UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 30 settembre 2015

NONVIOLENZA O BARBARIE
2 ottobre 2015. Giornata internazionale della nonviolenza


Verona. Quando, nel 2007, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì, nel giorno del compleanno di Gandhi, la Giornata internazionale della nonviolenza, le spese militari mondiali ammontavano a circa 1.400 miliardi di dollari e si contavano 29 guerre in corso. Oggi, nel 2015, a fronte di 33 conflitti armati ufficiali, la spesa militare mondiale è di circa 1.800 miliardi di dollari: è come se ogni due anni si aggiungesse una nuova guerra a quelle già in corso - che intanto non si risolvono - che richiede nuove armi, e quindi nuovi costi, provoca ulteriori vittime, genera nuovo terrorismo, produce altri profughi in un esodo ormai incontenibile. Non è un caso se i ricercatori del Global Peace Index hanno calcolato il costo della violenza globale per il 2015 nel 13,4% della ricchezza mondiale prodotta. E sottratta alle risorse per la vita.
Di fronte alla tragica realtà di questi dati, che coinvolgono le vite di milioni di persone, la Giornata della nonviolenza rischia di diventare una ritualità retorica se non la si riempie di contenuti incisivi ed efficaci. Se non diventa l’occasione per ricordare - con Gandhi - che non è vero che “i mezzi in fin dei conti sono mezzi, ma i mezzi in fin dei conti sono tutto”, perché non è un destino ineludibile che i diversi conflitti che attraversano le genti si trasformino in guerre sanguinarie e crudeli, se solo se ne affrontassero le cause con mezzi e strumenti differenti dalla violenza. Si corre questo rischio se la Giornata della nonviolenza non diventa un’ulteriore, formidabile, occasione per costruire la pace attraverso la realizzazione e la diffusione di mezzi nonviolenti, che soppiantino definitivamente le armi e gli eserciti. A partire dal proprio impegno personale.
Per questo lo scorso anno, il Movimento Nonviolento, insieme a sei Reti della società civile italiana, ha scelto proprio il 2 ottobre per lanciare la Campagna “Un’altra difesa è possibile” con la proposta di legge di iniziativa popolare per promuovere in Italia – uno dei Paesi più armati del mondo - la difesa civile, non armata e nonviolenta, da finanziarsi sia attraverso percorsi di disarmo che attraverso la scelta del 6 per mille dei cittadini. Per questo abbiamo raccolto e consegnato oltre 53.000 firme al Parlamento italiano e lo scorso 10 settembre abbiamo incontrato la Presidente della Camera alla quale abbiamo chiesto un impegno di vigilanza sull’iter istituzionale della proposta di legge che vuole collegare l'articolo 11 della Costituzione (il ripudio della guerra) con l'articolo 52 (la difesa della patria) con la valorizzazione del Servizio civile, dei Corpi civili di pace, la Protezione civile: un esercito di pace a difesa della vita e dei diritti di tutti.
Ma tutto questo non basta ancora. La “terza guerra mondiale diffusa” che stiamo vivendo è una tragedia che ci interpella e necessita del nostro impegno quotidiano e costante, sui luoghi di studio, di lavoro, tra gli amici, tra le associazioni: l’impegno specifico per la nonviolenza e il disarmo. Non come aspirazione generica alla pace, ma come processo di costruzione della nonviolenza organizzata, che operi – culturalmente e politicamente - per realizzare i mezzi e i dividendi di pace. Questo è, oggi più che mai, come scriveva Aldo Capitini, “il varco attuale della Storia”.
La nonviolenza o la barbarie. Il 2 ottobre e tutti i giorni dell’anno.
Buon compleanno, Mahatma Gandhi. Auguri alla nonviolenza. Ne abbiamo bisogno.
Movimento Nonviolento

Trampolino Italia per i giochi di guerra NATO nel Mediterraneo
di Antonio Mazzeo

“Per Trident Juncture 2015, l’attività addestrativa multinazionale che verrà effettuata il prossimo autunno, la NATO prevede al momento di impiegare, in Italia, complessivamente 41 aeromobili (di cui 15 appartenenti a Paesi dell’Alleanza e 26 italiani), un totale di circa 3.500 militari italiani (schierati tra Spagna, Portogallo e Italia), vari assetti navali in corso di definizione”. Lo ha precisato il sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, rispondendo in commissione a un’interrogazione di alcuni deputati del Movimento 5 Stelle (primo firmatario l’on. Gianluca Rizzo).
Trident Juncture, come espressamente dichiarato per bocca del Comando generale dell’Alleanza Atlantica, sarà “la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra fredda ad oggi” e interesserà un’area geografica imponente, compresa tra il nord America, l’Oceano Atlantico, il Mediterraneo e i poligoni di guerra di Spagna, Portogallo, Italia, Belgio, Germania, Olanda e Norvegia. “L’esercitazione – ha spiegato il sottosegretario Alfano - effettuata con cadenza triennale, ogni volta con denominazione e luoghi di svolgimento diversi, costituisce un momento di coesione fondamentale e irrinunciabile per mantenere e, possibilmente, incrementare, l’interoperabilità tra i 28 Paesi dell’Alleanza e con i Partners. Quest’anno la sua valenza è di particolare importanza poiché rappresenta un tangibile segno di attenzione dell’Alleanza Atlantica verso i rischi presenti nell’area mediterranea ed è finalizzata, infine, a dimostrare la volontà collettiva di garantire una più ampia cornice di sicurezza ai Paesi del cosiddetto fianco Sud”.
Sempre secondo il governo, “a livello nazionale, il coinvolgimento prevede l’invio di elementi dell’Esercito in Spagna, Portogallo e a Capo Teulada, di assetti aerei dell’Aeronautica presso le basi di Trapani, Decimomannu, Pratica di Mare, Pisa, Amendola e Sigonella, mentre per la Marina Militare saranno presenti assetti navali inclusi nell’esercitazione nazionale Mare Aperto, collegata alla Trident Juncture 2015”. I giochi di guerra vedranno pure il coinvolgimento del Comando integrato della componente aerea (Joint Force Air Component Command - JFACC) dell’Aeronautica militare di Poggio Renatico (Ferrara), l’installazione che più di tutte ha assunto un ruolo strategico chiave nella gestione delle operazioni aeree e di controllo radar dell’Alleanza atlantica. Trident Juncture 2015 sarà guidata dal Joint Task Force Command (JFC) di Brunssum (Olanda) e vedrà complessivamente la partecipazione di 36.000 militari, quasi duecento tra cacciabombardieri, aerei-spia e grandi velivoli cargo e una sessantina di unità navali di superficie e sottomarini. “Trident Juncture è finalizzata all’addestramento e alla verifica delle capacità dei suoi assetti aerei, terrestri, navali e delle forze speciali, nell’ambito di una forza ad elevata prontezza d’impiego e tecnologicamente avanzata, da utilizzare rapidamente ovunque sia necessario”, spiegano i vertici militari dell’Alleanza. “L’esercitazione simula uno scenario adattato alle nuove minacce, come la cyberwar e la guerra asimmetrica e rappresenta, inoltre, per gli alleati ed i partner, l’occasione per migliorare l’interoperabilità della NATO in un ambiente complesso ad alta conflittualità”.
Trentatre le nazioni presenti (i 28 membri NATO più 5 partner internazionali) e, in qualità di osservatori, dodici tra le maggiori organizzazioni internazionali, agenzie di cooperazione e Ong. La presenza delle maggiori istituzioni internazionali e di alcune organizzazioni non governative è stata fortemente voluta dai vertici alleati in vista dell’elaborazione delle nuove strategie militari globali. Il 15 luglio scorso, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2015 di Trident Juncture, il generale Hans-Lothar Domröse ha fatto esplicito riferimento alla necessità che “attori militari e non-militari lavorino insieme, cercando di vincere la pace”. Come segnalato dal Comitato sardo No basi che ha programmato una serie di iniziative contro la mega esercitazione NATO, nella prima brochure ufficiale di Trident Juncture 2015 si poteva leggere che “l’obiettivo di ottenere la partecipazione di organizzazioni internazionali/ONG/Organizzazioni Governative serve a migliorare la capacità della NATO di interagire con i principali attori civili”. In precedenza, era stato anche diffuso un elenco delle istituzioni civili che avrebbero offerto la propria disponibilità a partecipare all’esercitazione, poi misteriosamente sparito dal sito web NATO. Nella special list comparivano  l’Unione Europea, l’Unione africana, il Comitato internazionale della Croce Rossa, diverse agenzie delle Nazioni Unite (OCAH - Coordinamento degli affari umanitari; PNUD  - Programma per lo Sviluppo; UNDSS - Dipartimento di Sicurezza delle Nazioni Unite; UNICEF; PMA - Programma Mondiale di Alimentazione; OIM - Organizzazione Internazionale per le Migrazioni); le ONG Save the Children, Assistência Médica Internacional Foundation, Human Rights Watch, World Vision; le agenzie nazionali alla “cooperazione” United States Agency for International Development (USAID), Department for International Development (DFID), Deutsche Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit (GIZ), l’Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo.
La prima fase di Trident Juncture ha preso il via il 26 settembre con l’allestimento nello scalo aereo spagnolo di Zaragoza di un polo logistico dove sono stati stipati sistemi d’arma, munizioni e viveri per le truppe NATO. Dal 3 al 16 ottobre sono previsti gli incontri di pianificazione dei principali Comandi alleati europei, mentre le esercitazioni vere e proprie si svolgeranno dal 21 ottobre al 6 novembre, principalmente nello spazio aereo e terrestre di Italia, Spagna e Portogallo e nelle acque del Mediterraneo centrale.
Il centro nodale delle operazioni aeree è stato affidato all’Italia. Le ultime misure per il coordinamento delle esercitazioni aeree sono state decise l’8 e il 9 settembre presso il Comando generale della attività aeree alleate (HQ AIRCOM) di Ramstein, Germania. “Più di 180 aerei di 16 paesi NATO e di 3 paesi partner NATO opereranno dalle basi aeree militari di Italia, Spagna e Portogallo”, riporta il comando di Ramstein. “Il direttore del Joint Force Air Component - JFAC di Poggio Renatico sarà l’ufficiale responsabile della direzione e del controllo delle esercitazioni aeree. Egli sarà supportato dai tre capi dei cosiddetti Controlli Operativi Locali o LOPSCON Air cells che saranno operativi nelle basi di rischiaramento di Beja, Albacete e Trapani per la gestione dei piani addestrativi. I LOPSCON Air dirigeranno e controlleranno localmente le esercitazioni aeree, monitoreranno quotidianamente il ritmo delle battaglie e si coordineranno con la nazione ospitante”.
“Gli assetti aerei - aggiunge l’HQ AIRCOM Ramstein – saranno utilizzati a supporto delle forze terrestri, marittime e speciali, conducendo missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento, di supporto aereo chiuso e trasporto truppe. Sono previste inoltre missioni di ricerca e soccorso del personale militare. Gli aerei NATO e dei paesi partner che condurranno l’addestramento a livello tattico includeranno i cacciabombardieri Eurofighter/Typhoon, Tornado, F-16, F-18, L-159, Mirage 2000, JAS-39 Gripen, i convertiplano MV-22, gli aerei da trasporto C-130, C-160 e Casa C-295, diversi aerei per il rifornimento di carburante in volo, quattro aerei radar di pronto allarme più alcuni elicotteri”.
Secondo quanto riferito in commissione difesa dal sottosegretario Alfano, a Trapani Birgi saranno rischierati, dal 21 ottobre al 6 novembre, 18 aerei italiani e 12 dell’Alleanza. “L’attività di volo si svolgerà, principalmente, nelle aree del mare Tirreno meridionale, limitando soltanto ai decolli e agli atterraggi l’impegno dello spazio aereo attestato sull’aeroporto di Trapani”, ha aggiunto Alfano. “Sin dalle prime fasi di pianificazione, a fine 2013, l’Italia aveva anticipato all’Alleanza una prima offerta di assetti, basi e poligoni che comprendevano anche l’aeroporto di Trapani per soddisfare le esigenze avanzate dalla NATO di disporre di adeguata capienza logistico-operativa e di evitare una eccessiva concentrazione di assetti in una sola Nazione o base”.
Appena tre mesi fa, la ministra della difesa Roberta Pinotti, rispondendo a un’interrogazione della senatrice Pamela Orrù (Pd), aveva fornito un dato diverso sulle componenti aeree NATO che opereranno dallo scalo aereo siciliano. “Presso la base del 37° Stormo dell’Aeronautica militare di Trapani-Birgi saranno rischierati 19 aerei italiani e 8 dell’Alleanza”, scrisse la ministra. “Gli aeromobili che prenderanno parte all’esercitazione decolleranno verso spazi aerei dedicati, il cui utilizzo è stato da tempo coordinato con l’Ente nazionale dell’aviazione civile (ENAC). Al fine di minimizzare l’impatto con l’attività di volo dell’aviazione commerciale si è concordato con l’ENAC di evitare lo svolgimento di attività addestrativa durante il fine settimana interessato e nel relativo arco notturno, ivi incluso il venerdì notte. I decolli avverranno in modo scaglionato, senza interferire in maniera significativa con il traffico aereo locale, peraltro, in una stagione dell’anno che registra bassa affluenza turistica”.

