UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 31 gennaio 2018

«America First» armata sulle nostre teste
di Manlio Dinucci


Il presidente Trump è sbarcato dall’elicottero al Forum economico mondiale di Davos. Qui, preceduto dai suonatori di ottoni dell’orchestra di Friburgo, ha annunciato che «il mondo sta assistendo alla rinascita di una forte e prosperosa America», grazie alle riduzioni di tasse e riforme attuate dalla sua amministrazione in base al principio «America First», ossia quello di mettere l’America al primo posto. Ciò «non significa America da sola: quando gli Stati uniti crescono, cresce tutto il mondo».
Ma, ha aggiunto, «non possiamo avere un commercio libero e aperto se alcuni paesi sfruttano il sistema a spese di altri». Chiaro il riferimento soprattutto alla Cina e alla Russia, accusate di «distorcere i mercati globali» attraverso «sussidi industriali e una pervasiva pianificazione economica a guida statale».
Emerge così il nodo della questione. Gli Stati uniti sono ancora la prima potenza economica del mondo, soprattutto grazie ai capitali con cui dominano il mercato finanziario globale, alle multinazionali con cui sfruttano risorse di ogni continente, ai brevetti tecnologici in loro possesso, al ruolo pervasivo dei loro gruppi multimediali che influenzano le opinioni e i gusti della gente su scala planetaria. La loro supremazia economica (compresa quella del dollaro) viene però messa sempre più in pericolo dall’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali. Anzitutto la Cina: salita come reddito nazionale lordo al secondo posto mondiale dopo gli Usa, essa è la «fabbrica del mondo» in cui producono anche molti grandi gruppi statunitensi. È quindi divenuta il primo esportatore mondiale di merci. A sua volta essa effettua crescenti investimenti sia negli Usa e nella Ue, sia in Africa, Asia e America Latina (qui soprattutto in infrastrutture). Il progetto più ambizioso, varato dalla Cina nel 2013 e condiviso dalla Russia, è quello di una nuova Via della Seta: una rete terrestre (viaria e ferroviaria) e marittima che collega la Cina all’Europa attraverso l’Asia Centrale e Occidentale e attraverso la Russia. Se fosse realizzato secondo l’idea originaria, il progetto, che non include componenti militari, rimodellerebbe l’architettura geopolitica dell’intera Eurasia, creando una nuova rete di rapporti economici e politici tra gli stati del continente. Quella globalizzazione che gli Stati uniti hanno promosso, fiduciosi di poterla dominare, si ritorce ora contro di loro. I dazi fino al 50% su lavatrici e pannelli solari, stabiliti dall’amministrazione Trump per colpire le esportazioni di Cina e Corea del Sud, sono una prova non di forza ma di debolezza. Perdendo terreno sul piano della globalizzazione economica, gli Stati uniti puntano sulla globalizzazione militare: «Stiamo facendo investimenti storici nel militare americano – ha annunciato Trump a Davos – poiché non possiamo avere prosperità senza sicurezza». Gli Usa hanno già oggi basi e altre installazioni militari in oltre 70 paesi, soprattutto attorno alla Russia e alla Cina. I paesi in cui sono dispiegate truppe Usa sono oltre 170. In tale strategia sono affiancati dalle potenze europee della Nato, le quali, pur avendo con gli Usa contrasti di interesse, si schierano sotto la leadership statunitense quando si tratta di difendere l’ordine economico e politico dominato dall’Occidente. Questo è lo scenario in cui si inserisce la sempre più pericolosa escalation Usa/Nato in Europa contro la Russia, presentata come il nemico che ci minaccia da Est. Dibattere di Unione europea ed euro indipendentemente da tutto questo, come si fa nell’attuale campagna elettorale, significa giocare di fronte agli elettori una partita con carte truccate.
TORINO: Chiara Pasetti segnala ai lettori di Odissea
TORINO- PALAZZO MADAMA
Presentazione del libro:
LA STAMPERIA DELL’EBANISTA
Storia di un mobile inedito di Pietro Piffetti
(Casa editrice Umberto Allemandi & C., Torino 2017)
a cura di Arabella Cifani e Franco Monetti
Palazzo Madama – Gran Salone dei Ricevimenti
Piazza Castello - Torino

Giovedì 1 febbraio 2018 ore 17.30

La copertina del libro

Palazzo Madama ospita giovedì 1 febbraio alle 17.30 la presentazione del volume La stamperia dell’ebanista. Storie di un mobile inedito di Pietro Piffetti (Casa editrice Umberto Allemandi & C., Torino 2017), a cura di Arabella Cifani e Franco Monetti, con la collaborazione di Paola Bianchi, Andrea Merlotti, Vittorio Natale, Thierry Radelet, Lorenza Santa e Carlotta Venegoni.
L’incontro con i due autori, introdotto dal Direttore di Palazzo Madama Guido Curto, vede anche la partecipazione di S.E. Mons. Edoardo Cerrato, vescovo di Ivrea ,e di Roberto Antonetto, studioso delle arti decorative e in particolare del mobile piemontese dal Seicento all’Ottocento nonché autore di diversi libri sull’argomento, tra cui Minusieri e ebanisti piemontesi (1985), Gabriele Capello detto “Il Moncalvo” (2004) e Il mobile piemontese nel Settecento (2010). Il libro aggiunge un tassello importante alla conoscenza dell’ebanista Pietro Piffetti (Torino 1701–1777), figura cardine nella storia del mobile e dell’ornato in Italia, i cui intarsi in avorio, tartaruga, metalli e legni pregiati hanno portato la produzione dell’ebanisteria piemontese ai vertici dell’arte europea del Settecento.
Il volume si concentra in particolare su un raffinato cassettone di collezione privata e sulle personalità che presiedettero alla sua realizzazione. Dalla storia riemergono con forza l’aristocratico che lo commissionò, il marchese Giuseppe Francesco Ludovico Morozzo della Rocca (1704–1767) e i suoi rapporti con la corte torinese; il padre oratoriano Giovanni Battista Trona (1682–1750), consigliere spirituale di Carlo Emanuele III, che ispirò il soggetto degli ornati del mobile; e l’artista che lo costruì nel 1751 simulando con intarsi in avorio e tartaruga un trompe l’oeil di oggetti disposti a caso – una penna e il coltellino per appuntirla, un libro aperto, un rosario, un paio di occhiali e un mazzo di carte – come se fossero abbandonati sulla superficie. Oggetti che insieme assumono un significato allegorico preciso e alludono al perenne conflitto tra eternità e contingenza, tra sostanza e apparenza.
L’incontro, a ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili, si terrà presso il Gran Salone dei Ricevimenti, al piano nobile di Palazzo Madama.
Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica
Piazza Castello, Torino | www.palazzomadamatorino.it
Ingresso libero all’incontro fino a esaurimento posti disponibili
Ufficio Stampa | Tanja Gentilini - t. 011 4429618 - email tanja.gentilini@fondazionetorinomusei.it
http://www.palazzomadamatorino.it/it/eventi-e-mostre/la-stamperia-dellebanistastoria-di-un-mobile-inedito-di-pietro-piffetti

