchi talora la dimensione dell’aneddoto,
quanto piuttosto il quadro grandioso di una stagione forse irripetibile, almeno
in quei termini di sete di futuro. Il protagonista attraversa una fase della
storia e della geografia umane, dalla metà dell’Ottocento fino ai primi decenni
del Novecento e poi alla data fatidica della Rivoluzione del 1917, che avrebbe
rifondato - o provato a rifondare - il secolo nuovo. Un romanzo storico,
quindi, questo di Micheli, dall’accezione molto personale, in cui i personaggi
appaiono e s’incontrano, surrealisticamente, secondo i riferimenti propri
all’autore, ma s’incontrano in modo oggettivo, poiché una forza unificatrice li
mette l’uno al cospetto dell’altro, non per una cabala delle coincidenze, ma
perché elementi precisi dell’intero flusso della storia umana determinano che
alcune figure vadano a toccarsi e a scontrarsi facendo così scoccare scintille
fragorose. La grande storia e i grandi personaggi - anche nelle loro
piccolezze… - che vivono in lei, dunque, sono materia del romanzo.
Il lettore incontrerà, dapprima, quei sognatori che, nella seconda metà dell’Ottocento, hanno pensato come poter costruire politicamente un mondo nuovo, i fondatori del cosiddetto socialismo utopistico. Il lettore farà quindi esperienza dell’asprezza dello scontro che oppose Proudhon, da un lato, e Marx, dall’altro; per poi apprendere, tra molto altro, anche episodi biografici della famiglia Marx (soprattutto delle sue figlie sognanti e per questo punite nel dolore di esistenze non facili), mai descritti con frivolezza, bensì in modo da illustrare i valori umani dei personaggi proprio in virtù delle loro debolezze e persino delle loro miserie. C’è, nello stile di Micheli, una sorta di poesia dei nomi propri e geografici: se ne gusterà il colore in elenchi. In filigrana a tutta la narrazione, si può leggere il discorso peculiare ad alcuni precursori (ma grandi in sé, non solo perché anticipatori d’altri più maturi, più completi autori), dalle vite radicali e sofferenti, i quali, accanto al sogno di una cosa politica, magari dal fondo di un nero carcere coltivavano visioni cosmiche, come August Blanqui nell’Éternité par les astres (ma quanti rivoluzionari, hanno pensato al cosmo come a un luogo praticabile: Bogdanov su tutti, citato nel romanzo). Donne e uomini che misero i loro corpi nella lotta con un investimento desiderante (alla lettera: da strappare alle stelle…) che, pagina dopo pagina, viene a sorprenderci.
Vi è dunque, in questo
romanzo, il sogno di altri mondi, dove poter andare se questa terra ci è
stretta, tanto più oggi, quando, sempre più, la stiamo divorando, e divorando
così noi stessi, che ne siamo figli e padroni disonesti (mentre dovremmo
esserne solo umili custodi). Il vortice rutilante della trama riproduce una
forma a spirale, resa densa da uno stile di scrittura interessantissimo dal
punto di vista del lessico e della sintassi. Un lessico ricercato, fatto di
tecnicismi, di lingue straniere, di arcaismi, di parole bellissime/dal
profondo, il cui suono da solo basterebbe a convincerci che sia valsa la pena
di leggere la pagina che le contiene. È un linguaggio sottratto a quello,
mistificatorio e mistificante, che caratterizza il nostro tempo. Le sconfitte
dell’umanità accadono prima nella sfera del linguaggio, quello che ci viene
imposto di usare, poi di conseguenza vengono tutte le altre. Lo sapeva Franz
Rosenzweig, messo in epigrafe da Victor Klemperer nel suo geniale scritto LTI.
La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo (1947), che “la lingua è
più del sangue”. Nella lingua vengono preparati fatti di sangue, ecco,
ne viene allestito lo spettacolo.