“La NATO -concludeva Roberta Pinotti - nell’ambito delle attività preparatorie di ogni esercitazione e, ovviamente, anche di quelle complesse a livello multinazionale, pone la massima attenzione nel definire ogni aspetto relativo alla sicurezza delle operazioni e dei voli, in ottemperanza di quanto previsto da fonti normative di diritto internazionale e nazionale attualmente in essere. Si ritiene opportuno evidenziare che nel periodo dell’esercitazione è prevista la presenza nei territori di Trapani e Marsala di circa 1.000 militari italiani e di altri militari provenienti da diversi Paesi della Nato, con positive ricadute per l’indotto economico dell’area”. In Sardegna, sui disastrosi effetti sul territorio, l’ambiente e l’economia generati dalle esercitazioni militari italiane, NATO ed extra-NATO esiste una bibliografia infinita. Ma anche in Sicilia occidentale in tanti ricordano ancora come le operazioni di bombardamento aereo in Libia del 2011 scatenate proprio da Trapani-Birgi- e la conseguente chiusura (prima totale e poi parziale) dello scalo al traffico passeggeri- causarono il crollo nell’affluenza annuale dei turisti e la perdita di decine di milioni di euro per gli operatori locali.

martedì 29 settembre 2015

La democrazia nel tempo dei populismi
di Giovanni Bianchi


I populismi non sono una novità
Ovviamente anche nel tempo dei populismi la democrazia è a rischio. Del resto è impossibile dimenticare l’ammonimento sturziano per il quale la democrazia non è un guadagno fatto una volta per tutte. E allora, anche nel tempo del populismo mediatico, si tratta di ricostituire un punto di vista a partire dai populismi odierni, con l’intento perenne di far dialogare intorno ad essi le diverse generazioni portatrici di un approccio e di vocazioni giustamente diversificate.
Una grande tradizione populista è rintracciabile nella storia degli Stati Uniti d’America, nelle culture politiche, nei partiti i elettorali, negli stessi sindacati.
Ma indubbiamente l’interpretazione più estesa e consistente del populismo si ritrova nel continente latino-americano e in particolare in Argentina. L’epopea del peronismo è paradigmatica e non manca di nulla. Il generale, l’icona femminile, quasi sacra, di Evita Peron, le manifestazioni oceaniche di piazza, le strutture organizzative che vanno dalla destra sindacale, cui fu attento il gesuita Bergoglio, fino alla sinistra più estrema ed armata dei montoneros guidati da Eduardo Firmenich, ora professore universitario esule a Barcellona. Venature populiste si ritrovano dunque in diverse formazioni e perfino nel kennedismo nordamericano. Si pensi a quella che continuo a considerare la pagina più alta della retorica politica del Novecento, costituita dal celebre discorso sul Pil di Bob Kennedy alla Kansas University nel 1968: il Pil non misura il costo delle nostre carceri e delle manette, così come il tenore affettivo delle famiglie americane…
Ma da dove guardiamo oggi al fenomeno populista in Italia?
A far data dalla caduta del Muro di Berlino del 1989, bisogna ricordare che l’Italia è l’unico paese al mondo ad avere azzerato tutto il precedente sistema dei partiti di massa. Non è successo in nessun altro paese d’Europa.
I partiti erano l’organizzazione di una cultura politica popolare, lo strumento per la selezione della classe dirigente sui territori e in ordine alle istituzioni nazionali, un’organizzazione diffusa della quotidianità popolare. E basterebbe pensare ai festival dell’unità per rendersi conto di quanto la politica si fosse mischiata alla vita della gente e di come a partire da lì fosse in grado di costituire la figura del “militante politico”, sulle cui gambe ha camminato nel dopoguerra, sotto tutte le bandiere, la democrazia reale del Paese.
È il crollo irreversibile di questo mondo (ha sempre ragione Toynbee a ricordarci che le culture e le civiltà non vengono uccise, ma si suicidano) che ha spalancato autostrade e praterie ai nuovi populismi mediatici italiani.
Ad interpretarli aiuta un’espressione sintetica delle giovani sociologhe americane le quali affermano che oggi le politiche e i giovani politici si occupano di surfare le situazioni e i  problemi, così come giovani atletici e coraggiosi cavalcano sulla tavoletta del surf le onde immense dell’oceano, senza chiedersi granché sulla natura delle onde.
E’ questa la ragione per la quale oggi tutti i populismi passano attraverso i media, sono mediatici e rappresentano l’interpretazione mediatica della “politica senza fondamenti”, sulla quale le riviste italiane degli anni Ottanta  dibattevano e facevano previsioni.
Interrogandomi a mia volta sul tema e sulla situazione sono riandato a studi che feci nel 2000 in un saggio dedicato alla quotidianità. Allora avevo scelto come pesce-guida dello scandaglio Walter Benjamin e i suoi studi sul dramma barocco tedesco.
Ma si tratta di cosa troppo seria e comunque superata dagli eventi in corso e dalle tecnologie che hanno profondamente mutato non soltanto il comportamento e la percezione dei politici: Benjamin si occupava del Settecento e dei sovrani; noi invece dobbiamo fare i conti soprattutto con una vasta fascia di classi medie impoverite e con il ceto politico che esse esprimono.

Cicciolina
I nostri populismi vengano meglio affrontati e intesi nell’origine se si ricorre a un saggio di Francesco Alberoni pubblicato negli anni Sessanta con il  titolo L’élite senza potere.
Un saggio utilissimo e tuttora importante perché opera la distinzione tra la leadership e il divismo. Il leader è dotato di autorità, di carisma, deputato a governare. Il divo domina l’immaginario, affabula, non governa, è circondato di enorme simpatia e gli viene consentita la trasgressione. Una distinzione evidentemente superata dai fatti. Gli idealtipi e i personaggi si sono mischiati, con nessun vantaggio né per il leader né per il divo. Il punto di svolta, o se si vuole la “frattura”, in Italia la produce Marco Pannella con la candidatura e l’elezione al Parlamento di Ilona Staller, in porno-arte Cicciolina. Anche in questo caso l’elezione della Staller farà tendenza e aprirà autostrade più impolitiche che politiche.
Non a caso avremo da allora una sempre maggiore presenza degli uomini di spettacolo in politica: sia con teatri e trasmissioni dedicate alle vicende nazionali correnti, sia con la presenza sul terreno della rappresentanza di attori e soprattutto comici.
E’ anche utile dire che non si tratta di un fenomeno soltanto italiano, enfaticamente rappresentato da Beppe Grillo, ma di una sorta di mania internazionale. Una imitatrice di Cicciolina interessò qualche anno fa le cronache politiche spagnole, mentre il caso più clamoroso è quello del “pagliaccio Tiririca” in Brasile, approdato al Parlamento di Brasilia con 1 milione e 750 mila voti di preferenza e con un programma molto sintetico: “Non so cosa facciano in Parlamento, ma se mi eleggerete ve lo spiegherò giorno per giorno”.
E’ anche per questa ragione che è esplosa, in particolare nel nostro Paese, la discussione intorno al rapporto tra politica e antipolitica, spesso dimenticando che il confine tra politica e antipolitica è un confine estremamente poroso, ossia percorribile nei due sensi.

