UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 30 novembre 2024

IL TEMPO DELLA BULIMIA
di Antonella Doria



Care Donne, sorelle, figlie, compagne, amiche, amanti, madri mie
 
Nella Convenzione dei Diritti dei Bambini, l’ONU riconosce la famiglia come unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere del bambino ai fini dello sviluppo armonico e completo della sua personalità. La Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia riconosce ad ogni bambino il diritto di avere una famiglia. La famiglia è costituita dai genitori, persone in grado di agire per conto del bambino e farne rispettare i diritti. (V. Conv. ONU a. 1989).
Ogni donna, come ogni persona di buon senso, sa che questo è un diritto naturale di ogni bambino, ma per alcune persone come pure per alcune donne questa è una opinione “inaccettabile”, omofobica, che non rispetta le diversità. Personalmente ho sempre stimato le persone per le loro qualità umane e non per le loro appartenenze di sesso, di pelle, di classe, di politiche o di religioni, inoltre ho sempre creduto veramente nella possibilità di rapporti di sorellanza e solidarietà fra donne (malgrado esperienze personali negative), per cui tutto ciò mi ha procurato molta sofferenza. Una questione così delicata andava affrontata, secondo le modalità di pensiero e di pratiche delle donne, con incontri, convegni e tavoli di studio. Il tempo lungo, infatti, è più adatto all’approfondimento e alla riflessione, tutte cose che aiutano l’acquisizione di lucidità mentale e di capacità emotive e culturali per affrontare tali inquietanti argomenti che ci pervadono e scuotono fin nelle viscere. L’8 marzo scorso noi donne siamo scese in piazza a manifestare giustamente contro il femminicidio e contro la violenza alle donne, ma in questa violenza non era compresa la violenza assoluta: l’utero in affitto. Su questo il movimento delle donne è diviso, perché una buona parte di esse, trincerandosi dietro il diritto della donna all’Autodeterminazione, ritiene che la stessa è libera di decidere se accedere o meno alla pratica dell’utero in affitto, altrimenti detta: GPA, gravidanza per altri. Ma, per chi? Per tutte quelle persone (omosessuali, ma anche etero) che, volendo soddisfare a tutti i costi il loro desiderio di ‘avere’ un figlio e - non potendolo avere in proprio - decidono di usare tutte quelle tecniche che la scienza mette oggi a disposizione degli umani, dopo averle sperimentate su cavie animali, ma anche in agricoltura (V. OGM). La Scienza, pura e neutra ab-origine, prende poi il colore di coloro che la praticano, la tengono in mano, la manipolano e per così dire la sporcano. E sono in molti a volerla tenere stretta in mano, a volerne il possesso e a sporcarla.



Il mantra delle tecnoscienze è - se è possibile farlo tecnicamente, verrà fatto socialmente - e i metodi degli imbonitori (lobbies che offrono il servizio - tutto compreso - anche a rate) per intercettare/incontrare il desiderio di onnipotenza dei singoli, sono altamente qualificati e scientifici.
Hannah Arendt, nel suo “Le origini del Totalitarismo”, scrive: I lager sono i laboratori dove si sperimenta la trasformazione della natura umana.  Forse qualcosa ci ha preso la mano? Femminismo, per me ha sempre voluto dire - stare dalla parte delle donne - le stesse donne che per secoli e millenni sono state sfruttate dagli uomini, e sono state schiave degli schiavi, secondo la legge dei vigliacchi, secondo la legge del più forte, secondo la legge della giungla. Ma nell’arcaico matriclan il diritto era matrilineare (V. ancora oggi la tribù dei Moso, nello Yunnan, Cina Pop.) e “le nostre antenate inventarono una commovente varietà di astuzie per educare i compagni ad abbandonare l’istinto predatorio. L’impulso a distruggere ciò che non si può sottomettere né divinizzare. Modellando statuette. Dipingendo. Ornando. Ungendo e profumando sé stessa e le sacre pietre della dea [madre] la femmina imparava a diventare donna, iniziatrice di una civiltà intesa come rispetto del corpo e del cosmo. La necessità dell’aiuto reciproco per la sopravvivenza ci ha tenuti insieme e ci ha fatto uscire dalle caverne, ci ha portato fuori dalla giungla, ci ha fatto creare le comunità e - nel bene e nel male - le società. Ci ha fatto costruire la/le civiltà. Soprattutto la solidarietà fra donne ha permesso di salvare e crescere i cuccioli umani, protetti dalla prepotenza del maschio dominante. 



Oggi questo maschio dominante ha il volto arrogante e cinico di un patriarcato-neoliberista, e il suo assalto misogino contro il mondo femminile potrebbe essere veramente devastante, tanto più che è fatto passare come progresso della scienza, da una parte, e come solidarietà umana, dall’altra. È una manovra questa infida e subdola che, capovolgendo la clessidra, ci fa tornare ‘oggetti’ nelle mani di un padrone. Tuttavia, proprio per questo motivo, ritengo che non aver coinvolto gli uomini nel processo di emancipazione delle donne, non essere riuscite a dialogare con loro del ‘loro rapporto’ con la donna - questa donna che è per l’uomo il primo altro da sé, il primo straniero, con cui confrontarsi per crescere - è stato un grave e grande errore. Perché bisogna conoscersi per capirsi, e capirsi per abitare insieme questa unica terra, questa unica vita! Una unica terra dove crescere insieme necessita di persone libere ma anche responsabili, capaci di passare il testimone alle nuove generazioni e - per quanto ci riguarda - soprattutto alle giovani donne che non hanno vissuto la bellissima e ricchissima fase del femminismo in lotta, perché non venga dispersa tutta quella intelligenza, quella teorizzazione, quel pensiero e quelle pratiche di sorellanza e di solidarietà fra donne, che hanno caratterizzato un’importante fase della nostra vita. Perché questa unica terra non può e non deve trasformarsi in una casa del ‘pensiero unico’ dove la parola diritti rischia di trasformarsi in arroganza e prevaricazione se non è coniugata con la parola dovere, che vuol dire in sintesi rispetto della dignità dell’altro in quanto persona.