Lessico, dunque, e poi sintassi. Vi
sono, in Pâris Prassède, dei passaggi straordinari in cui
l’autore inizia una frase ma poi lascia solo il soggetto appena apparso
e lo abbandona, sulle prime, smarrito/irretito in un ampio inciso al cui
interno accadono eventi che sembrano prendere il sopravvento su quanto è
al di fuori della parentesi: così, mentre il soggetto resta lì in attesa
e ancora non sappiamo cosa veramente accadrà di lui, esso viene lasciato
in sospeso da un’ulteriore piccola digressione, mentre poi quasi
inaspettatamente arriva il verbo (azione, praxis come nel cognome del
protagonista…) e il lettore si sente rassicurato, perché rintraccia la sua
sintassi minima, soggetto, verbo, complemento (ma è una rassicurazione intrisa
sempre di spaesamento…). In tal modo, l’autore disarticola il nostro
approccio a una linearità che spesso non è autentica semplicità, ma
banalizzazione tirannica, quasi totalitaria: slogan di propaganda e/o
grido di guerra. Dal momento che ci forniscono una ricchezza nutriente,
la lingua di Pâris Prassède, il suo lessico e la sua sintassi, non
compongono un grido di guerra, ma uno di pace. Il sangue può anche
essere sangue risparmiato (cioè ribelle, che risponde a una guerra
portata), non sangue fatto versare.
mercoledì 27 novembre 2024
IL PROCLAMA ALEXANDER
di
Franco Astengo
Ricorre in questi giorni l'ottantesimo anniversario del cosiddetto "Proclama Alexander" che aprì la strada all'inverno 1944-1945: il più duro e difficile vissuto al di sopra della Linea Gotica nel corso della Resistenza all'invasione nazista iniziata l'8 settembre 1943. Alla fine dell'estate 1944 l'offensiva alleata in Italia che aveva portato alla Liberazione di Roma e Firenze si era arrestata davanti alla linea gotica che si estendeva da Rimini a La Spezia quale struttura di difesa dell'esercito tedesco e dei suoi alleati repubblichini. Dopo lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi e la battaglia delle Ardenne il fronte italiano per gli Alleati era diventato secondario rispetto all'invasione della Germania e l'occuparne in profondità il massimo del territorio mentre l'Armata Rossa stava scendendo da Est (i due eserciti poi a maggio 1945 si sarebbero incontrati sull'Elba mentre i sovietici stavano occupando Berlino). Così nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1944 in una trasmissione di "Italia Combatte" (l'emittente radiofonica attraverso cui il comando alleato teneva i contatti con il Comitato di Liberazione Nazionale a Roma) fu trasmesso un comunicato dal maresciallo Alexander comandante in campo delle truppe alleate nel Mediterraneo con il quale si dichiarava conclusa la campagna estiva degli eserciti alleati e si invitavano i comandi della Resistenza Italiana a cessare ogni operazione e a rimanere su posizioni difensiva: nell'estate era state proclamate le Repubbliche partigiane e la reazione dei nazi-fascisti era stata quella delle grandi stragi da Marzabotto a Sant'Anna di Stazzema a tante altre occasioni di distruzione e martirio per le popolazioni civili.
Il cosiddetto "proclama Alexander" avrebbe dovuto sortire effetti demoralizzanti profondi e diffusi: come spiega il saggio appena uscito di Gastone Breccia: "L'ultimo inverno di guerra. Vita e morte sul fronte dimenticato" lo scopo era quello di tenere impegnate le forze tedesche per fare in modo che rimanesse sguarnita la difesa della Germania per favorire le truppe alleate; nello stesso tempo Kesserling comandante dell'esercito nazista in Italia pensava difendendosi di fornire maggior tempo alla difesa del suo Paese senza pensare (come poi ammise nel processo che lo condannò a morte, pena tramutata in ergastolo poi ridotta, finendo scarcerato nel 1952 e chiudendo la sua carriera come consulente del cancelliere Adenauer: tutto in nome del "mondo libero" e della "civiltà occidentale") che quel tempo sarebbe stato per sterminare nei campi milioni di persone ebrei, comunisti, "asociali" in genere. Il 2 dicembre 1944 il Comando Generale del Corpo dei Volontari della Libertà, ignorando il dettato degli alleati, emanò una circolare nella quale si invitavano i corpi combattenti in tutto il Nord Italia a proseguire lo sforzo militare, anche se l'insurrezione generale era ormai rinviata alla primavera. Nel comunicato veniva indicata l'esigenza di "reagire nel modo più fermo alle interpretazioni pessimistiche e disfattiste" del proclama e di considerare solo la cessazione di operazione su vasta scala. Il CVL invitò tutti i comandi regionali a non smobilitare le proprie formazioni ma a passare ad una nuova strategia in considerazione delle mutate condizioni belliche e climatiche. I partigiani riuscirono a superare il periodo repressivo disperdendosi nella Pianura Padana a ridosso dei centri urbani. I mesi di novembre e dicembre furono molto drammatici ma comunque il dispositivo insurrezionale non fu distrutto, anche se molto indebolito dalle decisioni alleate, causando un rallentamento nelle operazioni nella penisola e il protrarsi del conflitto in Italia.
