UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 31 marzo 2019

Rinascita della poesia in dialetto. Il Friuli
di Alfredo Panetta

Con questo scritto di Alfredo Panetta, “Odissea” prosegue il dibattito sulle “lingue madri” dialettali, aperto con l’incontro pubblico milanese organizzato da Angelo Gaccione.

Alfredo Panetta

Sono infinite, sorprendenti le strade della poesia. In particolare se si prende in considerazione lo stato della poesia dialettale in Italia oggi. Da una parte, per ragioni legate alla globalizzazione linguistica, diminuiscono i parlanti dei vari idiomi italici. Secondo alcune statistiche lo zoccolo duro è rappresentato dal Veneto, dove il dialetto è largamente usato, non solo negli strati sociali più popolari. In linea generale però i dialetti sono diventati delle lingue regionali il cui confine con la lingua nazionale è estremamente labile. In questo stato di cose è evidente che la ricchezza arcaica ed evocativa delle parlate dialettali va lentamente ma inesorabilmente scemando. Da un altro lato, però, se ci soffermiamo in particolare sull’uso del dialetto in poesia, notiamo una fioritura, che va da Marsala al Natisone, dalle periferie romane ai lidi romagnoli. Buona parte del merito va ascritta a Pasolini. Il quale, da un lato ha composto delle eccellenti liriche nel dialetto di Casarsa, dall’altro ha svolto un meticoloso lavoro di ricerca sui poeti dialettali più importanti del panorama nazionale, catalogati nel saggio Passione e Ideologia. Lo stesso Friuli, la cui parlata è stata promossa ufficialmente a lingua dall’Unesco 20 anni fa, ha dato i natali ad autori di rilievo quali Amedeo Giacomini, Federico Tavan e il compianto Pier Luigi Cappello.

Amedeo Giacomini
Amedeo Giacomini è, dopo Pier Paolo Pasolini, il più importante poeta in lingua friulana. Studioso della lingua e della cultura triveneta, è testimone della fine della civiltà contadina. La perdita di contatto diretto con la natura causa all’uomo moderno un disagio esistenziale dal quale è difficile sottrarsi. Forse solo la presa di coscienza che la poesia impone può aiutarci ad alleviare lo stato di malessere: ‘I ai passar la vite a cjalati/ saramandule, pes cu li giambis/ pore vueide de cossiense…/ Non vuei strolegà/ i soi chi di cjar e sanc/ puar, scuintiat, gnarvos/ se ao di fa? Butami ju/ tun aghe muarte… (Ho passato la vita a guardarti/ salamandra, pesce con le gambe/ paura vuota della coscienza…/ Non voglio strologarci sopra/ sono qui di carne e sangue/ povero, scornato, nervoso/ che debbo fare? Buttarmi giù/ in acqua morta…).
In Federico Tavan è sorprendente il tono talvolta epigrammatico, talvolta violento dei suoi versi: A cost de sputaname. ‘E faviele de l’erba/ cuan ch’era verda/ e de li muses/ cuan ch’era de cjar…La mè poesia/ eis un temporal/ zirà pa’ li strades/ e cjapà a pugns al nua. (A costo di sputtanarmi. Parlo dell’erba quand’era fresca/ e delle facce quando erano di carne…/ La mia poesia è un temporale/ girare per le strade/ e prendere a pugni il nulla).

Federico Tavan

Come Pasolini, Pier Luigi Cappello era un poeta bilingue. E, come il grande intellettuale, sapeva benissimo dosare i due idiomi. Il grido di un mondo rurale che va scomparendo va espresso necessariamente in dialetto.
La parlata dialettale rappresenta l’alba di una civiltà e il poeta ne è l’ultimo vero artigiano, parole dell’autore. Ma Cappello è anche raffinato poeta lirico: O cerchi l’aiar che tu spetenis cu li mans/ chest dati e cjolti lusinte tal scur/ di ca la fan, di là il pan da la mè fan/ tu floride tal mjec/ e flor la piere ch’e sfloris in me. (Assaggio l’aria che spettini con le mani/ questo darti e togliere lucente nel buio/ di qua la fame, di là il pane della mia fame/ tu fiorita nel mezzo/ e fiore la pietra che sfiorisce in me).