In una Società democratica, la parola libertà comporta il dovere di saper usare questa libertà, dentro una filosofia di vita in cui la persona sia fine e non mezzo. Al principio-diritto dell’autodeterminazione corrisponde il dovere della responsabilità, etica laica del vivere civile. La responsabilità di rispettare i diritti di tutti e per primi i diritti di bambine e bambini, che nella società sono la parte più debole. In questa circostanza, la parola autodeterminazione è solamente un alibi di persone attente solo ai propri ‘diritti’ e interessi ed intolleranti di un pensiero diverso. È questo un modo molto semplicistico di affrontare la vita. La vita è molto più complessa e come tutte le cose complesse va affrontata sì con determinazione, ma soprattutto con serietà e senso di responsabilità. Siamo donne che nei secoli, seppure appartate e silenziose, abbiamo prodotto pensiero e cultura e ci siamo affermate in tutti i campi, la nostra storia affonda le sue radici in una storia che viene da lontano.  Sappiamo bene che la libertà assoluta non esiste, così come non può esistere l’autodeterminazione assoluta. Siamo persone adulte e responsabili e dobbiamo far capire alle giovani leve, che fremono di ardore per la libertà assoluta, che non esiste libertà senza limiti e senza responsabilità. Altrimenti alleviamo una generazione di inconsapevoli narcisi. In una società democratica, rispettosa della dignità umana, la libertà mia ha un limite nella libertà tua. Le libertà democratiche sono tutte sacrosante e previste nella nostra Costituzione della Repubblica, e tutte/i sono tenute/i a rispettarle. Quanto ai diritti -sacrosanti- delle donne, questi comunque non possono e non devono prevaricare e ledere i diritti -sacrosanti- delle bambine e dei bambini.



Capire con il cuore, dice Maria Zambrano, proprio i temi sempre più difficili che oggi si pongono nella società è la cosa più importante e prioritaria, senza arroccarsi dietro posizioni ideologiche cristallizzate, tipiche dei comportamenti politici di persone che mirano solo al potere. Ogni azione come ogni politica quando non è mera gestione e autoconservazione del potere, è un progetto alto di rara intelligenza, un lavoro di mediazione costante volto a far comunicare e convivere le diversità. È la ‘sintesi degli opposti’ di Baudelaire, è un’utopia di grande poesia, che dovremmo perseguire ogni giorno perché divenga realtà.
Quello che mi addolora, invece, è che una parte delle donne oggi non fa che imitare e ripetere i comportamenti maschili per la conquista di una rendita di posizione e di vantaggio, per la conquista di un potere, anche piccolo, ma che è tanto più bieco e cieco, quanto più è incompetente, arrogante incapace e non lungimirante. Credevo che noi donne avremmo portato nella vita pubblica quel cuore di cui parla Maria Zambrano, ed invece mi sembra che non sia così. Abbiamo noi donne adottato ‘modelli di comportamento’ maschili, se non siamo in grado di affrontare i problemi con quel pizzico di antica saggezza, con quel qualcosa in più che noi abbiamo, crediamo di avere, e che ci fa speciali, che per millenni ci ha caratterizzate - donne ‘c’avete intelletto d’amore     
Sia chiaro, i riferimenti a diversi metodi di riproduzione (v. GPA), che vorrebbero fare a meno della biologia dei corpi, parlano di misoginia, di delirio di onnipotenza e soprattutto di violenza. Una violenza premeditata contro le donne e contro i figli che da queste donne verranno al mondo! In ogni caso, chi vuol far recedere noi donne dai legittimi diritti e dalle conquiste femministe, primo fra tutte il pensiero della differenza, non mi troverà mai d’accordo.  Per le donne ‘veramente’ libere che non soggiacciono a ricatti economici e patriarcali, è inaccettabile anche solo l’idea dell’utero in affitto.   



Le donne democratiche non torneranno ad essere degli Oggetti, dei contenitori di figli, per il piacere di uomini/omosessuali o per il piacere di chiunque altro. L’utero non è un oggetto. L’utero fa parte della vita e la vita su questa terra non si tocca. Ne va della nostra essenza, della nostra stessa esistenza! Le donne faranno i figli quando vorranno e assecondando il proprio desiderio. Innanzitutto. È inaccettabile che delle donne possano ritenere una conquista la pratica dell’utero in affitto. Piuttosto è una conquista che soddisfa la millenaria invidia del maschio nei confronti della donna che dà alla vita una creatura. (Freud - da bravo maschio - ha mancato questa analisi, capovolgendo il desiderio!) In ogni caso, queste persone - chiunque esse siano - non sono persone che stanno dalla parte delle donne! Con l’utero in affitto si azzerano tutte le lotte e le conquiste delle donne ottenute con tanta fatica nel corso dei secoli, soprattutto nel secolo scorso, lotte portate avanti per essere rispettate e considerate persone nella nostra integrità e soggettività. Evidentemente la memoria storica ci fa difetto, e molte sono le lobbies che hanno l’interesse a farci dimenticare e a non far conoscere alle nuove generazioni che fino a poco tempo fa le donne erano considerate (come accade ancora oggi in molti paesi), proprietà privata di padri, fratelli, sposi, e che persino il diritto di voto è una conquista recente. Adesso qualche altra lobby ha deciso che dobbiamo tornare ad essere oggetto, non più per il piacere, ma per il loro business. Dobbiamo essere l’oggetto-utero che serve ancora e soprattutto agli uomini per i loro deliri di Onnipotenza! Purtroppo, molte donne o sprovvedute o poco strutturate o per falsa solidarietà, o anche solo per loro interesse economico privato, vengono manipolate nei loro desideri: Sappiamo come il Desiderio umano possa venire creato, manipolato e sfruttato ad arte da tanti enti a ciò preposti, sostenuti da organizzazioni e speculatori che vivono e si arricchiscono sulle debolezze umane. E qui ritorna purtroppo e sempre il fattore di classe. La classe del capitale e la classe della servitù e come anticamente i servi della gleba erano ricchi solo di prole, di bocche affamate, ancora oggi il mondo è pieno di miseria, pronta a farsi alleviare le ferite da pochi soldi. Miseria pronta ad affittare ‘liberamente’ il proprio utero, o vendere un rene o un figlio, o addirittura a farsi ‘liberamente’ schiava. Ma i paesi e le persone democratiche si distinguono da altri proprio dal fatto che non costringono i propri cittadini a vendere il proprio corpo o i propri figli per poter sopravvivere. Sappiamo che ci sono in gioco enormi interessi economici di aziende farmaceutiche, enti di ricerca, ospedali, medici, ricercatori, avvocati, agenzie, operatori e tutto un indotto che specula sul desiderio delle donne e degli uomini (etero e omo).   



