UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 31 gennaio 2019

COMUNITÀ CONCRETE
di Emilio Renzi

Emilio Renzi

Una lettera aperta di Emilio Renzi a Fulvio Papi.
Unire i tanti “granelli di sabbia”.

Carissimo Fulvio,
ho letto con grande interesse il tuo scritto “Il granello di sabbia” apparso sulla prima pagina di “Odissea” ieri 30 gennaio.  
Parto "dal fondo": la tua affermazione di non sottovalutare "i germogli", il "germoglio".
È una metafora importante. A Milano e certamente in tutto il Nord e il Centro, chissà anche nel Meridione, le formazioni, le raccolte, gli interventi, le attività,  che io da vecchio olivettiano chiamo "comunità concrete", come le chiamò e ne scrisse Adriano, sono numerose. Molte fanno più o meno parte dell'arcipelago cattolico oggi semisommerso nella confusa ricerca di un referente politico-istituzionale - e va benissimo. Sarebbe anzi interessante un'inchiesta che verificasse in maniera credibile quante sono le sezioni (pardon, i "circoli"!), della sinistra che trova la propria identità nel Pd all'opera sul terreno. Temo che i risultati sarebbero deludenti, irritanti. Ti risulta che - salvo poche eccezioni - ci siano circoli che abbiano in bacheca un avviso del tipo, "qui lezioni di italiano per migranti, gratuite, nel tal giorno nelle tali ore, account eccetera"?
Meglio non fare domande sbagliate e proseguire a ragionare.
"Germoglio", leggo nella Treccani: "fig., letter. Ciò che ha origine immediata da qualche cosa, frutto (in senso fig.): i primi g. della sua intensa attività; con sign. attivo, ciò che dà origine a qualche cosa (in questo senso, meno com. di germe): germogli di mutamenti sociali."
Ci siamo - e non confondiamoci con iskra/scintilla di Lenin... nessuno deve  più accendere fuochi, in ogni senso letterale e metaforico della parola. 
Il Partito dei Lavoratori che Filippo Turati e i compagni fondarono a Genova aveva proprio questo fine: chiamare a raccolta (altro termine di matrice botanica!...), le tante comunità di lavoratori delle campagne, delle officine metallurgiche, dei cenacoli intellettuali, perché uniti forse si vince - disuniti certo si perde.

La copertina del libbro

Nel mio "Persona" ho cercato di tracciare una sintesi e proposta di "Socialismo comunitario". Scusa se cito me stesso: "La dimensione comunitaria è il giusto mezzo tra l'atomistico individualistico e la cattiva infinità della globalizzazione".
Sorge qui un duplice ordine di problemi. Il primo è che anche le comunità possono cadere in una prassi atomistica: ognuno fa la propria parte ma le diverse parti non si conoscono fra loro. Come se il miglior violinista e il miglior contrabbasso non si sintonizzassero. Qui soccorre la vituperata Rete. La Rete - la Tecnologia su cui si fonda e sviluppa con progressioni sbalorditive - non è il Male Assoluto. Che persone irresponsabili e prepotenti e forze organizzate che non vale la pena di nominare ne abbiano fatto e facciano un uso malo, significa soltanto che a suo tempo abbiamo sbagliato a storcere il naso, alzare un sopracciglio. Conclusione provvisoria è sfruttare la Rete con segno algebrico diverso anzi opposto. Personalmente non ce l'ho ancora fatta a visitare i siti della Lega o 5 Stelle, ma prima o poi lo farò. Intelligence, si chiama...
L'altro problema che mi sembra tu sfiori nel senso di non commettere antichi errori - cave sul quale sono del tutto d'accordo -  senza però andare oltre l'indicazione di "mostrare l’eventuale prospettiva del granello di sabbia. Ma forse, per oggi, è sufficiente riconoscerlo questo granello".
Bene, cominciamo con la conoscenza e il suo approfondimento nella sociologia e nella storia. E accettiamo, nonostante i venti e i marosi del tempo che è cattivo, il sommesso ma fermo invito a lavorare - sempre di nuovo. 
Fraterni saluti,
Emilio


mercoledì 30 gennaio 2019

IL GRANELLO DI SABBIA
di Fulvio Papi   
Nascita del Psi

Per tradizione le analisi di cultura politica socialista hanno sempre privilegiato spazi politici nazionali o eurocentrici.
Oggi questa limitazione non è più possibile perché, se pure in maniera indiretta, ciascuno è collegato ad uno spazio economico politico molto più vasto. Un bambino che manipola un qualsiasi giocattolo si può trovare in relazione con un mercato molto più ampio di quanto lo scarso valore dell'oggetto non possa far pensare.
L'esempio è molto povero, ma il flusso dei capitali e del capitale non è differente se non per i mezzi di transito.
Per il resto noi abbiamo nozioni molto importanti: per esempio possediamo inquietanti modelli di incremento demografico, così come la certezza che la terra in cui viviamo, a causa di tutte le conseguenze dei mezzi di produzione subirà, per l'innalzamento delle acque dei mari una catastrofe che colpirà direttamente mezzo miliardo di uomini, ma indirettamente non potrà non avere ripercussioni più o meno rilevanti su tutto il pianeta. A questo proposito non si può fare alcuna teoria scientifica valida, ma una buona immaginazione può suggerire che vi saranno una nuova distribuzione delle classi sociali, un nuovo senso storico degli stati, un conflitto violento intorno ai poteri sociali, politici e tecnologici. Una molto parziale anticipazione l'abbiamo anche oggi con la costruzione dei muri, con i quali, anche al di là della contingente migrazione, essi sembrano segnare un mondo che vuole restare identico a sé anche di fronte alle drammatiche aspettative future. Se esaminiamo, con uno sguardo lungo, la politica sostanzialmente isolazionista di Trump in tutte le sue iniziative, non possiamo non ritrovare un simile criterio di difesa dell'area nord- americana. I dazi all’importazione, il disimpegno ecologico e quello militare, a livello mondiale, hanno lo stesso segno. Quello che accadrà non lo possiamo sapere, quello che vediamo è che la storia, a livello mondiale, è mutata dal tempo dell’enfasi della “globalizzazione” che ha lasciato conseguenze molto gravi in quella che possiamo dichiarare zona eurocentrica. 