Pierluigi Cappello
Tre esempi importanti di poeti, ahimè scomparsi, che però non hanno lasciato il vuoto. Mi permetto di sostenere che oggi c’è una generazione importante di poeti in lingua friulana. Mi limito a citarne, tra decine di autori validissimi, alcuni che meritano particolare attenzione: Ivan Crico, Nelvia di Monte, Ida Vallerugo, Francesco Indrigo, Giacomo Vit. A differenza di quanto si possa supporre, penso che la poesia in dialetto nella nostra penisola abbia un futuro tutto da scoprire. Una nuova primavera: questo il mio augurio!

L’EGEMONIA SULL’AGENDA
di Franco Astengo


Una rapida riflessione sui temi di maggiore attualità che l’informazione mainstream sta mettendo in evidenza ci indica come la destra più estrema abbia ormai imposto i propri temi sull’agenda politica e del dibattito pubblico presentando i termini di una vera e propria egemonia.
La più stretta attualità ci presenta come temi urgenti quelli riguardanti il ritorno al sovranismo, il recupero della centralità di opzioni da medioevo sui temi dei diritti civili, la libertà di difendere la proprietà anche a danno della vita altrui in maniera del tutto indiscriminata. Una proprietà intesa proprio come “egoismo del possesso”.
L’humus culturale su cui poggia questa destra retriva nasce naturalmente da una serie di combinazioni che non hanno in Italia la loro origine: è una questione di “clima” che nasce da un vero e proprio spostamento d’asse sul piano planetario. L’Italia però ne è stata investita in una dimensione molto specifica anche perché, è bene non dimenticarlo, la nostra è stata la terra della nascita e della crescita del fascismo come ideologia: ritroviamo, infatti, tratti di vera e propria cultura fascista in molte delle argomentazioni che oggi ci vengono presentate all’ordine del giorno del dibattito pubblico.
Non c’è scampo sotto quest’aspetto e non sono possibili “distinguo” più o meno sottili. Bisogna saper riconoscere la radicalità del livello di scontro in atto, la forza della contrapposizione, il fatto che, dalla parte della sinistra e dei democratici, è sfuggita completamente la capacità di far valere le proprie idee.
Non sembrano avere più spazio, da un lato, idee espresse attraverso il filtro culturale della dimensione sociale (forse un tempo si sarebbe detto “di classe”) e, dall’altro, più blandamente attraverso l’espressione del cosiddetto “politically correct” pur usato abbondantemente nella fase di transizione dentro la quale si sono trovate espressioni culturali e sistema politico nel corso degli ultimi 30 anni.
La destra, pur in una logica complessità di espressione, si è impadronita dell’agenda ed esercita una sua egemonia superando di slancio qualsiasi possibilità di contradditorio. Si è così determinato un effetto paradossale: le istanze che un tempo sarebbero state definite come “progressiste” appaiono ormai conservatrici e frutto del passato. La “modernità” invece sembra stare dalla parte di chi vuol riportarci all’indietro nel quadrante della storia, a partire dal nazionalismo e dalla rivendicazione di supremazie culturali, antropologiche, addirittura biologiche che sembravano proprio dimenticate nei cassetti di una storia tragica che mai avremmo pensato di veder riesumata con questa baldanza. C’è materia per riflettere con urgenza.