Lobbies e gruppi che organizzano il commercio: prenotare, scegliere, fare contratti, comprare e vendere. Questi sono i soli verbi che si possono usare. E le ‘libere’ donne, spesso per necessità economica o d’altro tipo, sono vittime di questa speculazione preparata dagli uomini per i loro business.
Il capitalismo vince sempre e di nuovo - sulla nostra pelle - a 360 gradi: Il corpo delle donne e delle loro creature è finalmente diventato merce, una merce disponibile sul mercato delle multinazionali. L’utero in affitto lede la nostra dignità di donne, ma lede anche la dignità di tutte le persone che permettono questa totale violenza. Per tutto questo, e per tanto altro ancora, credo che chi auspica una società siffatta non sia una persona democratica, né di sinistra, tanto meno dalla parte delle donne o femminista. L’autodeterminazione riguarda la singola persona. Ogni persona, nei limiti della legge, può disporre del proprio corpo, ma non può disporre del corpo altrui. Il corpo di un’altra persona non si tocca, fa parte delle meraviglie dei doni della natura, e come la natura è sacro. Non va sfruttato violentato comprato stuprato venduto. Né gli va fatta violenza psicologica da una realtà sociale, economica, geopolitica e familiare sfavorevole. 

L’autodeterminazione delle donne deve tenere insieme il desiderio e la legge naturale. Noi siamo natura e cultura e se viene meno questo legame il nostro cuore diventerà una pietra. O - come dice il mito - guarderemo in faccia la Gòrgone. Penso che l’umanità sia oggi ad una svolta epocale - i nostri desideri, i nostri corpi sono stati alienati da una scienza neutra e da una tecnologia cieca ad un capitalismo bieco e senza scrupoli, che per i propri ingenti interessi economici venderebbe sua madre a un nano (direbbe De André). La tecnologia non ha pensiero, non ha etica, non ha pudore, è insensibile, dipende da chi la usa. 



Ci può aiutare come donne, ma ci può anche distruggere. Tenere insieme Natura e Cultura, e non dimenticare il nostro Cuore, la nostra Essenza. Questa è la nostra sfida come Donne. Saremo all’altezza del compito o svenderemo noi stesse e le nostre creature? Sono sicura che nessuna donna lo vuole o lo desidera. Ritengo che una società di donne e uomini veramente democratici non possa accettare la negazione della dignità della donna, né quella della imprescindibilità ed unicità della relazione madre-creatura. Nella riduzione delle creature in beni da prenotare scegliere comprare, e delle donne in contenitore, c’è la conferma di un patriarcato più che mai presente con la sua arroganza, la sua misoginia, il disprezzo del corpo della donna. C’è tutta una mentalità maschilista, dietro cui si nasconde un’idea utilitaristica della vita, una cultura mercantile che riduce tutto a merce. Una filosofia che viene da lontano, non a caso da quei paesi che sono stati e sono ancora oggi imperialisti e colonialisti e hanno sempre combattuto contro l’Umanesimo del Pensiero e della filosofia mediterranea. Per questi paesi imperialisti non ci sono e non ci devono essere limiti ai loro business, ai loro commerci, e questa è la loro nuova frontiera, è il colonialismo dei corpi. Intravedo in tutto questo un ‘sentimento fascista’ che, come avvertiva Simone Weil, può camuffarsi annidarsi e nascondersi dappertutto, ma che va “scoperto e contrastato, nel singolo e nelle società, in noi e fuori di noi, sviluppando a tutti i livelli un pensiero critico. Mi auguro che ciò possa avvenire.
 


Riferimenti e Consigli Bibliografici
Convenzione dei Diritti dei Bambini, ONU, anno 1989. Internet
Marina Terragni, Temporary Mother. Utero in Affitto e Mercato dei Figli  
Vanda & Publishing, Milano, 2016
Luisa Muraro, L’anima del Corpo. Contro l’utero in affitto
ed. La Scuola 2016
Luisella Vèroli, Dal Cosmo alla Cosmesi
Iacobelli editore 2016
Hannah Arendt, Le origini del Totalitarismo.  
Einaudi, Torino, 2004/2009
Simone Weil, Sulla Germania Totalitaria
Adelphi, Milano, 1990
Franco Cassano, Il pensiero meridiano,
ed. Laterza, Roma-Bari, 1996/2005
Giancarlo Ricci, Sessualità e Politica. Viaggio nell’arcipelago gender
Sugarco Edizioni, Milano, 2016                                         
 

 

 

AUDITORIUM PIAZZA SAN MARCO




 ALLA CAMERA DEL LAVORO PER IL LIBANO 




venerdì 29 novembre 2024

SCIOPERO GENERALE E RECUPERO DI SENSO 
di Franco Astengo


 
Oggi sciopero generale: fatto non usuale attraverso cui CGIL e UIL stanno tentando non solo di porre al centro le questioni salariali, sociali, della prospettiva industriale (come recita la piattaforma di convocazione della giornata) ma anche un recupero di senso del loro essere soggetto di un fronte di lotta e di prospettiva del cambiamento. Il sindacato confederale da molto tempo non riesce ad esercitare una funzione effettiva di orientamento di massa, appunto di "recupero di senso" della propria azione e della propria presenza in una dimensione che è apparsa di visione sempre più ridotta nella fase dell'immediata post-globalizzazione e dello scivolamento del Paese nella retorica dell'antipolitica e della destra populista. Adesso si sta tentando di invertire la rotta (CGIL e UIL si stanno trovando a fianco i sindacati di base e non la CISL ormai palesemente tornata nell'alveo anni'50 del sindacato governativo, magari matrice come fu allora di qualche sindacato "giallo"): non sarà facile ma potrebbe trattarsi della strada giusta. Ovviamente il quadro degli anni'70 non esiste più: mancano le grandi concentrazioni industriali manifatturiere, la proprietà è lontana e impalpabile mentre impazza una finanziarizzazione senza volto, il quadro internazionale sfugge a una possibile individuazione di "terreno di scontro", lo Stato - Nazione non funziona più da regolatore dello scambio sociale, la società è parcellizzata percorsa dall'individualismo competitivo, in un evidente declino dell'Occidente si sono evidenziate disuguaglianze incolmabili nei cui interstizi si stanno infilando conflitti di cui in sostanza ignoriamo la natura, quello che un tempo definivamo "lavoro vivo" emerso dalla due rivoluzioni industriali adesso è minacciato dall'innovazione tecnologica e le giovani generazioni se ne allontanano spontaneamente magari sognando improbabili "ritorni bucolici" e "decrescite felici". Nella difficoltà di un'Europa sociale e politica che ha perso la centralità dei "30 gloriosi" e di cui è emblematica la crisi tedesca, Europa in crisi anche come appendice dell'impero americano (svanito l'abbaglio della fine della storia che avrebbe dovuto seguire la caduta del Muro di Berlino) l'Italia conta poco, forse nulla: quindi non conta granché neppure lo sciopero generale di oggi. Si tratta però di un segnale, oltre che di un passaggio di riaggregazione sociale di una certa importanza: un segnale perché sembra non trattarsi di un momento di raccolta su basi meramente corporative (come accade in altri Paesi) ma misurato nel solco di una rimodulazione di presenza e di orientamento. Ci troviamo nel piccolo di una dimensione ormai provinciale e di un Paese, l'Italia, in forte difficoltà politica non soltanto perché governata da una destra incapace di muovere un solo passo anche in direzione non gradita dal nostro punto di vista ma soprattutto la difficoltà dell'Italia risiede nell'essere percorsa da un forte sentimento di contrarietà all'agire politico e che tende verso l'assolutizzazione del comando.
Dire di no con fermezza a questa emergenza appare in questo momento il compito del sindacato: il rischio vero è quello di un processo di sostituzione del meccanismo democratico, cioè di un confronto diretto con il potere economico nel quale viene meno l'intermediazione sociale e politica.