domenica 28 gennaio 2018

Ancora morti. Incidente ferroviario a Milano
di Michele Michelino*


Il bilancio del deragliamento del treno carico di pendolari e studenti deragliato a Pioltello alle porte di Milano ieri è di tre morti e una cinquantina di feriti tra di cui 5 gravi. Da anni i pendolari denunciano disservizi e carenze del trasporto ferroviario locale a loro danno in Lombardia, e più volte hanno lanciato allarmi sul fronte della sicurezza di treni e infrastrutture Trenord. Da una prima ricostruzione, sembra che il convoglio formato da cinque carrozze sia deragliato vicino a uno scambio tra Segrate e Pioltello. Le prime due carrozze sono passate mentre le altre tre sono uscite dai binari “per un cedimento tra i vagoni“ come ha affermato il questore di Milano Marcello Cardona subito dopo l’incidente, mentre un passeggero intervistato ha parlato di una vibrazione, fortissima, che ha preceduto il deragliamento, causata evidentemente dal cedimento. 
È uno dei tanti incidenti che avvengono nelle ferrovie, anche se questi assurgono alle cronache solo quando ci sono dei morti, come a Crevalcore, tra Andria e Corato in Puglia a Viareggio. Come sempre prima si muore al lavoro o in itinere e poi la magistratura interverrà con i tempi lunghi della giustizia di classe mentre i responsabili, grazie alla prescrizione, continuano a rimanere impuniti. I dati Inail del 2017 parlano di 1.029 lavoratori morti (con un aumento del + 5,2% le morti avvenute in itinere) e per questi omicidi nessuno ha pagato, nessuno è in galera per questi morti di lavoro.
Non serve piangere oggi lacrime di coccodrillo se ogni giorno, in nome dell’aumento della produttività e del profitto, in nome del mercato, si costringono milioni di lavoratori a lavorare in condizioni pericolose. Una società in cui il profitto vale più della vita degli esseri umani è una società incivile e barbara. Una società civile deve garantire la sicurezza sui posti di lavoro, affinché un lavoratore che esce al mattino per lavorare possa tranquillamente tornare a casa dalla propria famiglia la sera.
*Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio




Milano. PUMA ALLA TRIENNALE
Sabato 10 febbraio alle ore 18
Triennale di Milano Via Alemagna n. 6
Nel Salone d’onore
Pippo Puma incontra i suoi lettori
per presentare la sua recente raccolta poetica
“Amor contra Amorem”

Interverranno: Domenico Pisana
                                  Alberto Figliolia
                                  Angelo Gaccione

Letture poetiche di: Emanuele Fortunati
Intervento musicale del tenore: Giuseppe Veneziano

Copertina del libro e sponsor


Il programma della serata

Il Giorno della memoria e i giorni del presente
di Pasquale Puglisi


Sono stato ad Auschwitz nell’agosto del 1990. Non c’erano ancora i Viaggi della memoria né il Giorno della memoria (che sarà istituito dalle Nazioni Unite solo nel 2005), il muro di Berlino era stato abbattuto nel novembre dell’anno precedente, Tadeusz  Mozowiecki era stato nominato da pochi mesi primo capo del governo polacco non comunista ed io ero uno studente di filosofia dell’Università di Messina. Con un gruppo di amici e compagni, con i quali avevamo partecipato durante quell’anno accademico al movimento studentesco della Pantera – approfittando di una convenzione tra l’università siciliana e le università polacche, che ci consentiva di dormire nelle sovietiche case dello studente – decidemmo di fare un viaggio estivo nella Polonia che muoveva i primissimi passi nella democrazia post-sovietica e nell’economia capitalista. La attraversammo per un mese da sud a nord, da Cracovia a Danzica, in treno con un biglietto interail. E, naturalmente, facemmo tappa anche al campo di sterminio che rese noto al mondo il paese di Oswiecim, Auschwitz in tedesco. Il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz – il più grande di tutti i lager nazisti, con i suoi campi satelliti – fu liberato dagli increduli soldati dall’Armata Rossa il 27 gennaio del 1945. Ad essi si palesò, per la prima volta, un’autentica fabbrica della tortura e della morte. L’assurda messa in pratica tecnologica della follia della “soluzione finale”, dell’annientamento di un popolo, lo sterminio degli ebrei. E, insieme ad essi, di tutti coloro che il regime considerava alieni: omosessuali, zingari, testimoni di geova, antifascisti e dissidenti. Si calcola che nei lager nazisti morirono circa 17 milioni di persone, tra i quali 6 milioni di religione ebraica. Un genocidio. Ma non l’unico, né’ il primo, né quello che ha realizzato il maggior numero di morti nella storia degli stermini dei popoli. La modernità occidentale si fonda su un altro genocidio, ormai praticamente dimenticato: quello dei nativi americani, 80 milioni di persone sterminate dalle armi e dalle malattie dei conquistatori europei, a partire dal 1492. E poi ci furono gli stermini e i campi di concentramento della colonizzazione bianca in Africa, il genocidio degli armeni perpetrato dall’impero ottomano… e via elencando, fino ai giorni nostri. Eppure, i lager nazisti sono stati la più scientifica ed efficace organizzazione per la distruzione di massa delle persone e della loro umanità: la pianificazione della fabbrica della disumanità, l’esplorazione di tutte le possibilità della riduzione delle persone a cosa, il paradigma del male. Questa è l’impressione che ne ebbi anch’io, visitando Auschwitz, senza aver ancora letto Primo Levi. 