Gli ingredienti
Vi sono infatti ingredienti costitutivi insieme della nuova politica e dell’antipolitica.
La velocità infatti sembra  il criterio principe delle nuove politiche, in grado di offrire governabilità là dove la democrazia tradizionale produce lentezze ed ostruzionismi. Il problema ovviamente non è campato per aria ed alcuni costituenti, come Giuseppe Dossetti, se lo ponevano già in allora: come adeguare i tempi dell’esecutivo a quelli di caduta assai più veloce dei modelli economici e tecnologici.
Così pure il vincere, non avere ragione, pare essere la missione dei nuovi politici. Al punto che il campo della politica sembra diventato un campo di basket, dove si ama distinguere tra vincenti e perdenti. Il basket è un grande sport, ma la politica è e dovrebbe restare un’altra cosa. I criteri di giudizio, la capacità di critica e di aggregazione, la stessa filia di un partito, non possono discendere da questi criteri. La democrazia soprattutto richiede tempi di studio e di discussione dei problemi che male si accordano con la fretta delle decisioni e la mutevolezza delle emozioni. Troppe volte infatti il bagaglio espressivo del populismo mediatico sembra alludere a un antico esperimento dannunziano: i 18 mesi della Repubblica del Carnaro, che videro la città di Fiume trasformata in laboratorio e  palcoscenico di una messa in scena di sentimenti, esagerazioni e provocazioni che finirono la propria esibizione sotto le granate volute da Giolitti. Perfino il marinettismo dovette sembrare più castigato…
E ancora un’osservazione che discende dai rapporti interni alle diverse componenti del PD e alle sceneggiate che di tempo in tempo vengono esibite. In questo caso, oltre al populismo, funzionano vecchi meccanismi e astuzie della politica riconducibili al relativismo dei giudizi.  Non va infatti mai dimenticato che la statura di un politico viene normalmente misurata dall’opinione pubblica attraverso il confronto con quella dei suoi seguaci e avversari. Vale la regola arcinota per la quale i friulani sono i più alti tra gli italiani, ma se si confrontano in Europa con gli olandesi non possono che apparire di media statura. Credo che questo relativismo sia la ragione per la quale Renzi non abbia nessun interesse ad  estromettere dal partito gli oppositori. Perché gli appaiono come la dimostrazione palmare di quanto lui sia più veloce e vincente. Così il confronto con i concorrenti  e gli avversari mette in secondo piano quello con la realtà e la durezza dei problemi che stanno dietro la rappresentazione della realtà. La politica che ha deciso di governare le emozioni risulta assai più forte nella rappresentazione e rischia di mostrare la corda e la sua debolezza proprio nel confronto con la durezza dei fatti. Per questo torna in campo il termine surfare: essere bravi nell’equilibrio sopra la tavoletta è altra cosa rispetto al confronto con i problemi.
Lo showman tiene inevitabilmente il campo, ma proprio la sua abilità vincente rischia di impedirgli di intraprendere il cammino dello statista. Si torna cioè alla considerazione, che riguarda quasi in toto la politica italiana: i populismi mediatici governano le emozioni degli elettori prima e più (o anche al posto) dei problemi.
Si può danzare benissimo l’estate, ma l’estate è soltanto una stagione dentro un anno politico più lungo, e non privo delle rigidità dell’inverno.


Anche le politiche nuove discriminano
Anche le rappresentazioni della nuova politica possono discriminare. È così che la “rete” di Grillo finisce di fatto per escludere più del censo che consentiva agli inizi dello Stato unitario la partecipazione al voto nel nostro Paese di appena il 2% della popolazione. Anche per una difficoltà tecnologica delle vecchie generazioni, le consultazioni di Grillo raggiungono una platea di qualche decina di migliaia di elettori. E il resto? È colpa dei vecchi essere vecchi? E perché l’età avanzata dovrebbe impedire l’esercizio del voto e della cittadinanza?
Un lungo discorso andrebbe ripreso sull’antropologia degli italiani e sul suo modo di attestarsi oggi dopo le celebri diagnosi di Leopardi, di Prezzolini e di Guido Dorso.
Resta il problema di rifare ancora una volta i conti con la sostituzione nell’ambito della cittadinanza reale operata dalle nuove classi medie impoverite rispetto al popolo del secondo dopoguerra. Non è un problema statistico né tantomeno soltanto sociologico. È un problema antropologico che attiene alla politica: è un problema di analisi e riguarda l’organizzazione culturale di massa. Siamo richiamati a fare i conti con quella che oramai universalmente viene riconosciuta come la “società liquida” (Bauman). Società liquida alla quale rischia di corrispondere sempre più una politica ciarliera e gassosa.
Si pensi a come il cibo -riconosciuto universalmente come food- sia diventato uno degli ingredienti dei nuovi populismi, dal quale nessuna nuova ideologia o predicazione riesce a prescindere. Anche Radio Popolare ha deciso infatti di dedicarvi più di una rubrica pur rivolgendosi a una platea di ascoltatori di irriducibili della politica tosta e sicuramente fondata. Lo stesso e più deve dirsi del calcio, in tutte le sue versioni: il calcio come spettacolo, il calcio come filosofia, il calcio come borsa dei calciatori e dei loro stipendi, il calcio come rito di massa, il calcio come colla e motivazione degli oltranzisti della curva dello stadio. Il food e il calcio sono diventati infatti elementi portanti del nuovo pensiero unico generalizzato dal capitalismo come narcisismo acquisitivo (straparlando di merito e professionalità), e del nuovo populismo di massa che assimila e uniforma i comportamenti.
È patetico lo spettacolo che tutte le mattine di bel tempo si offre ai miei occhi nella sottostante piazza Petazzi. Antichi sestesi che hanno lavorato nelle grandi fabbriche e condotto dure lotte appaiono impegnati in discussioni accalorate e dottissime sulla filosofia del calcio e la borsa del campionato, dimentichi della politica di un tempo, approfittano di qualche pausa per scambiarsi informazioni sulla prostata…
E al di là del sarcasmo e delle celie, inviterei a non sottovalutare questa pedagogia di massa del populismo. Perché il modello educativo risulta comunque centrale nei populismi nelle diverse fasi storiche. Basta riandare al ventennio fascista e al contrasto con la Chiesa cattolica, dove le condiscendenze nei confronti del regime trovarono un limite  e terminarono con le leggi razziali e per l’avversione al modello educativo rappresentato dal Balilla. Fu il cardinale di Milano, Ildefonso Schuster, a dire ad alta voce durante una cresima ai ragazzini stipati nelle navate del Duomo: “Macché Balilla, voi siete soldati di Cristo”.

Una versione americana
Una versione americana del rapporto tra democrazia e populismo la troviamo in Walter Lippmann, che distingueva tra “massa confusa” (spettatrice dell’azione e non partecipante ad  essa) e “classe specializzata”, che si occupa dell’opinione pubblica. Pensava infatti Lippmann che “gli interessi comuni si sottraggono interamente all’opinione pubblica”. Una visione indubbiamente attenta, e particolarmente attenta al ruolo dell’élite.
Una visione in certo modo approfondita e rafforzata da Reinhold Niebuhr, che osservava, sulla medesima lunghezza d’onda: “La razionalità è una capacità davvero assai limitata”.
Insomma, il populismo dilaga dove minore è l’informazione e affievolito lo spirito critico. Posizione diversa da quella dalla quale osservava il fenomeno Walter Benjamin, quando procedeva all’elaborazione luttuosa della leadership usando gli strumenti del dramma barocco tedesco. Quindi rovistando nella storia, a differenza della tragedia dei greci che scandagliarla il mito. Con l’intento comunque di rinvigorire la virtù degli spettatori. Tradotto nella vulgata corrente, si dovrebbe dire che Benjamin usa gli strumenti dei “gufi”, non quelli degli “ottimisti”. Un approccio da non dimenticare è quello di Harvey Cox (1964) che pone il problema a partire dalla morte di Dio. Osserva Kox che alla spietata visione materialista del marxismo si è sostituita un’altra visione altrettanto spietatamente materialista. E non ci vuole molto a intendere che qui affonda le sue radici la vulgata del pensiero unico.
E vale ancora la pena osservare come tutto -immagini e slogan- viaggi non all’interno dell’antica propaganda, ma si serva degli strumenti della nuova pubblicità. Vedrò di fare ancora un paio di esempi.