Il centro-sinistra italiano per un certo periodo ha cullato l'illusione che la disintermediazione avrebbe portato la governabilità all'altezza della disputa con il potere dell'economia e della tecnica sciogliendo i "lacci e lacciuoli" (come invocava Guido Carli qualche decennio or sono): questo disegno che era il disegno del PD ha causato l'allontanamento sociale e l'esplosione di un meccanismo di rifiuto della funzione politica. Un rifiuto che si era fatto partito rotolando poi tra le spire della realtà di palazzo e causando un trauma che ha spostato l'opinione verso il rifiuto totale o verso la semplificazione di una destra orrenda nella realtà politica e soprattutto nell'espressione culturale diffusa. Ecco: nella ricerca di senso da parte del sindacato che questo sciopero generale comprende non dovrebbe esserci spazio per una idea di sostituzione della politica e della sua organizzazione più coerente in partiti. Abbiamo bisogno di tornare alla capacità di rappresentanza ciascuno per la propria parte.

RISCHIO DI GUERRA TOTALE
di Maurizio Vezzosi



Dopo oltre mille giorni di guerra su larga scala per l’Ucraina - e quasi quattromila per il Donbass - l’intermezzo tra la fine del mandato Biden e l’insediamento dell’amministrazione Trump assume in crescendo le caratteristiche di una delle fasi più incerte e più pericolose della storia contemporanea. Il via libera della Casa Bianca all’utilizzo di missili ATACMS in territorio russo è avvenuto in questa fase con il preciso intento di mettere nella maggiore difficoltà possibile il successore designato. Al quadro si aggiungono i nuovi pacchetti di assistenza militare appena concessi all’Ucraina e gli intenti della Casa Bianca di installare nuovi missili in Europa centro-orientale in funzione antirussa: intenti destinati a riportare il continente alla crisi degli Euromissili di metà anni ottanta. La risposta del Cremlino alle mosse dell’amministrazione di Biden si è sostanziata nel lancio di un missile balistico sui territori ucraini - condotto per palesare la vulnerabilità delle difese antiaeree di produzione statunitense - e nella modifica della dottrina nucleare di riferimento: una modifica con cui si contempla in modo esplicito il possibile ricorso ad armi nucleari tattiche in risposta ad attacchi condotti con armi convenzionali. Questo passaggio contribuisce ad aumentare ulteriormente il rischio di guerra nucleare in Europa. L’Italia in particolare sarebbe particolarmente esposta ad attacchi vista la presenza sul territorio nazionale di importanti basi militari statunitensi: l’Europa - tutta - pagherebbe le maggiori conseguenze di uno scenario senza precedenti. Occorre avere ben chiaro che il rischio nucleare non è un bluff: scommettere sul contrario potrebbe contribuire a trascinare l’umanità in una spirale di distruzione che sarebbe molto difficile interrompere. Già dal febbraio 2022 risultava chiaro che il tempo giocasse a favore del Cremlino: oggi questa valutazione trova una facile conferma nella situazione del campo. Quanto l’Ucraina avrebbe potuto ottenere nei negoziati del 2022 oggi è nient’altro che un’illusione. Per quanto le narrative sull’Ucraina abbiano subito una evidente trasformazione negli ultimi tempi - ammettendo l’inevitabilità del negoziato - le condizioni oggettive non possono essere certo dimenticate: il vantaggio acquisito potrebbe portare il Cremlino a rifiutare eventuali proposte di negoziato se queste trascurassero le condizioni sul terreno. Per questa ragione il possibile congelamento dei combattimenti ed il delinearsi di uno scenario coreano, non è affatto scontato. A proposito di Corea la presenza di militari nordcoreani sul fronte di Kursk è ormai un dato di fatto: presenza destinata a creare ulteriori problemi alle forze ucraine. Per l’esercito di Pyongyang ed i contingenti di questo inviati sul fronte ucraino si tratta di una svolta epocale, dal momento che ufficialmente le forze armate della Corea del nord non partecipano a missioni di combattimento dal 1953. Ma l’importanza del fatto in sé risulta secondaria riflettendo sul modello di mutua assistenza militare che Mosca sta testando con la Corea del Nord. Un futuribile meccanismo analogo potrebbe legare Mosca e Pechino per le reciproche necessità di carattere militare: per il momento sia Mosca che Pechino hanno interesse a non vincolarsi reciprocamente con accordi militari stringenti, ma il tempo potrebbe far mutare questa condizione in modo significativo. Ulteriori sorprese precedenti all’insediamento di Trump alla Casa Bianca potrebbero essere tutt’altro che improbabili, ma come già anticipato nei mesi scorsi dall’ex consigliere presidenziale Aleksander Arestovich, il 2025 potrebbe effettivamente essere l’anno dell’uscita di scena di Volodymyr Zelensky. Coprire il fallimento dell’oltranzismo e l’uscita di scena dei suoi protagonisti con il presunto rispetto della sovranità ucraina potrebbe essere tutto sommato l’opzione meno sconveniente per affrontare il passaggio tra il prima ed il dopo.