Disuguaglianza

Il mercato americano, alla luce di famosi principi neoliberisti della Scuola di Chicago, non ha alcuna conseguenza rilevante. A livello europeo il dominio del mercato come un dio capace di creare nel proprio funzionamento il migliore dei mondi possibili, ha messo in crisi una civiltà che aveva trovato, dopo la tragedia storica dei nazionalismi di massa, un equilibrio sociale che certamente aveva i suoi problemi aperti, come sempre capita nella storia, ma, come disse un importante leader di sinistra, aveva assimilato nel proprio corpo sociale alcuni elementi di socialismo. Di solito, a questo proposito, si parla di un compromesso tra le classi sociali di tipo keynesiano, ma il suo vero senso sociale di quel periodo andrebbe esplorato nella sorte dei singoli bilanci dello stato di cui farò cenno. E credo che si possa dire già ora che, a livello del debito pubblico, non si sarebbe potuto sostenere a lungo la situazione sociale che si era creata. Tanto più che a livello mondiale la globalizzazione, come tutti sanno, aveva favorito lo sviluppo (ma anche qui: quale sviluppo?) di paesi come la Cina e l'India e aveva, al contrario, contratto il livello economico-sociale delle classi medi, desiderose fra l'altro, e qui si vede il livello politico, di ripetere il proprio passato. 



Un abbassamento delle disponibilità economiche e dello squilibrio, precedentemente provocato, secondo un'idea sbagliata di sviluppo, tra ricchezza privata e ricchezza pubblica, ha costruito un modello che, semplificando all'estremo, si potrebbe anche dire che una serie di poteri, di interessi, di arricchimenti, di consumi, di identità collettive, di aspettative, di istanze, hanno condizionato una possibile politica economica dello Stato ed una selezione stessa della classe politica. La vittima, nemmeno più nominata, era la "programmazione economica", ritenuta un rottame intellettuale che aveva burocratizzato l'economia impedendone la sua originaria capacità di sviluppo, quand'essa fosse affidata all'iniziativa privata. La società mercantile ristrutturava del tutto la figura intellettuale, etica e giuridica, aperta alla iniziativa economica, che aveva costituito il modello costituzionale di Stato.
Sono ben lontano dal ritenere che l'iniziativa economica del re (per parlare storicamente) sia giusta ed efficace, ma sono dubbioso che il mercato erediti il potere del re, ed ottenga così i risultati positivi che il sovrano aveva mancato. Il problema è complesso, ma qui mi limiterò a dire che non esiste una economia politica che incarni materialmente l'idea platonica di bene. Esistono politiche economiche che coinvolgono valore sociale e possibilità oggettive e, nella ricerca di questo equilibrio, esiste una politica conservatrice e una politica socialista che, in ogni caso, devono conoscere da esperti la tecnica razionale di conduzione di una situazione economica, privandosi di proclami demagogici che, con la loro ignoranza, provocano un drammatico crollo del giudizio pubblico.


Una domanda che non pochi si sono posti è come sia potuto accadere che una cultura come quella tradizionale della sinistra sia stata spazzata via dai luoghi comuni di un neoliberismo tanto banale quanto aggressivo e convincente. La cultura della sinistra era diventata di natura mitico-libresca. Mitica perché aveva diffuso per anni la convinzione che l’URSS fosse un paese guida così come il partito che ne costituiva l'ossatura politica. La sua caduta non solo mostrò le ragioni strutturali dell'economia del paese, le insostenibili spese militari, ma anche uno stile autoritario e violento del potere centralizzato e poliziesco opposto ai desideri di identità della popolazione. L’insostenibilità economica e l'oppressione sociale costituivano una unità insopportabile come forma di vita. Qui non posso andare oltre quelli che sono stati i totali effetti della caduta di un mito che hanno investito tutta l'area della sinistra e, nel gioco delle opposizioni immaginarie, hanno valorizzato come immediata terapia una svolta neo-liberista. Quale che potesse essere l'immagine pubblica socialista, considerando altresì le vicende tutt'altro che corroboranti di questo partito, essa era socialmente perduta. Fatto non secondario fu che un'élite politica transitò con convinzione verso una prospettiva neoliberista proprio perché era un ceto di pura rendita di posizione, privo di qualsiasi capacità di ricostituzione culturale e sociale che, con la ridicola concezione della modernizzazione, adottava comportamenti intellettuali e pratici identici a quelli che avrebbe dovuto contestare, con argomenti pertinenti e razionali. Basti pensare alle privatizzazioni come terapia assoluta di gestioni pubbliche insoddisfacenti, parassitarie e politiche. La verità storica sembrava evidente, rovesciando la carta che da tempo vanamente si aveva in mano. Se si fanno alcune solitarie eccezioni, questa fu la fine di una cultura politica della sinistra, eguale nella povertà intellettuale, rabbiosamente combattiva tra comunisti e socialisti a livello di quella che chiamerei la rappresentazione politica con le sue cecità, presunzioni, arroganze, accuse che, in modi diversi, ma con un destino simile, portava alla trasfigurazione se non alla scomparsa politica dei socialisti e dei comunisti, che presumevano di mutare la realtà con strategie nominalistiche.
Prendo ora in esame il tema del lavoro che, nelle diverse correnti della sinistra, è stato tradizionalmente un motivo di coesione e di riconoscimento sociale e politico. La parola lavoro (non attività) nelle lingue europee dell'età moderna indica sia il lavoro agricolo, nel periodo in cui era prevalente la rendita fondiaria, che il lavoro prima delle manifatture, poi delle fabbriche, ancora il lavoro della moderna fabbrica con la successiva razionalizzazione tayloristica e fordista. Oggi il lavoro ha subìto una totale trasformazione informatica, su cui esiste una letteratura per specialisti. Come ogni forma di lavoro ha le sue conseguenze sociali, così avviene anche nella nostra età tecnologica.