Tuttavia, il Giorno della memoria oggi non può essere un rito collettivo di purificazione da un male assoluto, ma ormai passato; non può riguardare solo la memoria di una immane tragedia storica. Nei giorni del presente rivivono elementi di quel male e di quella storia contro i quali bisogna ancora lottare, qui ed ora. Non solo il ritorno anche in Italia della mitologia della razza, come elemento del “confronto” politico, a 80 anni dalle leggi razziali fasciste; non solo il ritorno in Europa di organizzazioni che sempre più esplicitamente hanno il nazismo come riferimento ideologico, mietendo consenso tra i più giovani; ma anche le guerre, la corsa agli armamenti, le pulizie etniche, i lager che in gran parte del pianeta citano tragicamente – direttamente o indirettamente – quell’orrore infinito. Dalla Siria al Myanmar, dalla Palestina alla Libia, dal Congo all’Eritrea, dai naufragi dei disperati nel Mediterraneo ai profughi congelati lungo le rotte dei Balcani: questi giorni del nostro presente saranno i giorni della memoria dei nostri figli domani. Ed anche alla nostra generazione sarà chiesto – com’è stato fatto con chi si è girato dall’altra parte dei fumi neri dei camini dei lager – ma voi dove eravate?
Infine, il presidente Mattarella ha fatto bene a ricordarlo in questi giorni: razzismo, guerra e retorica bellicista non furono episodici ma costitutivi del fascismo. Così come del nazismo. Per questo oggi una coerente politica antifascista non può che fondarsi sulle categorie opposte dell’antirazzismo, dell’antimilitarismo e dell’educazione alla pace ed alla convivenza. Per costruire una società solidale e nonviolenta, ossia culturalmente e strutturalmente liberata dagli elementi profondi di fascismo. Questo i costituenti italiani lo avevano chiaro. Le forze politiche, che hanno governato e che si candidano a governare il Paese, molto meno.
*Movimento Nonviolento


Arona. MEMORIA E NON SOLO
di Chiara Pasetti

Ieri, 26 gennaio, ho partecipato ad Arona, presso l’istituto Comprensivo Giovanni XXIII, a un momento di riflessione e commemorazione in occasione della Giornata della Memoria, che ricorre oggi 27 gennaio. Devo dire che sono rimasta davvero sorpresa e commossa dalla grande partecipazione e attenzione degli studenti della scuola e dei loro professori. Mi sento di fare sinceramente i miei più vivi complimenti alla Preside, Professoressa Gabriella Rech, non solo per il suo intervento in cui ha ricordato Liliana Segre, da poco nominata Senatrice a vita, una tra i pochissimi bambini sopravvissuti al campo di Auschwitz dove fu deportata a soli quattordici anni (e ha letto un brano della stessa Senatrice in cui racconta con dolore la scomparsa di una compagna e amica morta nel campo di concentramento), ma per l’impegno e l’attenzione con cui coinvolge da anni i propri studenti in occasione di questa giornata da non dimenticare.
Anche un docente della scuola, il Professor Natale, ha invitato i ragazzi a non fare di questa giornata “un ricordo che può durare solo un giorno”, bensì un momento di riflessione che è necessario portare avanti sempre, affinché questa non resti una mattinata incastonata nelle tante attività dell’anno di cui poi si perde traccia, ma qualcosa che resta vivo e presente nella mente e nel cuore soprattutto delle giovani generazioni. I miei complimenti vanno poi a tutta l’Amministrazione Comunale di Arona, che da anni organizza questi incontri in occasione della Giornata della Memoria con grande impegno, passione e cura.

Germaine Tillion

I ragazzi dell’orchestra della scuola, diretti dal Maestro Marino Mora, mi hanno commosso per la loro bravura, per la difficoltà dei brani che hanno eseguito (una ragazzina solista ha cantato una splendida canzone in lingua ebraica), per l’emozione che si leggeva nei loro occhi.
Quanto a me, io ho parlato loro di Germaine Tillion (1907-2008), etnografa, storica, una delle prime resistenti francesi, sopravvissuta al campo di concentramento di Ravensbrück (tristemente noto come «l’inferno delle donne»), dove morirono oltre ottantamila detenute.
Temevo, sinceramente, che l’argomento fosse troppo complesso o comunque “lontano” da un pubblico così giovane, invece mi ha sorpreso ed emozionato l’attenzione con cui questi giovani studenti mi hanno ascoltata, i loro sguardi colpiti dalla vicenda di Germaine, l’orrore e lo sdegno che ho letto nei volti di alcuni di loro quando ho raccontato che in quel campo venivano compiuti atroci esperimenti sulle donne con la scusa di testare una cura per i soldati feriti, esperimenti che spesso portavano le «cavie» alla morte o all'amputazione di alcuni arti… Credo che avere avuto l’occasione di raccontare e ricordare alcune figure testimoni dell’Olocausto ai giovani sia un’esperienza importantissima, e se sarò riuscita, insieme agli altri relatori della mattinata, a lasciare anche solo un piccolo seme e un messaggio contro l’odio, la tortura, le persecuzioni, la guerra, e al contrario un messaggio di amore, rispetto, coraggio, nel mio e nel nostro piccolo avremo fatto qualcosa, per riprendere le parole del Sindaco di Arona, per «cambiare il mondo», il nostro mondo, dove un simile orrore non deve ripetersi mai più.
Grazie ragazzi di avermi ascoltata e applaudita, grazie alla Vostra bravissima Preside, grazie a tutto il Comune di Arona per avermi permesso di vivere insieme a Voi questo momento tanto significativo.