In
realtà il "proclama Alexander" conteneva anche un altro scopo: quello
di impedire che i comunisti che nel campo partigiano erano i più attivi e
meglio organizzati (ed avrebbero pagato anche i prezzi più alti) prendessero il
sopravvento ed egemonizzassero la
Resistenza come era accaduto nella Jugoslavia: questo nonostante che Togliatti
avesse già lanciato la parola d'ordine del "partito nuovo" e fatta
rinviare la scelta istituzionale dopo la fine della guerra ponendo al primo
posto la solidarietà antifascista all'interno del governo (passato da Badoglio
a Bonomi) e del Comitato di Liberazione Nazionale. Malgrado
le difficoltà, le divisioni e le massicce operazioni di repressione
nazifasciste, le forze partigiane continuarono così a sopravvivere e ad
aumentare numericamente nei primi mesi del 1944, rafforzate costantemente anche
dai molti giovani che salirono in montagna per sfuggire ai bandi di
arruolamento forzato della RSI diramati dal maresciallo Graziani. A febbraio e
a marzo 1944 la forza partigiana al nord raddoppiò di numero. I richiamati
che non risposero al bando del maresciallo (approvato da Mussolini e
sollecitato dalle autorità tedesche) furono molto numerosi (in novembre 1943 su
186 000 coscritti si presentarono solo in 87.000), ma soprattutto furono
molto elevati i casi di diserzione dopo l'arruolamento, che salirono dal 9% di
gennaio 1944 al 28% del dicembre dello stesso anno, mentre nelle città
operavano attivamente i GAP e le SAP. Arrivò
la primavera, al termine di un freddo inverno di angoscia e di frustrazione: si
era ormai alla vigilia dell'alba radiosa del 25 aprile.
HANNO LA FACCIA COME…
di
Alessandro Barbero
Noi
viviamo in una Repubblica che ufficialmente si definisce nata dalla Resistenza
e abbiamo una rete di associazioni che conservano il ricordo e continuano a
combattere la battaglia di quelli che, durante la Resistenza, hanno combattuto
e magari si sono fatti ammazzare per liberare il paese dal fascismo. E abbiamo
la fortuna che queste associazioni non sono, come dire, scomparse con la morte
degli ultimi - restano ormai ben pochi di quelli che la resistenza l’hanno
fatta - però queste associazioni, la rete dell’ANPI, sono vive, piene di gente,
piene di giovani. E in questo specifico momento storico, nel nostro paese, c’è
gente che da destra propone seriamente di abolire il finanziamento pubblico all’ANPI.
Questo nel momento in cui ufficialmente da noi è vietata l’apologia del
fascismo, ma invece di fatto è permessa in tutti i modi e associazioni
dichiaratamente fasciste sono tollerate. E invece le associazioni che ricordano
che noi siamo un paese nato dall’antifascismo, per fortuna, sono quelle a cui i
nipotini dei fascisti vorrebbero togliere i finanziamenti pubblici. Hanno la
faccia come... Va be’, non fatemelo dire.
Se
c’è una battaglia che vale la pena di combattere oggi, in Italia - ce ne son
tante, eh! - ma questa, questa per impedire che tocchino l’ANPI, mi sembra una
di quelle più importanti di tutte.
FERMARE GUERRE E GENOCIDI
29 e 30 novembre: due grandi giornate
di lotta contro guerre e genocidio, DDL-1660, governo Meloni.
Un'ondata reazionaria e razzista sta attraversando tutto
l'occidente. L'elezione di Trump alla Casa Bianca rafforza i venti di guerra,
in particolare in Medio Oriente, con il sostegno totale al genocidio dei
palestinesi a Gaza e all’illimitato espansionismo dello stato sionista.