 

SÌ, È GENOCIDIO
di Amos Goldberg


 
Sì, è un genocidio. È difficile e doloroso ammetterlo, ma non possiamo più evitare questa conclusione. La storia ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino per il “più orribile dei crimini”, che non potrà essere cancellato. È così che sarà considerata nel giudizio della Storia per le generazioni a venire. Gli obiettivi militari sono quasi obiettivi incidentali mentre uccidono civili, e ogni palestinese a Gaza è un obiettivo da uccidere. Questa è la logica del genocidio. Sì, lo so, quelli che lo dicono «Sono tutti antisemiti o ebrei che odiano se stessi». Solo noi israeliani, con la mente alimentata dagli annunci del portavoce dell’IDF ed esposta solo alle immagini selezionate per noi dai media israeliani, vediamo la realtà com’è. Come se non ci fosse una letteratura interminabile sui meccanismi di negazione sociale e culturale delle società che commettono gravi crimini di guerra. Israele è davvero un caso paradigmatico di tali società. Ciò che sta accadendo a Gaza è un genocidio perché livello e ritmo di uccisioni indiscriminate, distruzione, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia, esecuzioni, cancellazione delle istituzioni culturali e religiose, disumanizzazione generalizzata dei palestinesi creano un quadro complessivo di genocidio, di un deliberato e consapevole annientamento dell’esistenza palestinese a Gaza. La Gaza palestinese come complesso geografico-politico-culturale-umano non esiste più. Il genocidio è l’annientamento deliberato di una collettività o di una parte di essa, non di tutti i suoi individui. Ed è ciò che sta accadendo a Gaza. Il risultato è senza dubbio un genocidio. Le numerose dichiarazioni di sterminio da parte di alti funzionari del Governo israeliano e il tono generale di sterminio del discorso pubblico indicano che questa era anche l’intenzione.
 

*Professore di Storia dell’Olocausto al Dipartimento 
di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme

 

LIBRI
Contro le armi
 

Gli scritti pacifisti e antimilitaristi di Carlo Cassola, una delle voci più alte che si siano opposti alla guerra fra gli intellettuali del Novecento. 
 
Pubblicato per la prima volta nel 1980 con la piccola casa editrice Ciminiera, Contro le armi è un appello appassionato e lucidissimo contro la follia della guerra, scritto in un periodo di conflitti e tensioni internazionali durante il quale Carlo Cassola era divenuto una delle voci più autorevoli del pacifismo italiano. Questo libro è un manifesto di speranza e un invito all’azione per tutti coloro che credono nella pace e nella dignità umana.

Carlo Cassola (Roma 1917 - Montecarlo, Lucca, 1987) è stato uno degli scrittori più importanti e amati del Novecento italiano. Fra le sue opere più note, Fausto e Anna (1952), Un cuore arido (1961) e, soprattutto, La ragazza di Bube (1960).
 
Editore: Rogas
Collana: Gli irregolari
Genere: saggistica
Pagine: 168
Prezzo: 15,70 €
Codice EAN: 9791281543164

 

SCAFFALI



 
Per la Casa Editrice “La Scuola di Pitagora” di Napoli debutta Fendinebbia, la Collana dal titolo: Laboratorio di poesia civile, a cura di Giuseppe Langella. È uscito il primo volume antologico Sfilata d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari.


Per scampare a quell’invisibile genocidio di massa i cui sintomi sono lo stordimento fisico, la catalessi morale e il sonno della ragione, la società odierna ha più che mai bisogno di modelli di riferimento a cui guardare, da cui trarre esempio e sprone. Sfilata d’alti modi risponde a questo bisogno inespresso di modelli, di valori incarnati, offrendo una carrellata di ritratti esemplari, ciascuno dotato di un suo speciale, prezioso, carisma. Raccogliendo una simile schiera di testimoni, si può immaginare questa antologia, col permesso di Dante, come un’edizione aggiornata del castello degli spiriti magni, trasformatosi frattanto in un più variegato e popoloso condominio, dove ciascuno, affacciato a una finestra o dal balcone, racconta, quando è il suo turno, cosa ha fatto nella vita e chiede di essere ascoltato, perché la sua storia è istruttiva e ha parecchio da insegnarci. Sfilata d’alti modi vuol essere, insomma, una sorta di alfabeto dei valori su cui fondare la nostra città dell’uomo. [Giuseppe Langella]


Testi di: Lino Angiuli, Alberto Bertoni, Stefano Carrai, Davide Chindamo, Tiberio Crivellaro, Claudio Damiani, Vito Davoli, Eugenio De Signoribus, Roberto Deidier, Tania Di Malta, Elisa Donzelli, Alessandro Fo, Angelo Gaccione, Antonietta Gnerre, Giuseppe Grattacaso, Vivian Lamarque, Giuseppe Langella, Gianfranco Lauretano, Alessandro Magherini, Marco Marangoni, Renato Minore, Massimo Morasso, Nina Nasilli, Rita Pacilio, Alessandra Paganardi, Gianni Antonio Palumbo, Elio Pecora, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Paolo Ruffilli, Lidia Sella, Andrea Temporelli, Ida Travi.


Autori Vari
Sfilata d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari
Antologia a cura di Giuseppe Langella
La Scuola di Pitagora Editrice
Pagine: 120 € 14
Anno: 2024
ISBN 979-12-5613-001-6
Formato: 12,5 x 19,5 cm
Collana: Fendinebbia. Laboratorio di poesia civile

 

BIBLIOTECA VIGENTINA


Cliccare sulla locandina per ingrandire


giovedì 28 novembre 2024

LIBRI
di Gianluca Paciucci
 
Giancarlo Micheli

Pâris Prassède (Monna Lisa Edizioni, 2023) è un romanzo anche corporalmente forte, come i romanzi di Volponi (Le mosche del capitale e altri), esplicito riferimento dell’autore. Un’immaginazione potente, quella di Giancarlo Micheli. Il titolo ci indica il protagonista, l’eroe eponimo, il quale attraversa tutta la narrazione con la forza e anche la prestanza fisica di un personaggio vorticoso in un romanzo vorticosissimo che si situa sicuramente nell’ambito del romanzo storico, così come è stato definito dalle riflessioni di György Lukács e Eric Auerbach. Certo, il romanzo storico, in Italia, è quello che ha introdotto la maggior parte della popolazione alla letteratura, innanzitutto grazie all’esperienza scolastica: i Promessi sposi di Manzoni, che alcuni dicono inflitto agli studenti e quindi fatto non amare. In realtà, in qualche elemento di libera costrizione può esserci una dose di sanità, perché una persona a modo non andrebbe mai a leggersi Manzoni da adulto, se non fosse costretto… Con quel minimo di costrizione, però, si può guadagnare l’accesso a un mondo straordinario, un mondo robusto, conflittuale, con un narratore onnisciente che conosce i più intimi pensieri dei suoi personaggi e con un autore che ha fondato, in Italia almeno, la storia di questo genere letterario, arrivando fino ai nostri giorni.