In generale vale l’osservazione che in tutta la storia moderna l’ampliamento del capitale fisso (la tecnologia) ha avuto quasi sempre un effetto negativo, almeno immediato,  sull’occupazione che non veniva assorbita da altri cicli produttivi.  Nelle nuove forme produttive vi è un impiego corporeo relativo allo strumento e alle tecnologie lavorative, una modalità intellettuale e psicologica relativa all'impiego, un sapere necessario per un impiego produttivo, una relazione intersoggettiva tra i lavoratori, la necessità di cicli di riqualificazione che si riflettono sulla vita di ognuno, la considerazione dell'esistenza di un ampio esercito di riserva, la crescente internazionalizzazione del lavoro. Tutte queste variazioni hanno condotto a una forte diminuzione della comunità di lavoro, introducendo un elemento individuale in questa prassi. Vorrei ricordare che vi è stato anche chi ha sostenuto che oggi il lavoratore è un imprenditore di se stesso, il che significa l’accentuazione della concorrenza nel mondo del lavoro, al di là del tradizionale esercito di riserva.
Per quanto riguarda la possibilità di un intervento dello stato nella società secondo ragionevolezza, possibilità e giustizia che interessano tutto il territorio nazionale, sia per quanto è relativo alle organizzazioni istituzionali, sia per quanto riguarda le necessità della popolazione, il punto centrale da prendere in considerazione è quello del bilancio pubblico. Quello nazionale è stato definito dall’economista Nouriel Roubini (che cito da Leonida Tedoldi, Il conto degli errori. Stato e debito pubblico in Italia dagli anni Settanta al Duemila, 2015) come “un’arma finanziaria di distruzione di massa destinata a gravare sulle generazioni future, unica nelle sue dimensioni in tutta Europa e nello stesso Occidente”.

I nuovi poveri
A questo proposito sono stati fatti numerosi studi, di cui sarebbe bene tenere conto, ed evitare così di ascoltare a livello mediatico sciocchezze triviali, perché l’investitura popolare non elimina né l’ignoranza, né la supponenza, anzi, al contrario, dovrebbe invitare all’analisi e alla ponderazione e quindi alla responsabilità.
Un’ipotesi molto generale potrebbe essere quella che sottolinea su un lungo periodo uno scontro tutt’altro che virtuoso tra la spesa pubblica locale e la caduta a pioggia degli investimenti dello stato. Questo stesso primo punto richiede analisi fattuali precise, non si può asserire che vi è stata spesso una spesa pubblica del tutto improduttiva se non per ottenere consenso popolare ad élite politiche preoccupate soprattutto della propria riproduzione. In questo caso il voto di scambio non è una trattativa, ma un costume abituale che si può vedere dallo sperpero del denaro pubblico. È mai possibile che il territorio nazionale sia popolato di edifici pubblici a varia destinazione mai terminati e abbandonati al loro degrado? Per questo caso è la società e le sue forme “storiche” di potere che, con la collaborazione della politica del centro, devastano la spesa pubblica con vantaggi collettivi di breve durata, ma rispondenti ad un ordine sociale dominante.


Possiamo dire che la formalità democratica, considerata valida nel suo significato ideale, può essere ragione di gestioni che conducono allo sperpero di denaro pubblico? È forse sbagliato affermare che al di là delle spese clientelari, puri motivi di consumo, senza erogazione di servizi se non immaginari, esiste un’evasione fiscale che talora può consentire la stessa competitività? Una diffusione illegale i cui profitti, a quanto posso credere, servono per la propria riproduzione allargata? È sbagliato ritenere che bisogna fare una distinzione tra ceti che hanno una protezione sociale, che viene da una storia passata, e ceti che ne sono privi? Certo ci vorrebbero analisi più approfondite, ma questi fattori credo agiscono sulla fragilità del bilancio dello stato, che, come è noto prima del rapporto con l’Europa, veniva risolto con una diminuzione del valore della moneta. Credo che quando si parla di una politica di sviluppo non si debba immaginare un immaginario incremento quantitativo press’a poco eguale a se stesso (l’innovazione non è solo una selezione alla concorrenza, ma anche agli effetti occupazionali) misurato con lo screditato PIL, quanto una politica che finalmente faccia i conti con alcune delle tradizionali storture esistenti nella vita sociale e per lo più dimenticate dallo stato, ma che, per tutte le loro insufficienze, vengono pagate da chi non ha o non ne ha che poco. Mentre di fatto costituiscono motivi di selezione per l’aumento di privilegi di casta più o meno reconditi.
Compagni socialisti, le mie analisi non sono felici, tutt’altro. Tuttavia non ripeterò quanto tempo fa, con un’aria da sconfitto senza rimedio, disse un mio collega: “non c’è niente da fare”. Quando ero giovane, con altri giovani, progettavamo la “città socialista” opposta a quella società che il capitalismo, in grande sviluppo, stava costruendo, tenendo di vista solo del minimo necessario per l’alloggio della forza lavoro. Oggi per tutti i temi che ho toccato questa opposizione così radicale esiste ancora come luoghi dei poveri in grave degrado e sfarzo architettonico per i ricchi sempre più ricchi. Quello che non c'è più è una definitiva dialettica storica nella quale trovare anche il nostro senso.


