UN RICORDO DI CESARE SANGALLI
di Matteo Borgia*
Cesare alla Marcia Perugia-Assisi 2018 |
Conoscevo Cesare da tanto tempo, ma ho avuto modo di frequentarlo da vicino solo di recente. A una riunione del nascente Coordinamento pacifista foggiano, dopo un suo e un mio intervento si presentò, e cominciò a raccontarmi la sua storia. Lì per lì rimasi un po’ interdetto, non faccio fatica a nasconderlo: era un vulcano, e a sentirlo sembrava non ci fosse nulla che riguardasse la guerra o i diritti umani che lui non conoscesse o su cui non avesse una teoria o una proposta alternativa. Poi si doveva organizzare la marcia per la Pace Emmaus-Amendola, e lui mi chiamò perché dovevamo preparare la compilation musicale per il corteo. All’inizio andammo avanti con i messaggi via chat, poi passammo ai vocali, infine mi chiamò al telefono. E fu un fiume in piena. Scoprimmo di avere gusti musicali affini. Scoprimmo di avere un percorso di impegno politico e sociale parallelo. Scoprimmo di avere molte altre somiglianze, il giornalismo, l’attivismo pacifista negli anni Ottanta, Gianni Rivera... Scoprimmo di avere tanti ricordi condivisi. Alla fine scoprimmo che probabilmente tutto dipendeva dal fatto che avevamo la stessa età, banalmente. È stato un feeling brevissimo ma molto intenso, anche grazie a lui, che su tutto, ma proprio su tutto, aveva tanto da dire. Posso dire, però che i suoi interventi erano sempre molto argomentati, informati. Intelligenti, nel senso filosofico del termine, legati cioè all’intendere umano. Perché lui cercava di capire le cose e si adoperava per farle capire, con un punto di vista originale, quasi mai inquadrato nello schema conformista prevalente. In questo, era anche un po’ rompiscatole, ma a fin di bene. Era partigiano, nel senso gramsciano del termine, perché non riusciva a essere indifferente. Era missionario, perché sentiva su di sé il compito di diffondere i suoi ideali di giustizia e fratellanza. Era un uomo di fede: credeva in Dio, ma credeva anche nell’Umanità, nella sua capacità di redimersi, di lottare per la Pace: sembra un ossimoro, ma per Cesare era un canone di vita, il suo motto era “peace & love”, Pace e Amore. L’ha scritto nelle “parole legate” alla marcia del 10 aprile, è l’ultimo saluto che ha scritto nell’ultimo messaggio in cui ci spiegava il senso dell’intervento che avrebbe fatto alla presentazione del libro, durante il quale ci ha lasciato. Era un ribelle, un autentico mister NO. Nella chat del Coordinamento ha lasciato una specie di testamento spirituale, si è auto-definito “No Tav, No Triv, No Olimpiadi, No Ponte di Messina (!!!!), no inceneritori, no rigassificatori, No Grandi Opere inutili” e ancora “No Grandi Centri commerciali, No nuove autostrade, no consumo di territorio”. Posso aggiungere, per averci parlato, che era no global, no green pass, no vax imposti, no mafia, no illegalità, no proibizionismo. Insomma era uno spirito libero. Alzi la mano chi non ha pensato almeno una volta che Cesare era sì, proprio logorroico, anche un po’ rompiscatole. Alzi la mano chi, dopo averlo sentito almeno un paio di volte, non abbia cominciato ad ammirare la sua coerenza, quel suo schierarsi sempre e comunque dalla parte dei più deboli, degli oppressi, dei rinnegati, dei discriminati, dei bisognosi. Ha informato tutta la sua vita, fino alla fine, ai suoi ideali, senza mai curarsi delle conseguenze che quel suo schierarsi avrebbero avuto sulla sua persona. Alla fine ha ceduto il suo corpo, non il suo spirito. Ci siamo incontrati tardi, Cesare, avremmo dovuto condividere ancora tante battaglie, tante lotte e tante belle chiacchierate. È stato comunque un onore e un privilegio conoscerti, e sono più che certo che il seme che hai lasciato su questa Terra continuerà a germogliare. Adesso cerca di convincere gli Angeli e i Santi ad adoperarsi verso gli uomini come hai fatto qui con i potenti, e sono certo che vedremo aumentare i miracoli in misura esponenziale. Addio, fratello e compagno, Peace and Love.