Nonostante queste origini in grande della nostra letteratura moderna, ci sono state diverse fasi in cui, da noi e non solo, le mode editoriali hanno privilegiato una scrittura votata al frammento, alla prosa d’arte, alle storie minime e minimali, conseguendo a volte anche risultati di grande bellezza. Dagli anni Novanta del secolo scorso fino all’inizio del nostro, però, si ricominciò a sentire il bisogno di grandi narrazioni, di cui la fase post-moderna pareva aver decretato la fine lasciandoci in mano a un pensiero debole, a un romanzo debole, a una poesia debole, che non potevano nutrirci e quasi imponevano di rassegnarci ad un presente senza alternativa, alla fine delle speranze collettive. In particolare all’inizio di questo secolo abbiamo così avuto una rinascita narrativa (il romanzo Q del collettivo di scrittura Luther Blissett, uscito proprio nel 2000, ne è stato un segnale), riemersa dal desiderio di tornare a respirare in grande, perché - lettori/autori - abbiamo bisogno di questo, di una grandezza che certo non sia basata sul fanatismo, quanto piuttosto spinta da alta passione, quella della vicenda degli esseri umani nella storia. E Pâris Prassède è un romanzo di grande passione, che tratta argomenti importanti, epocali. Non aspettiamoci dunque microstorie, sebbene alla narrazione di grandi accadimenti storici l’autore affianchi talora la dimensione dell’aneddoto, quanto piuttosto il quadro grandioso di una stagione forse irripetibile, almeno in quei termini di sete di futuro. Il protagonista attraversa una fase della storia e della geografia umane, dalla metà dell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento e poi alla data fatidica della Rivoluzione del 1917, che avrebbe rifondato - o provato a rifondare - il secolo nuovo. Un romanzo storico, quindi, questo di Micheli, dall’accezione molto personale, in cui i personaggi appaiono e s’incontrano, surrealisticamente, secondo i riferimenti propri all’autore, ma s’incontrano in modo oggettivo, poiché una forza unificatrice li mette l’uno al cospetto dell’altro, non per una cabala delle coincidenze, ma perché elementi precisi dell’intero flusso della storia umana determinano che alcune figure vadano a toccarsi e a scontrarsi facendo così scoccare scintille fragorose. La grande storia e i grandi personaggi - anche nelle loro piccolezze… - che vivono in lei, dunque, sono materia del romanzo. 



Il lettore incontrerà, dapprima, quei sognatori che, nella seconda metà dell’Ottocento, hanno pensato come poter costruire politicamente un mondo nuovo, i fondatori del cosiddetto socialismo utopistico. Il lettore farà quindi esperienza dell’asprezza dello scontro che oppose Proudhon, da un lato, e Marx, dall’altro; per poi apprendere, tra molto altro, anche episodi biografici della famiglia Marx (soprattutto delle sue figlie sognanti e per questo punite nel dolore di esistenze non facili), mai descritti con frivolezza, bensì in modo da illustrare i valori umani dei personaggi proprio in virtù delle loro debolezze e persino delle loro miserie. C’è, nello stile di Micheli, una sorta di poesia dei nomi propri e geografici: se ne gusterà il colore in elenchi. In filigrana a tutta la narrazione, si può leggere il discorso peculiare ad alcuni precursori (ma grandi in sé, non solo perché anticipatori d’altri più maturi, più completi autori), dalle vite radicali e sofferenti, i quali, accanto al sogno di una cosa politica, magari dal fondo di un nero carcere coltivavano visioni cosmiche, come August Blanqui nell’Éternité par les astres (ma quanti rivoluzionari, hanno pensato al cosmo come a un luogo praticabile: Bogdanov su tutti, citato nel romanzo). Donne e uomini che misero i loro corpi nella lotta con un investimento desiderante (alla lettera: da strappare alle stelle…) che, pagina dopo pagina, viene a sorprenderci. 



Vi è dunque, in questo romanzo, il sogno di altri mondi, dove poter andare se questa terra ci è stretta, tanto più oggi, quando, sempre più, la stiamo divorando, e divorando così noi stessi, che ne siamo figli e padroni disonesti (mentre dovremmo esserne solo umili custodi). Il vortice rutilante della trama riproduce una forma a spirale, resa densa da uno stile di scrittura interessantissimo dal punto di vista del lessico e della sintassi. Un lessico ricercato, fatto di tecnicismi, di lingue straniere, di arcaismi, di parole bellissime/dal profondo, il cui suono da solo basterebbe a convincerci che sia valsa la pena di leggere la pagina che le contiene. È un linguaggio sottratto a quello, mistificatorio e mistificante, che caratterizza il nostro tempo. Le sconfitte dell’umanità accadono prima nella sfera del linguaggio, quello che ci viene imposto di usare, poi di conseguenza vengono tutte le altre. Lo sapeva Franz Rosenzweig, messo in epigrafe da Victor Klemperer nel suo geniale scritto LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo (1947), che “la lingua è più del sangue”. Nella lingua vengono preparati fatti di sangue, ecco, ne viene allestito lo spettacolo.