Oggi io ripeto quello che in piena occupazione tedesca mi disse un amico filosofo che non c'è più: "noi possiamo mettere un granello di sabbia nell'apparato". Non sottovalutate il granello di sabbia perché può provocare nel funzionamento del sistema guasti successivi, poiché questa è una possibilità del granello anche se gli effetti appartengano all'imprevisto. Quello che immediatamente facciamo con il nostro granello di sabbia è la difesa e la trasformazione della democrazia*. La parola originaria greca è "politeia" che correttamente vuole dire "partecipazione" alla vita della città. Ebbene noi diremo che la democrazia è un processo di educazione politica che deve avvenire secondo i modi e i tempi che si danno alla nostra esperienza. Esso ha i suoi documenti, come la nostra Costituzione, che non indicano solo le leggi dello stato, ma i punti politici di partenza per affrontare il mondo che si è aperto davanti a noi. La democrazia non è un dato di fatto che può essere anche mistificato, deve essere una cultura politica. Essa ha, ecco il granello di sabbia, la sua realtà nelle centinaia di iniziative sociali che "dal basso" crescono nel paese in difesa dell'infanzia, delle scuole, degli ambienti naturali, per la difesa del proprio luogo, per la dignità delle persone anziane, per l'efficienza dei trasporti, per la decenza delle merci, per la difesa della vita umana.
Il sistema e i suoi poteri hanno dunque i loro punti di crisi, ciascuno dei quali ha la sua natura sociale che di volta in volta si fa sentire anche a livello politico.
Queste “rivolte” locali, questi malesseri diffusi nel nostro vivere sociale hanno una loro identità. Mancano di una coordinazione che possa avere un peso sociale di una certa omogeneità e, in ogni caso, politicamente più efficace.
Non pensate però a un partito tradizionale, con le sue centralità, la sua propaganda, la sua unità autoritaria nei confronti della realtà sociale. Tutto ciò è un residuo, spesso parassitario, del passato che si regge solo tramite la comunicazione informatica che cita se stessa. È il virtuale che diventa una realtà non trascurabile perché ha la sua influenza su quella che, nei paesi anglosassoni, si chiamava opinione pubblica. E tuttavia esistono rapporti reali, aspirazioni concrete, emarginazioni di fatto, che non appartengono a un ideologico sviluppo, ma a un’attualità che accade giorno per giorno.
 È un mondo che può essere aiutato a trovare un linguaggio comune che abbia rilievo politico. Se pensate che questa sia solo una tecnica verbale per concludere, ricorrerò alla nostra storia.


Quando all’inizio del 1890 Turati pensò di riunire varie forze sociali, molte che avevano già un indirizzo socialista, altre però che interpretavano solo diffuse esigenze sociali, fu su queste base che il 15 agosto del ’92 fondò a Genova il partito dei lavoratori.
In questa dizione prevale ancora il referente sociale. Fu poi nell’anno successivo che prese il nome di partito socialista dei lavoratori italiani, accentuando la sua figura politica in un quadro europeo. La storia, sanno tutti, non si ripete mai. Ho solo voluto portare un esempio storico per mostrare l’eventuale prospettiva del granello di sabbia. Ma forse, per oggi, è sufficiente riconoscerlo questo granello, e poi presentarsi fiduciosi alle forze e alle incognite del tempo.
[Milano 8 gennaio 2019] 

*Nota di Felice Besostri:
Per combinazione in vista del giorno 15 gennaio anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg una sua commemorazione di Franco Astengo sulla prima pagina di “Odissea” di mercoledì 9 gennaio 2019 dal titolo “Il secolo di Rosa”, iniziava con questa citazione “La democrazia è una necessità imprescindibile non perché renda superflua la conquista del potere politico da parte del proletariato, ma al contrario perché la fa necessaria e a un tempo ne rappresenta l’unica possibilità” (Lettere 1893-1918 Editori Riuniti 1979), che commentavo: “Nelle condizioni date da lì dovunque e in Italia dalla democrazia disegnata dalla nostra Costituzione bisogna (ri)partire”. (Lettera ad Astengo del 9 gennaio, 2019).

PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA
di Claudio Zanini

I sommersi*

Si è come corpi persi
in ambulacri di vita assiderata,
laddove corporea moltitudine
in solitudine giace smisurata:
entro cieca latomia 
siamo livida carne affollata
in accumulo costante.

Oscuro memento è questo vagare,
entro notte e nebbia ininterrotte
stordisce l’odore dolce della febbre
brucia negli occhi privi di speranza:
siamo inermi nello stridente gelo,
siamo imperfetto scarto,
siamo ingombro e peso inane.

Dal fondo putrido dei fossi
scorgiamo sull’argine elevato
tremanti fiori all’occidue bore
e gli steli resistere caparbi
a sferza raggelante nella mente,
ma vive il fiore unica stagione
e declinando all’imbrunire muore.    

Si è come corpi persi,
perduti si sprofonda, creature
inerti nella tenebra ch’esonda
entro latebra cieca della storia;
i corpi nostri persi e mai sepolti
sommersi nell’infinità del tempo
dolente carne siamo, e mai risorta.

[ *I sommersi e i salvati è il libro di Primo Levi]