La locandina dell'incontro



LIDIA SELLA A REGGIO EMILIA
Alla Libreria All’Arco
Lidia Sella continua il suo tour letterario
discutendo martedì 6 febbraio alle ore 16
del suo best seller “Strano virus il pensiero”
assieme a Guido Monti
L’incontro è sotto l’egida della Societa Dante Alighieri
Via Emilia Santo Stefano n. 3/D

La locandina dell'incontro

Per rimanere umani
Milano. BIBLIOTECA SORMANI
Sala del Grechetto
Via Sforza n. 7 ore 18
Tiziano Rovelli presenta il suo romanzo
“Il viaggio della signora Trussi”
Interverranno Paolo Deotto e Angelo Gaccione


La locandina dell'invito


venerdì 26 gennaio 2018

DEMOCRAZIA: PADRI NOBILILI E FIGLI IGNOBILI
di Angelo Gaccione

Giuseppe Denti "Mai più"

Ieri, 25 gennaio 2018, in occasione della giornata della memoria, c’è stato in un affollato incontro al Quirinale dove erano presenti autorità di vario ordine e grado, personalità altrettante variegate, studenti, e anche Liliana Segre nominata di recente senatrice a vita, dal presidente della Repubblica Mattarella. Mattarella ha tuonato contro le leggi razziali e la guerra, sottolineando come il fascismo non ha nessuna giustificazione storico-morale da accampare, perché ha prodotto quelle leggi razziali e quella guerra. Giustissimo. Peccato che fra tutti i presenti non si è levata alcuna obiezione. Se mi fossi trovato in quell’aula mi sarei alzato e avrei detto: “Presidente, quello che lei ha detto è vero, sono state le leggi razziali che hanno condotto la signora Segre, ancora bambina, nei campi di sterminio da cui si è miracolosamente salvata. Mi permetto però modestamente di farle osservare, che a firmare quelle leggi razziali è stato il re la cui salma è stata di recente riportata in Italia con un volo di stato, senza che vi sia stato uno straccio di dibattito nel Paese e in Parlamento, e senza che lei abbia aperto bocca per impedirlo.

Giuseppe Denti "Mai più"

Ha ragione anche a proposito di quanto afferma sulla mostruosità della guerra, però siccome per fare la guerra ci vogliono le armi, lei non ha detto finora mezza parola sul commercio e la produzione delle armi italiane che vanno a portare devastazione e morte in giro per il mondo oggi, come ha fatto il nazifascismo ieri e che lei giustamente condanna. Ecco, era semplicemente questo che volevo farle osservare”.    



Milano. BASILICA DI SAN CALIMERO
Via San Calimero n. 9
Concerto a tre flauti
sabato 3 Febbraio ore 20,30 (ingresso libero)
A cura dell’Associazione Culturale “Noema”

La locandina del concerto

Per rimanere umani
Milano. “OMAGGIO A FRANÇOIS COUPERIN
NEL 350° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA”
Chiesa di San Cristoforo sul Naviglio
via San Cristoforo 3
sabato 27 Gennaio ore 16 (ingresso libero)
A cura dell’Associazione Culturale “Omaggio al Clavicembalo”