Lessico, dunque, e poi sintassi. Vi sono, in Pâris Prassède, dei passaggi straordinari in cui l’autore inizia una frase ma poi lascia solo il soggetto appena apparso e lo abbandona, sulle prime, smarrito/irretito in un ampio inciso al cui interno accadono eventi che sembrano prendere il sopravvento su quanto è al di fuori della parentesi: così, mentre il soggetto resta lì in attesa e ancora non sappiamo cosa veramente accadrà di lui, esso viene lasciato in sospeso da un’ulteriore piccola digressione, mentre poi quasi inaspettatamente arriva il verbo (azione, praxis come nel cognome del protagonista…) e il lettore si sente rassicurato, perché rintraccia la sua sintassi minima, soggetto, verbo, complemento (ma è una rassicurazione intrisa sempre di spaesamento…). In tal modo, l’autore disarticola il nostro approccio a una linearità che spesso non è autentica semplicità, ma banalizzazione tirannica, quasi totalitaria: slogan di propaganda e/o grido di guerra. Dal momento che ci forniscono una ricchezza nutriente, la lingua di Pâris Prassède, il suo lessico e la sua sintassi, non compongono un grido di guerra, ma uno di pace. Il sangue può anche essere sangue risparmiato (cioè ribelle, che risponde a una guerra portata), non sangue fatto versare.

UNA SCUOLA SEMPRE PIÙ PRECARIA

 

Cliccare sulla locandina per ingrandire


mercoledì 27 novembre 2024

IL PROCLAMA ALEXANDER   
di Franco Astengo


 
 

Ricorre in questi giorni l'ottantesimo anniversario del cosiddetto "Proclama Alexander" che aprì la strada all'inverno 1944-1945: il più duro e difficile vissuto al di sopra della Linea Gotica nel corso della Resistenza all'invasione nazista iniziata l'8 settembre 1943. Alla fine dell'estate 1944 l'offensiva alleata in Italia che aveva portato alla Liberazione di Roma e Firenze si era arrestata davanti alla linea gotica che si estendeva da Rimini a La Spezia quale struttura di difesa dell'esercito tedesco e dei suoi alleati repubblichini. Dopo lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi e la battaglia delle Ardenne il fronte italiano per gli Alleati era diventato secondario rispetto all'invasione della Germania e l'occuparne in profondità il massimo del territorio mentre l'Armata Rossa stava scendendo da Est (i due eserciti poi a maggio 1945 si sarebbero incontrati sull'Elba mentre i sovietici stavano occupando Berlino). Così nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1944  in una trasmissione di "Italia Combatte" (l'emittente radiofonica attraverso cui il comando alleato teneva i contatti con il Comitato di Liberazione Nazionale a Roma) fu trasmesso un comunicato dal maresciallo Alexander comandante in campo delle truppe alleate nel Mediterraneo con il quale si dichiarava conclusa la campagna estiva degli eserciti alleati e si invitavano i comandi della Resistenza Italiana a cessare ogni operazione e a rimanere su posizioni difensiva: nell'estate era state proclamate le Repubbliche partigiane e la reazione dei nazi-fascisti era stata quella delle grandi stragi da Marzabotto a Sant'Anna di Stazzema a tante altre occasioni di distruzione e martirio per le popolazioni civili. 



Il cosiddetto "proclama Alexander" avrebbe dovuto sortire effetti demoralizzanti profondi e diffusi: come spiega il saggio appena uscito di Gastone Breccia: "L'ultimo inverno di guerra. Vita e morte sul fronte dimenticato" lo scopo era quello di tenere impegnate le forze tedesche per fare in modo che rimanesse sguarnita la difesa della Germania per favorire le truppe alleate; nello stesso tempo Kesserling comandante dell'esercito nazista in Italia pensava difendendosi di fornire maggior tempo alla difesa del suo Paese senza pensare (come poi ammise nel processo che lo condannò a morte, pena tramutata in ergastolo poi ridotta, finendo scarcerato nel 1952 e chiudendo la sua carriera come consulente del cancelliere Adenauer: tutto in nome del "mondo libero" e della "civiltà occidentale") che quel tempo sarebbe stato per sterminare nei campi milioni di persone ebrei, comunisti, "asociali" in genere. Il 2 dicembre 1944 il Comando Generale del Corpo dei Volontari della Libertà, ignorando il dettato degli alleati, emanò una circolare nella quale si invitavano i corpi combattenti in tutto il Nord Italia a proseguire lo sforzo militare, anche se l'insurrezione generale era ormai rinviata alla primavera. Nel comunicato veniva indicata l'esigenza di "reagire nel modo più fermo alle interpretazioni pessimistiche e disfattiste" del proclama e di considerare solo la cessazione di operazione su vasta scala. Il CVL invitò tutti i comandi regionali a non smobilitare le proprie formazioni ma a passare ad una nuova strategia in considerazione delle mutate condizioni belliche e climatiche. I partigiani riuscirono a superare il periodo repressivo disperdendosi nella Pianura Padana a ridosso dei centri urbani. I mesi di novembre e dicembre furono molto drammatici ma comunque il dispositivo insurrezionale non fu distrutto, anche se molto indebolito dalle decisioni alleate, causando un rallentamento nelle operazioni nella penisola e il protrarsi del conflitto in Italia.



In realtà il "proclama Alexander" conteneva anche un altro scopo: quello di impedire che i comunisti che nel campo partigiano erano i più attivi e meglio organizzati (ed avrebbero pagato anche i prezzi più alti) prendessero il sopravvento  ed egemonizzassero la Resistenza come era accaduto nella Jugoslavia: questo nonostante che Togliatti avesse già lanciato la parola d'ordine del "partito nuovo" e fatta rinviare la scelta istituzionale dopo la fine della guerra ponendo al primo posto la solidarietà antifascista all'interno del governo (passato da Badoglio a Bonomi) e del Comitato di Liberazione Nazionale. Malgrado le difficoltà, le divisioni e le massicce operazioni di repressione nazifasciste, le forze partigiane continuarono così a sopravvivere e ad aumentare numericamente nei primi mesi del 1944, rafforzate costantemente anche dai molti giovani che salirono in montagna per sfuggire ai bandi di arruolamento forzato della RSI diramati dal maresciallo Graziani. A febbraio e a marzo 1944 la forza partigiana al nord raddoppiò di numero. I richiamati che non risposero al bando del maresciallo (approvato da Mussolini e sollecitato dalle autorità tedesche) furono molto numerosi (in novembre 1943 su 186 000 coscritti si presentarono solo in 87.000), ma soprattutto furono molto elevati i casi di diserzione dopo l'arruolamento, che salirono dal 9% di gennaio 1944 al 28% del dicembre dello stesso anno, mentre nelle città operavano attivamente i GAP e le SAP. Arrivò la primavera, al termine di un freddo inverno di angoscia e di frustrazione: si era ormai alla vigilia dell'alba radiosa del 25 aprile.