martedì 29 gennaio 2019

Francia.
CHE COSA VOGLIONO I GILET GIALLI  


Abbiamo tradotto l’elenco delle rivendicazioni che il movimento francese dei Gilets Jaunes ha presentato, lo scorso 29 Novembre, ai media. Molto si è detto, in queste settimane, su questo movimento, anche a sinistra.
Se inizialmente la sola France Insoumise aveva sostenuto la protesta di piazza, successivamente anche sindacati come la CGT si sono ricreduti, ed oggi, 1 Dicembre, in molte parti della Francia sono scesi in piazza insieme, Gilets Jaunes et « rouges », nel rispetto della reciproca autonomia.
L’illuminazione sulla via di Damasco, tuttavia, non ha colto tutti : sono numerosi, infatti, i settori del movimento di sinistra francese che continuano a snobbare o avversare questo movimento, innanzitutto considerandolo come qualcosa di diverso dalle proteste che negli ultimi due anni hanno sconvolto la Francia ; ancora, enfatizzando gli ultramediatizzati episodi di intolleranza che, qua e là nei presidi, hanno fatto fare alla stampa mainstream l’equazione gilets jaunes=estrema destra.
L’elenco delle 41 rivendicazioni - che noi abbiamo rozzamente organizzato per temi per facilità di comprensione - mostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, un ritratto completamente diverso. Le istanze del movimento sono tipiche delle classi lavoratrici o della piccola borghesia impoverita e impaurita : un blocco sociale che, in assenza di direzione, può rivolgersi a destra come a sinistra, ma che in sé rappresenta oggettivamente esigenze di classe. Quelle che attengono alle condizioni materiali di vita - lavoro, casa, welfare, tasse - sono indiscutibili, al di là della maggiore o minore « correttezza » formale, ed esprimono in alcuni casi una radicalità che stentiamo a ritrovare nelle teorie più accorsate di moda a sinistra (nessuno, dalle nostre parti, osa più difendere, ad esempio, il sistema di calcolo retributivo delle pensioni, o la « scala mobile »).
Quelle riguardanti la politica esprimono una sfiducia che noi, in Italia, ben conosciamo, e che si concretizza però non solo in una generica rivendicazione di riduzione dei costi e dei benefici per i deputati, ma anche in una domanda di maggiore democrazia, diretta e dal basso (la Costituzione francese è, ad oggi, una delle meno democratiche dell’Europa occidentale). I punti che riguardano le migrazioni sono il frutto di una paura e di un rimosso, esprimono un costrutto ideologico più che dei bisogni concreti, eppure, nonostante ciò e nonostante il rifiuto esplicito di caratterizzarsi, non trasudano il razzismo che invece dalle nostre parti è alimentato dalla totalità dei partiti dell’arco parlamentare.
Non aggiungeremo ulteriori commenti, perché riteniamo che l’accesso diretto a questo breve testo sia più chiarificante di mille parole. Consigliamo, a chi volesse farsi un’idea complessiva della vicenda, l’ottimo e ricco contributo di Aurélie Dianara, coordinatrice nazionale di Potere al Popolo !, che vive e lavora a Parigi. Buona lettura !


Elenco delle rivendicazioni presentate dal movimento detto dei Gilets jaunes a deputati e media.

Lavoro e salario
1. Più progressività nell’imposta sui redditi, che significa più scaglioni
2. Salario Minimo a 1300 euro netti
3. Il sistema pensionistico deve restare solidale e quindi socializzato. No al sistema contributivo.
4. Nessuna pensione al di sotto di 1200 euro
5. I salari di tutti i francesi, le pensioni e i sussidi devono essere indicizzati all’inflazione
6. Proteggere l’industria francese : vietare le delocalizzazioni. Proteggere la nostra industria significa

Proteggere le nostre competenze e il nostro lavoro
7. Fine del lavoro distaccato. Non è normale che una persona che lavori sul territorio francese non benefici dello stesso salario e degli stessi diritti. Ogni persona autorizzata a lavorare sul territorio francese dev’essere sullo stesso piano di un cittadino francese e il suo datore di lavoro deve versare la stessa quantità di contributi di un datore di lavoro francese
8. Per un lavoro sicuro : limitare di più il numero dei contratti a termine per le grandi imprese. Noi vogliamo più contratti a tempo indeterminato.
9. Salario massimo fissato a 15000 euro.
10. Creare posti di lavoro per i disoccupati.
11. Pensione a 60 anni e per tutti coloro che hanno svolto lavori usuranti, diritto alla pensione a 55 anni.


Diritto alla casa
12. Zero Senza Fissa Dimora : Urgente
13. Limitare il costo degli affitti. Più alloggi a prezzi calmierati, in particolare per studenti e precari.
14. Grande piano di isolamento termico delle abitazioni per praticare l’ecologia facendo fare dei risparmi alle famiglie Welfare, investimenti, infrastrutture, politiche pubbliche
15. Favorire i piccoli commerci dei paesi e dei centri urbani. Stop alla costruzione di grosse zone commerciali intorno alle grandi città che uccidono il piccolo commercio e più parcheggi gratuiti nei centri urbani
16. Aumentare i sussidi per i disabili
17. Dal momento che un bambino di sei anni non si sorveglia da solo, occorre continuare col sistema di aiuti PAJEMPLOI fino ai dieci anni.
18. Stesso sistema di welfare per tutti, compresi artigiani e lavoratori autonomi. Fine della cassa separata per gli autonomi
19. Stop immediato alla chiusura delle piccole linee di trasporto, degli uffici postali, delle scuole e dei reparti di maternità.
20. Benessere per le persone anziane, basta con i soldi guadagnati sugli anziani. L’oro grigio è finito, inizia l’era del benessere grigio.
21. Massimo 25 alunni per classe dalla materna alle superiori.
22. Strumenti adeguati per la psichiatria.
23. Divieto di vendere beni appartenenti alla Francia (dighe, aeroporti…)
24. La giustizia, la polizia, la gendarmeria e l’esercito devono avere strumenti adeguati. Le ore di straordinario devono essere pagate o recuperate.
25. Tutto il denaro ricavato dai pedaggi delle autostrade deve servire alla manutenzione di strade e autostrade e alla sicurezza stradale.
26. Il prezzo del gas e dell’elettricità sono aumentati da quando c’è stata la privatizzazione, noi vogliamo che ritornino nelle mani del pubblico e che i prezzi scendano di conseguenza.
27. Favorire il trasporto delle merci su ferro.



Fisco e politiche economiche
28. Tasse : che i grandi (MacDonald’s, Google, Amazon, Carrefour) paghino tanto e i piccoli (artigiani, piccole imprese) paghino poco
29. Fine dell’aumento delle tasse sui carburanti
30. Nessun prelievo di denaro a monte. (in Francia le tasse, anche per il lavoro dipendente, si pagano “a valle”)
31. Basta col credito d’imposta per le imprese. Usiamo questo denaro per il lancio di un’industria francese delle auto a idrogeno (che sono davvero ecologiche, al contrario di quelle elettriche.
32. Basta con l’austerity. Smettiamola di rimborsare gli interessi sul debito che sono dichiarati illegittimi e cominciamo a rimborsare il debito senza prendere i soldi dai poveri e dai meno poveri, ma cercandoli tra gli 80. miliardi di frode fiscale
33. Divieto di far pagare ai commercianti una tassa quando i loro clienti utilizzano una carta per gli acquisti. Tassare il carburante marittimo e il cherosene.