F. Couperin

                                   IL PROGRAMMA DEL CONCERTO


La splendida chiesa di San Cristoforo dove si terrà il concerto

I signori della Terra
di Fulvio Papi
La copertina del libro

Federico Rampini (che non ha di certo bisogno della mia opinione) mi pare il giornalista italiano che, nei nostri anni, ha saputo interpretare al meglio possibile la sua professione. Non l’ho mai sentito dare una notizia, se pur breve, con lo spirito feticistico della notizia - di solito moralmente diffusa - ma sempre collocata in una rete di intellegibilità dove essa assume un significato, al di là della confezione del “fatto”. Nell’epoca dell’informazione totale è un pregio che può aiutare nel compito, non facilissimo, di fare ancora uso della carta stampata per una conoscenza del quotidiano. I giovani ne sono già molto lontani e crescono con le forme informatiche della conoscenza, lontani secoli da quello che diceva Croce intorno al loro compito che sarebbe stato soltanto quello di crescere. Mi paiono - agli estremi - una forza, una energia e, contemporaneamente una passività. Sono temi molto difficili che, in ogni caso, Rampini sa molto meglio di me. Se la filosofia avesse qualcosa da aggiungere allo stile del nostro autore, direi che l’àtita la categoria di finalità che introduce domande, ipotesi, giudizi, generalità che interpretano in questa latitudine, non priva di fantasiosi pericoli, i dati di fatto più generali, come segni di una totalità. Per esempio Rampini vede con chiarezza l’ingiustizia (ma non in senso storico, ma è poi così veritiero?) che c’è a San Francisco dove, nel sistema dei trasporti, i giovanissimi “creativi” dell’industria informatica, possono godere di comodità da Oriente Express, mentre gli altri viaggiano pigiati “come sardine”, secondo un’espressione che si usava nel dopoguerra in una Milano dotata di poche vetture tranviarie. Tutti questi discorsi iniziali per introdurre l’attenzione su l’ottimo libro di Rampini Rete padrona di due o tre anni fa, dato che a me le notizie arrivano con il “tam-tam” dei pochissimi amici rimasti o dell’efficiente libraio d’altri tempi. So bene che non c’è nulla di positivo in tutto ciò, perdonabile forse con una lettura attenta ad ogni riga, compresa come se questo testo o altro fosse l’occasione per un esame. Cercherò di riferire la trama essenziale del lavoro, ma all’inizio, vorrei ricordare che Rampini ci rende noto, qualora cadesse colpito da terroristi informatici la centrale di tutto il sistema, noi finiremmo in pieno Medio Evo, che è molto meno “oscuro” di quanto l’ideologia del razionalismo ottocentesco abbia ritenuto. Al punto che i pochissimi amici informati da me su questa possibile evenienza hanno replicato, senza minimamente citare Novalis e dintorni, ma con la solita teatrale esibizione intellettuale che in fondo non sarebbe stato una tragedia. Era il tempo di una poesia straordinaria, una riflessione e una pratica politica invidiabile, stando così le cose, un lavoro servile ma non mortificante come quello degli operai delle manifatture inglesi della rivoluzione industriale, una valorizzazione pubblica di virtù che oggi sono quasi scomparsi, come anche una violenza estrema per colpe immaginarie. Ma l’aspettativa di vita era molto più breve, e, tuttavia, a quanto riferisce Ariès, la morte meno tragica. Resta il fatto - aggiungeva il gioco - che un dente in crisi ci conduceva dal barbiere, e le stagioni mortifere della peste erano diffusi e incomprensibili. Bacone vide che un aumento del sapere avrebbe reso più facile e gradevole la vita, e Cartesio capì che era la medicina il centro fondamentale di quella visione di progresso, molto più che le conoscenze militari. Ora, brevemente, sul libro. L’espressione “padroni” (filologicamente incerta) è perfetta per mostrare come “noi” siamo dipendenti dalla rete telematica, dalle sue tecnologie intellettuali e dai suoi sovrani sociali, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, così potente è il loro dominio, diventato una introiezione di tecnologie e quindi un’abitudine e, addirittura, una identità. La storia sociologica ci ha mostrato che si diventa “uomini”, per di più come si può, e proprio come lo consentono coloro che comandano sul mondo. Nel capitolo “I tentacoli di Amazon” un’immensa potenza informatica, si legge: “Un editore americano la paragona a un Padrino”. Un grande giornale la definisce la Piovra. Un documentario della BBC, girato in segreto nei suoi stabilimenti, descrive sfruttamento e ritmi ossessivi da Tempi moderni di Charlie Chaplin. Innovazione flessibile, lungimirante e visionaria. Ma anche spietata. A vent’anni dalla sua fondazione è una vera sfida fare luce su un’azienda misteriosa che, al confronto, con la Apple dei tempi di Steve Jobs, era quasi trasparente”. Si tratta di una colossale impresa monopolistica – pare che in questo settore sia facile eludere la legge – Certi trust che nel proprio funzionamento interno ha un indice di sfruttamento senza proporzioni (impallidiscono le inchieste dei medici e dei parlamentari inglesi sul lavoro minorile al tempo della rivoluzione industriale). E, a livello della collettività sociale, la forza impositiva di un Impero invisibile (altro che l’impero “idraulico” cinese dei primi studi della scuola di Francoforte). Amazon si espande ulteriormente, compreso il “Washington Post” come strumento di pressione politica e/o di consenso sociale: “Al pari di Apple e Google, Amazon è diventato uno dei simboli di un capitalismo digitale spregiudicato”, e abilissimo nell’evasione o nella elusione fiscale. Per un filosofo europeo ci vuole poco a dire che si tratta di una delle trasformazione del capitalismo che sono connesse con lo sviluppo tecnologico, mostrano una straordinaria forza politica e una enorme efficacia nel provocare identità sociali. Troppo “amarcord” del vecchio Marx? Prosegue Rampini: “L’ultima trovata di Amazon sono le prenotazioni anticipate e non richieste. Cioè libri ordinati prima ancora che siano usciti e prima che ne conosciamo l’esistenza. Amazon è convinta di conoscere i nostri gusti al punto da anticipare quello che vorremmo e riempire il carrello della spesa proprio come faremmo noi”. Una materiale ripresa dell’onniscenza divina (oggi teologicamente in ombra). Il pubblico di questo potere informatico (che viola la tradizionale relazione da uno a uno) diviene sempre più vasto: siamo prossimi alla dimensione planetaria. Suppongo con la esclusione delle popolazioni amazzoniche e polinesiane studiate, nella mia giovinezza, con il sentimento del rimorso. Ma l’orgia del progresso è onnivora. A tutto ciò segue (nella mia narrazione non nei fatti) la dimensione della intercettazione selettiva e delle tecnologie necessarie per la selezione adatta ai propri fini. Nell’opera di Rampini qui si apre una lunga e interessante analisi del sistema politico delle informazioni con la tecnica dello spionaggio e delle misure necessarie. “È su Internet che si combattono guerre totali (addio 007). Internet è il nuovo terreno di un conflitto mondiale per decidere mosse strategiche, in primo luogo la possibilità dell’informazione”. Mi limiterei ad osservare tra chi usa le informazioni per le proprie finalità, quali che siano le sue proposizioni storiche e sociali. Ma se due o tre personaggi del tutto marginali alla Rete, decidono di sparare, lo fanno senz’altro. L’errore è nell’imprevidenza umana nell’uso informatico o nel limite della Rete? O, meglio, in tutti e due? Sfuggire in ogni caso è abbastanza difficile, dato che emergono reti al plurale: “una balcanizzazione deplorevole, ma forse inarrestabile. Gli interessi di ogni forma di capitalismo (“per essenza”) sono non solo compatibili con altri, ma se ben orchestrati, possono creare ulteriori vantaggi. Ora c’è la grande alleanza (impossibile tra Papato e Impero, USA e URSS) tra la Silicon Walley e Wall Street. Mercati truccati? Bisogna provarlo e ci vogliono analisti fuori misura. Ma vi sono rischi endemici già noti: “tutte le ultime crisi finanziarie hanno recato il segno della contaminazione tra finanza e tecnologie digitali”. A questo punto (del resto avanzato) decido di abbandonare la narrazione del testo che, del resto, analizza una specie di “fenomenologia sociale” derivata dalla struttura fondante. Tutte informazioni che sarebbe bene conoscere per non rischiare (come capita) una chiacchiera lunare. Vado a temi che mi paiono decisivi. L’uno è la nascita di una leva di giovanissimi “creativi” che sono impegnati nelle varie tecno-detentrici di tutti i poteri informatici. Sono ragazzi che studiano (e in una specie di concorrenza “chiusa” relativa all’orizzonte dell’innovazione. Perché ragazzi? Naturalmente non lo so, ma lo suppongo. Per tradizione i matematici di valore svelano il loro talento molto giovani. E qui il discorso è accettabile. Poi c’è la forma dell’allevamento dei talenti. Le possibilità vitali dei ragazzi vengono selezionate in ordine a potenti ma molto limitate possibilità. Si può portare ad un massimo livello una potenzialità dell’esistenza, considerando superfluo il resto. Lo scambio di questa selezione avviene in denaro. Poiché ci sono molte possibilità di creatività intellettuale che vengono connesse con un equilibrio valoriale (non indotto da un potere totalmente), c’è più di una domanda, anche radicale, che si può avanzare. E infatti non mancano critici del nuovo impero che, da quando ho capito, trovano forme di opposizione, la famosa pirateria informatica, all’interno dello stesso sistema. Un qualsiasi generale sa che l’attacco lo si deve portare nel punto più debole dell’avversario. In questo caso non c’è per una ragione pratica facilmente descrivibile: il “valore d’uso” (quale che sia), è condiviso da miliardi di soggetti che chiedono immediatamente la riparazione del guasto, un modo che ha qualche somiglianza con un disastro naturale che compromette la propria vita. Di qui non si passa.