Icone della quotidianità
Il primo esempio mi è stato suggerito dalla copertina del fascicolo di “laRepubblica” di mercoledì 23 settembre 2015 dedicato alla moda. Prima pagina: “Dalle sfilate arrivano abiti, borse e gioielli dallo stile neutro. Per parlare alle nuove generazioni”. Più sotto, sempre a caratteri di scatola: “Moda. Il futuro è no-sex”.
Il messaggio subliminale non mi pare né criptico né esaltante. Ed è essenzialmente rivolto a quanti, presi dalla professione e dalla corsa del dopo in carriera, scelgono con più decisione lo status di single.(La famiglia e il carico dei figli consumano troppo tempo prezioso.) Infatti nella seconda pagina troviamo un titolo sibillino: “L’era del vestito plurale”. Quindi: “Fluidità é la parola chiave del post-contemporaneo. Siamo in un’epoca di metissage completo, figlio di una proliferazione culturale che vuole uscire dall’ “igenismo” minimalista dei designer”.
Non siamo evidentemente al top della spiegazione facile. E mi è venuto in mente che già altra volta mi era capitato di pensare che lo sguardo più acuto sul populismo americano e mediatico fosse quello di David Foster Wallace nella raccolta di saggi pubblicata da Einaudi nel 2006  con il titolo Considera l’aragosta. L’autore di Infinite Jest (1281 pagine, note ed errata corrige inclusi) si produce in Considera l’aragosta, nel primo capitolo, in una descrizione ed analisi del festival dei film porno tenuto a Las Vegas. Le chiavi interpretative che David Foster Wallace fornisce sono insieme acute ed esilaranti: un modo divertente e geniale per interpretare uno degli aspetti del populismo americano. Ovviamente Foster Wallace non era pagato per fare della pubblicità. Torniamo invece in Europa e torniamo in Italia e torniamo pure al quotidiano “laRepubblica” di giovedì 24 settembre 2015. Sfogliate fino a pagina 41 dove vi imbattete nel titolo: “Lezioni di sesso alla danese. Fate figli presto”. Più chiaro il soprattitolo: “Svolta nei corsi scolastici per arginare il crollo del tasso di natalità. Ora si insegna che è meglio non aspettare a procreare”. L’articolo-reportage è serio e firmato da Andrea Tarquini.
Si fa osservare che programmi e materiali si adeguano sin dalle elementari, in Danimarca, per salvare lo Stato sociale. Il reddito minimo per chi ha figli può arrivare a 1760 euro al mese. Ogni studente riceve, in nome del diritto allo studio, un assegno di 700 euro ogni mese. Insomma più che a vendere oggetti alla moda no-sex, i danesi risultano preoccupati della loro scarsa natalità, e quindi si ingegnano a incentivare, anche fra i giovanissimi, la voglia di fare figli, supportandola con i contributi finanziari. (Nella cattolicissima Italia si provvede invece ad organizzare il Family Day.)
Mi chiedo se il populismo quotidiano che attraversa queste società liquide non si abbeveri assai di più a questi provvedimenti piuttosto che ai riti – pure essi populisti – della politica mediatica vecchia e nuova. E se andate col pensiero a un’Italia lontana vi accadrà di scoprire quanto populismo propositivo (i populismi non sono soltanto malattia ed epidemia) vi fosse nella campagna di promozione dell’Autosole, inaugurata il 4 ottobre 1964: 700 km da Milano a Napoli, per unire il Bel Paese e una penisola troppo lunga e troppo bella…
Parrebbe dunque inevitabile questa fase di populismi: diversi, propositivi o allontananti, tutti comunque dilaganti a tutte le latitudini. Personalmente trovo aspetti di sano e virtuoso populismo in alcuni discorsi del mio grande amico sestese Gino Strada, che ha fondato Emergency per attraversare le guerre, sanando le ferite dei più deboli e sfortunati, e che sostiene, anche in televisione, che gli uomini possono eliminare la guerra, così come hanno saputo eliminare la schiavitù. (Una testimonianza da vero premio Nobel.)  
Il problema, ancora una volta, è dotarsi degli strumenti per interpretare prima i fatti degli avvenimenti. Per difendersi dalle sirene populiste e sapere usare gli strumenti a disposizione.  Insomma, l’eterno problema di studiare per costruire un punto di vista.
Con il gusto anche di scoprire e magari divertirsi, affermando praticamente che non tutte le democrazie debbono per forza essere di umore saturnino. E che vale la pena di capire i populismi perché a loro volta non sono poca cosa nella lunga e incerta partita che stiamo conducendo tra governabilità e democrazia.



                                                                                          
Da ogni parrocchia d'Europa una famiglia d'immigrati
da Francesco cento famiglie


Cari amici,
il Movimento è intervenuto sul comportamento europeo nella questione greca, in particolare su quello italiano, con questo documento, per il quale chiede la vostra collaborazione nell'invio e nella diffusione. Il documento può anche essere fatto proprio o modificato.
Gl'indirizzi:

Vescovo di Roma Jorge Mario Bergoglio, dsm@org.va
Arciv. Pietro Parolin, secretariusstatus@sds.va
Card. Angelo Bagnasco, presidente@chiesacattolica.it
Un saluto fraterno da Arrigo Colombo

Al Vescovo di Roma Jorge Mario Bergoglio
al Segretario di Stato Pietro Parolin
al Card Angelo Bagnasco

Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d'Europa. Un progetto  grandioso. Se solo le parrocchie d'Italia sono già circa 15.000; e con gli altri enti si arriva a circa 20.000. Già solo con tre-quattro persone per famiglia si arriva a 60-80.000 profughi. Con l'Europa Cattolica si può arrivare a 400.000? e perché l'Europa protestante e ortodossa non potrebbe unirsi? trattando con loro? Il progetto è grandioso ma lo scetticismo di vescovi e parroci serpeggia, la stampa ne parla. Forse Bergoglio dovrebbe dare un più forte esempio.
Molti sono rimasti stupiti quando egli ha parlato di due famiglie per le due sue parrocchie.
Due sole famiglie? Se solo si pensa alle 1400 stanze del palazzo Vaticano e a tutti gli altri immobili che la Chiesa possiede a Roma e altrove, di cui si parla.
Questo progetto abbisogna di un grande esempio da parte di Bergoglio e del Vaticano.
Cento famiglie almeno, non meno di cento, Grandioso non solo il progetto e l'invito, grandioso soprattutto l'esempio, potrebbe convincere anche i parroci e i vescovi più scettici, quelli che forse non sentono abbastanza la forza del  grande precetto evangelico, l'unico, l'amore fraterno, che dev'essere tanto più grande e generoso quanto più il fratello è debole, estremamente bisognoso.
Per il Movimento per la società di giustizia e per la speranza
il Responsabile
Arrigo Colombo    
APPENDICE A BALLE COLOSSALI

Palazzo Marino
Con l’aiuto di validi tecnici e volenterosi NOCANAL ho seguito per mesi i lavori al fine di scoprire i particolari di un progetto che, più volte promesso, non è mai stato mostrato in pubblico.
Un… segreto di Stato! Per trovarne il FIL ROUGE ho anche seguito i lavori della VIA D’ACQUA NORD. Da Fametta – frazione di Garbagnate – si stacca, con una “nuova” presa, dal Villoresi per portarne le acque dentro EXPO. Ho così scoperto i 4 canali di diversa grandezza previsti allo scopo. Attualmente i 3 più piccoli (che partono da altri punti del Villoresi) NON SONO USATI e funziona (bene) quello più grande (e posto a EST). Agghindati – senza badare a spese – per l’esposizione, erano TUTTI PREESISTENTI. Tranne l’ultimo tratto. Se non fossero riusciti a finire il più grande (esempio, neve in gennaio) avrebbero sopperito gli altri tre con una portata complessiva solo di poco inferiore. Anche qui non sono mancati sprechi. Si sa, uno spreco per la comunità è un “affare” per un “amico”. E poi, trattandosi di acqua, UNA MANO LAVA L’ALTRA.
 A fronte di un costo previsto per VIA D’ACQUA SUD di 43 milioni e pur con notevole accorciamento strappato dai cittadini MALTAURO HA CHIESTO 35 MILIONI DI SUPPLEMENTO. Giuseppe Sala, laureato alla Bocconi in Economia e commercio, ha dichiarato a Repubblica che nulla riconoscerà loro. Nuova “balla colossale”! Il ritardo sotto la Ferrovia (ALTA VELOCITA’) e quello dietro la centrale termica di Muttoni (persiste da sei mesi e non consente di eliminare le recinzioni) non sono addebitabili a Maltauro ma frutto di carente (e pessima) progettazione da parte di MM.
Una grossa parte Sala sarà costretto a pagarla. E, quando avrà finito di parlare di biglietti con le veliniste, dovrà trovare i bigliettoni mancanti. Ce ne vorranno parecchi! Solo Gianni Barbacetto (Fatto) e Luca Zorloni (Giorno) hanno raccontato i numeri giusti dei visitatori e le modalità di svendita. Dal 31 ottobre la preparazione dei consuntivi sarà molto, molto lunga. I visitatori “normalmente paganti” saranno meno dei due terzi di quelli (24 milioni) inizialmente previsti. E’ un caso se il “nostro” ESIGE di rimanere su “quella” poltrona fino al 31 dicembre? Che voglia sovraintendere (senza vedere, naturalmente) all’equipe dei faccendieri che aggiudicheranno il grasso bottino delle operazioni di smontaggio? Non credo sia addebitabile a Sala il minore incasso rispetto alle “iniziali aspettative”. Queste precedono la sua nomina (MORATTI giugno 2010, conferma di PISAPIA l’anno successivo con appioppo dell’inutile fardello –Luigi Confalonieri) ma gli si possono addebitare le colossali menzogne sul numero degli ingressi (dopo aver girato per parcheggi e ingressi lo scrivo da fine maggio). E la sua vera colpa è NON AVER CONTROLLATO “APPALTI” e “AGGIUDICATORI”.
Una grossa colpa IN VIGILANDO che lo ha costretto recentemente a “CONCORDARE” un prezzo raddoppiato (da 48 a 92 milioni) per il PADIGLIONE ITALIA il cui “facility manager”(dirigente addetto agli aspetti finanziari, tecnici e organizzativi della costruzione) – Andrea Castellotti – proveniva da Tagliabue (partner di Maltauro nella VIA D’ACQUA) su “consiglio” di ACERBO.
Sala non ha mai sospettato che costui fosse un intrallazzatore? Da gennaio 2009 era stato Direttore Generale del Comune. Possibile che non gli fosse giunta qualche “vocina”? O, estasiato, condivideva il panegirico slinguazzante che sul Corriere ne fece Elisabetta Soglio? Andate a rileggerlo: troverete uguali solo in Fede versus “Patron delle Olgettine” e Gianni Riotta (in tv) versus “Ragazzotto toscano”.
La sua affermazione “non concederò aumenti a Maltauro” fa crepare dal ridere. Fanno pena i maggiorenti milanesi e nazionali che lo vogliono “sindaco di Milano”. Vogliono che si trasferisca direttamente da ROVELLO a SAN VITTORE? Per…selezionare gli assessori? Farà almeno quadrare i conti? O dovrà prima chiedere l’aiuto di Tom Cruise? I 500 litri d’acqua al secondo sversati in sei mesi nell’Olona ci costeranno 1,2 milioni e verranno incassati da MISTER VILLORESI. Si potevano usare meglio. 150 riservadoli ai piccoli agricoltori e agli ortisti cui spesso sono stati negati con la scusa che servivano al Expo. Falso, se finiscono nell’Olona senza entrare in Expo.
350 facendoli transitare nella parte sud di Expo dove un incauto progetto ha creato zone stagnanti con conseguenze “immaginabili” su occhi e nasi dei visitatori e da evidenziare per i promotori dei “navigli riaperti e navigabili”. Spero che il successore di Damanera cassi questa follia.