Democrazia e costi della politica
34. Ogni rappresentante eletto avrà diritto al salario mediano. Le sue spese di trasporto saranno controllate e rimborsate se sono giustificate. Diritto al ticket restaurant e allo cheque vacanze
35. Il referendum popolare deve entrare in Costituzione. Bisogna creare un sito leggibile ed efficace, gestito da un organismo indipendente di controllo, dove le persone possano fare una proposta di legge. Se questa proposta ottiene 700.000 firme dev’essere discussa, completata, emendata dall’Assemblea Nazionale che avrà l’obbligo (un anno dopo l’ottenimento delle 700.000 firme) di sottometterla al voto dell’insieme dei Francesi. (attualmente la Costituzione Francese non prevede un referendum)
36. Ritorno ad un mandato di 7 anni per il presidente della Repubblica. L’elezione dei deputati due anni dopo quella del presidente della Repubblica permette di mandare un segnale positivo o negativo a quest’ultimo, riguardo la sua politica. Ciò contribuirebbe dunque a far sentire la voce del popolo (al momento le elezioni parlamentari si svolgono un mese dopo le presidenziali,
proprio per garantire maggioranze “coerenti” col voto del Presidente della Repubblica)
37. Stop alle indennità presidenziali a vita



Integrazione e migrazioni
38. I richiedenti asilo devono essere accolti degnamente. Noi dobbiamo fornire loro alloggio, sicurezza, cibo ed educazione per i minori. Bisogna lavorare con l’ONU per far sì che dei centri di accoglienza siano aperti in numerosi paesi del mondo, nell’attesa del risultato della domanda di asilo.
39. Bisogna affrontare le cause che determinano le migrazioni forzate.
40. Coloro a cui è stato negato il diritto di asilo devono essere riportati ai loro paesi d’origine.
41. Una vera politica d’integrazione dev’essere messa in atto. Vivere in Francia significa diventare francese (corso di lingua francese, corso di storia della Francia e corso di educazione civica con un certificato a fine percorso).

L’Aforisma
di Nicolino Longo

“L’umanità: una scia lunghissima di cadaveri, il suo passato.
Una teoria di culle, subito bare, il suo presente”.


LA DISUGUAGLIANZA E LE SUE ORIGINI
di Luigi Caroli
Capitalismo

La più grande minaccia alla sicurezza e al benessere di tutti noi era - cinquant’anni fa - il comunismo. Di conseguenza, i giornali ne parlavano quasi tutti i giorni. Oggi, una minaccia politica resta ancora, ma i media non ne fanno cenno alcuno. È il Capitalismo Finanziario sfrenato e senza scrupoli. Dilaga in gran parte del mondo, osannato dall’ideologia liberal e protetto dalla potenza americana. Da circa quarant’anni, il capitalismo dei mercati finanziari ha preso saldamente il potere in Occidente. E ciò succede anche se le sue ripetute crisi - che avvengono a distanza di pochi anni - hanno minato la prosperità e il benessere dei cittadini comuni. Il dominio della finanza sull’economia ha aumentato - in misura insopportabile - la disuguaglianza. Qualche numero vi aiuterà a capirne l’intensità.
I ricchi sono diventati sempre più ricchi e le loro tasse - lungi dall’aumentare in proporzione - sono state addirittura ridotte dai governi. La scusa? Se una persona, specie un imprenditore, guadagna di più (risparmiando sulle tasse), potrà più facilmente creare posti di lavoro e distribuire benessere. Fole! È avvenuto l’esatto contrario. Il salario medio di un operaio statunitense - negli ultimi 40 anni - è rimasto uguale. È salito un pochino quello medio delle donne ed è diminuito quello degli uomini. Per contro, è aumentata - dell’80% - la produttività. I ricchi capitalisti se la sono goduta tutta mentre a chi l’aveva, in larga misura, generata, non sono toccate neanche le briciole. E, fatto singolare, è diminuita di molto l’incidenza sul PIL della produzione industriale (scesa sotto il 14%). Per contro, è cresciuta - a dismisura - l’incidenza della finanza (passata dal 3 al 18%).
Gli stipendi vigenti nella finanza (mondiale) sono molto alti. Superiori di parecchio a quelli delle più nobili e delle più utili professioni. Le operazioni finanziarie avvengono a ritmo inconsulto. Lo scambio delle azioni avviene a ritmo frenetico, aumentando, di molto, gli incassi complessivi dell’intermediazione. Quel che è peggio, la finanza non investe nella produzione ma preferisce farlo (per tre quarti sul totale) nella finanza. I maneggioni (stessa radice di manager) guadagnano cifre folli e si auto premiano, anche quando le cose vanno male. Obama nel 2009 ha lasciato che i grandi banchieri che avevano creato voragini (ricorda il fallimento Lehman Brothers del 15 settembre 2008), riempite dai soldi del Tesoro americano(solo in quel caso i neoliberisti hanno considerato utile l’intervento dello Stato), ne prendessero una grossa parte per attribuirsi ricchissimi premi.