Federico Rampini


La critica se non è “democraticamente” parziale, appartiene alla messa in gioco di un eccesso di valori formali: una debole energia aristocratica, per ora una “primula rossa”. A voler indovinare, seguendo le esperte tracce di Rampini, può entrare in crisi quando viene meno (per infinite ragioni) il “vuoto” che valorizza l’informazione, cioè il suo senso. Una informazione veramente totalitaria, assomiglia a un reciproco “scacco al re” e quindi non interessa nessuno. È ovvio che ogni forma di informazione deve corrispondere a un interesse in qualche modo competitivo. Provate a mettere un sistema informatico alla vita come appare nel Vangelo di Matteo. Utopie? Scemenze? In fondo anche Platone a proposito della sua Repubblica sosteneva che non era di principio irrealizzabile, ma che forse, (il forse lo posso mantenere?) sarebbe capitato un tempo... Stiamo agli aspetti negativi concreti che si ricavano dall’ultimo lavoro di Rampini. Uno: promuovere i famosi giovani “creativi”, vuol dire ipotizzare l’infinità di un mondo competitivo. Due: si può ampliare questa analisi nella dimensione analitica del capitalismo contemporaneo privo di dialettica della speranza. Tre: una splendida città come San Francisco è stata urbanisticamente rovinata ed è diventata inabitabile per i costi delle locazioni, anche per un professore con 55.000 mila dollari l’anno. Quattro: è aumentata in modo notevole la quantità della povera gente. Questa analisi critica si può metaforizzare con un “bianco e nero” dell’intelletto, che, qualche volta, si può affrontare con i mezzi legali del sistema politico: qualche volta, in qualche caso. Il paradiso non è dei privilegiati, ma è quello perduto, persino nell’immaginazione dei più. Quindi, come credo direbbe anche Rampini: usate il sistema informatico fin che si integra come “prassi” nel vostro senso. Altrimenti il sistema può schiacciare ogni forma di temporalità, si da distruggere la possibilità di una identità. Spero (da inesperto) di non esagerare e, in ogni caso, complimenti all’ottimo e competente scrittore.  