LETTURA/33
Aforismi per un giorno solo
di Nicolino Longo


Con questa carrellata di aforismi, “Lettura/ 33”, mi avvio a chiudere, per motivi di salute, quel cerchio che, l’anno scorso, in aprile, Angelo Gaccione mi aveva onorevolmente invitato ad aprire. Nel farlo, ringrazio lo stesso Gaccione per avermi fornito, durante tutto l’anno, anche l’incentivo a produrli, e, nello stesso tempo, tutti i collaboratori della rivista che li hanno, forse, apprezzati o, cosa più probabile, biasimati, dacché, dopo averli pubblicati, parecchi di essi non me li sono sentiti più corrispondere. Resterò, tuttavia (dopo aver pubblicato, anche quelli di “risulta”), a disposizione del prezioso organo di stampa per qualche altro eventuale aforisma del giorno, della settimana o del mese. Un abbraccio, pertanto, fortissimo, a tutti i lettori e collaboratori di “Odissea”, a Gaccione in particolare, nonché a Laura Margherita Volante, mia compagna di viaggio, in quest’iter aforistico-odisseico), con un sincero augurio di buon proseguimento nel lavoro di scrittura, che, di molti, ho tanto apprezzato, tesaurizzandone, proficuamente e gaudentemente, il portato dei contenuti. 
Ad maiora, dunque, ab imo pectore.   
Nicolino Longo - 31 marzo 2019-




1.“Ho visto giovani fare i disoccupati per non perder tempo a lavorare.
Poveri vecchi bisognosi d’occhiali, accontentarsi delle occhiaie.
E fiumi, nei propri letti, anziché dormire, camminare”.

2.“Mi piace il rischio, ma non la morte. Eppur sempre in curva
mi sorpasso”.

3.“Lei a lui: -Non mi lasciare, ti prego, voglio vivere al tuo fianco-
Ma lui le lasciò il fianco, e partì ugualmente”.

4.“I fiumi: sono i capezzoli della terra, cui i mari, eternamente bimbi,
poppano”.

5.“Il Sole: fiammifero con cui l’est accende il giorno”.

6.“Nel profondo Nord, son spariti i lupi e rimasti i lupanari.
Nel profondo Sud, son spariti i lupi e rimaste le lupare”.

7.“Gli Usa: dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, non han fatto che
perdere il proprio tempo ad acchiappare una Mosca”.

8.“Il ricco non si cura del povero, e non sa che deve proprio alla povertà
del povero la propria ricchezza. Il ricco quindi è come la scarpa,
che cammina e non sa che è il piede che la fa camminare”.

9.“Insonnia: tutta una notte a fissare il cielo d’una stanza. Il letto
a russarmi sotto le spalle”.

10.“Cronicità d’un amore: c’è una donna in me che non tramonta mai.
Quando tramonta in un occhio, già risorge nell’altro”.

11.“Follia: lei a volerlo incontrare correndogli dietro. E lui a volerla
raggiungere avendola alle spalle”.

12.“Sedersi, quando si è stanchi, è come fermarsi ad aspettarsi”.

13.“L’aspirante suicida: è un contabile che giorno dopo giorno
tira le somme della sua vita. Può capitare, però, che tutt’a un tratto
più non disponga degli addendi per farlo. Ed è allora che lui
anziché tirar le somme, tira le cuoia”.

14.“I fiori: sorrisi di donna su bocca di pianta”.

15.“Quante volte, per stanchezza, non potendo passeggiare, mi siedo
e chiamo le strade a passarmi sotto i piedi”.

16.“Il lavoratore inde/fesso: per il lavoro saltava i pasti; ma,
nel saltarli, diventò un atleta, primo posto, categoria skeletri”.

17.“I figli sono come foglie; sono i fogli i veri figli”.

18.“Il nostro Pianeta viaggia su due ruote: la Luna e il Sole. Ed ha
una motrice sola: la donna, nel cui quadro entra e gira
una sola chiave: l’uomo”.

19.“L’amore: è l’unica malattia che ci mette a letto senza essere ammalati”.

20.“La pazzia di molti alberi: in giacca e cravatta in primavera ed estate.
Spogliarellisti e nudisti, in autunno ed inverno”.

21.“Una gazzella: voleva, nella corsa, seminare la propria ombra,
ma non ci riuscì. Vi riuscì, invece, una lumaca, grazie a una nuvola
postasi davanti al sole”.