L’Unione europea di von
der Leyen non è da meno, scatenata nella corsa agli armamenti e la decisione di
prolungare lo scontro armato con la Russia a tempo indeterminato. A fare le
spese di questo “nuovo corso” degli imperialismi occidentali, in evidente
perdita di egemonia, continueranno ad essere – oggi come ieri – il proletariato
e le masse oppresse di tutto il mondo: con il sangue delle migliaia di vittime
delle loro bombe o, in occidente, con uno sfruttamento intensificato, l’impoverimento
e la repressione imposti dall'economia di guerra. Il governo Meloni è, sotto
ogni aspetto, l’espressione in Italia di questa tendenza generale: con la sua
politica economica tutta a favore dei padroni grandi e piccoli; con il suo
piano di deportazione degli immigrati; con il suo tentativo di instaurare uno
stato di polizia attraverso un DDL Sicurezza che criminalizza ogni forma di
lotta e di dissenso sociale, ecologico, sindacale e politico. È quella che noi
chiamiamo la guerra interna, l’altra faccia della guerra esterna, contro
chiunque non abbassa la testa davanti ai loro piani di miseria, sfruttamento e
morte.
Questo brutale attacco
sta cominciando a ricevere la risposta di lotta che merita. In questi mesi le
piazze di tutto il mondo si sono riempite di milioni lavoratori/lavoratrici,
studenti/esse e attivisti/e in risposta all'infame carneficina condotta dal
sionismo nella striscia di Gaza, alla complicità dell'intero occidente con il
regime coloniale e suprematista di Israele guidato da Netanyahu e a sostegno
dell'eroica resistenza del popolo palestinese.
In Italia, grazie
soprattutto alle realtà della sinistra palestinese e agli/alle
internazionalisti/e, questa mobilitazione si è allargata alla denuncia generale
della guerra e dell'economia di guerra. Si è scaldata incontrandosi con le
lotte dei lavoratori, in primis quelli della logistica, contro i salari da fame
e le politiche di super sfruttamento portate avanti dai padroni e dal governo. Ne
sono prova: gli scioperi e le manifestazioni di novembre 2023 e di inizio 2024,
con il grande corteo di Milano del 24 febbraio; le tante iniziative contro i
traffici di armi e la Leonardo; il blocco dei porti di Genova e Salerno; le
proteste nelle università contro gli accordi tra Italia e Israele; infine, la
due giorni di scioperi e cortei del 18-19 ottobre e lo sciopero degli studenti del
15 novembre.
Il prossimo 29 novembre
gran parte del sindacalismo di base ha indetto una nuova giornata di sciopero generale
nazionale, che coinciderà con uno sciopero indetto da CGIL e UIL contro le
misure economiche del governo. Il fatto che due delle tre principali
organizzazioni sindacali chiamino alla mobilitazione, dopo essere state per più
di un anno a guardare, è la riprova che le condizioni di vita della massa dei
lavoratori sono sempre più insostenibili – anche per il ruolo nefasto svolto in
questi anni dalle burocrazie confederali. Per questo pensiamo che lo sciopero
del 29 e il corteo del 30 novembre a Roma, lanciato dalle realtà palestinesi a
sostegno della resistenza, contro la guerra e contro il DDL Sicurezza, siano
due momenti inscindibili di un'unica lotta. Solo rafforzando l'opposizione di
classe al governo sarà possibile potenziare la mobilitazione a sostegno delle
masse oppresse palestinesi; solo assumendo la lotta alla guerra, all'economia
di guerra, al colonialismo e alla pulizia etnica in corso in Palestina, sarà
possibile andare alla radice delle cause dei salari da fame, dei morti sul
lavoro, dei rinnovi contrattuali-bidone, delle leggi liberticide e repressive
contro chi lotta.
Come Rete Libere/i di
Lottare, GPI e UDAP, facciamo appello a tutte le forze che in questi mesi sono
state in piazza, mosse da una genuina avversione ai piani di barbarie del
capitalismo, perché queste due giornate vedano il rilancio di una mobilitazione
unitaria e realmente di massa contro il governo della guerra e del DDL-1660,
per porre fine al genocidio in Palestina e mettere in discussione dalle
fondamenta questo sistema che si nutre della distruzione, dello sfruttamento e dell'oppressione
dell'uomo sull'uomo.
Lavoriamo affinché lo
sciopero del 29 novembre abbia la massima forza, estensione ed efficacia.
Sabato 30 novembre
tutte/i a Roma, parco Schuster, ore 14, per fermare le guerre imperialiste, il
genocidio, il DDL-1660, contro il governo Meloni, per l'unificazione delle
resistenze di classe e anticoloniali nel mondo.
Rete Libere/i di lottare
contro il DDL 1660 – GPI – UDAP
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