mercoledì 24 gennaio 2018


Premio speciale a Angelo Gaccione
Fiesole, 25 novembre 2017. Premiato il disarmo


La copertina del libro premiato

Fiesole: Premio a Gaccione

Nell’anno del centenario della nascita di Carlo Cassola, numerosi e variegati sono stati i contributi critici per ricordare l’autore di alcuni tra i principali romanzi del nostro Novecento, Fausto e Anna, Il taglio del bosco, La ragazza di Bube, Un cuore arido... E dopo anni di incomprensibile oblio, si è tornati finalmente a leggere il suo nome sulle pagine dei quotidiani. Tra le iniziative editoriali più significative, sicuramente l’edizione del suo carteggio con lo scrittore Angelo Gaccione, Cassola e il disarmo. La letteratura non basta, uscito per l’editore lucchese Tralerighe e relativo agli anni 1977-1984. Un volume che si distingue per due meriti in particolare, quello di disseppellire la produzione epistolare di Cassola; e quello di testimoniare l’intensità posta dallo scrittore, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, nella campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, al fine di combattere il ricorso agli armamenti nelle società moderne. La posta in gioco degli ultimi anni di lavoro di Cassola è davvero alta, intravedendo, sull’orlo della propria eclissi, quella del mondo e iniziando così ad agitare temi purtroppo ancor oggi attuali: “La sola cosa di cui m’importa, e per cui darei volentierissimo questo scampolo di vita personale che ho ancora a disposizione, – scriveva nel 1978 a Giovanni Russo – è far sì che la distruzione del mondo, che sarebbe la massima iattura, non accada”. Ideali e istanze pacifiste che Cassola condivideva con Angelo Gaccione, intellettuale attivo sin dagli anni Settanta nell’ambiente letterario e politico di Milano, destinatario delle lettere oggi finalmente edite e che offrono lo spaccato di questo laboratorio politico pacifista e antimilitarista. È anche grazie all’incontro con Gaccione che l’iniziativa di Cassola per propagandare il disarmo bellico degli Stati nazionali si rafforza, dapprima come realtà locale e poi come associazione a carattere nazionale. Entrati in contatto nel 1977, saranno protagonisti di un rapporto di grande intesa e complicità, attraversato sin dall’inizio anche da una proficua dialettica. Addentrandosi nella lettura delle missive a Gaccione si può conoscere, oltre allo scrittore, anche l’uomo che Cassola è stato, colto nella viva manifestazione del suo carattere e della sua persona placida e mite, come racconta lo stesso Gaccione nella conversazione con Federico Migliorati che precede le lettere: “Non usava il linguaggio per sopraffare l’interlocutore, non faceva sfoggio di cultura, voleva entrare in sintonia con lui (…). Schivo e riservato, in lui c’era un pudore antico nato dalla buona educazione (...). Non si è mai atteggiato a divo e ad artista, nonostante l’immenso successo popolare”. Un Cassola sicuramente inedito, che aveva fatto suo il principio che uno scrittore deve sapersi spendere per la gente. Ma il merito di questo volume non consiste solo nel riportare alla luce un momento storico in cui la letteratura si faceva portavoce di istanze civili e politiche, ma anche di osservare come proprio attraverso l’urgenza di queste idee Cassola definisca una nuova agenda letteraria, che riscatta la definizione degli anni Sessanta – di scrittore disimpegnato – in favore della definizione di una nuova idea di letteratura dell’impegno che finisce per superare la precedente dimensione ‘esistenziale’. 
Grati quindi dobbiamo essere a Gaccione che, mettendo a disposizione questi documenti, permette a noi di rivelare, insieme alla causa disarmista dell’ultimo Cassola, il suo «amore per la vita» e la consapevolezza che, quando il mondo rischia di saltare in aria, forse «la letteratura non basta».  Per questo la Giuria del Premio Fiesole Under 40 ha deciso all’unanimità di assegnare a Angelo Gaccione un premio speciale 2017.


ALBUM

Foto 1
Foto 2

Foto 3
Il teatro romano di Fiesole

Gaccione nello studio di Alberto L'Abate.
Alla sua destra Anna Luisa Leonardi moglie di L'Abate
e a sinistra un'amica fiorentina. In mano libri sul disarmo. 











Milano. Università degli Studi
Letture d'autore.

La locandina dell'incontro

Milano. Cascina Cuccagna


La locandina dell'evento
                                     

Infuria il vento…

Infuria il vento in questa notte
di stelle inseguendo le nubi
nere come la morte di una
quercia dal tronco segnato
dai giri intrecciati di vita.
Infuria il vento in turbinio
di trombe silenziose alla prima
lacrima del cielo, piegato sotto
un lembo di stelle spente.
Infuria il vento in un sibilo
frastornato dallo sbatter d’ali
di uccelli neri come ombre di
morte, che acceca ogni luce.
Infuria il vento gridando al
cielo l’ultima supplica per un
barlume di luce, fosse pure un
tuono per un fulmineo perdono.
[Laura Margherita Volante]
L’Italia nel piano nucleare del Pentagono
di Manlio Dinucci


Il Nuclear Posture Review 2018, il rapporto del Pentagono sulla strategia nucleare degli Stati uniti, è attualmente in fase di revisione alla Casa Bianca. In attesa che sia pubblicata la versione definitiva approvata dal presidente Trump, è filtrata (più propriamente è stata fatta filtrare dal Pentagono) la bozza del documento di 64 pagine. Esso descrive un mondo in cui gli Stati uniti hanno di fronte «una gamma senza precedenti di minacce», provenienti da stati e soggetti non-statali. Mentre gli Usa hanno continuato a ridurre le loro forze nucleari  – sostiene il Pentagono – Russia e Cina basano le loro strategie su forze nucleari dotate di nuove capacità e assumono «un comportamento sempre più aggressivo anche nello spazio esterno e nel cyberspazio».  La Corea del Nord continua illecitamente a dotarsi di armi nucleari. L’Iran, nonostante abbia accettato il piano che gli impedisce di sviluppare un programma nucleare militare, mantiene «la capacità tecnologica di costruire un’arma nucleare nel giro di un anno».
Falsificando una serie di dati, il Pentagono cerca di dimostrare che le forze nucleari degli Stati uniti sono in gran parte obsolete e necessitano di una radicale ristrutturazione.  Non dice che gli Usa hanno già avviato, nel 2014 con l’amministrazione Obama, il maggiore programma di riarmo nucleare dalla fine della guerra fredda dal costo di oltre 1000 miliardi di dollari.
«Il programma di modernizzazione delle forze nucleari Usa – documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani – ha già permesso di realizzare nuove tecnologie rivoluzionarie che triplicano la capacità distruttiva dei missili balistici Usa».
Scopo della progettata ristrutturazione è, in realtà, quello di acquisire «capacità nucleari flessibili», sviluppando «armi nucleari di bassa potenza» utilizzabili anche in conflitti regionali o per rispondere a un attacco (vero o presunto) di hacker ai sistemi informatici.
La principale arma di questo tipo è la bomba nucleare B61-12 che, conferma il rapporto, «sarà disponibile nel 2020». Le B61-12, che sostituiranno le attuali B-61 schierate dagli Usa in Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, rappresentano – nelle parole del Pentagono – «un chiaro segnale di deterrenza a qualsiasi potenziale avversario, che gli Stati uniti posseggono la capacità di rispondere da basi avanzate alla escalation».
Come documenta la Federazione degli scienziati americani, quella che il Pentagono schiererà nelle «basi avanzate» in Italia ed Europa non è solo una versione ammodernata della B61, ma una nuova arma con una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo, la capacità  di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando.
Dal 2021 – specifica il Pentagono – le B61-12  saranno disponibili anche per i caccia degli alleati, tra cui i Tornado italiani PA-200 del 6° Stormo di Ghedi. Ma, per guidarle sull’obiettivo e sfruttarne le capacità anti-bunker, occorrono i caccia F-35A.
«I caccia di nuova generazione F-35A – sottolinea il rapporto del Pentagono – manterranno la forza di deterrenza della Nato e la nostra capacità di schierare armi nucleari in posizioni avanzate, se necessario per la sicurezza». Il Pentagono annuncia quindi il piano di schierare F-35A, armati di B61-12, a ridosso della Russia. Ovviamente per la «sicurezza» dell’Europa.
Nel rapporto del Pentagono, che il senatore democratico Edward Markey definisce «roadmap per la guerra nucleare», c’è dunque in prima fila l’Italia. Interessa questo a qualche candidato alle nostre elezioni politiche?
SESTO SAN GIOVANNI.
Giorno della memoria