22.“Lamento di un povero: Mi manca il pane. Mi manca l’acqua.
Mi manca tutto. Ciò che ho, è solo il Mi manca”.

23.“Più non bado a direzioni. Seguo l’andare. Non più mi premono
traguardi. Né lo starmi alle calcagna a darmi fretta o retta.
Retta ora do solo al mio abitarmi accanto”.

24.“Il vento sfoglia gli alberi. Per leggerne, fischiando, i rami”.

25.“Il cuore è come un animale feroce.  Quando s’innamora può
combinare qualsiasi cosa. Ecco perché, dunque, ognun di noi
lo tien chiuso, nella gabbia toracica”.

FIRENZE. CONVEGNO SUI 70 ANNI DELLA NATO

Cliccare sul manifesto per ingrandire


AFORISMI
di Laura Margherita Volante



Accettare le proprie debolezze e fragilità è la grandezza degli umili.
L’orgoglio dell’arrogante è perdente di fronte alla dignità dell’umile.
Non c’è amore dove c’è orgoglio privo di senso del perdono.
Dove c’è orgoglio senza mutamento non c’è redenzione.
Il perdono è una dimensione dell’amore, generatore di mutamento
nel cuore più duro.
I malintesi sanno solo intendersi sul piano del conflitto.
I delinquenti e i criminali mafiosi non hanno cittadinanza…
L’ignoranza trova via libera nella società debole e subculturale
L’invidia è il male del secolo per mollezza di costume…
L’invidioso cova per anni per esplodere in cattiveria alla prima occasione
di fragilità dell’altro, oggetto del suo sentimento negativo.
Chi ha provato esperienze di dolore non ha voglia di quisquilie.
Il diritto alla felicità è il primo ad essere violato quando non vi siano libertà benessere e giustizia sociale.
Chi soffre fa il suo viaggio interiore sui binari dell’Io, diversamente è il viaggio esteriore dell’Ego senza rotaie…
Chi è solo si fa compagnia con i propri ideali sognando la libertà.
Sognare è una musica in chiave di libertà.
La solitudine è una musica in chiave di sol… dove gioia e tristezza dipendono dalla sinfonia dell’anima.
I grandi sono continuatori di idee prive di opinione ma ricche di essenza.
Il plagio è una pelle difficile da rimuovere.
Il più bel complimento che una donna possa ricevere da un uomo è nessun complimento, che la faccia sentire una persona, soggetto di diritto.
Abbattere gli alberi è un delitto contro l’umanità
Mettersi in ultima fila è un atto di generosità per chi sta davanti…
Le banche sono usuraie legalizzate.