UNA CICLABILE D’ORO
Il 5 luglio Sala ha inaugurato la FAMETTA-EXPO precedendo 800 ciclisti felici. Loro non si sono accorti che 2 km. (su otto) erano un PERCORSO DI FORTUNA (ora divenuto definitivo). L’OPERA NON E’ STATA FINITA come previsto. La larghezza è molto variabile, per 700 metri è di metri 1,2 e per 400 il percorso è comune a quello delle automobili. C’è un punto pericoloso e ben segnalato.
         
MURI PERICOLANTI
Controllori e supervisori che fanno? Giocano a rubamazzette?
I muri cadenti sono quelli pluridecennali di VILLA ARCONATI che per 400 metri costeggiano la ciclabile che, sull’altro lato, ha un canale largo un metro (porta l’acqua al laghetto dei pescatori).
Se un ciclista vede il cartello, cosa dovrebbe fare? Tornare indietro o fare il segno della Croce?
Con tutti i soldi buttati via e quelli risparmiati per il percorso non fatto (dove 500 piante sono state massacrate inutilmente) non potevano sistemare il muro di cinta della villa? In modo che, a Expo finita, il passaggio non fosse più pericoloso per i ciclisti?
 “Oggi è andata bene, ho superato indenne il tratto vicino al laghetto non avendo incontrato le auto dei pescatori, il difficile, arzigogolato e pericoloso attraversamento della via Varesina e sono arrivato alla sospirata Expo. Dove parcheggio la bici? Vedo un vigile: “L’attacchi al guard rail”. E’ il racconto che mi ha fatto un ciclista “vero”. E’ perplesso perché ha appena finito di percorrere una ciclabile che parte da Castellazzo. Davanti a sé ha la vasca di laminazione del Guisa. Cosa faccio adesso -mi ha chiesto- l’attraverso? Di questo lavoro vi riparlerò fra otto giorni.
Il progetto (non è opera di MM) è bislacco e – come già detto – non privo di sprechi. Il maggiore?
La ciclabile passa sopra l’AUTOSTRADA DEI LAGHI con una PASSERELLA METALLICA scatolata come le due (Cascina Merlata e Ferrovia) che consentono di entrare in Expo. Luce libera interna: metri 4. Altezza: metri 3,5. Lunghezza totale: metri 190. Il tratto fra i due piloni di sostegno che fiancheggiano l’autostrada: metri 60. Montarlo sui piloni (in una sola notte) è costato 50.000 euro. Il tratto rettilineo che scorre fra autostrada e la FANTASTICA FORGIATURA VIENNA (si vedono gli enormi forgiati in acciaio che vengono esportati in tutto il mondo) è di 120 metri.
Una SCELTA MOLTO DISPENDIOSA (per una media giornaliera di 60 ciclisti).
Se il vicino passaggio sotto la MAZZO DI RHO-ARESE (lungo 18 metri) e largo metri 2,9 e vari ponticelli sono larghi metri 2,3 (tralascio il tratto da metri 1,2 di cui vi ho narrato) non si poteva contenere la larghezza in metri 2,7 e l’altezza in 3 metri? NO! Perché hanno voluto aggiungere una pedonale da metri 1,5. Riservata al passeggio di 100 pedoni annui!!
Nei giorni 2 e 3 settembre il percorso è stato chiuso per “MANUTENZIONE PASSERELLA”… inaugurata il 5 luglio 2015!!! Li immaginate i costi di manutenzione dei prossimi anni? E quando ci sarà il ghiaccio? E quando Expo sarà finita chi se ne occuperà?
La manutenzione diverrà sempre più costosa e il destino dell’opera è già scritto ora: SARA’ ABBATTUTA. Il tratto verso le ROVINE DI EXPO sarà inaccessibile e COMPLETAMENTE INUTILE.
 Passandoci sopra il 5 luglio, Sala se ne sarà accorto? E si sarà vergognato – almeno un poco – per le 2000 piante del Parco delle Groane ignobilmente massacrate per costruirla? Anch’essa – come il canale – poteva recuperare tratti funzionanti o recuperabili. A pochi metri da quello preesistente, largo 1,2 metri, c’era lo splendido SENTIERO DELLE SETTE CASCATE. Partendo da Fametta arrivava al CANALE SCOLMATORE DI NORD-OVEST. MASSACRATO!
Dalla Varesina verso VILLA ARCONATI c’era una bella CICLOCAMPESTRE – PARCO DELLE GROANE (è ancora appeso il vecchio cartello). Abbattuti 15 alberi d’alto fusto (diametro da 90 a 150 cm), li hanno sostituiti con ben 51 alberelli (diametro 6 o 7 centimetri). Esecuzione della “GIOVETTI” la ditta che ha abbattuto – fra il 3 e il 13 agosto – i 29 sanissimi e non pericolosi OLMI DI MAC MAHON. Vermi, lacchè e bugiardi di zona 8 non solo hanno approvato ma si sono auto complimentati. SENZA PUDORE!
Un IMBECILLE ha scritto a un giornalone: “MILANO DOVREBBE CANDIDARSI A OSPITARE LE OLIMPIADI 2024”. I LADRI temporaneamente finiti in panchina (e non in carcere) grazie a un pesante intervento a piedi uniti -sotto il controllo di ARGO NAPOLETANO-  sentitamente ringraziano e si fregano le mani (pure quelle?), naturalmente senza manette.
ARGO solleva le tre dita e…benedice.
Luigi Caroli 

lunedì 28 settembre 2015

FERMARE LE RUSPE!
Il documento diffuso dal Comitato

PER RIMANERE UMANI
TEATRO PAVONI

La locandina dello spettacolo

bovisateatro ritorna con un nuovo spettacolo

TEATRO DI VIA PAVONI

via Pavoni, 10 Milano
2 e 3 ottobre 2015  ore 20,45

           LA PANNE

di Friedrich Dürrenmatt
regia di Giancarlo Monticelli

Un banale guasto, una panne appunto, costringe Alfredo Traps, rappresentante generale di un'azienda tessile, ad accettare l'ospitalità di un giudice in pensione che lo invita a cena e lo coinvolge in un gioco che durerà tutta la notte: Traps rappresenterà l'imputato  in un processo in cui saranno coinvolti amici e colleghi del giudice anche loro ormai in pensione. Riconosciuto colpevole di aver abilmente organizzato la morte del suo capo per occuparne il posto, sarà condannato a morte….

La panne è un piccolo capolavoro della narrativa novecentesca. Vi aspettiamo.

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MINIMA IMMORALIA
Chi sgobba e chi guarda...


Noto con disappunto che alcune persone tirano la carretta, tanto che sembrano nate per sgobbare e sono spesso vilipese con l'epiteto di sgobboni, vale a dire “sciocchi”,  “semplicioni”, persone di poco conto, che non sanno fare altro che sgobbare.
Di solito i criticoni stanno a guardare con aria di sufficienza se non di superiorità.
Loro le mani non se le sporcano...
L'intelligenza non c'entra, così come non c’entra né la salute, né la necessità. Gli sgobboni fronteggiano i problemi, li risolvono e da ciò trovano ricompensa.  
Ma non basta mai! Tutti chiedono, tacitamente, ma le richieste arrivano comunque al bersaglio come se tutto fosse dovuto, scontato! E se sbagliano piovono rimproveri e giudizi universali.
I criticoni, invece, non muovono un dito, e non ci sono aspettative, ma se per sbaglio, con sussiego e benevolenza, si alzano dallo scranno, gli elogi non si contano.
Agli sgobboni solo doveri e zitti!
Laura Margherita Volante
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domenica 27 settembre 2015

VOGLIONO DECAPITARLO

Alì Mohammed Al-Nimr
Arabia Saudita. Alì Mohammed Al-Nimr sarà decapitato e poi crocifisso in pubblico. Questa è la condanna che in Arabia Saudita è stata inflitta ad un 21enne che nel 2012, quando aveva solo 17 anni, partecipò a una manifestazione contro il governo. Abbiamo poco tempo per salvargli la vita perché la sentenza è stata confermata dalla Corte Suprema saudita e dovrebbe essere eseguita in questi giorni. Chiediamo ai governi di tutto il mondo democratico di mobilitarsi affinché la pena di morte per Alì Mohammed Al-Nimr sia sospesa.
Nel ringraziarvi per la cortese attenzione, vi chiedo di firmare questa petizione e di condividerla sui social network.
Stefano Molini
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CACOCRAZIA: IL TRIONFO DELL’ORRIDO
di Jacopo Gardella

Vi sono tre opere sorte di recente a Milano -per iniziativa e con l'avvallo del Comune e senza opposizione da parte della Sovrintendenza- delle quali si sente il dovere di parlare.
Sono opere che dimostrano la totale perdita di educazione estetica; avviliscono il volto della nostra città; confermano quanto si sia affievolito quel senso della "bellezza urbana" per cui da anni si batte con coraggio ma senza essere ascoltato l'urbanista Marco Romano. Le tre opere non sono simili sotto l'aspetto formale ma sono tutte e tre ugualmente criticabili per la loro disastrosa influenza sul contorno ambientale. Esse sono le seguenti:

EXPO Gate in Piazza Cairoli: tralicci metallici destinati alla vendita di biglietti per l’EXPO    
Biglietteria davanti al Palazzo della Triennale 
Filari di alberi abbattuti lungo la nuova metropolitana M4 in via Lorenteggio   

Expo Gate
▪ EXPO Gate. I due tralicci metallici a forma di piramide verniciati di bianco e collocati di fronte al Castello Sforzesco possono forse essere ritenuti da alcuni non brutti in sé, come aveva già fatto notare l'architetto Italo Lupi in una recente riunione alla Triennale; ma indubbiamente brutta e sbagliata è la loro collocazione. Non basta aver lasciato in vista la Torre del Filarete, inquadrata tra l'uno e l'altro traliccio, per illudersi di avere salvaguardato la veduta del Castello. Ciò che rendeva vivace ed efficace quella veduta era infatti il contrasto fra la lunga e bassa distesa della cinta merlata e la alta e scattante sagoma della Torre.
Poiché il profilo orizzontale delle mura è completamente nascosto dai due ingombranti tralicci si verifica un grave inconveniente: si perde e scompare l'effetto di forte contrasto tra allineamento orizzontale delle mura e figura verticale della Torre. Lo scenario monumentale tanto attentamente studiato dagli urbanisti di fine '800 risulta così interamente vanificato.
Quanti si rammaricavano dell'infelice collocazione dei due tralicci potevano consolarsi al pensiero di vederli rimuovere alla fine dell'EXPO; ma ora una inattesa minaccia si profila e mette a rischio il paesaggio urbano in quel punto vitale della città storica. I due tralicci non verranno rimossi entro il 31 dicembre 2015 come era previsto e dichiarato dalla stessa Triennale; rimarranno utilizzabili ancora per la durata di un anno e saranno lasciati a disposizione dell'Ente Triennale per future manifestazioni. Dopo questo primo anno, c'è da scommetterlo, la loro ingombrante presenza verrà prorogata ulteriormente e Milano avrà perso una della sue vedute più tipiche e spettacolari.  Se davvero persisterà l'infelice proposito di mantenere in piedi i due tralicci si avrà la sfortuna di vedere intromessa nel decoroso ed unitario complesso architettonico di Piazza Castello-Foro Bonaparte-via Dante una incongrua intrusione priva di qualsiasi coerenza con il nobile volto urbano preesistente.

Biglietteria
▪ Biglietteria davanti al Palazzo della Triennale - Mentre i due tralicci della EXPO Gate non sono brutti in sé ma soltanto sbagliati di posizione, il chiosco della biglietteria da poco edificato davanti al Palazzo della Triennale non solo è un banale esempio di architettura ma è anche il risultato di una collocazione assurda ed irrazionale. Posto nel centro del cannocchiale visivo che si apre davanti al Palazzo dell'Arte il chiostro nasconde il monumentale pronao progettato dall'architetto Muzio ed impedisce a chi arriva dal Ponte delle Ferrovie Nord la vista frontale dell'imponente Palazzo rimasta inviolata dal 1933.
All'errore di composizione urbana si aggiunge una insensata organizzazione logistica: chi entra nel Palazzo, ed è abituato da anni a trovare nell'atrio il bancone della biglietteria, viene invitato ad uscire, attraversare il largo viale che corre davanti all'ingresso, entrare nel chiosco sul lato opposto del viale, acquistare il biglietto, uscire ancora all'aperto, attraversare di nuovo il viale, rientrare nell'atrio di ingresso dal quale era stato poco prima allontanato e finalmente iniziare la visita delle sale interne. Ci si più immaginare con che piacere questo assurdo percorso di andata e ritorno viene compiuto nelle giornate di maltempo e viene subito da persone anziane o invalide. Siamo davanti ad un capolavoro di incongruenza organizzativa e ad un'opera goffa e presuntuosa di cui si spera che avvenga  al più presto una rapida e definitiva rimozione.
Gli esempi sopra citati sono errori urbanistici gravi, costosi, inspiegabili: sono una dimostrazione di danaro pubblico usato male; di sensibilità urbanistica carente; di capacità organizzativa nulla.

Alberi in via Lorenteggio
▪ Alberi lungo la nuova linea metropolitana M4 - In tutte le città moderne le linea della ferrovia metropolitana non sempre corrono sotto il sedime stradale, spesso attraversano in sede interrata interi isolati e passano sotto cantine e fondazioni di edifici preesistenti. A volte passano anche sotto l'alveo di fiumi e congiungono zone di città estese sulle due sponde opposte.
Perché non si può agire allo stesso modo anche sotto viale alberati, piazze con giardini, zone urbane coperte di verde? Forse che le radici degli alberi scendono in profondità più dei piani di un cantinato, più dei muri di fondazioni di un palazzo, più del letto di un fiume? Dove è detto che la costruzione di una linea metropolitana obbliga alla distruzione di tutto ciò che si trova al di sopra del suo tracciato?
Si sa che lavorare in superficie è meno costoso di quanto non comporti uno scavo sotterraneo; ma ci si chiede se si deve compromettere la bellezza naturale delle nostre città per un modesto risparmio delle spese complessive. Una buona amministrazione pubblica deve essere capace di valutare con lungimiranza i costi ed i benefici delle operazioni urbanistiche che intende attuare: dico con lungimiranza perché il danno dei filari abbattuti non è di poco conto, non è di breve durata; al contrario si protrae per decenni perché decenni impiega un albero novello a crescere e svilupparsi. Se si fosse risparmiato la spesa di tante recenti e meno recenti opere inutili tutte pagate con danaro pubblico, si potrebbe oggi adottare una politica più assennata ed avere i soldi sufficienti a realizzare lavori più seri e dignitosi a vanto e decoro dell'intera città.
Si sa che le periferie di tutte le città sono brutte, desolate, deprimenti, e Milano non fa accezione. È questo il motivo per il quale noti architetti come Renzo Piano insistono da tempo sulla necessità di presentare un programma di recupero e di rivalutazione delle periferie e propongono interventi di miglioramento e di rigenerazione dei quartieri lontani dal centro città.
La periferia di Milano è priva di architetture decorose, e salvo rare eccezioni non presenta opere monumentali di grande valore storico-artistico. Inoltre non è nata secondo un piano urbanistico chiaro e razionale, se si fa eccezione per l'asse del Sempione e del Castello Sforzesco. Possiede tuttavia una ricchezza incontestabile che è il numero e la dimensione dei viali tracciati lungo la cintura  viaria esterna. Che cosa decide di mettere in atto il Comune di Milano in totale dispregio dei consigli dati da tanti noti urbanisti? Decide di abbattere quei bellissimi viali da cui la città traeva motivo di vanto e di togliere agli abitanti della periferia l'unico elemento di qualità spaziale ed ambientale da cui potevano trarre vantaggio e salute.
Consiglio di percorrere via Lorenteggio devastata dai lavori della nuova metropolitana M4 e di meditare sui brevi tratti di filari arborei ancora non abbattuti : uno spettacolo desolante da cui si misura la imperdonabile gravità del vandalico intervento. I pochi ciuffi di alberi rimasti nel viale oggi stravolto dai lavori ma un tempo interamente alberato, assomigliano ai pochi denti non ancora caduti in una bocca devastata dagli anni ma un tempo giovane ed intatta. Se ci si sposta nella parallela e spaziosa via Giambellino, ancora integra, non aggredita dalle ruspe, interamente alberata, ci si accorge quale ricchezza naturale abbelliva la nostra periferia, e quale tesoro vegetale viene sistematicamente distrutto. Di recente è comparso sul Corriere della Sera (24 Settembre 2015) un addolorato articolo firmato A. Lubrano ed intitolato “albericidio” in cui si piange sullo scempio compiuto dalle motoseghe sulla falcidia di tronchi secolari. Il settimanale "Arcipelago-Milano" nei numeri 30 e 31 del corrente anno 2015 pubblica due eccellenti articoli firmati da E. Breveglieri e P. Chiaramonti, nei quali gli autori censurano severamente la politica urbanistica del Comune di Milano e ne elencano i gravi errori, le ripetere inadempienze, i meschini sotterfugi escogitati per nascondere all'opinione pubblica la sacrilega distruzione del verde pubblico. Ogni cosciente e responsabile cittadino crede suo dovere segnalare al Sindaco gli imperdonabili misfatti che si stanno commettendo; ed auspica, là dove è ancora possibile, che si ponga rimedio agli ulteriori danni di prossima attuazione.
***

                                    