La locandina dell'incontro

MILANO.  Coordinamento Beni Comuni

La locandina dell'incontro

27 GENNAIO: NON SOLO MEMORIA
BASTA RAZZISIMI E FASCISMI

"Bay Bay", opera di Giuseppe Denti

Il 27 Gennaio, 73 anni fa, avvenne la liberazione di Auschwitz, il lager simbolo del peggiore dei crimini nazisti: la macchina di morte chiamata "soluzione finale", Shoah, Porrajmos, Olocausto. Milioni di persone furono deportate e sistematicamente sterminate, o perché ritenute di “razza inferiore” - gli ebrei anzitutto, ma anche i rom e le popolazioni slave - o perché lgbtq, disabili, oppositori politici, partecipanti alla Resistenza nei vari Paesi, donne libere: tutti e tutte coloro che erano scomodi ai disegni razzisti del regime nazifascista. A 73 anni di distanza e a 80 anni dalla promulgazione delle infami leggi razziali da parte del regime fascista italiano, il 27 gennaio la Giornata della Memoria deve essere di monito e di allarme per la diffusione della xenofobia, la rilegittimazione delle tesi razziste nel discorso pubblico, la persistenza dell’antisemitismo e la ricomparsa di intimidazioni e violenze da parte di gruppi che si ispirano esplicitamente al nazifascismo. L’Europa, sempre più in difficoltà e divisa di fronte alla crisi globale, è preda di pericolose derive nazionaliste al suo interno. La perdita delle garanzie e dei diritti sociali conquistati nel dopoguerra, le crescenti disuguaglianze provocate dalle politiche liberiste e la precarizzazione del vivere quotidiano alimentano rabbia e frustrazione. L’incapacità di una risposta positiva e solidale lascia indisturbati quanti si sono arricchiti nella crisi e consegna nuovi spazi alle consuete dinamiche di individuazione di un capro espiatorio su cui far ricadere ogni responsabilità della situazione presente. Questo ruolo è oggi assegnato ai migranti, persone in fuga da miseria e povertà, tratteggiate come sanguisughe del nostro sistema economico e demonizzate sulla base di riemergenti pregiudizi razzisti. Pregiudizi che, in Italia, si vanno ad abbattere anche sui tanti stranieri da sempre residenti nel nostro Paese, cui si sceglie persino di negare la cittadinanza ed i diritti ad essa connessi. Pregiudizi che si ripercuotono, allargando lo sguardo, sulle politiche di frontiera europee, sempre più improntate alla costruzione di muri per impedire la circolazione delle persone, e che sono alla base, negli Stati Uniti di Trump di provvedimenti con il Muslim Ban e del ritorno del suprematismo bianco.
Ricordare oggi l’infamia nazifascista ‎significa non soltanto rifiutarsi di dimenticare, ma anche e soprattutto essere consapevoli che mai nulla è conquistato per sempre.
Non si tratta di proporre paragoni storicamente insostenibili ma suonare un campanello di allarme per germi infausti che, se non contrastati fermamente, rischiano di prospettare nuovi drammi per il vivere comune. Significa contrastare i discorsi e le politiche che oggi bollano il profugo e il migrante come “invasore”, che alzano muri e in terra e in mare, che negano cittadinanza in base al colore della pelle.
Significa non guardare dall’altra parte di fronte alla crescente violenza razzista e neofascista in Europa, che colpisce soprattutto migranti, ma anche chi è considerato “diverso”, e che ha trovato anche in Italia i suoi seguaci, dimostrando ancora una volta quali siano gli effetti degli spazi concessi alle organizzazioni di estrema destra ormai legittimati dai media e dalla politica.
Non possiamo e non vogliamo rivivere le tragedie del passato. Per questo è necessario chiudere ogni spazio politico ai nazifascisti: chiudere le loro sedi, non concedere loro spazi pubblici e istituzionali, continuando a costruire mobilitazioni sociali e popolari, che respingano la loro retorica razzista. Occorre agire prima che sia troppo tardi, perché il fascismo non è un'opinione, è un crimine.
[Milano Antifascista, Antirazzista, Meticcia e Solidale]




Privacy Policy