AMERICA
di Ilaria, Vito, Adamo

TENNIS MATCH 
 

Siamo pronte a iniziare la stagione. Oggi è il primo giorno in cui ci scontreremo con un'altra scuola in alcuni match di tennis. Il mio ginocchio si è fortunatamente ripreso in tempo e grazie ai miei due “knee brace” posso partecipare anch’io ai match. È venerdì, questa settimana è stata lunghissima e pesante, le emozioni mi hanno giocato un brutto scherzo e non vedo l'ora di staccare il cervello, sfogandomi con la racchetta e una pallina da tennis. Raccolgo i vestiti sparsi nella stanza e la racchetta appoggiata sul letto. Infilo tutto nello zaino e salgo in cucina pronta per andare con Joe a scuola.
Mando un messaggio a Kolton, ho bisogno assolutamente di parlagli. Nemmeno il tempo di rispondermi che entra nella mia classe del primo periodo e, inventandosi una scusa, mi porta fuori. Ci sediamo ad uno dei tavoli della mensa e iniziamo a parlare. I lacrimoni si sciolgono e il nervoso prende lo spazio che poco prima era occupato dalla delusione. Mi abbraccia e cerca di consolarmi. È l'unica persona presente in America che riesce a calmarmi e che mi ascolta sempre. Sentiamo un'altra campanella, increduli ci guardiamo e realizziamo che siamo stati a parlare un po' più del dovuto. Corriamo in classe ridendo e il prof ci scusa senza nemmeno lasciarci un ticket.
Finalmente arriva il pranzo. Mi giro, "Kolton!" mi sorride e mi fa un segno con la mano. Ti senti meglio? " Sospiro. Mi accarezza la schiena e si appoggia sulla mia spalla per darmi conforto. Cerco di cambiare argomento in fretta per non focalizzarmi su ciò che mi fa stare male.  “Hei, ragazzo, oggi ho una partita importante.” – “Sì, giocherai nella squadra oggi?" Esito un attimo, "Non proprio, vedremo … ma sono abbastanza sicura di giocare il doppio."
Tutte le altre ragazze sono nello spogliatoio e urlando si scambiano battute e risate. La loro energia mi fa solo bene. Mi salutano in coro, urlando: "Group hug in the shower tonight (Abbraccio di gruppo nella doccia stasera)". Siamo tutte pronte e carichissime. Saliamo sul bus che ci porterà in Portland per giocare il game.
Il viaggio sembra volare, nonostante il traffico lo abbia reso quasi di due ore. Scendiamo tutte un po' appisolate dall'autobus e ringraziamo il nostro Mr. Busdriver. Tutte insieme ci avviamo ai campi di tennis della Valley Catholic. Il nervoso un po' si fa sentire, ma il sole caldo alto nel cielo e il venticello fresco, danno quel senso di primavera che risveglia in noi tutte le energie. 
Il riscaldamento dura cinque minuti, la coach ci richiama con un fischio alla panchina: “Ok, ragazze, oggi sarà dura, ma le possiamo battere. Questa è la formazione …" inizia a parlare e a scandire i nomi partendo dal singolo. Fortunatamente non sono nella top singoli… mi sentirei troppo a disagio da sola in mezzo a quel campo. Inizia la lista dei double. Non presto troppo attenzione fino a che sento il mio nome. Mi giro di scatto e la guardo: "Ho sentito il mio nome e penso di non essere ancora pronta. Mi guarda e sorridendo mi risponde: “Ila, oggi giocherai con la squadra". Sfodera un sorriso e le ragazze mi applaudono. Saltello sul posto e mi faccio prendere dall'emozione. 
Entriamo in campo senza sapere contro chi stiamo giocando. La mia compagna si chiama Charlie. É simpaticissima e esuberante, esattamente come me; ci battiamo il cinque mentre con un sacco di entusiasmo diciamo: "Just for fun, baby (tanto per divertirci)". Iniziamo il riscaldamento, ci rendiamo conto in fretta che l'altra coppia è davvero bravissima. Non ne sbagliano una. Ci guardiamo spesso, io e Charlie, durante il warm-up, e con lo sguardo ci incoraggiamo. Sarà tosta ma nessuno ci metterà mai fuori dai giochi, noi siamo qua per divertirci e per avere dei bei ricordi. 
Prima di iniziare il match andiamo a parlare con la coach chiedendo che tipo di livello siano. La coach non risponde ma dice che possiamo farcela e che, comunque vada, saremo orgogliose di noi stesse. Con la coda fra le gambe ci andiamo a posizionare nel campo e iniziamo a chiamare le palle. Facciamo due punti e loro ne hanno tre, siamo vicine, dobbiamo solo stringere i denti e lottare per i nostri obbiettivi. Io e Charlie non smettiamo di ridere e ci incoraggiamo a ogni punto. Facciamo una pausa per bere e il punteggio è 5-5. La coach e il resto del team ci guarda da fuori incoraggiandoci come non mai. Tocca me alla battuta. Odio battere. Charlie mi guarda e mi fa una smorfia per imitare l'altra ragazza del team avversario. Scoppio a ridere, cerco di contenermi, ma con scarsi risultati. Lancio la palla in aria e, con tutta la potenza che ho, la butto nell'angolino sinistro del campo. Era veloce e dritta; non la prende e facciamo il punto per andare in vantaggio. Saltiamo insieme e ci muoviamo ballando. Le altre ragazze del nostro team esultano con noi e ridendo ci applaudono. La coach non riesce a trattenere la risata, mentre le avversarie ci guardano sconcertate. 
Le ignoriamo e continuano a giocare. Il match finisce e siamo soddisfatte del nostro punteggio. La coach esce e dice che le due ragazze con cui abbiamo appena giocato sono il secondo team varsity di tutta la squadra.
Sono quasi le 8pm e abbiamo finito. Abbiamo vinto quasi tutti i game e la soddisfazione ci si legge negli occhi. Saliamo contente e canterine sul pullman.
Mancano cinque minuti alla scuola e intoniamo il canto per ringraziare Mr. Busdriver. Scendo dal bus con tutte le mie cose.
Il freddo mi si attacca alle gambe coperte solo da un paio di short. Saluto le ragazze e la coach e mi dirigo in fretta alla macchina di Mom. Mi siedo sul sedile caldo e subito inizio a raccontare quello che è successo. Con aria orgogliosa e felice di me, mi dice che sono stata bravissima e che è davvero contenta di come mi stia mettendo in gioco. Mi abbraccia e poi finalmente siamo a casa. 
La stanchezza non fatica ad arrivare e velocemente mi addormento sul mio letto, senza neanche accorgermi di non aver messo il pigiama. Good night y'all.
Ilaria

