Confesso che
non provo quasi alcun interesse a scrivere sulla politica italiana. Sarà l’età,
ma mi pare che la sua caratteristica sia di parlare di se stessa, dei suoi
equilibri, delle sue rivalità, delle sue fedeltà, dei propri conflittuali
slogan per incontrare sogni e desideri e quindi guadagni e perdite, talora
delle sue memorie (quando ci sono) sempre un po’ falsificate. Ci sono poi i
commentatori, esegeti del nulla chiamati a razionalizzare gli eventi elettorali
che (almeno da noi) hanno poco a che vedere con la realtà e con il futuro.
Lasciamo stare i tangheri fuori senno e i truffatori sbocciati nella prima
giovinezza cara alle mamme. E facciamo eccezione a rovescio per qualche
onorevole (ci sarà pure qualcuno che frequenta l’onore contemporaneo anche se
non è quello regale di Francesco primo, né quello del personaggio della prima
sezione dei Sonnambuli di Broch) e
poi qualche commentatore privo di specchietto autovisore. Tra costoro merita qualche
stima chi ha imparato a usare bene la testa facendo lezione all’Università des
beaux temps de jadis.
Per altri, qualsiasi sia il luogo dal quale parlano, affrontano le questioni non per quello che sono
-impresa superiore sia alle loro energie sia al luogo
dell’emettenza- ma per il modo in cui è utile dirle per trarne il vantaggio
dall’effetto che fa. Con franchezza, anche se escludiamo signore sciocche
(volgari?) e presuntuose come farfalle intorno a settecentesche fiammelle, e
signori impavidi e fieri come fotocopie dei tre moschettieri, questa situazione
è tutt’altro che facile da superare. Un’analisi storica seria potrebbe mostrare
che ciò di cui si parla è quanto resta dalla evoluzione della tradizione
democratica. Perché? L’importanza di una decisione -lo converrebbe chiunque-
dipende da “cosa” si decide, e il “cosa” si decide provoca l’importanza o meno
di chi decide. Decidere quali scarpe mettere non fa nascere il soggetto libero
(trascendentale, non facciamo errori) kantiano, ma decidere la guerra con il
dolente messaggio ai propri “popoli” come fece, distruggendo l’Austria e
l’Europa, Franz Josef, è conforme alla figura dell’imperatore e alla sua
sbagliata vecchiezza.
Oggi le “cose”
di cui può parlare l’insieme delle emittenti politiche ha sempre più il
carattere di una controversa autobiografia, anche se il problema è quello di
una gioventù senza tempo.
Di “cosa” possono parlare con pochi gesti informatici i
poteri economici, soprattutto finanziari che condizionano non poco i come, e
perché, i dove, e quando della produzione materiale.
I filosofi alla moda parlano di fantasmi simili (così
pare) a quello che inizia il “Manifesto” di Marx-Engels, e non certo a quello
della commedia popolare. Se consideriamo i fantasmi come reali viene il
sospetto che i personaggi reali, anche se pieni di buona volontà, diventino
fantasmi. La ragione è piuttosto semplice: le ragioni che restano da discutere
sono quasi irrilevanti, o quasi, anche se sono conflitti o fatti obiettivi
derivanti da una imprendibile provvidenza. E le foto di gruppo dei potenti della
terra col tempo diventano ricordi di una gita qualsiasi, nemmeno al faro…
Allora? Allora, è il capitalismo, bellezza.
Che non si può nemmeno pregare e forse ci vogliono degli
dèi per essere addomesticato a misura dell’intelligenza e della fame degli uomini,
e dell’infinita fioritura della natura.
Questo
percorso non è però un invito al nulla. Vorrebbe essere un invito, un poco
patetico, a pensare alla polis con decenza riguardo al logos e con indifferenza
riguardo a se stessi.
Anonimo Lombardo