MORATORIA PER TUTTE LE AUTOSTRADE 
INUTILI E DANNOSE ANCORA DA ESEGUIRE
di Massimo Gatti
Massimo Gatti
Dopo che l’AISCAT (Associazione Italiana Società Concessionaria Autostrade e Trafori) ha fornito i dati sul fallimento economico e trasportistico delle nuove autostrade BREBEMI (Brescia-Bergamo-Milano) e TEM (Melegnano-Agrate), troppi si stracciano le vesti.
Gli esponenti PD, PDL (nelle varie diramazioni), Lega Nord e centristi che si sbracciavano ingloriosamente durante le inaugurazioni del 2014 e del 2015 dovrebbero avere la decenza di tacere.
Restituiamo i meriti non ai “facinorosi”, ma a una moltitudine di persone, associazioni, comitati, partiti e a qualche amministratore pubblico coraggioso che si è battuto per decenni contro le autostrade inutili e dannose e per un modello di sviluppo alternativo, rispettoso dell’agricoltura, dei parchi e del territorio. Personalmente conduco da sempre una battaglia in questa direzione e ricordo bene la storia amministrativa di queste vicende e di come rimasi quasi da solo nel 2005 a sostenere nel Consiglio provinciale di Milano la proposta di sciogliere la società TEM. Io non ho mai cambiato posizione a seconda dei presidenti (Colli, Penati, Podestà) e rivendico questa coerenza che se sostenuta avrebbe salvato il nostro territorio e contrastato il dilagare della corruzione e delle mafie connesso alla impostazione di alcune delle cosiddette “grandi opere”.
Oggi rispetto all’aggressione continua e speculativa del partito del cemento e alle complicità del Governo nazionale e di Regione Lombardia che hanno asservito la Città Metropolitana e troppi enti locali, rimangono pochissime possibilità di mostrare di essere pentiti sulle scelte passate. Per riacquistare un minimo di credibilità occorre: decretare la moratoria immediata di tutti i tratti autostradali non ancora costruiti, sospendere tutte le autorizzazioni concesse dai vertici ministeriali falcidiati dalla Magistratura, dirottare tutte le risorse disponibili per la cura e la salvaguardia del suolo, nonché per il trasporto pubblico, per pendolari e la mobilità alternativa;
bloccare e revocare i cantieri TEM appena aperti in Gessate in spregio alla sicurezza e alla salute pubblica di quella comunità;
intervenire, sospendere e rivalutare la RHO-Monza bloccando il mostro a quattordici corsie in Paderno Dugnano fino all’interramento;
fermarsi al primo tratto della Pedemontana appena concluso e revocare tutto il resto;
archiviare definitivamente la Vigevano-Malpensa in qualsiasi versione proposta, respingendo giochi di prestigio che facciano andare avanti la nuova tangenziale Ovest camuffata per dare il colpo di grazia anche al parco del Ticino;
costringere i signori delle autostrade a ridurre i danni, ripristinando il reticolo irriguo minore, indennizzando subito gli agricoltori che devono investire in campagna, promuovendo una massiccia riforestazione di pianura e ripristinando la manutenzione ordinaria/straordinaria.
Infine noto qualche commento anche erudito sulle compensazioni. Giusto stigmatizzare gli scambi mercantili che hanno monetizzato i guasti, ma non cancelliamo il fatto che tutte le opere di trasporto pubblico e di estensione del ferro e delle metropolitane ipotizzate fuori Milano siano cancellate.
Hanno consumate tutte le risorse e tutta la terra disponibile per le autostrade e se non si blocca subito la parte ancora in itinere delle nuove infrastrutture le istituzioni perdono definitivamente la faccia. Dopo le parole aspettiamo i fatti, ma come sempre non rimarremo con le mani in mano non rassegnandoci ad assistere inermi alla distruzione irreversibile di un territorio prezioso e irripetibile.

*Già Consigliere provinciale di Milano
Lista Civica Un'Altra Provincia
Partito della Rifondazione Comunista
Partito dei Comunisti Italiani
gattialtraprovincia@gmail.com

***


Madagascar: difendere la foresta non è un crimine
di Salviamo La Foresta
Armand Marozafy
Armand Marozafy è impegnato nella difesa della foresta in Madagascar, il suo paese. I taglialegna abbattono illegalmente alberi di ebano e palissandro, anche nei parchi nazionali. Una sentenza giudiziaria ha mandato l’ambientalista in prigione, per aver presumibilmente diffamato due commercianti di legname. Chiediamo che venga liberato.

Da anni, un gruppo di commercianti di legname senza scrupoli saccheggiano le foreste in Madagascar, lo riporta l’organizzazione ambientale EIA. Non si fermano nemmeno davanti al Parco nazionale dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. La maggior parte dell’ebano e palissandro vanno in Cina. Un solo metro cubo (m3) vale 22.000 euro. Questo legname serve per produrre mobili di lusso. Il governo del Madagascar ne ha proibito il taglio, il commercio e l’esportazione. Però, nonostante questo, dal 2010 sono arrivati in Cina 25.365 m3 derivanti dal taglio di 200.000 alberi. Funzionari statali e politici locali sono coinvolti in questo proficuo affare, scrive la EIA. Persino il presidente e il suo ministro dell’ambiente avrebbero accettato il denaro dei trafficanti di legname per le loro campagne elettorali. Armand Marozafy è del Madagascar e si mantiene mostrando ai turisti le meraviglie della sua isola. In qualità di presidente dell’organizzazione ambientale COSAP, è impegnato nella difesa delle foreste. Il 27 aprile 2015 è stato condannato a sei mesi si prigione e al pagamento di una multa di 3.800 euro. Il crimine commesso: aver diffamato via email, in qualità di privato, un commerciante di legname.
Secondo ambientalisti e difensori dei diritti umani, il processo è stata una farsa. La sentenza servirebbe a zittire Armand ed altre persone che si impegnano nella difesa dell’ambiente.
Armand ha appellato la sentenza, però è in carcere. Un’alleanza di organizzazioni ambientaliste http://eia-global.org/images/uploads/Free_Forest_FRENCH.pdf esige la sua immediata scarcerazione (in francese). Il governo deve proteggere le foreste dai commercianti di legname.
Firmate la petizione in Rete
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L’Indonesia brucia: per il nostro olio di palma
di Salviamo la foresta

Feri Irawan
“Da settimane le foreste bruciano, una bimba è morta, animali e persone fuggono dal fuoco, gli uccelli cadono dal cielo”. Gli incendiari sono soprattutto le compagnie palmicultrici e del legno. “Il governo deve denunciare i colpevoli e chiudere immediatamente queste aziende”.
 “1.000 ettari di foresta di torbiere sono state bruciate” afferma l’attivista ambientalista Feri Irawan. “Ma siamo ancora in grado di salvare la maggior parte della foresta.”

Un fumo nero oscura il cielo ed impedisce la respirazione. Le autorità del Borneo e di Sumatra lanciano l’allarme. “Intan, la bimba di 9 anni, è svenuta il 15 settembre mentre rientrava a casa dalla scuola ed è morta prima di arrivare all’ospedale”, l’orribile notizia la riferisce Nordin da Kalimantàn Central, in Borneo. “È soffocata per le particelle di fumo, causato dal fuoco, che vengono trasportate ovunque da settimane”. Intan non è l’unica vittima di questi incendi appiccati dalle compagnie palmicultrici, persino nei parchi nazionali e nelle foreste di torbiere.
“Solo per la brama dell’olio di palma”, dice Nordin. “Sempre più olio di palma per i biocombustibili, sempre più piantagioni, sempre più incendi”. In questo momento, solo a Kalimantàan Centrale ci sono almeno trenta compagnie palmicultrici sospettate di aver provocato gli incendi e alcuni dirigenti sono stati arrestati. Gli incendi sono fortemente proibiti in Indonesia. L’ambientalista parla di una catastrofe nazionale che minaccia persone, animali e foreste. Anche il clima mondiale: l’Indonesia è uno dei tre maggiori responsabili di emissioni di CO2 del pianeta.
Da settimane brucia anche Jambi, a Sumatra. Feri Irawan, controparte di Salviamo la Foresta, si espone per scoprire l’origine degli incendi e i possibili colpabili per denunciarli.
“Esigiamo che paghino per i loro crimini non solo i produttori, ma anche le compagnie che trasformano l’olio di palma in prodotti di consumo e in biocombustibile e per la somministrazione finale”, dice Feri Irawan. “Sono responsabili dei violenti incendi.” Tra questi si trovano per esempio Unilever, Nestlè, Henkel e la compagnia statale olandese Neste Oil, il cui biodiesel brucia nei motori delle auto europee.

Per favore, firmate la petizione disponibile in Rete.
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HANNO UCCISO IL LAGO, NON LASCIAMOGLI FINIRE L'OPERA!!
di Monica Fasano

Milano. Dopo la cancellazione violenta del laghetto di via Triboniano 240, utilizzando l'area come deposito di expo-terra riportata, il Comune si appresta a completare l'opera: vuole usare quello che resta della piccola oasi per la stessa finalità, cioè trasformarla in altro deposito (dei resti dell'Expo? Ma questo è un dettaglio) cancellando pertanto definitivamente gli alberi ed il verde rimasto.
Monica Fasano è la responsabile di un posto che rappresenta oggi, oltre ad un punto di ristoro, un rifugio per cani, gatti e altri animali abbandonati o di proprietari in difficoltà. Animali che altrimenti, sarebbero finiti in strada. Monica sta quindi facendo, nell'oasi di via Triboniano, anche un'opera socialmente utile, agli animali ed agli umani. Ci sono anche animali da cortile (capre, galline ecc.). Ma il Comune vuole cancellare questa piccola e viva arca di Noè per trasformarla in uno sterile e defunto deposito!!! Ha intimato a Monica di sbarazzarsi di "tutto" entro 60 giorni.
Quel "tutto" è vivo e lì vive libero e felice. C'è anche un dolcissimo cane focomelico, tipo dalmata, salvato da soppressione sicura. Ha solo 3 zampe, ma lui non lo sa perché lì è uguale a tutti gli altri.
Ma con tutti i posti senza verde e animali a disposizione, perché il Comune deve distruggere l’oasi dell’ex laghetto di  Via Triboniano?
Grazie a chi condividerà e sosterrà in Rete, con la proprio firma, la preservazione del piccolo polmone verde.
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Politica ed Economia: rinasce la Commedia dell’Arte
di Paolo Maria Di Stefano