***
Sublimity


Disegno di Adamo Calabrese

C’è stato un fatto nuovo: l’Agenzia ha indicato una finestra temporale, la seconda metà di agosto, per la partenza di Ilaria. Siamo in Liguria a goderci la fine delle vacanze.
- Nonno, ho una bella notizia da darti - la voce di Ilaria suona eccitata.
- Che è successo?
- Vado in Oregon! – Lei continua a parlarmi, mischiando emozioni e informazioni, in un vortice nervoso. C’è una premura a rivelare quelle poche ma preziose notizie sulla famiglia ospitante, che faccio fatica a seguirla.
- Come si chiama la famiglia? – chiedo per rallentare il torrente irrefrenabile delle parole.
- Alley. La mamma è Kelly e il papà è Mike. Hanno 55 anni e quattro figli.
- Dove vivono?
- Un paese di circa 2500 persone, Sublimity.
- Come? Non ho capito? Qual è il nome?
- Sublimity, vicino alla costa del Pacifico.
Un nome improbabile come tanti nella geografia degli States: Sublimity!
Ilaria mi assedia con le notizie. Sono dentro un carosello gioioso e lei continua, contenta, a raccontare dettagli come se fosse già là. Il figlio minore Joe ha la sua età e Morgan, l’altra sorella che vive in casa, ha 23 anni. La High School, dove frequenterà il 12º grade, dista tre chilometri.
- Sei contenta?
- Sì, molto. Quando mi ha chiamato la corrispondente dell’Agenzia non ci credevo e ho pianto per la gioia.
Oregon. È una meta interessante, all’Ovest, sul Pacifico. Un tuffo nella vita calma dei villaggi rurali degli States. Se la famiglia è, come sembra, pronta all’accoglienza, Ilaria comincia il sogno americano nel miglior modo possibile.
Vito

venerdì 29 marzo 2019

IL RE… FUSO


Da un po’ di tempo “Odissea” si avvale, per migliorare gli scritti di tanti nostri distratti collaboratori, di un occhio vigile ed attento: quello dell’amico, collaboratore e poeta calabrese Nicolino Longo. È lui che si è assunto il compito di controllare i vari refusi di battitura segnalandoceli tempestivamente. Il monitor si sa è traditore, ed i tasti a volte basta solo sfiorarli perché combinino guai. Sempre buona pratica sarebbe fare una stampata del testo, rileggerlo ed emendare gli errori prima di inviarlo in redazione. Ma anche così non è detto che i refusi si rivelino all’occhio di chi ha scritto. Quasi tutti noi facciamo una lettura mentale e gli errori inevitabilmente ci sfuggono. Succede anche a Longo, che più e più volte ci segnala -a posteriori- refusi sui suoi stessi scritti di cui i nostri lettori, e noi con loro, apprezzano l’ironia, l’efficacia e la bellezza, sia che si tratti di poesia, sia che si tratti dei suoi acuti e fulminanti aforismi. Lo vogliamo ringraziare pubblicamente dedicandogli questo testo poetico dal titolo “Il refuso” riprodotto anche nella sua variante. (a.g.)