 

HANNO LA FACCIA COME…
di Alessandro Barbero


 
Noi viviamo in una Repubblica che ufficialmente si definisce nata dalla Resistenza e abbiamo una rete di associazioni che conservano il ricordo e continuano a combattere la battaglia di quelli che, durante la Resistenza, hanno combattuto e magari si sono fatti ammazzare per liberare il paese dal fascismo. E abbiamo la fortuna che queste associazioni non sono, come dire, scomparse con la morte degli ultimi - restano ormai ben pochi di quelli che la resistenza l’hanno fatta - però queste associazioni, la rete dell’ANPI, sono vive, piene di gente, piene di giovani. E in questo specifico momento storico, nel nostro paese, c’è gente che da destra propone seriamente di abolire il finanziamento pubblico all’ANPI. Questo nel momento in cui ufficialmente da noi è vietata l’apologia del fascismo, ma invece di fatto è permessa in tutti i modi e associazioni dichiaratamente fasciste sono tollerate. E invece le associazioni che ricordano che noi siamo un paese nato dall’antifascismo, per fortuna, sono quelle a cui i nipotini dei fascisti vorrebbero togliere i finanziamenti pubblici. Hanno la faccia come... Va be’, non fatemelo dire.
Se c’è una battaglia che vale la pena di combattere oggi, in Italia - ce ne son tante, eh! - ma questa, questa per impedire che tocchino l’ANPI, mi sembra una di quelle più importanti di tutte.

FERMARE GUERRE E GENOCIDI


 
29 e 30 novembre: due grandi giornate di lotta contro guerre e genocidio, DDL-1660, governo Meloni.
 
Un'ondata reazionaria e razzista sta attraversando tutto l'occidente. L'elezione di Trump alla Casa Bianca rafforza i venti di guerra, in particolare in Medio Oriente, con il sostegno totale al genocidio dei palestinesi a Gaza e all’illimitato espansionismo dello stato sionista.
L’Unione europea di von der Leyen non è da meno, scatenata nella corsa agli armamenti e la decisione di prolungare lo scontro armato con la Russia a tempo indeterminato. A fare le spese di questo “nuovo corso” degli imperialismi occidentali, in evidente perdita di egemonia, continueranno ad essere – oggi come ieri – il proletariato e le masse oppresse di tutto il mondo: con il sangue delle migliaia di vittime delle loro bombe o, in occidente, con uno sfruttamento intensificato, l’impoverimento e la repressione imposti dall'economia di guerra. Il governo Meloni è, sotto ogni aspetto, l’espressione in Italia di questa tendenza generale: con la sua politica economica tutta a favore dei padroni grandi e piccoli; con il suo piano di deportazione degli immigrati; con il suo tentativo di instaurare uno stato di polizia attraverso un DDL Sicurezza che criminalizza ogni forma di lotta e di dissenso sociale, ecologico, sindacale e politico. È quella che noi chiamiamo la guerra interna, l’altra faccia della guerra esterna, contro chiunque non abbassa la testa davanti ai loro piani di miseria, sfruttamento e morte.
Questo brutale attacco sta cominciando a ricevere la risposta di lotta che merita. In questi mesi le piazze di tutto il mondo si sono riempite di milioni lavoratori/lavoratrici, studenti/esse e attivisti/e in risposta all'infame carneficina condotta dal sionismo nella striscia di Gaza, alla complicità dell'intero occidente con il regime coloniale e suprematista di Israele guidato da Netanyahu e a sostegno dell'eroica resistenza del popolo palestinese.



In Italia, grazie soprattutto alle realtà della sinistra palestinese e agli/alle internazionalisti/e, questa mobilitazione si è allargata alla denuncia generale della guerra e dell'economia di guerra. Si è scaldata incontrandosi con le lotte dei lavoratori, in primis quelli della logistica, contro i salari da fame e le politiche di super sfruttamento portate avanti dai padroni e dal governo. Ne sono prova: gli scioperi e le manifestazioni di novembre 2023 e di inizio 2024, con il grande corteo di Milano del 24 febbraio; le tante iniziative contro i traffici di armi e la Leonardo; il blocco dei porti di Genova e Salerno; le proteste nelle università contro gli accordi tra Italia e Israele; infine, la due giorni di scioperi e cortei del 18-19 ottobre e lo sciopero degli studenti del 15 novembre.
Il prossimo 29 novembre gran parte del sindacalismo di base ha indetto una nuova giornata di sciopero generale nazionale, che coinciderà con uno sciopero indetto da CGIL e UIL contro le misure economiche del governo. Il fatto che due delle tre principali organizzazioni sindacali chiamino alla mobilitazione, dopo essere state per più di un anno a guardare, è la riprova che le condizioni di vita della massa dei lavoratori sono sempre più insostenibili – anche per il ruolo nefasto svolto in questi anni dalle burocrazie confederali. Per questo pensiamo che lo sciopero del 29 e il corteo del 30 novembre a Roma, lanciato dalle realtà palestinesi a sostegno della resistenza, contro la guerra e contro il DDL Sicurezza, siano due momenti inscindibili di un'unica lotta. Solo rafforzando l'opposizione di classe al governo sarà possibile potenziare la mobilitazione a sostegno delle masse oppresse palestinesi; solo assumendo la lotta alla guerra, all'economia di guerra, al colonialismo e alla pulizia etnica in corso in Palestina, sarà possibile andare alla radice delle cause dei salari da fame, dei morti sul lavoro, dei rinnovi contrattuali-bidone, delle leggi liberticide e repressive contro chi lotta.
Come Rete Libere/i di Lottare, GPI e UDAP, facciamo appello a tutte le forze che in questi mesi sono state in piazza, mosse da una genuina avversione ai piani di barbarie del capitalismo, perché queste due giornate vedano il rilancio di una mobilitazione unitaria e realmente di massa contro il governo della guerra e del DDL-1660, per porre fine al genocidio in Palestina e mettere in discussione dalle fondamenta questo sistema che si nutre della distruzione, dello sfruttamento e dell'oppressione dell'uomo sull'uomo.
Lavoriamo affinché lo sciopero del 29 novembre abbia la massima forza, estensione ed efficacia.
Sabato 30 novembre tutte/i a Roma, parco Schuster, ore 14, per fermare le guerre imperialiste, il genocidio, il DDL-1660, contro il governo Meloni, per l'unificazione delle resistenze di classe e anticoloniali nel mondo.
 
Rete Libere/i di lottare contro il DDL 1660 – GPI – UDAP

Privacy Policy