MALUS PER IL 99,9%, BONUS PER LO 0,1%. Costoro non creano valore, ma estraggono valore senza che nessuna loro attività venga controllata. Ci sono nel mondo centinaia di banche ombra, di cui non si conoscono i proprietari.
Risultato di tutto questo? Avete certo letto che l’1% della popolazione del pianeta possiede il 50% della ricchezza mondiale. Il 5% ne possiede il 90%.
Riassumendo: il primo 1% possiede il 50%. I superricchi sono 70 milioni.
Il secondo 1% possiede il 18%, il terzo 1% possiede il 10%,
il quarto 1% possiede il 7%, il quinto 1% possiede il 5%,
il 20% possiede zero.
Alla creazione dei meccanismi, perlopiù truffaldini, che consentono smisurati arricchimenti a un discreto numero di persone la cui maggior dote è la mancanza di scrupoli, contribuiscono prestigiose Università inglesi (patria del liberismo), le grandi banche d’affari e il Tesoro statunitensi e perfino i bocconiani, avvizzito fiore della nostra parrocchietta economica. Quando si tratta di far leva sulla miglior preparazione (derivante dalla casta d’appartenenza) per imbrogliare i più ignoranti (i risparmiatori) non si tirano indietro. Sappiate che da un paio d’anni hanno la cattedra di BITCOIN (la cui quotazione in cinque anni è salita da 1 dollaro a 20000 ma, da mesi, oscilla tra i 3400 e i 3900 dollari). Il professore di bitcoin raccomanda agli allievi: nelle catene di Sant’Antonio l’importante è il “timing”.
I professori della Bocconi pontificano sul quotidiano Fake News alzando al cielo i lai verso i populisti che esprimono dei dubbi, ma quelli sono “ignoranti che sbagliano i congiuntivi”.
L’eccesso di finanziarizzazione ha ridotto al minimo la crescita della produzione e dello scambio dei beni. Sta abbattendo salari e stipendi (tranne quelli della finanza) e ha generato una crisi di fiducia nel futuro che ha completamente cancellato l’ottimismo degli anni Sessanta e Settanta.
La natalità - in Italia e in Europa - continua a diminuire.
In Africa rimane alta e quindi l’emigrazione non potrà che crescere, vista anche la spoliazione dei loro terreni e dei loro giacimenti da parte di cinesi, francesi e company. A poco serviranno i muri e Salvini dovrà mettere in cantiere le cannoniere.
Incuranti di tutto ciò, i principali adepti del Neoliberismo formano un circolo ristretto di potere che domina la scena in Europa e in America e ne dirige l’andamento in materia di politica economica e di relazioni interne. I poveri, non solo lo diverranno sempre più (non dimenticate che negli USA, dove il reddito medio è più di due volte il nostro, 40 milioni su 310 sono poveri e un consistente numero di costoro vive peggio, non avendo assistenza sanitaria, dei nostri 5 milioni di poveracci) ma diverranno schiavi senza neanche il diritto alla protesta.
Effetti dell'austerità
                                                   
L’ideologia che impera è il Neoliberismo.
In Italia, possiamo annoverare tra gli entusiasti: Mario Monti, Mario Draghi (in attesa - dopo il 31 ottobre - di una nomina presidenziale bis di quella alla “Napolitano”), Alberto Alesina (che insegna ad Harvard e visita la Bocconi per scrivere con Francesco Giavazzi) e tutti i Bocconi-Boys. Con una sola eccezione: Ilaria Biferini.
Laureata, col massimo dei voti, alla Bocconi, ha già scritto due libri, in cui dissente totalmente dal verbo bocconiano.
Nei due volumi: “Neoliberismo e manipolazione di massa” (2017) e “I Colony dell’austerity ” (recente). Riferisce che: “Le misure imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi del Terzo Mondo, sono le stesse imposte agli Stati dell’Unione Europea”.  A ruota, il gruppo degli strapagati pennivendoli: Luciano Fontana, Francesco Fubini e le “Grandi Firme”, autorevoli e supponenti estensori di   Repubblica e Il Sole 24 Ore (che non ha mai difeso un piccolo imprenditore o un risparmiatore).
Attardati, ma in rimonta, arrivano coloro che si spacciano di sinistra. A sinistra non hanno il cuore ma il portafogli. Il seggio che cercano di conservare li ha trasformati in neoliberisti d’accatto. Sbandierano migranti, disoccupati, senza casa e tartassati da tasse (che loro cercano di non pagare).
Vige in tutto il mondo il pensiero unico che accomuna Destra e Sinistra.
Al culmine, le élites che odiano i populisti (qualcuno dei vecchi sinistri ha dimenticato quando cantava “Avanti popolo alla riscossa”?). Loro sono passati alla riscossione. E, per non correre rischi, hanno impegnato parte del bottino nel tentativo di distruggere i populisti. Ci riusciranno?
Sul “quotidiano Fake News”, sabato 26, Ferruccio De Bortoli ha mostrato chiaramente di non sapere un cazzo di quel che scrivono i maggiori esperti mondiali di economia scrivendo: “L’austerità aiuta la crescita”.
Se leggete solo quel quotidiano farete figuracce discutendo con chi si fosse veramente informato leggendo qualcuna delle centinaia di pubblicazioni di prestigiosi economisti o i libri di due Premi Nobel per l’economia. Loro scrivono l’esatto contrario. Per più del 90% degli economisti “veri”:
In un paese in crisi economica, l’austerità è un vero e proprio suicidio. Il paese si riavrà solo dopo molti, molti anni e dopo grandissime sofferenze dei suoi cittadini. Ma… i ricchi “manipolatori di massa” - come li definisce Ilaria - otterranno un aumento dei loro stipendi. Sono strapagati per mentire da chi diverrà - lui sì - ancora più ricco con l’austerità. Sono ormai molti i Paesi semidistrutti da una teoria economica spacciata come Vangelo da due autorevoli professori, Carmen M. Reinhart e K. S. Rogoff.
Nel 2013 fu smontata da uno studente ventottenne di economia che, rifacendo i conti che non gli tornavano, ha scoperto un grave errore di calcolo che avrebbe dovuto convalidare la “nuova teoria”. “Vedete? Ecco la prova empirica”. La “balla empirica”!
In aggiunta alla contestazione dello studente, altri professoroni hanno evidenziato delle trascuratezze ed omissioni indegne di un professore universitario. Ma… basandosi su quella teoria, nel 2011 e nel 2012 Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea (la BCE diretta dal famoso e immeritatamente lodato Mario Draghi) avevano martoriato Grecia, Portogallo e Irlanda che l’hanno subita sulla loro pelle.