IL REFUSO

Maligno si è infilato tra le righe
di una pagina che a tutta prima
pareva perfetta
e forse lo sarebbe stata
se, quel farabutto,
approfittando della svista
di un computer molto serio
e compassato,
non avesse trasformato
il passo più prezioso della prosa
da realismo terminale
in realismo verminale.

[Milano, 2018]

VARIANTE

Maligno si è infilato tra le righe
di una pagina che a tutta prima
pareva perfetta
e forse lo sarebbe stata
se, quel farabutto,
approfittando della svista
di un computer molto serio
e compassato,
non avesse trasformato
il passo più prezioso della prosa
da gloriose amate masse
in gloriose amate tasse.

[Angelo Gaccione]

TRE AFORISMI
di Nicolino Longo


“I marinai, con le loro reti, prendono i pesci. Berlusconi,
con le sue, gli sponsor”.

“L’amore: è quella benda con cui fasciamo il cuore, quando le spine
della vita lo fanno sanguinare”.

“Nel terzo Mondo muoiono di fame. Noi…  perché ci mangiamo 
primo, secondo e terzo… Mondo”.


giovedì 28 marzo 2019

DONATELLA BISUTTI A VARESE

La locandina dell'incontro


CHIARA PASETTI SEGNALA AI LETTORI DI ODISSEA
GENOVA. MOSTRA DEL MAESTRO LUISO STURLA

Luiso Sturla nello studio

Memorie del visibile
Genova, Museo del Mare di Pegli
6 aprile – 8 maggio 2019
Si apre al Museo del Mare di Pegli in Villa Doria il giorno 6 aprile alle ore 11 e fino all’8 maggio 2019 la mostra di Luiso Sturla Memorie del visibile curata da Leo Lecci e Rossella Soro che propone una selezione di 22 opere recenti tra dipinti su tela e su carta.
Alla mostra è associato il catalogo, edito da De Ferrari Edizioni di Genova, introdotto da un saggio di Leo Lecci, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Genova, progetto grafico Alessia Ronco Milanaccio.
Luiso Sturla è una delle poche figure di protagonisti sulla scena pittorica che ancora tiene viva la grande civiltà della pittura informale, di quella pittura che è stata definita degli "ultimi naturalisti" e che è stata considerata da molti come un “momento determinante della nostra ricerca artistica”.
Sturla, nato a Chiavari nel 1930, ha alle spalle una lunga storia che lo vede legarsi, dopo gli inizi figurativi, al Movimento Arte Concreta, per poi avviarsi verso una nuova ricerca maturata anche in un soggiorno negli Stati Uniti (1960/61) dove dialoga con l'Action Painting e scopre quindi una dimensione differente del discorso pittorico, una grande libertà compositiva.
La ricerca di Sturla è sempre stata mossa da un dialogo col naturale che diventa stratificarsi di forme, sovrapporsi di memorie. Come nel caso delle lettere, dei frammenti trovati che vengono integrati, inclusi e quindi ripensati dalla pittura, dunque un dipingere che è "scrittura", come le lettere, i frammenti ancora leggibili sulla tela. E poi i titoli: chi legge i titoli delle opere di Sturla scopre memorie di luoghi e di spazi precisi, ma poi l'opera è sempre una trasformazione, un modo per rendere non più riconoscibile il fiume che scorre vicino a casa, il giardino o il profilo dei monti, il cielo o lo spazio di un abitato. Insomma Sturla è un pittore della memoria e i titoli sono una suggestione proprio per riscoprire, collegare un punto di partenza lontano con l'invenzione innovatrice del dipinto.
Un artista dunque di grande interesse e per il quale la critica, sempre attenta alla sua ricerca, ancora negli ultimi anni ha mostrato una rinnovata attenzione.