…E poi, la folgorazione: da lungo tempo superato il mezzo del cammin di nostra vita, ho finalmente trovato la definizione di Politica! Meglio: la descrizione delle sue componenti essenziali, degli elementi distintivi da qualsiasi altra attività umana, proprio quelli che hanno tormentato la vita di Filosofi e uomini di cultura fin dall’inizio della storia dell’umanità. Non dei politici, naturalmente, troppo impegnati in quello che loro chiamano “fare” e troppo convinti che quel “fare” debba innanzitutto portare a prodotti adatti a soddisfare bisogni propri e tutelare altrettanto propri interessi.
Con una concessione ai bisogni ed agli interessi del ristretto gruppo di appartenenza.
E questi sono gli elementi essenziali, in assenza anche di uno soltanto dei quali non è possibile parlare di Politica e neppure di politiche:
1. l’esistenza di un “canovaccio”, di una traccia schematica di riferimento senza la quale sarebbe particolarmente difficile coagulare i propri con gli interessi di altri, necessario per moltiplicare le forze dei singoli, altrimenti insufficienti. Raggiungere un qualsiasi obbiettivo è di gran lunga più facile quando in qualche modo ci si unisce. E a sua volta l’unione è meno difficile se in qualche modo si disegna una traccia di cammino.
Non si ha la certezza del risultato, ovviamente, ma una maggiore probabilità di riuscita sì.
2. la “improvvisazione”, che consiste nell’“inventare” quanto di volta in volta ritenuto meglio adatto a consentire lo sviluppo del canovaccio e l’eventuale raggiungimento di ogni singolo obbiettivo, e dunque anche – se e quando necessario ed opportuno – creare il consenso del pubblico cui ci si rivolge.
3. il “mestiere” o “la professione”, che indica una qualità di chi alla Politica vuole dedicarsi: quella di “farlo per mestiere o per professione”, cioè con una conoscenza certamente pratica del fenomeno, non necessariamente anche “scientifica”. Soprattutto o esclusivamente “pratica” dal momento che ogniqualvolta “la scienza” intervenga, la “pratica” si complica fino a divenire impossibile.
Naturalmente, non ho potuto non notare come gli stessi elementi essenziali siano propri anche dell’economia. Meglio: del sistema economico con il quale viviamo.
1 bis. L’esistenza di un “canovaccio”. In economia, la traccia schematica di riferimento è costituita dalla creazione di profitto a vantaggio del capitale impegnato in una con l’affermazione della necessità di una libertà assoluta nei comportamenti. E si tratta di una pura indicazione di intenti, dal momento che quanto ai modi per fare profitto ciascuno è lasciato libero di muoversi come gli pare. Non a caso nelle nostre Università si insegna ancora che l’economia è un fenomeno che nulla ha a che vedere con l’etica, con la morale, con il diritto.
2 bis. La “improvvisazione”, che in economia significa soprattutto la “invenzione” di ogni e qualsiasi sistema sia ritenuto adatto a creare e ad incrementare il profitto. Non solo: dal momento che si assume che l’economia sia qualcosa di diverso e in qualche modo di estraneo dall’etica, dalla morale e dal diritto, il campo della improvvisazione si allarga fino a comprendere “l’invenzione” dei modi più idonei ad aggirare i vincoli che le tre discipline citate imporrebbero, se rispettati, all’azione strettamente economica.
3 bis.  Il mestiere o la professione esercitati da chi in economia intende operare. Anche in questa ipotesi – in economia, appunto – sembra necessaria una conoscenza pratica del fenomeno, ma  non altrettanto il possesso della “scienza”, ed anche in questo caso, ogniqualvolta quella che gli economisti chiamano “scienza” interviene, la pratica si complica e la gestione del fenomeno diviene, se non impossibile, certamente più difficile.
Subito un dubbio, ovviamente: non è possibile che gli stessi elementi essenziali siano comuni a più fenomeni. Se così fosse, quei fenomeni sarebbero sempre uno ed uno soltanto. Nello specifico, significherebbe che Politica ed Economia sarebbero la stessa cosa, solo chiamata in modo diverso.
Che è una possibilità, ovviamente, e più concreta di quanto possa non apparire, tanto da essere sotto gli occhi di tutti e da costituire argomento di studio e di disputa, nel tentativo di indicare differenze significative tra le due “discipline”.
Ma a mio modo di vedere, appare più razionale l’opinione di coloro che pensano che l’economia sia in un certo modo una specificazione della Politica: questa, per la vastità del campo d’azione, assorbirebbe il mondo degli scambi “economici”, così che quando si fa Politica nel mondo degli scambi e delle relazioni che investono la creazione e la distribuzione della ricchezza, si parla più propriamente di “Economia”.
 Certo è che della Politica l’Economia appare il settore, la categoria più evidente nella pratica di ogni giorno. Un altro dubbio: il canovaccio, la improvvisazione e il mestiere si dice siano gli elementi costitutivi di quella Commedia dell’Arte che, nata in Italia attorno al cinquecento, dai più si assume estinta alla fine del settecento. E’ in sintesi estrema quanto sostengono unanimi gli studiosi del teatro, e non soltanto in Italia. Se questo è vero, la coincidenza tra Commedia dell’Arte, Politica ed Economia sembra difficilmente contestabile. E allora: come riusciamo a distinguere quel genere teatrale per qualche verso glorioso dalla Politica e dalla Economia?
Ed ecco venire in soccorso un rapido esame di quanto è accaduto e accade in Politica e in Economia in questi ultimi giorni, e forse la risposta è a portata di mano.
In Politica, sembra non facilmente contestabile che si sia da sempre recitato a soggetto, improvvisando di volta in volta soluzioni più o meno efficaci, più o meno credibili, a problemi che si tenta di far credere propri della comunità di riferimento. “La buona scuola” è una di queste, improvvisata e pasticciata quanto si vuole, ma in grado di attirare l’attenzione.
Ma il massimo della improvvisazione si è raggiunto con la minacciata presentazione al Senato di circa ottantacinquemilioni di emendamenti alla legge che dovrebbe modificare l’assetto ed i rapporti tra le camere. E l’idea pare risponda appieno a quella “Commedia ridicolosa” che (cito testualmente) “si assume essere la versione cortigiana della commedia dell’arte che sostituì in parte quest’ultima dopo la partenza dei maggiori attori italiani verso Parigi, Vienna, La Penisola Iberica e la Moscova”.
L’Economia non sembra da meno. Perseguire la massimizzazione del profitto -uno dei cardini del canovaccio economico- è da sempre uno degli elementi fondanti del sistema. Con questo in più: che il successo nel fare profitto e nel continuare ad aumentarlo sembra garantire da ogni eventuale ingerenza delle leggi, almeno nel senso che queste sono invocate e talvolta addirittura applicate prevalentemente quando l’attività economica fallisce. Solo in quel caso ci si accorge che le leggi sono state violate e che i responsabili dovrebbero essere puniti.
È ancora una volta di questi giorni la tempesta Volkswagen, la quale ha aumentato i volumi di vendita e i profitti anche con l’utilizzo di programmi atti ad ingannare i sistemi di controllo sulle emissioni nocive degli scarichi dei veicoli. Risultato: forse diciotto miliardi di dollari di multa; forse alcuni milioni di autovetture richiamate in fabbrica; certamente un danno enorme all’immagine della Germania, ed altro ancora. E il più bello è che del tutto si è protestato completamente all’oscuro un AD che ha resistito fino all’ultimo secondo, cercando addirittura di raggiungere un posto di potere ancora più elevato, chiedendo anche scusa (per quello che le scuse possono contare) e che alla fine pare abbia rassegnato le dimissioni, peraltro lautamente liquidato ed altrettanto lautamente dotato di pensione milionaria.
A me pare che, tutto questo premesso, si possa affermare con una certa tranquillità che sia la Politica che l’Economia (questa, forse, in via secondaria) null’altro siano se non mutazioni della Commedia dell’Arte. Una obbiezione possibile: sia la Politica che l’Economia -si sostiene da più parti- preesistevano alla Commedia dell’Arte, la quale null’altro sarebbe se non la trasposizione teatrale delle altre due, e dunque…
E dunque, i casi sono due:
1. È la Commedia dell’Arte ad essere una mutazione per molti versi unificante della Politica e dell’Economia, in un quadro di cicli vita delle due discipline, la cui decadenza avrebbe dato vita alla Commedia, appunto. Questa avrebbe a sua volta percorso il proprio ciclo di vita, raggiungendo il vertice tra il cinque ed il seicento, quindi decadendo per trasformarsi di nuovo in Politica e in Economia, mutatis mutandis;
2. La Commedia dell’Arte nasce prima della Politica e della Economia e le impronta a tale livello che, scomparsa (?) la Commedia, Politica ed Economia ne perpetuano le caratteristiche in modo così efficace da divenirne vere e proprie mutazioni.
C’è una verità di fondo, credo incontestabile: la Commedia dell’Arte, come del resto tutto il teatro di tutti i tempi, null’altro è se non una trasposizione dei comportamenti umani in un mondo fittizio, più e meglio adatto di quanto non sia la cruda realtà  alla interpretazione ed alla elaborazione.  E la trasposizione teatrale di qualsiasi fenomeno non ne muta la natura: soltanto, ne trasferisce il significato in un mondo forse fittizio, certo con caratteristiche in buona parte diverse.
Ciò detto (in modo estremamente sintetico e certamente incompleto) tra le due ipotesi propendo per la seconda, dal momento che sia la Politica che l’Economia, per quanto in modo primitivo ed elementare, appaiono certamente preesistenti al teatro, poiché entrambe attingono direttamente, immediatamente e in modo “concreto e pratico” alla soddisfazione dei bisogni di sopravvivenza, ai comportamenti relativi e alla tutela degli interessi più elementari. E cerco di concludere, suggerendo questa correzione agli scritti in materia –almeno- di teatro e di Commedia dell’Arte:
“Nel quadro dei corsi e ricorsi storici, la Politica e l’Economia che venivano rappresentate nella Commedia dell’Arte e nelle sue maschere, hanno incorporato quel genere teatrale, unendosi nella improvvisazione, nel mestiere e nella elaborazione di un canovaccio, divenendo un tutt’uno. Politica ed Economia, quali manifestazioni “moderne” della Commedia dell’Arte, di questa hanno perpetuato la vita, proponendosi la Politica come Commedia dell’Arte dal Canovaccio generalizzato; l’Economia come Commedia dell’Arte dal canovaccio legato allo specifico  campo della creazione della ricchezza. La distribuzione di questa ricchezza è la materia del canovaccio che accomuna le due mutazioni.”.
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