Federico Fubini, per più giorni - allo scopo di annientare i nostri populisti - ha scritto balle colossali (che avrebbero potuto far fallire le banche italiane e tutta l’Italia) e si è augurato - vero traditore - che intervenisse la Troika per sottoporre l’Italia all’austerità che aveva imposto nel 2010 alla Grecia, è stato smentito, davanti all’intera redazione, dal corrispondente da Bruxelles Ivo Caizzi, che ha evidenziato le sue bugie. Il tifoso di Berlusconi, che dirige una mezza dozzina di vicedirettori, ha punito il mentitore assegna- dogli diversi altri articoli in prima pagina e un viaggio-premio - come inviato speciale - a Davos (Svizzera) per la riunione del Fondo Monetario. Ha così potuto rilevare - dopo accurate indagini - che in quel contesto Merkel (che lo bazzica da più di dieci anni) è più conosciuta di Conte. Che fiuto! Il “vero” giornalista rimane in castigo.
L’indefesso, reduce da Davos, svela con un articolone odierno una scoperta fatta ad Harvard (dove insegna il suo “amico” Alesina). Sono predisposti al fallimento i Paesi che hanno un alto tasso di mortalità infantile.
La colpa del nostro fallimento, inevitabile se non torneranno tutti i governanti di prima (compreso Berlusconi), è dei meridionali. Le loro strutture sanitarie non sono dotate dei miliardi che i ladroni milanesi sperperavano finanziando il celeste Formigoni. Talvolta (sono pugliese) gli ospedali nel sud non hanno neanche l’acqua corrente. Un altro vicedirettore si esibisce - sempre oggi - in una scoperta. La nuova straordinaria balla che fa seguito a quella di De Bortoli di sabato 26 è la Austerità Espansiva.
Questa cazzata solenne, propalata nel 2009 da Alesina e da una sua giovane allieva, fece sì che quando il giovane studioso ventottenne scoprì che l’austerità non faceva miracoli (perché l’unico miracolo l’aveva fatto chi aveva compilato il foglio di calcolo errato), i Bocconi-Boys  fossero letteralmente derisi per questa “scoperta” dall’intero consesso Accademico mondiale. Si sbellicarono letteralmente.
Caro lettore, chiudo raccomandandoti un po’ di austerità. Farà bene a te e a tutta l’Italia. Non comprare più il “quotidiano Fake News”.
Ps: Juncker e altre autorità si sono scusati per l’austerità imposta ai greci.
Solo gli imbecilli insistono.



lunedì 28 gennaio 2019

ETICA DEI PRINCIPI, ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
di Franco Astengo


“L’utopismo non è più un’accusa che dovrebbe costringere in un angolo l’avversario, ma una risorsa essenziale per una politica dotata di senso. La politica non è l’arte del possibile, e soltanto l’etica dell’intenzione conferisce all’agire politico la capacità di praticare una condotta il cui valore possa essere affermato contro ogni realtà e ogni realismo”.
Max Weber “La politica come professione” Einaudi, Torino 2004.
Il 28 gennaio 1919 Max Weber tenne a Monaco una conferenza “Politik als Beruf. La politica come professione” nell’ambito di un ciclo d’incontri dedicati al “lavoro intellettuale come professione”.
A Weber erano stati affidati due interventi, uno sulla scienza e uno sulla politica, pubblicati poi qualche mese dopo e riuniti in un testo che è diventato un classico della sociologia politica. Micromega  ha dedicato al centenario uno dei suoi “Almanacchi di Filosofia” esprimendo la convinzione che, a distanza di tanto tempo, le questioni poste da Weber in allora risultino ancora di straordinaria attualità.
Una motivazione sicuramente valida proprio in un momento in cui la tensione della folla verso “l’uomo forte” appare egemonica (si è scritto “folla” e neppure “massa” non casualmente).
Max Weber
Così Weber concludeva quella  sua conferenza: “La politica consiste in un lento superamento di dure difficoltà da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. E’ certo del tutto esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse all’impossibile”.
Si è così pensato di riproporre tre brevi passaggi di quel testo, giudicandoli molto aderenti alla situazione attuale e confermando, come scrive Joan Subirats nel suo “Weber ai tempi del populismo” come quella del filosofo tedesco fosse una lezione da tenere a mente proprio nei tempi in cui sembra prevalere” la perdita di orizzonti di valore e l’incapacità di guardare più in là del proprio naso.”
Ecco di seguito i tre passaggi annunciati che sicuramente meritano di essere letti con attenzione:


1) “Quali gioie la politica è dunque in grado di offrire e quali attitudini personali presuppone in chi vi si dedica? Ecco, essa procura in primo luogo il sentimento del potere. Anche quando occupa posizioni formalmente modeste, la coscienza di esercitare un’influenza sugli uomini, di partecipare al potere su di essi, ma soprattutto il sentimento di tenere tra le mani il filo conduttore di eventi storicamente importanti, permette al politico di professione di elevarsi al di sopra della quotidianità”.
2) Si può dire che sono tre le qualità decisive per il politico: passione, senso di responsabilità e lungimiranza. “Passione” nel senso di votarsi a qualcosa, di un impegno appassionato verso una causa. La passione non trasforma una persona in un politico se, come servizio della causa, non fa della responsabilità la stella che indica la rotta del suo agire. E per tal fine ha bisogno della “lungimiranza”: la qualità psicologica decisiva per il politico, la capacità di lasciare che la realtà agisca su se stessi con serenità e raccoglimento interiore”.
3) La “mancanza di distanza”, semplicemente in quanto tale, costituisce uno dei peccati mortali di ogni uomo politico ed è una di quelle qualità che, coltivate presso la nuova generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all’inettitudine politica. L’uomo politico deve dominare in se stesso, ogni giorno e ogni ora, un nemico del tutto banale e fin troppo umano: la vanità.


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