LUOGO: Genova, Museo del Mare di Pegli, Villa Doria Piazza Bonavino 7
DATE6 aprile – 8 maggio 2019
            Inaugurazione sabato 6 aprile 2019 ore 11.00
ORARI: sabato 10.00 – 18.00 | da domenica a venerdì 10 – 13 | chiuso il lunedì
INFO: Rossella Soro 339 722 8865

PER LOREDANA CILIONE
di Vincenzo Guarracino


Il 19 marzo scorso è scomparsa a Milano, al termine di una breve ma straziante malattia, Loredana Cilione, poetessa e già compagna per un trentennio di Gilberto Finzi, di cui è stata depositaria di memorie e carte poetiche.  
Nata e vissuta a Milano, Loredana ha realizzato una poesia molto originale investendo le sue energie, con un occhio alla letteratura e uno alla quotidianità, in una scrittura intessuta di sapienza e ironica eleganza intorno a una molteplicità di temi, a oggetti e momenti dell’universo femminile allusivamente rappresentati con effetti di melodrammatica, sorprendente freschezza, a testimonianza di quello che nella sua ricerca poetica è stato definito “il surreale quotidiano”.
Dopo un primo libro “Sfogliare il Tempo (1990), le sue poesie sono comparse su varie riviste (“Concertino”, “Anterem”, “Verso”, “Si scrive”) e in numerose raccolte poetiche, tra cui “Il silenzio” (1997), “Infinito Leopardi” (1999), “Il verso all’infinito” (1999), “Poeti per Milano” (2002).
Nel 1995, ha dato alle stampe, con la Lythos di Como, Rime scherzose e successivamente Carillon, per la collana “Fiori di Torchio” (1999). Nel 2002 è uscita la raccolta Scanzoniere e Embrione con una tempera di Adalberto Borioli. Nel 2015 ha pubblicato Poemetto nel volume Hyperversi.
Per ricordarla, riportiamo i suoi ultimi versi comparsi sull’antologia Lunario di desideri, in cui, in maniera singolare, Loredana ha voluto intrecciare un ultimo colloquio amoroso con Gilberto in un originale “duetto”, modellato su un carme di Catullo, in cui in controcanto le due voci si corrispondono:
BASIA MULTA - È una sorta di scherzoso e al tempo stesso dolente “contrasto”, fatto di basia multa (c.7), di baci verbali insaziabili e incommensurabili: con una voce, quella di G (ossia di Gilberto), che gioca col nome dell’Amata, la L di Lei, e questa, Loredana Cilione, che a sua volta amabilmente gli fa il verso, in schermaglie incentrate intorno al tema del Nome. È una eterna questione, quella del Nome, un “puro segno”, che si presta a mille variazioni, sempre per dire e ribadire quanto il gioco sia serio e come giunga al cuore, all’Essenziale, senza lasciarsi irretire da logiche puramente elegiache, dai “doppi vetri” del ricordo nostalgico: un gioco serio, un puzzle lessicale, dove tutto è possibile e ad “amore” corrisponde soltanto “ardore”.


Gilberto

L di Lei
a chiamarti con tutti
i nomi del possibile e impossibile –
sei, saresti o sarai sempre
la L di luna, luce e lama,
ma anche di linea, lince e libidine –
umida foglia, anima sospesa,
fino amore, vaga L di lei
sommersa dall’amore

(da Dèmone se vuoi)

Loredana

G di Lui
se ti guardo attraverso
i doppi vetri segnati dal tramonto
vedo da un limite d’aria
la G di gioia, gioco e Gibí
nonché di gatto e gallo sterpacuore
linea marcata, avida astrazione
puro segno e intatta G di lui
atteso nell’ardore



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